La
Strana Storia
di Biancalana e il Vecchio
Dentro
era tutto una caligine di buio, coi lunghi corridoi semisommersi da
antiche
ragnatele da fiaba e una congerie di colonie di muffe. Oltrepassarono
una porta
e varie stanze, girarono molto e per lo più in tondo,
ficcarono il naso in
qualche cassa dal contenuto apparentemente inutile e alla fine
raggiunsero una
porta più pesante e massiccia delle altre.
-
Torniamo indietro - fece Biancalana. Ma di nuovo sua madre, imprudente,
pensò
bene di non darle retta. E fu così che, la mano alla
maniglia, spinse più forte
che poteva in avanti. La porta, con un cigolio di cardini, si
spalancò:
Biancalana e sua madre si ritrovarono nel posto più strano
su cui credessero di
aver mai posato gli occhi.
Era
una stanza male illuminata, con tutta l'aria di una cappella. Ceri
delle più
varie dimensioni, alcuni accesi, altri sul punto di esalare l'ultimo
respiro
dorato della fiamma, letteralmente ricoprivano decine di nicchie,
mensole sui
muri e il pavimento. Il pavimento era di pietra grezza, come in certe
cattedrali
medievali, la stanza piccola, fredda, diseguale, nonostante un soffitto
vertiginoso si perdesse nelle profondità del buio. Tutto
intorno c'era un gran
silenzio, un paio di donne dagli abiti umili sembravano molto
concentrare su
qualcosa, ad attendere, in mezzo alla navata. Davano loro le spalle.
Biancalana
e sua madre si fecero avanti, un po' perplesse. Che cosa mai
significava quel
luogo, quella minuscola chiesa di mattoni, quelle candele e tutta
quell'aria
fredda all'interno di un edificio abbandonato? Biancalana e sua madre
avanzarono e i passi rimbombarono dovunque. Fu allora che lo videro.
All'estremo
opposto loro, dove in chiesa sarebbe logico ci fosse un altare, stava
un grosso
tavolaccio di mogano. Perfettamente lucido, sgombro, aveva dell'altare
le
grandi zampe lunghe e leonine, l'imponente solennità, la
vecchia foggia, tutto.
Ma non vi erano posati arredi sacri: solo un libro enorme, rilegato,
pesantissimo, con tutta l'aria di essere molto antico. Per un istante
Biancalana e sua madre, discoste appena dalle altre due in attesa
trattennero
il fiato: sembrava che le pagine giallastre, con sopra incisi caratteri
gotici,
si stessero muovendo da sole. C'era una donna accanto alla tavola,
dall'aria
assente e dimessa, con una nube di rossi e ispidi capelli rossicci, ma
era
troppo lontana per essere lei a far compiere alle pagine quei giri. A
meno che
non le muovesse col pensiero, il che era certo - lo sperarono -
impossibile.
Cos'era
allora che le muoveva? Non fecero a tempo a formulare per esteso il
pensiero,
che la risposta fu davanti ai loro occhi. Una delle due donne,
scostandosi,
lasciò vedere per intero la stretta navata che si parava
davanti a loro: pietre
antiche, poi tre gradini lievemente sconnessi, infine le zampe di
fenicottero
di una lunghissima sedia. Vi era appollaiato sopra un coso che attua
prima non
capirono che fosse: sembrava un vecchio vecchissimo, decrepito, con
lunghe
orecchie e un lungo naso a punta. Quando lo sguardo di Biancalana si
posò,
forse un po' più che sorpreso, su di lui, l'esse curvo
sollevò la testa e fisse
dentro ai suoi grandi occhi azzurri occhietti piccoli, di ghiaccio,
serpentini.
