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Autore: Black_Alchemist    24/03/2011    0 recensioni
Questa, Signore e Signori, è la storia di un mio personaggio del Gioco di Ruolo dal Vivo (dicesi anche Background). Spero vi diverta.
"-Sorelle mie, avvicinatevi. Quale leggenda o fiaba il vostro animo desidera ascoltare?
Non sono gli spiriti della terra a rispondere, è un’altra voce, silenziosa e lieve. È il vento.
-La tua.-"
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna ha da poco ceduto il suo posto al sole, e i primi raggi del giorno si spargono sulla radura del salice, illuminando di fuoco e carezzando assieme a una lieve e gelida i brezza i rami di un grande salice piangente.
Sullo scranno formato dalle radici siede una driade, è Demetra il Capitano dei Viaggiatori, una driade primarca, intenta a suonare un flauto mentre il vento le scompiglia le vesti, il mantello e i capelli.
Alza appena gli occhi quel tanto che basta per notare delle driadi più giovani che si stanno avvicinando timorose al suo albero. Le accompagna un’amadriade del salice, Manë, che Demetra ben conosce. Le fa cenno di avvicinarsi senza preoccuparsi di disturbarla. Posa il flauto tra le foglie lanceolate, smettendo di suonare e sorride.
-Cara sorella, buongiorno. Cosa fate di così buon’ora in giro per Kànibahn?
-Buona mattina a voi, Demetra. Vi ho portato queste giovani, ché vorrebbero tanto ascoltare una delle vostre storie. O devo pensare che con tutti i viaggi a cui partecipate, non sappiate più narrare?
La driade primarca sorride, fa cenno a Manë di accomodarsi al suo fianco, e si rivolge alle giovani timide.
-Sorelle mie, avvicinatevi. Quale leggenda o fiaba il vostro animo desidera ascoltare?
Non sono gli spiriti della terra a rispondere, è un’altra voce, silenziosa e lieve. È il vento.
-La tua.-
 
-Sono nata proprio qui e come voi ho passato la mia infanzia spensieratamente, imparando il suono degli strumenti e le leggende di Kànibahn. Ascoltavo il vento, parlavo con esso, anteponendo a ciò solo la frequentazione della corte e la compagnia dei nostri sovrani. Proprio lì ho fatto la conoscenza degli altri Viaggiatori  - Enoyhan, Phil, Rothgar, Ilderim -  legando con loro più che con chiunque altro.
Non c’è molto da raccontare sulla mia vita, nessuna meravigliosa avventura mi ha coinvolto nel senso stretto della parola. Non ero altro che un sereno spirito della terra, proprio come voi.
Una giovane prende la parola:- Non credo mia signora, poiché, altrimenti, non sareste diventata un Viaggiatore.
-Hai ragione, giovane sorella. Anche se io non la considero un’avventura, ma piuttosto un evento voluto dalla nostra Dea e dettato dalla mia stoltezza. A quell’epoca ero molto giovane e non avevo che la mia ingenuità e la mia imprudenza. Ricordo molto bene quel giorno, come se non fosse passato che da poco tempo. Era una bella giornata estiva, il vento spezzava la calura soffocante delle terre di Kànibahn e io mi trovavo a nuotare nel laghetto, senza niente da fare oltre a divertirmi. Avevo passato la mattinata tra le mura del Grande Albero di Corte, al fianco della Regina Titania, con la quale passavo la maggior parte del mio tempo dilettandola con il flauto o con la lettura, e del Re Oberon, con il quale mi intrattenevo allenandomi con l’arco e per tutte le altri mansioni di cui faceva richiesta.
Qualche volta avevo incrociato anche la mia via con quella dell’attuale Siniscalco, ma senza proferir parola o passarvi non più di qualche istante. Mi sembrava una personalità irraggiungibile, così mi tenevo alla larga da lui se non richiedeva espressamente la mia presenza.
Adempiuti i miei compiti e annoiata dai miei giochi, presi il mio arco e la faretra, indossai degli abiti comodi e un mantello, e iniziai a vagare distrattamente per i boschi e le radure in una solitaria battuta di caccia, arrivando, guidata più dalle mie gambe che dalla conoscenza delle vie, davanti alla pietra della Luna.
Rimasi a contemplarla senza vederla realmente e, scioccamente, posai una mano sulla liscia roccia per sentirne l’entità. Un lieve lampo di luce bianca e mi ritrovai al di fuori di Kànibahn.
Ci misi qualche secondo per riprendere la vista e, appena vi riuscii, subito modificai il mio viso per rendermi simile a un umano.
