Only a little puppy
Rating capitolo:
Verdissimamente verde (?)
Personaggi: Arthur Kirkland
(Inghilterra) – Francis Bonnefoy
(Francia)
Osservazioni personali:
Nel post-it giallo
in fondo.
Only
a little puppy
L’inglese
si guardò un paio di volte
attorno, girando la testa con fare discreto, mentre portava per
l’ennesima
volta la tazzina alle labbra, dove il the era quasi finito.
Lo posò sul suo piattino, provocando un
rumore secco accompagnato dallo sbuffare del biondo.
Portò
lo sguardo alla grande finestra
davanti ai suo occhi ed osservò le candide nuvole che
dolcemente scivolavano
nel cielo terso, mentre il sole spadroneggiava su tutto ciò
che lo circondava
in quella tranquilla mattina di primavera.
Altro
rumore secco, altro sorso dalla
tazzina. L’inglese alzò il polso sinistro e lo
liberò dall’ingombro della
manica dell’elegante vestito, mettendo in vista
l’orologio d’acciaio.
Riportò
entrambe le mani sulle ginocchia
e poi si alzò di scatto. Contò le monete
necessarie e le abbandonò con un moto
di stizza sul tavolino, riuscendo per miracolo a non centrare la
tazzina ancora
contenente qualche goccia di the verde, e poi abbandonò con
passo affrettato
quella sala e tutto il suo chiacchiericcio.
-Maledizione..
Mormorava mentre
camminava fra le strade
di una Londra per bene, con balconi coperti di fiori al loro massimo
splendore
e gente che sorrideva senza alcun valido motivo.
E lui invece procedeva in controcorrente
rispetto a tutta quella massa, con le sopracciglia aggrottate e le
labbra
deformate in maledizioni appena pronunciate.
Un’ora.
Aveva osato farlo aspettare
un’ora. Una preziosissima ora del suo tempo.
Certo, perché lui non poteva avere
qualche impegno, certo che no.
E neanche a dirlo, l’aveva avvertito che,
davvero, lui quel tempo a disposizione non ce l’aveva.
Devo
parlarti d’affari,
l’aveva pregato, e lui c’era cascato.
Aveva sperato in verità che gli portasse
qualche notizia interessante, qualche progetto vociferato nel governo
francese.
E solo il cielo sapeva di quanto ne avesse bisogno in quei tempi,
un’alleanza
come ai vecchi tempi, per far notare come l’Inghilterra fosse
ancora la grande
potenza di un tempo, magari. E di riflesso anche la Francia, ma sono
dettagli
questi.
O
almeno questo era quello che sperava.
Ed
invece? Un’ora ad aspettare quel
patetico individuo! Un individuo che magari in quel momento era perso
in chissà
quale flirt.
Sospirò
Arthur portandosi una mano sul
viso, e l’espressione rassegnata. Una mattina di lavoro
perso, e chissà quale
occasione anche.
Camminò
ancora per parecchi minuti in
quell’interminabile via della sua capitale, e la leggera
brezza che gli
sferzava il viso e gli scompigliava i corti capelli non
riuscì certo a placare
i suoi bollenti spiriti. Anzi, poche altre volte aveva avuto
l’ardente
desiderio di avere davanti il volto del francese. Ancor meno erano le
volte che
l’avrebbe voluto ammirare sanguinante. A causa sua, certo.
Sospirò
con tutta la forza di volontà che
possedeva, sognare ad occhi aperti una possibile vendetta era inutile,
e sapeva
che gran parte di essa era dettata dal nervosismo che lo aveva fatto
preda in
quei difficili giorni.
Devo
calmarmi
Cominciò
a pensare.
Forse
dovrei trovarmi un hobby…magari dovrei riprendere a cucinare.
Eh,
ad Arthur piaceva cucinare, peccato
che in molti preferivano la tortura piuttosto che assaggiare i suoi
piatti.
Molti soldati in tempi passati avevano gridato pietà dinanzi
ai loro pasti.
Singhiozzò
un ingrati a quei pensieri senza
senso, dopotutto a lui piacevano le
cose che cucinava, e non capiva neanche dove sbagliava!
Aveva
appena deciso di archiviare la
questione, e magari cercare qualche altro possibile hobby da prendere
in
considerazione, quando si fermò improvvisamente.
Una
lucina apparse a pochi centimetri dal
suo volto, tanto che ci mise qualche istante per capire di che si
trattasse.
Ed ecco che finalmente era arrivata la
soluzione ai suoi guai, per un po’ tutti quei pensieri
maligni l’avrebbero abbandonato.
Una
fatina sorridente e con le piccole
ali che risplendevano dorate al sole lo salutò, e lui non
poté risponderle che
con un largo sorriso.