- Ti aspettavo, Biancalana -
sentì che le
veniva rimbombato dentro le orecchie, come fosse una sorta di suo
pensiero, e
non quello di lui. All'apparenza il vecchio - che era alto forse
neanche come
un bambino - e molto svelto, stava girando le pagine del libro e non si
curava
di loro. Come poteva dunque lei aver sentito quel che in effetti non
poteva
essere detto? Biancalana scosse appena la testa. Sentì una
vampa di sangue che,
inquieta, andava a imporporarle le guance. Poi si riscosse. Sua madre
si era
messa in fila con le altre e la tirava.
-
Dicono che il vecchio sa leggere il futuro. Che guarda dentro il grande
libro e
che sogna. E dentro il libro ci sono scritti i destini di tutti quelli
come te,
come noi. C'è scritto il mio, da qualche parte, e il tuo, e
quello di queste
donne. Basta solo che aspettiamo, e quando sarà il momento
potremo chiedere al
vecchio di leggercelo.
Biancalana
fissò di nuovo, inquieta, le mani secche, scheletriche, del
vecchio. Sembravano
antica cartapecora, ossa legate male con lo spago, chiazze di niente
sopra
l'antichissimo mantello scuro della terra. Non le piaceva, quel vecchio
proprio
non le piaceva.
Aspettarono,
e aspettarono, e aspettarono ancora. Per ogni donna che si avvicinava,
il
vecchio ci metteva più tempo: altre due erano entrate dopo
l'arrivo della madre
e Biancalana, un'altra stava spingendo ora alla porta. Non bussavano,
non
facevano rumore. Semplicemente, entravano e basta, a testa china, come
chi
aspetta il responso di un arcano oracolo. Il vecchio non staccava mai
dai libri
la sua testa bitorzoluta e calva, scorreva un dito, si leccava le
labbra quando
qualcuno gli chiedeva qualcosa. Cosa strana, sembrava farle passare
tutte
avanti, nonostante già da molto tempo sarebbe toccato
piuttosto a Biancalana e
a sua madre andare dall'oracolo. Ma il vecchio, noncurante, sembrava
non farci
caso. Chiamava per nome. Ma nomi strani, nomi di cose, che le donne, ad
una ad
una riconoscevano. Riconoscendoli si scuotevano appena, e a testa bassa
raggiungevano il tavolo sopraelevato. Solo allora quella strana
creatura si
degnava di guardarle, solo allora apriva il grande libro e cominciava a
voltar
pagina con le dita polverose. Poi, una volta individuato il passo,
inforcava
meglio sul grande naso il paio di occhialini che aveva e cominciava a
leggere.
Non era mai proprio una lettura ad alta voce, piuttosto un bisbiglio di
cui
invano si percepivano lacerti.
Biancalana,
in piedi da quelle che le sembravano ore, riusciva solo a cogliere, di
tanto in
tanto, qualche oscuro sospiro delle donne, qualche sommesso singhiozzo
di
pianto. Non le sembrava mai che le notizie date dal vecchio sul futuro
fossero
buone. Sembravano sempre notizie di morte, e distruzione, e tristezza.
- …
è così,
te l'ho detto, non puoi fare
nulla …
- …
no, mi dispiace, ma è proprio così ….
- …
non andrai mai da nessuna parte, se continui in questo modo …
Il
vecchio lo le guardava mai dritto negli occhi che per un brevissimo
istante.
Poi le donne, come sfinite, se ne andavano stringendosi addosso il
cappotto. Un
paio di volte Biancalana ebbe la strana sensazione che si sarebbe
uccise, prima
o dopo, ma non lo disse. Sua madre sembrava rapita nella contemplazione
del
rito che pareva celebrarsi in quella stanza.
Fu
quando fu, finalmente, il loro turno che Biancalana si riscosse: sua
madre
l'aveva strattonata per un gomito. Nella stanza non c'era
più nessuno.
-
Andiamo. E' il nostro turno, non lo vedi?
