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Autore: _thetimeofourlives    23/03/2011    1 recensioni
"Pensa a rammendare il cuore quando si spezza. Ripara il tetto nelle fitte gironate di pioggia. Prendi della stoffa, una toppa, un'asse di legno.
Ma invece di venire a casa mia, pensa a ripararti dal freddo. Penso a procurare tua madre del cibo con cui nutrirsi.
Io, chiamerò qualcuno a vivacizzare la mia stanza, un giorno. È una promessa che ti faccio."
"E io come faccio a vedere il risultato se non vuoi che venga oltre il confine?" chiese l'ometto.
"Immaginati una stanza piccola, chiusa, buia che si accende. L'immaginazione è miliardi di volte migliore della realtà."
"Però io… io vorrei veramente vederla!" si lamentò Terence.
"E allora un giorno, quando sarai abbastanza grande e il mondo abbastanza buono, ti porterò nella mia umile dimora."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hopeless.

Aveva pianto troppo quella notte. La madre che strillava contro i suoi demoni.
Lui che correva, nel buio di una foresta. La notte della luna piena. Verso la collinetta dietro casa.
Ogni suoi passo era un centimetro più distante dal dolore.
Lontano.
Si appoggiò lentamente alla cima dell'altura e guardò il cielo.

"Non posso biasimarti."
"Chi sei?" chiese l'ometto.
"Sono qualcosa. Qualcuno. Sono finzione. Piacere di conoscerti." disse la bionda.
"Che cosa vuoi?" continuò preoccupato.
"Tua madre, ella continuerà a pingere tra vent'anni tanto quanto fa adesso."
"Che cosa vuoi?"
"Non potrai scappare per sempre." osservò infastidita lei.
"Come fai a conoscermi?" "E come hai fatto a sentire le urla di mia madre?"
"La notte è silenziosa Terry. Non dovreste fare così tanto rumore. I soldati potrebbero sentirvi."
"Tanto ormai, questa è guerra." affermò convinto il piccoletto.
Allora lei si sedette di fianco al piccoletto che si strinse per lasciarle un po' di spazio.

Occhi bianchi illuminavano il volto dell'ometto che, spaventato, si ritrasse da una parte.
Ma ella allungò un braccio, invitandolo a calmarsi e a non preoccuparsi.

"Non mangio bambini." constatò volgendo lo sguardo verso il cielo.
"Non potrei neanche parlarti."
"Solo perché siamo due persone che vengono da potenze diverse, non significa che non possiamo dialogare."
"Com'è la tua vita, al di là del confine?" chiese Terry incuriosito dai segni che la ragazza aveva sulle braccia.
"Come ti sembra?" replicò lei toccandosi, delicatamente, i marchi.
"Non lo so. Qualsiasi essa sia, scommetto che sia miliardi di volte migliore della mia."
"Uccidono i bambini che fuggono dalle finestre della scuola. Impiccano contadini che non riescono a produrre abbastanza raccolto da sfamare la propria famiglia. Rubano i beni ai poveri. Pirantaggio puro." disse in un soffio.
"Perché hai quei segni?"
"Mi hanno beccata mentre donavo una vestaglia ad una donna sanguinante. Ho macchiato di sangue la mia camicia."
"Hai fatto la cosa giusta." confermò esitante l'ometto.
"Sì." ammiccò lei impassibile.

Quel viso angelico non trasmetteva nessun segno di rimorso. Non avrebbe aggiunto un "non lo so".

"Qual è il tuo nome?"
"Mi chiamavano Janette, nome apparentemente stupido, lo so."
"Non è vero." sussurrò infine.

E si persero in un silenzio leggero. Di quelli che circondano l'atmosfera senza farsi sentire.
Come un soffio di freddo vento nel mezzo di una nevicata.
E stettero così, uno vicino all'altra, inconsci che la notte, oltre a portare consiglio, porta anche la morte.
Credenti in una religione insesistente. Sostenitori di un mondo in cui regna sovrana la pace.
Dove i dittatori, tiranni, re, aristocratici e quant'altro, erano solo un voto basso alle interrogazioni a scuola.