Mi guardai attorno, concepii che cosa avevo fatto, ma non dove ero capitata e, imbracciando l’arco, scrutai l’ambiente attorno a me: un’antica foresta dove la natura aveva reso la propria essenza e non aveva niente che mi ricordasse anche solo vagamente la mia terra.
Ero spaventata e tentando di riprendere un po’ di lucidità, mi resi conto di un lieve peso sul collo. Vi portai la mano e strinsi le dita su qualcosa di piccolo e freddo, capii solo guardandolo che mi era apparso al collo un ciondolo che aveva incastonata una goccia della pietra di Mythill.
Sapevo che già altri intraprendevano viaggi su altri piani e che Enoyhan era stato nominato Capitano dei Viaggiatori, sapevo le conseguenze di quello che avevo fatto poiché era stato proibito l’utilizzo dei poteri della pietra a chiunque non facesse parte di quel gruppo e sapevo, anche se avevo tentato di seppellire quel sentimento dove non poteva essere udito, che avevo una gran voglia di prendervi parte.
Rimanere fermi era inutile e piuttosto pericoloso, così m’incamminai verso dove stava sorgendo il sole. Era appena l’alba in quella terra.
Vagai per i sentieri fino a mattina inoltrata, quando arrivai a vedere in lontananza mura di legno e i segni di un villaggio di esseri umani. Mi avvicinai cautamente, non volevo essere vista per paura che mi venisse fatto del male, sbirciai tra le fessure e vidi esattamente cosa vi era al di là.
Sembravano case di cacciatori o guardaboschi, tutte riunite al di sotto di un’abitazione più grande con vessilli spiegati e mossi dal vento, probabilmente l’abitazione del capo villaggio. Vi era già vita all’interno, tutti gli umani erano indaffarati e nessuno prestava attenzione all’esterno, non sembravano aver voglia di uscire, ma sbagliavo.
Dalla grande casa, scese al villaggio un giovane seguito da alcuni accompagnatori, avevano con loro archi e frecce e sembrava si stessero dirigendo verso i boschi all’esterno.
Il giovane signore non aveva più di venticinque anni, capelli scuri e ricci e occhi chiari come la neve. Sedeva fiero sulla sella di un cavallo nero e indossava abiti regali neri e argento.
Il suo nome era Feres.
Quando vidi che si dirigeva verso l’uscita scappai velocemente nascondendomi tra gli alberi, ma ne ero rimasta affascinata e decisi di seguirlo per un po’ poiché non avevo altro da fare.
Lo seguii per buona parte della battuta di caccia alla quale aveva preso parte, aveva un’ottima dimestichezza con l’arco e non sbagliò che un paio di tiri. Verso il mezzodì i suoi seguaci furono rimandati alla magione e lui rimase a riposarsi all’ombra di un pino. Il suo cavallo pascolava libero poco lontano da lui e la sua arma era allacciata alla sella.
Sembrava essersi addormentato profondamente e non si accorse di essere stato puntato da una fiera.
Fui abbastanza rapida da mettermi in mezzo all’umano e all’animale e riuscii a incoccare una freccia sufficientemente in fretta da colpirla al ventre mentre spiccava un balzo per attaccarmi e l’urlo fu talmente forte da svegliarlo e indurlo a finire la bestia che si era accasciata sopra di me. Spostò il corpo e, incredulo, mi tese una mano per rialzarmi, mi rimisi in piedi faticando poiché prima di venire uccisa la creatura mi aveva morsa a una spalla. Liberai la mano dalla sua presa e la portai a contatto con la ferita, tentando di trattenere il sangue che usciva.
Senza proferire parola mi aiutò a salire sul suo cavallo e lo fece partire al galoppo verso il villaggio. Arrivati fece sì che si prendessero cura di me e solo quando venni lasciata sola in una delle stanze, entrò e si degnò di parlarmi. Mi chiese il mio nome, da dove venissi e per quale motivo ero capitata in quei boschi. Gli dissi che mi chiamavo Demetra, che ero un’esploratrice e che venivo da luoghi lontani a est di lì. Feres si presentò, era il figlio del reggente di quel villaggio il cui nome era Rhun, “Est”, e pronunciò più volte il mio nome come abituandosi al suono. Appena terminarono i convenevoli mi ringraziò per avergli salvato la vita e mi lasciò lì dicendomi di riposare e che mi sarei potuta trattenere quanto volevo, o almeno fino a che non mi fossi ripresa.