La
ragazza arrancò dietro sua madre, impaurita. Non sapeva da
dove venisse quella
sgomenta sensazione di vuoto, di angoscia che sentiva in mezzo al
petto. Ma più
si avvicinava al tavolo, più
immaginava
gli occhi del vecchio posati su di lei, più la paura
diventava terrore. E poi
panico.
-
Allora, che cosa abbiamo qui? - gorgogliò lui quando le vide
arrivare, proprio
sotto. Fino a quel momento non lo aveva ridere. Aveva come il riso di
un
uccello che osserva terra appena smossa su una tomba e aspetta i vermi.
Sua
madre, col sorriso sulle labbra, stava per rispondere. Un gesto del
vecchio le
troncò la parola.
-
Mia cara signorina, voi dovete …. - così dicendo
scorse gli occhi sul libro,
mise a fuoco il fondo di una pagina, scrollò la testa,
girò il foglio, strizzò
quei suoi occhietti come macchie di inchiostro - … voi
dovreste essere
Biancalana. Biancalana, sì, eccovi qui. E' un piacere
conoscervi, mia cara.
Come
se il mondo avesse preso lievemente a vorticare intorno a lei, la
ragazza sentì
che il sangue le andava tutto via dalle guance. Chissà
perché, ma essere
riconosciuta, essere aspettata da un tizio simile, le metteva una
leggera
paura. O era inquietudine? Il vecchio mago se ne accorse, e rise. Solo
allora,
da vicino, lei notò che portava una palandrana sudicia, come
una specie di
giubbone tutto nero, coi bottoni davanti e una sottana stinta che
sembrava
quella di una donna.
-
Volete sapere perché vi aspettavo? Vi domandate forse per
caso perché io vi
conosco?
Biancalana
avrebbe tanto voluto trovare qualcosa da rispondere.
-
Su, su, avanti, non siate timida. Non volete sapere il
perché? Perché quel
broncio, mia bambina, perché?
Biancalana
non lo sapeva neanche lei, perché. Ma in quel momento le
ginocchia le
tremavano. Aveva tanta voglia di piangere.
-
Andiamocene - disse a sua madre. O almeno, sussurrò. Ma con
sgomento,
volgendosi di lato, vide che non c'era più nessuna madre
accanto a lei. Solo
lei e il vecchio erano rimasti in quella stanza dalle pareti spoglie e
umidicce.
-
Non vuoi sapere perché siamo da soli?
Biancalana
volse intorno gli occhi, spaventata. Perché sua madre non
era più con lei?
Perché se n'era andata senza dirle niente? E che fine
avevano fatto le candele
che rischiaravano, almeno un poco, la stanza fino a qualche attimo
prima?
Adesso non c'era più niente: né donne,
né luce, né candele, né madre.
Soltanto
lei e quel vecchio polveroso che la guardava dalla cima del suo
sgabello.
- Non vuoi sapere perché siamo io
e te? -
ripeté dentro le sue orecchie, come all'inizio. Stavolta
sorrideva.
Ma Biancalana
lo sapeva benissimo. All'improvviso lo aveva ricordato. Vide la mano
del
vecchio, rinsecchita, chiudersi lentamente sulla penna. Lo vide
intingere nel
calamaio la punta di una vecchia ala di corvo spennata, lo vide
stendere appena
le labbra pallide mentre posava la parodia di un sorriso sopra la carta
ingiallita dal tempo. Biancalana, adesso lo sapeva, era lì
per il suo
matrimonio.
Il
vecchio finì di vergare il suo nome sotto la data di quel
giorno e il simbolo
di un gran serpente che si mangiava la coda.
-
Adesso tocca a te, mia cara - sorrise suadente, tendendole la penna -
Firma qui
sotto, e sarai mia sposa.