"Vorrei sapere dove vanni le anime delle persone morte." esultò Terry sdraiandosi. La fanciulla, lo seguì.
"Nessuno lo può sapere, se non esse stesse. Loro ci guardano." confessò la bionda.
"Davvero? Allora mio padre sa cosa sta accadendo."
"Certo che lo sa. Lui lo vede. Lui lo legge. Ed è infinitamente fiero di te."
"E' fiero di me?" chiese il ragazzino esaltato.
"Certo! Quale figlio porterebbe avanti la famiglia andando a lavorare nei campi?"
"Non lo sapevo, non me lo aveva mai detto." conclus.
"Ora lo sai. Sii orgorglioso delle parole da me dette. Nessuno te le ripeterà."
"Proverò senz'altro a tenerle a mente."
"Queste saranno le uniche certezze che avrai nella vita. Un giorno, capirai." sentenziò la fanciulla sicura.

E si stese anche lei. Appoggiando quella camicia bianca sui sottili fili d'erba che giacevano immobili sul prato, mossi leggermente da qualche spiffero di vento che ogni tanto, colpiva i due fanciulli.
Rabbrividirono entrambi all'udito di un colpo. Un fucile aveva sparato. Magari un uomo, era morto.
Magari qualcuno li avrebbe visti e sarebbe corso a riferirlo.
Ma quella notte almeno, a morire, non sarebbero stati soli.

"Uccidono uomini come cadono le foglie." borbottò la fanciulla togliendosi le mani dalle orecchia.
"Tolgono vite come ai polli della signora Woodstoock." aggiunse l'ometto.
"Non hanno paura dei deboli."
"Ma io ho paura di loro." affermò Terry avvicinandosi alla ragazza.
"Non devi aver paura. Loro non possono spaventarti se tu estranei la loro presenza. Devi solo pensare che siano innoqui."
"Ma io non ce la faccio. Hanno fucili e pistole, zoccoli alti ed una potente figura."
"Non solo perché sembrano armati voglia dire che siano più forti di noi." rispose sicura la fanciulla.
"Un giorno finirà tutto questo?" chiese speranzoso.
"Non lo so. Magari quando saremo grandi riusciremo ad andare a prendere l'acqua senza essere pedinati da bande di soldati." rise lei.

L'ometto sorrise in tutta risposta. Poi, portò gli occhi sul giovane viso della fanciulla che, pensierosa, evitò il suo.
Continuò a fissare un punto indecifrato affichè, strizzando gli occhi, non gli ordinò di andare via.

"Scappa ragazzo, scappa." gridò silenziosa allontanandosi.
"Ma io-"
"Scappa! Vattene via!" rispose lei prima di sparire oltre la foresta.

Lui girò gli zoccoli e corse indietro. Mise i piedi dentro alle impronte che aveva lasciato prima e, con un ululato dei lupi i sottofondo, tornò precipitoso a casa.
Entrò dalla finestrella dalla quale era uscito e la chiuse. Tirò le tende e circospezionò la casa.
Una apiccola baracca che stava in piedi perché il vento soffiava. Neanche i topi potevano viverci dentro.
La sua piccola madre dormiva sul piccolo divano, in quella piccola dimora con fuori un piccolo praticello contenuto in un continente immenso.
La vide russare e con il panno grigio, fatto con la lana delle poche pecore che un giorno il padre possedeva.
Poi erano scappate in cielo dopo la macellazione ed il padre, anche se non sotto ad una macchina, le aveva seguite.

Spense la candela che illuminava la piccola stanza e chiuse la porta d'ingresso. Infilò il legno nelle due fessure e se ne tornò in camera.
E tanto corta passò la notte, tanto la sua vita era sul punto di cambiare.

***


Una mattina come le altre, pensò. Sentì la madre urlare ai vicini e si portò le mani alle orecchie.
Le serrò su di esse come per proteggere se stesso da un nemico esterno.
Stanco delle urla si alzò in piedi e, scappando dalla finestra, raggiunse la collinetta.