Quel giorno mi venne a trovare altre due volte per potarmi ciò di cui avevo bisogno e passare del tempo insieme a parlare. Voleva sapere di me, di ciò che ero e io non potevo dirglielo poiché non sapevo come un umano potesse accettare quel tipo di racconti e così distorsi lievemente la realtà.
Sembrava curioso e contento di avere qualcuno al di fuori della sua corte con cui parlare, sembrava come se prendesse una boccata d’aria pulita ad ogni mia parola e io mi svagavo dilettandolo raccontando storie e leggende.
Passarono così alcuni giorni, tempo che la ferita smettesse di perdere sangue e iniziasse a richiudersi. Legammo molto velocemente e quasi avevo dimenticato la voglia di tornare su Kànibahn, avevo quasi deciso di rinunciare alla mia natura di Driade per rimanere lì. Tutto sommato la vita si svolgeva tranquillamente in quel villaggio, ma la tranquillità era destinata a essere distrutta come sempre succede agli esseri umani.
Una settimana dopo la nostra conoscenza, il giovane mi portò a fare una passeggiata a cavallo attraverso i luoghi del nostro primo incontro, fu una mattinata serena, ma verso l’ora di pranzo uno dei domestici venne ad avvisarci di un attacco portato dai briganti al villaggio.
Galoppammo senza sosta e quando arrivammo ci si presentò una scena orribile, tutto il villaggio era in fiamme con la piccola popolazione che correva ovunque tentando di spegnere i focolai più gravi.
Feres si gettò correndo all’interno della sua abitazione e io lo seguii con l’arco pronto a scoccare. All’interno erano rimasti quattro briganti, scoccai a quello più lontano, mentre il giovane sguainava spada e pugnale e si gettava contro il più vicino a lui. Uno di loro si gettò su di me, riuscii a pararmi con l’arco riaprendomi la ferita e, spingendolo ad allontanarsi, incoccai di nuovo e lo colpii. Rapidamente liberai Feres anche dal terzo, ma non fui veloce come credevo. Mentre il giovane colpiva a morte colui che gli stava di fronte, l’altro lo colpiva a un fianco prima che la mia freccia riuscisse a centrarlo.
Corsi al suo fianco, piangendo, mi strinse le mani nelle sue, chiudendo le mie dita attorno all’elsa di un pugnale dalla lama ritorta, con la guardia formata da una luna rossa e decorazioni in una lingua antica sulla lama. Mi disse di tenerlo con me fin quando non ci fossimo incontrati nuovamente e, prima che potessi rispondergli in qualsivoglia modo, un piccolo lampo di luce bianca proveniente dalla mia collana mi ferì gli occhi e mi riportò a Kànibahn.
Mi trovai inginocchiata davanti alla pietra, con le mie vere sembianze e linfa vitale che scorreva lenta dalla ferita. Piangevo senza sosta e fu così che mi trovarono Enoyhan, Oberon e Titania, con il pugnale stretto tra le mani, un dolore indicibile sul volto e un frammento della pietra al collo.
Venni punita duramente per la mia disobbedienza, da quanto mi dissero avevo passato quasi una luna lontana quando per me non erano stati che pochi giorni, ma non mi presero né il pugnale né il ciondolo. Tornai dal mio salice e passai molto tempo da sola, rifuggendo la compagnia di chiunque, pensando solo a guarire e a far sopire i sentimenti destati in me da quel giovane.
Un giorno d’autunno con una lieve brezza tiepida in ricordo dell’estate appena trascorsa, trovai il Capitano dei Viaggiatori davanti al mio albero. M’inchinai semplicemente, preoccupata per quell’incontro e non sapendo se sarei stata in grado di trovare delle parole all’altezza delle sue.
Mi comunicò la decisione di prendermi con loro e se ne andò così com’era venuto, lasciandomi ai miei pensieri.
Fu solo molto tempo dopo che imparai a conoscerlo, ad essergli amica e ad affezionarmi a lui.
È passato molto tempo ormai da quei giorni e i miei viaggi sono stati molteplici, molte le terre, le dimensioni e i piani visitati, ultimi ma non per importanza, le terre di Tyrin e la Rocca dei Draghi.
Molte le persone conosciute e le avventure vissute con i miei compagni.
È questa la mia storia. Niente di speciale non credete?- Demetra finisce di raccontare, il vento che gioca con i suoi capelli da il via al mormorio delle giovani.
Manë si alza dal fianco della compagna e fa cenno alle altre di tornare alle proprie faccende.
-Niente di speciale, Demetra?
-No, niente di speciale. Solo una fiaba come tante altre.
  
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