La
casa - il regno - di Biancalana era
una stanza esattamente uguale all'altra, alla chiesa. Vi si accedeva
per una
porticina subito dietro il grande tavolo nero dove il vecchio teneva
posato il
suo libro. Lei era lì, relegata, assente. Aspettava ma mai
nulla succedeva
davvero. I giorni erano tutti uguali, e le notti ancora più
uguali dei giorni:
ogni mattina il vecchio apriva gli occhi dentro la grande cuccia in cui
dormiva, scrutava il buio, si alzava in silenzio e scivolava fuori
dalla
stanza. A sera, ritornato, mangiava giusto un pezzo di pane duro che
lei,
amorevolmente, gli faceva sempre trovare accanto al secchio dove
tenevano
l'acqua. Più di una sillaba i due non si dicevano,
né si capiva perché lui
fosse lì o perché lei ci fosse rimasta.
Biancalana passava interi giorni a far
frullare come api impazzite le considerazioni nella sua testa.
Semplicemente,
sapeva di essere da sempre stata destinata a quel luogo, da sempre tesa soltanto a raggiungere
quella stanza in
cui non succedeva mani nulla. Biancalana languiva, mentre il vecchio
non la
degnava di uno sguardo, né parlava. Semplicemente loro due,
marito e moglie,
non esistevano l'uno per l'altro.
-
Non vuoi vedere questa novità, mia cara?
Biancalana
soffocò un altro sbadiglio. Forse perché le era
permesso tutto, non faceva più
caso alle maniere quando trattava con lui.
-
Non mi interessa - soffiò come un gatto.
-
Che peccato. Era un regalo per te.
Senza
volerlo, il vecchio aveva toccato una corda che in fondo al cuore di
Biancalana
ancora aveva l'incerto permesso di vibrare. Che cosa era mai quel
regalo? Forse
un getto di acqua fresca sul fuoco della noia? Forse dei libri, qualche
fiaba,
un racconto, qualcosa che l'aiutasse a passare le interminabili ore di
assenza
tra il circospetto aprire gli occhi del marito e il suo richiuderli, a
sera? Il
suo carceriere, molto furbo, la fissò a lungo coi suoi occhi
serpentini.
-
Non vuoi vedere il tuo regalo, mia cara?
Alla
fine Biancalana si decise. E non poteva essere diversamente. I molti
giorni, o
forse i molti inverni, che aveva passato rinchiusa le avevano un poco
impacciato il passo, le avevano rallentato l'allegria, l'avevano chiusa
in una
corazza di inerzia. Ma nulla che non potesse essere sciolto con un po'
di
sorpresa, di calore.
Un
poco incerta, forse anche tremante, si avvicinò al sacco.
-
Prima un bacio - sorrise
lui, porgendole
la guancia.
Biancalana
non ci era abituata. In genere i contatti fisici tra loro due si
limitavano a
occhiate. Ma prima le aveva chiesto di toccarlo, o anche solo di
passargli qualcosa.
Mai lei aveva dovuto combattere con l'assoluta ripugnanza di vederlo
più che
non fosse necessario. Tutt'al più gli aveva tirato dietro
qualcosa, un paio di
volte, quando era molto stizzita. Così adesso fu colta di
sorpresa. Lui
aspettava, la guancia glabra e bitorzoluta, sotto di lei, con gli occhi
chiusi.
Anche soltanto l'idea di poggiare le sue belle labbra su quello schifo
le
rivoltava il sangue, le faceva venire un groppo allo stomaco. Ma come
si poteva
rifiutare? La curiosità era troppa. Strinse gli occhi molto
bene, prese un
respiro, e poi baciò quella guancia rugosa. Non fu che un
attimo, ma ebbe la
sensazione di aver mangiato ruggine per anni, di aver masticato e
masticato
qualche schifezza di cui non sarebbe più riuscita a togliere
l'urto dalle
gengive. Il vecchio, ad ogni modo, parve soddisfatto, perché
riaprì gli
occhietti e sorrise.
-
Adesso puoi aprire il tuo regalo - indicò, con fare
magnanimo e curiosamente
solenne.
