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Autore: livingfiamme    20/03/2011    1 recensioni
[Heilig spin-off. La trama e i personaggi della storia citata appartengono a Eclectic_Doll.]
'Suo fratello l'aveva detto. Di nuovo.
Non ti voglio più.
'
I pensieri di Bill rimangono nascosti, durante la sua rinascita. Queste frasi intendono tentare di sciogliere gli impossibili nodi di un'anima già troppo tormentata.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rinascita



Quando Bill Kaulitz s'era buttato dal quarto piano di un'ascesa che fin troppo aveva di artificiale - e no; non solo metaforicamente - aveva un solo pensiero in testa.

'Voglio raggiungere le stelle. Voglio essere qualcuno'.
Il pensiero logico non gli aveva attraversato il cervello nemmeno quella volta: che, cioè, lui le ali davvero non ce le avesse, e che dovesse accontentarsi di fissare la Luna finché non fosse diventato polvere volatile. Non gliene era fregato niente, e perché era comunque troppo distrutto per formulare pensieri che avessero un senso, e perché lui era davvero un arrivista del cazzo e se ne fregava degli altri quando si trattava di afferrare qualcosa che voleva davvero.
Fosse pure la Luna.
Aveva percorso quel ballatoio stretto e infinitamente lungo con la sicurezza disperata di chi sa che davvero non ha più nulla da perdere, le sue lunghe gambe da ballerino non l'avevano tradito. Non l'avevano fatto cadere prima del tempo, come lui non voleva.
Tanto lui otteneva sempre quello che voleva. Anche l'impossibile.
Tom l'aveva rifiutato, e dunque non c'era più ragione di cantare per un sogno che ormai di bello aveva ben poco.
Aveva fissato le stelle la Luna il buio l'aria le proprie lacrime; si era voltato, schiena contro vento, e poi si era lasciato cadere. La sua mente fredda e calcolatrice l'aveva fatto rimbalzare sulla macchina di quel malcapitato dottore per stelline di Viva, e poi l'aveva fatto cadere proprio lì.
A dieci centimetri e qualcosa dalle scarpe del suo specchio di carne.
Bill se n'era accorto, come si era accorto di quell'urlo silenzioso che il fratello aveva cacciato, come del fiore rosso dietro la propria testa. E poi aveva visto la luce. Tanta luce da fargli venire persino voglia di sorridere - pure se, nelle circostanze, c'era ben poco da stare allegri.
Aveva sorriso per un tempo che gli era parso infinito; e poi, d'improvviso, s'era visto a fissare la luce fredda di un neon che gli intimava di vivere ancora. Pure se lui non voleva.
Ma non poteva essere così egoista da pensare di esistere solo per sé stesso.
A quel punto aveva pianto: poi, quando cominciava a credere che esistesse qualcosa per cui valesse la pena provare tutto quel dolore - che partiva dalla testa e finiva, se finiva, chissà dove - suo fratello l'aveva detto. Di nuovo.
Non ti voglio più.
Aveva pianto per due giorni quindici ore trentasette minuti dieci secondi, a voler essere puntigliosi.
Però qualcuno gli aveva impedito di cadere, con una stretta forte e tanto estranea da credere fosse sincera.
Gli aveva sbattuto in faccia la verità  - che fosse, cioè, un maledetto stronzo egoista - e gli aveva detto chiaro e tondo che la sveglia era suonata anche per lui, perciò che si sbrigasse ad alzarsi e fare qualcosa per sé stesso che non suonasse necessariamente come qualcosa di profondamente dannoso e doloroso. Lui lo aveva fissato. Confuso.
Jorg non era mai stata una grande presenza nella sua vita, tutt'altro.
Però Bill aveva capito. D'istinto.
Jorg voleva perdonarsi.
Come quando era al Ginnasio, s'era alzato lentamente, con la vaga impressione sarebbe stato davvero un periodo da cancellare prima ancora che cominciasse.
Torto non aveva; ma nemmeno ragione.
Era forte, lui. Non fuori, ma dentro.
Bisognava scavare parecchio per trovarla, ma la forza c'era davvero.
Aveva fatto del proprio dolore un scudo contro le altre persone: e si era alzato. Non aveva voluto quasi nessuno a curarlo, giusto uno o due dottori per controllare non cadesse da cavallo e stringesse le redini nel modo corretto. E teneva la schiena dritta e camminava, nonostante si fosse spezzato la spina dorsale. Perché la voglia di assomigliare a quell'altro, di potergli sbattere in faccia che sì, Bill era più forte di quel frontman agguerrito e violento, si faceva sentire come un urlo continuo e instabile.
Voleva dirgli che non era come  lui aveva sempre pensato; che, cioè, qualcuno avesse raccolto i pezzi di Bill e non di Tom. Non era stato così, perché nella bolla dei mille anni senza tempo nessun altro aveva potuto entrare fuorché loro.
Tutti avevano visto cocci di un'identità senza saperli davvero distinguere, per cui erano stati mescolati alla rinfusa. Era quello che Simone diceva sempre, come ogni mamma orgogliosa di gemelli.
Bill è anche un po' Tom. E viceversa.
Fin troppo. Però in quel caso era servito, almeno, a fargli capire che le stelle si raggiungono in due e che la Luna è in Terra.
Fra un cuore e un altro.
Due pezzi della stessa anima.
   
 
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