Eccola,
una delle sue fatine, solo con
loro poteva e voleva permettersi di mostrare la parte più
nascosta del suo
animo, quella che sapeva ridere senza alcun remore.
-Ciao!
È da un po’ che non vi fate
vedere!-
Esclamò,
mentre con l’indice della mano
destra la portava verso la sua spalla, e continuava a camminare
spensierato
verso la sua dimora.
Nonostante
non le rivolgesse più di
qualche parola, non voleva che si spargesse l’idea fra la sua
gente che la loro
nazione fosse ammattita, si sentì stranamente leggero con
quell’esiguo peso
comparabile ad una piuma posato sulla spalla.
Ormai
la residenza dell’inglese poteva
essere scorta dalle sue figure, quando ad Arthur venne in mente che
quella
situazione non era affatto normale. Insomma, la fatina che ogni tanto
si
pronunciava in una delicata risata gli pareva alquanto nervosa.
-Hai
qualcosa da dirmi?-
Domandò
incerto, facendo attenzione a non
attirare lo sguardo di nessuno in particolare, e rivolgendole poi uno
sguardo
dubbioso.
Subito
la piccola creatura magica scosse
la testa energicamente, per mostrare un sorriso stentato ed alzarsi in
volo,
precedendolo di qualche passo e mostrandogli la schiena.
C’era
qualcosa che non andava.
Decisamente.
Ancora
qualche passo e l’inglese aprì il
cancello che cigolò appena alla pressione della sua mano.
E così ebbe accesso nella sua villa, nel
bel mezzo di Londra. Che ci volete fare, essere
l’incarnazione stessa di una
nazione ha sempre portato alcuni privilegi, insieme a tanti altri
impegni e
sofferenze.
Ma almeno nei periodi di tranquillità
poteva godersi il meritato riposo senza alcun pensiero, certo.
Aveva
cominciato a camminare nel piccolo
sentiero che dava dinnanzi al portone d’ingresso, quando la
fatina catturò la
sua attenzione volandogli a pochi millimetri di distanza dal naso.
Arthur
indietreggiò con la testa
istintivamente, per poi focalizzare la figura d’ella, e
seguirla con lo sguardo
nel suo spostamento. La seguì nel suo volo
all’interno del giardino, fino a
quando non atterrò vicino ad alcune piante dal
bell’aspetto verdeggiante.
L’inglese
si avvicinò, infischiandosene
dei vestiti e di come si stessero sporcando, e si abbassò
sulle gambe. Spostò
una pianta che pareva essere stata usata come tenda e
trovò…qualcosa.
Lo
sguardo si posò immediatamente
dubbioso sulla fatina, che in quel momento gli stava rivolgendo un
sorriso
nervoso.
Scusaci
Arthur.
E senza dare al
biondo l’opportunità di
proferire parola, la fata scomparve in uno sbuffo di luce.
Rimase
interdetto per qualche istante,
mentre vedeva scomparire gli ultimi luccichii della polvere che si era
lasciata
dietro.
-Maledizione
a voi, mai che lasciate una
spiegazione decente.-
Disse
a se stesso più che a qualcun
altro, e si rivolse al regalo che
gli
avevano gentilmente lasciato.
Era un uovo di grandi dimensioni, grigio
e sporco di terriccio.
Mi
hanno lasciato un uovo di struzzo?!
Pensò
stralunato mentre lo raccoglieva,
non riuscendo ad individuare una possibile natura magica o naturale a
quel
coso.
Ritornò
dentro casa, soppesando l’uovo
fra le mani e guardandolo con insistenza, quasi gli rispondesse solo
con
quell’occhiata, e poi lo posò adagio sul tavolo.
Continuò
a studiarlo e a cercare la sua
natura d’origine in diversi libri, ma non trovò
nulla che lo soddisfacesse
abbastanza, e continuò nel suo lavoro fino a quando lo
stomaco non cominciò a
reclamare cibo. Quindi lo sistemò sul divano, sicuro
così di averlo sempre
sott’occhio, e nel frattempo poteva avere il tavolo libero.
Passò
quasi una settimana da allora, e
dell’uovo sinceramente Arthur dimenticò ogni cosa.
Del francese non aveva avuto
più notizie, e quindi lui e il lancio di tutte le
maledizioni a lui conosciute
verso la sua figura furono i suoi pensieri principali, oltre agli altri
problemi che lo pressavano, certo.
Si
ricordò dell’uovo e dello strano
comportamento della fata solo una mattina in cui finalmente era libero,
e per
passare il tempo rilassandosi, si era seduto sul divano con un libro in
mano.
Solo
allora sentì qualcosa di scomodo
sotto al cuscino, e con sua grande sorpresa ne uscì il
suddetto uovo. Lo guardò
maledicendo la sua disattenzione e due cose lo presero maggiormente
alla
sprovvista.