Biancalana
si chinò in fretta sul sacco e lo aprì. Dentro
c'era qualcosa di simile a
ferraglia. Liberò con tutta la foga che poteva la strana
cosa dal suo sacco di
bigio. Figuratevi la meraviglia, quando vide sotto di lei comparire una
lunga,
lucida, antica macchina da cucire.
-
Che cosa faccio con questa? - chiese delusa. Già il sorriso
di poco prima le si
stava sciogliendo in lacrime sulle belle guance.
-
Tu niente, cara. Ma lascia fare a me. Questo sarà il tuo
regalo di compleanno.
In
effetti, anche se Biancalana aveva perso il conto del tempo, il giorno
del suo
compleanno era vicino e suo marito - qualunque cosa fosse - non era
intenzionato a dimenticarlo. Fu così che quella sera stessa,
mentre sedevano
uno davanti all'altra in religioso silenzio, lui smoccolò la
candela e poi annunciò.
-
Domattina ce ne andremo di qua.
Biancalana
rimase molto sorpresa, poiché da sempre - e per sempre,
credeva - era rimasta
in quella stanza spoglia. Realmente non era più in grado di
capire quanto tempo
fosse ormai passato dal giorno in cui sua madre l'aveva lasciata
lì col vecchio
del grande libro. Potevano essere passati interi mesi, o forse solo
giorni, o
settimane. Il fatto era che - lei lo sapeva - il mondo doveva essere
nel
frattempo cambiato. Chissà se c'era ancora la foresta, e le
cascate e gli
alberi da frutta, se c'erano ancora i ruscelli gorgoglianti e grandi
spazi
color verde smeraldo. Chissà se c'era ancora casa sua, e se
era viva sua madre.
Il
vecchio, che la vide preoccupata, si avvicinò, con aria
premurosa.
-
Che ti preoccupa, bambina mia?
La
ragazza, nei cui grandi occhi azzurri già si gonfiavano nubi
di pianto, gli
volse uno sguardo triste, tra le lacrime.
-
Non voglio uscire, ormai non sono più niente.
Il
piccolo vecchio scosse il capo.
-
Sei davvero sicura, bambina mia?
-
Ormai senza di te non sono nulla.
Il
piccolo anziano sospirò.
-
Neanche io, ma dobbiamo provare. Non ti ricordi il tuo regalo, non lo
vuoi? Non
sei curiosa di sapere che cos'è?
Per
la prima volta nella sua lunga permanenza il quel posto oscuro,
tenebroso,
forse maligno, Biancalana sentì che in fondo al cuore
provava di nuovo un moto
di curiosità. E all'improvviso si sentì
così contenta di poter tornare a
prendere aria, a rivedere gli alberi - quali che fossero -, a respirare
a pieni
polmoni, che rise al vecchio di un riso sincero.
-
Va bene, andiamo - disse - Mi preparo.
Quella
notte dormirono molto bene, lui nella sua cuccia per terra e lei nel
letto
soffice di piume e cuscini che il vecchio le aveva ceduto dal primo
giorno.
Aggrovigliata nella grande coperta, Biancalana di nuovo sognava,
sognava case e
boschi e alberi, e sua madre. Sognava lunghi castelli svettanti con
banderuole
lucide nel vento e apparecchi per volare e tricicli con sopra bambini
allegri,
e feste, feste, miriadi di feste con signori e donne e giovani vestiti
con
vestiti che più magnifici non si poteva.
Quella
notte, a mezzanotte in punto, il piccolo vecchio aprì gli
occhi. La punta del
suo naso fremette nell'aria scura, mosse un alluce, l'altro, poi,
scivolato giù
dalla sua cuccia, cercò a tentoni le babbucce, in silenzio.