"Sono due settimane che non c'eri!" esclamò l'ometto alla fanciulla.

Ma non appena lei si girò, percepì immediatamente le ferite che portava sul volto. Un occhio nero e qualche fascia sparsa qua e là per il corpo.

"Cosa ti hanno fatto?" chiese preoccupato alla fanciulla.
"Niente di importante." rispose ella.
"Come niente di importante? Ma tu-"
"Niente di importante Terry, niente di importante." concluse vedendolo appoggiarsi all'altura.
"Un giorno forse saprò il tuo nome." affermò lui convinto.
"Sarà troppo tardi. Ma almeno ti ricorderai di me quando ti saluterò in lontananza negli Inferi."

E Ometto tacque incapace di scandire un'altra parola. La avrebbe voluta abbracciare.
Ma i corvi che si aggiravano per la zona, non permettevano momenti di dolcezza tra persone di due schieramenti diversi.
La guerra tra i due popoli continuava interrota soltanto dal suono dei corpi che toccavano il terreno.
Lo macchiavano di sangue.
Impedivano a dei liberi di vivere la loro vita.

"Ieri sera è stata uccisa una donna, vicino a casa mia." soffiò la fanciulla.
"Non è giunta la notizia in paese oggi." continuò l'ometto. "Si vede che hanno chiuso le strade per venire qui."
"Oppure hanno zittito i messaggeri." provò lei.
"La voce sarebbe giunta lo stesso." concluse lui.

E allora, le strinse un braccio. Si sdraiarono di nuovo sul prato pungente.
Nascosti da occhi malvagi. Per quel giorno, solo loro.

"Vieni, voglio fare una cosa." disse lui trascinandola per la mano al confine.
"Non puoi! Non posso venire da te!" borbottò lei.
"Sì che puoi, nessuno ci vede."
"Ometto, se oltrepasserò il confine, la mia morte avrà una ragione."
"Anche la mia." rispose l'Ometto. "Almeno, voglio farti conoscere mia madre." disse saltando la staccionata.
"No!" strillò lei togliendo la mano del piccolo.
"Nessuno ci vedrà!" promise lui continuando a trascinarla.

Si nascosero dietro lunghe ombre di pioppi.
Dietro gli altri tronchi di pini.
E corsero. Corsero oltre la foresta e si infilarono in mezzo alla finestra aperta ed entrarono.

"Questa è camera tua?" chiese la fanciulla sedendosi sulle bianche lenzuola.
"Sì. Bella vero? È così colorata! Mio padre aveva preso i colori al mercato e poi avevamo dipinto insieme." sorrise.
"La mia camera è tutta buia. Mio padre non ha mai voluto colorarla. Nessuno lo ha mai fatto."
"Potremmo farlo inseme." propose Terry sedendosi vicino.
"Non possiamo. Non puoi. Non posso. Tornerebbe tutto troppo scuro."
"No. Ci sono tanti colori molto accesi con cui potremmo riaccendere la tua camera! A me piace dipingere."
"Non avremmo tempo per farlo."
"Io il pomeriggio sono libero. Potremmo-"
"Pensa a rammendare il cuore quando si spezza. Ripara il tetto nelle fitte gironate di pioggia. Prendi della stoffa, una toppa, un'asse di legno. Ma invece di venire a casa mia, pensa a ripararti dal freddo. Penso a procurare tua madre del cibo con cui nutrirsi. Io, chiamerò qualcuno a vivacizzare la mia stanza, un giorno. È una promessa che ti faccio."
"E io come faccio a vedere il risultato se non vuoi che venga oltre il confine?" chiese l'ometto.
"Immaginati una stanza piccola, chiusa, buia che si accende. L'immaginazione è miliardi di volte migliore della realtà."
"Però io… io vorrei veramente vederla!" si lamentò Terence.
"E allora un giorno, quando sarai abbastanza grande e il mondo abbastanza buono, ti porterò nella mia umile dimora."
"Me lo prometti?" domandò stupefatto l'ometto.
"Certo!" ammiccò la fanciulla porgendogli il piccolo ditino per sancire la promessa.

  
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