La
prima era la crepa che sovrastava il
guscio nella parte superiore.
La seconda era il tremore dell’uovo
stesso.
Con
suo grande stupore Arthur capì che si
stava schiudendo, così lo portò sopra il tavolo,
in trepida attesa del nuovo
nascituro.
Beh, che cosa dovesse aspettarsi ancora
non lo sapeva, ma stava tranquillo. Dopotutto gliel’aveva
portato una fata, e
le fate non fanno mai del male ed erano anche sue amiche!
Poteva stare tranquillo, chissà magari…
Il
ricordo delle parole della stessa lo
colpirono all’istante, facendolo immobilizzare.
‘Scusaci
Arthur’ aveva detto.
E quando la creatura
riuscì a liberarsi
dalla sua prigione, l’inglese trovò fondo a tutti
i suoi più oscuri pensieri.
-D-devo…sedermi..-
Canticchiava
tranquillo mentre camminava allegro
per il viale di ciottoli e si beava della vista di tutta quella natura.
Dinanzi
ad un albero di rose rosse si
fermò ammirato dal loro splendore e profumo.
-Oooh,
danno un bel tocco di classe.-
Ammise
sorridente, e quasi automaticamente
sporse la mano destra verso quella più vicina e la raccolse
facendo attenzione
alle spine.
Appena
fatto se la rigirò fra le mani ed
andò verso il grande portone in legno. Doveva ammetterlo,
Arthur aveva un buon
gusto, almeno in questo.
Fece allora scivolare un dito sulla
superficie liscia del portone e con le nocche bussò.
Passò
qualche minuto prima che la porta
si aprisse e il volto di Arthur ne facesse capolino.
-Arthùr!
Lo so che il nostro appuntamento è solo fra
un’ora, ma ho deciso di farti una
sorpresa.-
E
gli porse la rosa che aveva appena
raccolto.
L’inglese osservò atterrito il francese
che aveva dinanzi.
-Non
dirmi che l’hai raccolta dal mio
giardino.-
-Oh.-
Disse
solamente, nascondendosela poi
dietro la schiena.
-E
poi come sei entrato dal cancello?!-
-Trucchi
del mestiere mon chéri.-
Certo,
mestiere da ladro pervertito.
-E
il nostro incontro, non
appuntamento, incontro,
era quattro giorni fa, Francis.-
Il
francese lo guardò negli occhi.
Attualmente il povero Arthur stava rischiando una crisi di nervi,
eppure per
così poco!
-Oggi
non è giovedì?-
-No,
damn
frog, è domenica. Domenica, hai presente?-
-Oh,
ma cosa importa! Importa solo il
nostro rendez-vous, no Arthùr?-
-Incontro
d’affari, frog. E no,
adesso non ho il tempo di sentire le tue ciarle, quindi
vattene!-
Il
francese sbuffò. Sull’orlo di una
crisi di nervi, diceva prima? No, qui rischiava proprio di impazzire.
-Su
Arthùr,
devi imparare a rilassarti. Su, come diceva quella tua canzoncina tanto
carina?
Relax!-
E
così si fece avanti con la forza, ed
entrò così nell’elegante casa
dell’inglese.
Certo, aveva un pessimo gusto nel
vestirsi e nel cibo, ma in fatto di design era imbattibile.
Si fece così strada nel salotto,
guardandosi così attorno.
-Passi
troppo tempo a lavorare, Arthùr.
Prima o poi diventerai cieco, lo
sai?-
E
Arthur lo seguiva a qualche passo di
distanza, con le mani fra i capelli e la forte tentazione di saltare al
collo
del francese e strozzarlo.
Aveva
già troppe disgrazie. Eppure gli
andava bene tutto, ma non lui!
-Per
favore Francis, vattene! Non oggi!-
E
Francis lo ignorò beatamente, andandosi
a sedere sul comodo divanetto di pelle.
-Eh
no Arthur. Mi avevi dato la tua
parola che mi avresti lasciato parlare quanto volessi.-
Quasi
si lasciò andare in un grido
isterico, ma uno strano rumore di legno sbattuto lo fece desistere.
-Te
l’avevo promesso quattro giorni fa.
Quali fra queste parole non riesci a
comprendere?-
Francis
socchiuse gli occhi mentre
lasciava la rosa accanto a se sul divano in pelle e metteva
l’altra all’interno
della giacca. Arthùr
aveva sempre il
difetto di impuntarsi su futili dettagli.
-Non
cavillarti su questi dettagli. Hai
promesso.-
Disse
mentre estraeva l’accendino e un
pacco di sigarette.
Arthur lo guardò mentre portava una di
quelle alla bocca, e preparava l’accendino per
l’uso.
Voleva stare a casa sua? Che lo facesse
pure, gli avrebbe fatto passare però le pene
dell’inferno, per davvero
stavolta. E lui d’altronde si sarebbe divertito a guardare la
sua reazione.