Era davvero uno
strano vecchio, così piccino, e curvo, e gentile. Poteva
essere terribile,
davvero, e infatti molto ne avevano paura, poteva essere astuto e
cattivo,
crudele, immaginifico, potente. Ma soprattutto sapeva che le cose hanno
un
tempo per nascere, e crescere. Svelto, sempre in silenzio, si avvolse
nella
vestaglia di lana che mani amorevoli, tanti anni prima, avevano
confezionato
per lui. E un sospiro - davvero breve - per un istante tese la sua
bocca
sottile.
-
Oh, Creatore, che tutto cuci e tutto sai cucire, o Creatore che hai
insegnato
ai poveri servi fedeli come me a cucire quel tanto che basta
perché gli uomini
non siano ciechi e sappiano vedere. Oh, Creatore, assistimi anche
adesso,
perché stanotte si compie il nostro fato. Il mio e di questa
dolce fanciulla
che non ho amato mai come nessuna, anche se lei non può
capire il mio amore.
Dopo
di che, sempre in silenzio, il vecchio andò verso la
macchina da cucire. La
trasse fuori dal suo involucro di sacco e le fece una carezza. Quella
brillò
per un istante nel buio. Poi, come se fosse comparsa dal nulla, da una
nicchia
segreta srotolò la stoffa più pregiata che mai si
fosse vista. Potrebbero
essere trovati mille mila paragoni per quella liscia seta, per le onde
crespe
di marea del tessuto, per i minuscoli brillanti inattesi che vi
brillavano,
come occhi, ad ogni piega. Era la veste che un pavone celeste avrebbe
stretto
tra le piccole fauci e portato via, in volo, come coda. Era la crespa
vitalità
dell'acqua quando gocciola su boccioli di rosa e vi discende,
insinuandosi, al
culmine dell'arcana segretezza che richiudono. La stoffa, stretta in un
rotolo,
allentata da un laccio, era la cosa più bella su cui mai
occhi si fossero
potuti posare. Soltanto Biancalana era bella quasi quanto quella stoffa
di
sogno. Il giorno che fosse stata innamorata, lo sarebbe stata di
più.
-
Oh, bene. E adesso cominciamo a lavorare - fece il vecchio, e tra
sé sorrise,
come in sogno.
Lavorò
tutta la notte alla macchina. Era piccino, ma i suoi lunghi piedi
arrivavano al
pedale con l'ausilio di un complicato marchingegno di leve che
permetteva anche
di rimanere molte ore nella stessa posizione senza stare male. La
macchina, per
quanto enorme, e complicata, non faceva alcun rumore percettibile. La
stoffa,
come acqua, scendeva a misurare i secondi e i minuti perfettamente
lavorata dal
vecchio. Quando alla fine il vestito fu pronto, era il più
bello che mai si
fosse visto. Il vecchio lo sistemò su un manichino e lo
coprì con un telo, per
bene.
- E
adesso andiamo a riposare - sospirò.
Era
mattina quando Biancalana aprì gli occhi. Nella stanza
sempre buia c'era luce,
una luce così accecante che all'inizio non seppe bene da
dove proveniva. Poi si
accorse che la grande porta che dava sulla chiesetta era aperta, e che
la luce
filtrava da lì. Si alzò in piedi stiracchiandosi,
girò gli occhi d'intorno ma
del vecchio nessuna, nessuna traccia. Fece allora per avvicinarsi alla
porta,
per capire se era andato di là, se era tutto uno sbaglio
quel luogo aperto,
quella porta da dove filtrava la luce, quella perfetta
serenità del mattino.
Anche nell'altra stanza non c'era nessuno. Non un'anima, né
libro, né le donne
che solitamente aspettavano. Anche l'odore di chiuso era sparito, e al
suo
posto c'erano larghi raggi che filtrano brillanti e impolverati in
grandi,
splendide colonne di pulviscolo. Non credeva che ci fossero finestre in
quella
chiesa, non le aveva mai viste. Eppure dovevano esserci, se proprio in
quel
momento quella luce, tutta l'enorme luce del creato pareva riversarsi
proprio
lì. Prese un respiro, felice. Quando tornò dentro
la stanza che era stata a
lungo la sua prigione, per prima cosa vide che anche la cuccia del
vecchio era
sparita, e così pure ogni arredo e suppellettile. L'unica
cosa che c'era
ancora, in un angolo, era un oggetto oblungo, alto più o
meno come una persona
in piedi, coperto da un lungo telo. Biancalana si avvicinò.
-
Che cosa faccio? - si chiese. Aveva una gran voglia di scostare quel
telo
pesante, vedere che cosa mai si nascondeva sotto. Perché il
vecchio andandosene
via, senza dire niente, aveva lasciato quella cosa? Alla fine
Biancalana si
decise, e con un gesto rapido della mano, tirò
giù il velo.
Non
si può descrivere la faccia che fece: le sue guance si
imporporarono fino a
essere ciliegie, i grandi occhi si spalancarono, la bocca le si
aprì in un
grido di sorpresa: sotto la campana di stoffa stava il vestito
più bello che
mai si fosse visto. Biancalana si avvicinò, circospetta.
-
Che cos'è? Ma sono perle, quelle? Oh, santo cielo
…
Era
largo come una campana, con una grande gonna a fili d'argento. I vari
strati di
tessuto, morbidissimo, formavano come una nube intorno alla vita e ai
fianchi,
ma non come in certi vestitini da dama, che nascondono le forme di
donna sotto
misurati tagli infantili. No, questo riusciva ad essere il vestito
più bello e
femminile che mai si fosse visto. Poco più in alto, la
stoffa della gonna si
avviticchiava in mille rivoli di perle a formare il bustino: un
corpetto d'oro
finissimo tutto intessuto di minuscoli granelli di pietre. Biancalana
vi passò
una mano sopra e quelle tintinnarono lievemente, come si trattasse di
una
musica. Poco più sopra, dove le spalle nude si congiungevano
alla pelle della
gola, c'era un velame di organza sottile, che poteva essere messo o
levato.
Biancalana era ammirata da cotanto splendore, dalla perizia da maestro
che -
chiunque ne fosse l'artefice - aveva reso il vestito come un sogno
fatto a
occhi aperti.
-
E' possibile che sia stato lui? - si chiese sbalordita - Ieri il
vecchio …
aveva una macchina da cucire!
Ma
anche quella era svanita. Tutto era svanito, se non lei e la veste che
trionfava nella luce del giorno e la invitava, la supplicava di
spogliarsi, di
liberarsi dai suoi vecchi stracci e tuffarsi in quel mare di seta.
E
Biancalana lo fece. Uscì nel grande palazzo che era stato di
pietra, subito
fuori dalla porta della chiesa. Adesso brillava di cristalli come fosse
scolpito nel ghiaccio: grandi colonne semoventi vagavano fischiando
antichi
misteri benigni, piccole alate colombe pigolavano nei loro teneri,
riposti
nascondiglio. A Biancalana si allargarono i polmoni: dietro una tenda,
in una
stanza c'era un bagno con una vasca d'argento profumata. Vi si immerse,
perché
l'acqua era calda e le zampine di leone della vasca sembravano muoversi
a passo
di danza. Vi si immerse e non seppe più niente
finché la schiuma non le fece il
solletico e il sole in cielo fu talmente alto da darle il capogiro, da
instillare in ogni vena la felicità di esistere. Solo allora
si alzò, e
completamente nuda, perfetta, gocciolante raggiunse di nuovo la sua
vecchia
prigione. Siccome le cose murtavano, anche la chiesa stava mutando,
già: come
se fosse divenuta preda anche lei del devastante, dolcissimo sortilegio
che
stava rapendo tutto il resto, non era più buia, anzi, le
tenebre erano sparite,
erano lontane, sconfitte. Sul tavolo non più un librone
polveroso, ma cascate
di fiori, vegetali, edere e pampini che si avviticchiavano su per le
antiche
colonne. Tornò alla stanza. In mezzo c'erano fauni e sirene,
e grandi bestie
dagli occhi mansueti e piccoli angeli che cantavano in coro. La
invitarono con
larghi sorrisi e inchini riverenti. Lei lasciò che
l'aiutassero a indossare il
vestito, che le allacciassero i lacci, che sciogliessero i suoi capelli
profumati in cascate di gioia pura, e armonia, e candore. Quando fu
pronta non
c'era al mondo cosa, figura, essere o magia che fosse come Biancalana,
o più
bella. Anche le piccole bestie, venute da chissà dove, anche
la natura si
inchinava al suo passaggio.