E inoltre aveva bisogno di dirlo a
qualcuno, ma questo l’inglese non l’avrebbe mai
ammesso a se stesso.
Sbuffò
mentre si passava una mano sul
volto, e con pochi e lenti passi si portò accanto a Francis,
lasciandosi cadere
accanto la rosa.
La prese allora fra le mani e cominciò a
rigirarla, guardandola attentamente.
-Francis,
devo dirti una cosa che credo t’interesserà.-
Il
francese lo guardò per un attimo, la
sigaretta stretta fra i denti e l’accendino fra le mani.
-Dì
pure.-
Era
sorpreso dalle sue parole, d’altro
canto era venuto lui per parlargli e invece il loro ruolo si stava
invertendo.
-Sai…ti
ricordi i miei video? Quelli per
natale, no?-
Una
volta ne aveva fatto un paio, sotto
richiesta di Alfred. Oh beh, più che altro lo stava
minacciando con armi… improprie,
fatto sta che alla fine li
aveva fatti.
-Certo.
Come dimenticarli.-
Ridacchiò
al pensiero, mentre faceva
scattare la fiamma dall’accendino, ma qualche istante dopo si
spense. Rimase
perplesso per i primi istanti, poi ci riprovò.
Arthur, con le mani congiunte quasi in
preghiera che gli coprivano metà del viso, assisteva al
battibecco di Francis
con il suo accendino, il quale si spegneva dopo pochi istanti ogni qual
volta
riusciva ad accenderlo.
-Ricordi
gli effetti speciali che avevo
fatto? Secondo te come ci sono riuscito?-
Francis
guardò indispettito l’accendino e
lo scosse.
-Usando
il computer, Arthùr? Ma
che domande fai?-
Arthur
chiuse gli occhi, come facevano
tutti quanti a non vederli?! Eppure era tutto così chiaro..
-E
per Halloween, secondo te come riesco
a fare tutti quegli scherzi?-
Quelli
li aveva visti dal vivo, sapeva
che non c’era nessun tipo di trucco dietro. Sapeva che
qualcosa di strano
doveva esserci!
-Huh,
non ne ho la più pallida idea
Arthùr. Ma cosa c’entra tutto questo?-
E
l’inglese si rassegnò. Era troppo
stanco per riuscire a tirar fuori degli esempi decenti. Meglio la
dolce, cruda,
diretta verità.
-Ho
un drago in casa Francis. Un cucciolo
per essere precisi.-
Francis
lo guardò stupito. Era quello che
cercava di dirgli?
-Non
scherzare Arthùr, mi
dovevi parlare seriamente, no?-
Disse
ridacchiando e pensando che tutti
quegli strani libri che l’inglese leggeva dovevano avergli
dato alla testa.
Si concentrò sulla sua sigaretta, non si
era ancora perso d’animo, quando ad un certo punto scomparve.
O meglio, era
come se qualcuno gli avesse dato un morso, ingoiandosene
metà. Così, nel nulla.
-Adesso
mi credi Francis?-
Disse
mentre una parte del divano andava
a fuoco senza alcun motivo, e senza che i due si alzassero, impegnati
nel
guardarsi vicendevolmente.
Francis
aprì la bocca, come per dire
qualcosa, ma l’unico risultato fu il mozzicone di sigaretta
che era rimasto
integro gli cadde per terra. E non una sola parola riuscì ad
abbandonare le sue
labbra.
No.
Lì c’era qualcosa che non andava.
Assolutamente.
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Post-it
Oppoffarbacco.
Ehm, è una cretinata sappiatelo. Mi è sempre
piaciuta l’idea di un Arthur
legato all’occulto, un Arthur visto proprio come uno stregone
o un negromante o
cose del genere. Ho visto in giro che il suo rapporto con la magia
veniva
trattato solo come una sua fantasia e mi sono detta “Eh
no!”, coff, si l’ho
proprio detto ad alta voce..
Comunque,
questa che dovrei scrivere non è una storia vera e propria,
ma una raccolta di
storie con in comune l’idea di un Arthur alle prese con un
cucciolo di drago e
il mondo della magia in generale.
Coff,
si è una cretinata, e non so se e quando la
continuerò comunque. E questo
capitolo non mi è nemmeno uscito bene, a dir la
verità, ma ho voluto postarlo
lo stesso, vedete un po’ come sono impazzita.
Ah,
l’idea per questo capitolo principale mi è stata
data da una storiella a
fumetti su Arthur che ho trovato in giro, è veramente bella,
leggetela
*-*
Ok,
adesso, dopo aver combinato la mia solita stupidaggine giornaliera,
vado a
rintanarmi in qualche luogo sicuro (?). Ciao! <3