-
Andiamo - sussurrò lei al suo nuovo corteo. Una musica come
di cembali aveva
cominciato a suonare. Tutti si mossero, e lei in testa
avanzò come danzando, e
a ogni passo di danza, ad ogni salto in cui sfiorava il terreno dalla
carezza
dei suoi piedi nudi nascevano asfodeli e gigli bianchi. Quando fu
giunta al
limitare della chiesa si volse indietro, ma già quella
spariva.
-
Non preoccuparti - le disse un satiro - Tutto passa e ritorna, in
un'altra
maniera.
Biancalana,
coi suoi denti di perla, fece in tempo sorridere appena come pervasa da
una
nuova meraviglia che si trovò, non si sa come, all'aria
aperta. Stava svanendo
tutto quel che di natura non era frutto: i mattoni, e le porte, e gli
angoli e
gli spigoli e le tenebre fitte, annodate, del grande palazzo. Al loro
posto
solo cattedrali d'alberi, e canto di usignoli e meraviglia. Biancalana
si voltò
sorpresa.
-
Cosa succede? - chiese. Ma il corteo era sparito, come tutto il resto.
-
Succede che rivivi, mia Biancalana - sorrise un bel Principe che
passava di lì.
Non si capiva a tutta prima che era un principe, ma poi a guardarlo,
con quei
grandi occhi, e quel cavallo tutto bianco e quel sorriso …
non si poteva non
capire che era un Principe. Biancalana gli si fece vicino tutta
contenta.
- E
tu da dove spunti? - chiese.
-
Da dove mai pensi che spunti, Biancalana? Dai tuoi sogni, come ogni
Principe
che si rispetti, ovviamente. Ti ho sentito che chiedevi aiuto dentro
quell'antro buio e scuro, ti ho sentita quando piangevi e avevi paura,
quando
dormivi e sognavi sogni inquieti, quando vagavi con la mente
chissà dove e le
giornate sbiadivano una a una. Ti ho sentito tutte quelle volte, e i
tuoi
pensieri mi hanno guidato fino a qui.
Biancalana
era felice:
-
Grazie - disse, avvicinandosi al cavallo bianco - Grazie, mio Principe,
di
avermi salvata da quel bruttissimo mostro, grazie ancora …
Il
principe la prese tra le sue belle braccia e l'aiutò a
sollevarsi.
-
Andiamo via?
Fu
nel momento in cui la sollevò accanto a sé che
lei vide il braccialetto di
serpente: un serpe che si mordeva la coda, uguale a quello sul libro
del vecchio.
- Ma
cosa mai … il braccialetto … tu …
- E'
importante? - fece sorridendo il Principe, e poi la strinse forte a
sé: partirono,
e nella luce del mattino furono belli come sono splendide le comete
quando rigano
il cielo.
Avrebbe
avuto tante cose da chiedere, la bella Biancalana, ma non lo fece. Quel
che
sapeva era sempre stato scritto dentro quel circolo che va e che viene.
Chi
fosse il Principe e chi fosse stato il Vecchio, non le importava.
Voleva solo
essere felice, ora. E grata, tanto grata alla Vita che le aveva donato
un amore
così infinito da scendere nel buio e illuminarlo.