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Autore: Icegirl46    24/03/2011    5 recensioni
Un viaggio nella mente di un giovane Eddie Vedder, la scoperta del suo modo di vedere - e giudicare - la nuova realtà che lo circonda...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera era incazzato nero.

Anzi no. Di più. Nessun colore avrebbe potuto descrivere quanto fosse arrabbiato.

E quando lui era di quell’umore, la cosa migliore da fare era stargli lontani.

La giornata era iniziata male già quella mattina. Mattina, poi. Sarebbe meglio dire pomeriggio, visto che prima della notte fonda era molto raro che andasse a dormire. Il cielo era grigio, con nuvole lattiginose e spesse, tanto vicine da creare la fitta trama di un tessuto pesante, impermeabile, che aveva coperto tutto l’azzurro, facendo passare la luce del sole, sì, ma non i suoi raggi. L’unica cosa che forse avrebbe potuto rasserenarlo un po’.

E invece no. Appena aveva scostato le tende, Eddie Vedder, ormai prossimo ai ventisei anni, si era trovato davanti agli occhi un paesaggio grigio bianco, con il cielo che si confondeva con il colore dei palazzi che si stendevano a vista d’occhio nei sobborghi della città. Una vista opprimente, a cui nonostante il tempo già passato in quel posto non si era ancora abituato. O forse sarebbe meglio dire che non si era ancora voluto abituare. Questa piccola quanto fastidiosa consapevolezza non era certo stata una consolazione per lui. Anzi, forse aveva contribuito a renderlo ancora più depresso e al contempo frustrato. E aveva fatto nascere in lui, di nuovo, il desiderio di andarsene, di tornare dalla sua ragazza, dal suo mare, dal suo sole, dalla sua tavola da surf. Da tutto ciò che era casa, per lui.

E invece no, ancora una volta. Si era alzato, aveva fatto una doccia per togliersi di dosso quella spiacevole e alquanto fastidiosa sensazione di essere, come dire, appiccicaticcio – sì, perché sebbene mancasse la pioggia, c’era comunque un’umidità pazzesca, forse ancora più fastidiosa di quelle goccioline d’acqua che a Seattle parevano avere fatto l’abbonamento, mentre nella sua adorata San Diego il sole non se ne andava mai, se non per brevi periodi. Giusto il tempo di una vacanza ristoratrice, insomma. Si era vestito velocemente, con le prime cose che aveva avuto a portata di mano – tutto si sarebbe potuto dire di lui, meno che fosse un fanatico della moda; ed era ben evidente già ad una prima occhiata – ed era uscito camminando a passo spedito verso la periferia. Non che il suo alloggio temporaneo, un piccolo residence, fosse in centro città, ma di sicuro il magazzino dismesso e affittato a poco prezzo dove lui ed i suoi compagni provavano era ancora più lontano da esso.

Meno di mezz’ora di camminata ed era lì, pronto per fare l’unica cosa che non solo gli riusciva più che bene, ma che soprattutto gli permetteva di sfogarsi e buttare fuori un po’ di quella tensione e di quella rabbia che lo facevano sembrare un fascio di nervi ambulanti più di quanto già non fosse di suo. Era anche leggermente in ritardo, ma in realtà non gli importava. La sera prima aveva bevuto un po’ troppo – routine, per lui – e quindi oltre alla rabbia e a quella fastidiosa luce freddina che avvolgeva tutto ciò che lo circondava, ora doveva pensare anche a combattere con i postumi della sua felicità artificiale, meglio nota anche come coraggio liquido, e dai più concreti chiamata alcool. ‘Fanculo a tutto. Che giornata orribile.

- Ciao ragazzi – disse appena entrato con quella sua voce profonda e assolutamente perfetta per stare dietro un microfono, forte e alta, ma che appena doveva rivolgersi direttamente alle persone che si trovava di fronte, diventava poco più di un sussurro, giusto quanto bastava per farsi sentire e capire, insomma, almeno da chi avesse avuto un buon orecchio. E per sua fortuna, i suoi compagni lo avevano. O più che altro, sarebbe giusto dire che se lo erano fatto venire, nel momento stesso in cui era diventato chiaro a tutti che lui non avrebbe alzato il tono più di così. E allo stesso modo era stato evidente già dal loro primo spettacolo insieme che, se la voce tornava, e alla grande, appena lui si trovava dietro all’asta di un microfono, le sue capacità motorie praticamente sparivano, visto che non osava fare più di pochi passi e una manciata di movimenti, sempre gli stessi, studiati, ripetuti. Una cosa mai vista prima, almeno per quanto riguardava un cantante, colui che dovrebbe essere l’anima di un gruppo, la motrice di un camion, e non un pesante ed ingombrante rimorchio. Ma così stavano le cose, e i suoi compagni non avevano potuto fare altro che mettersi a muovere le gambe di più, insomma, per fare la sua parte, e guardare il pubblico anche per lui. Sì perché oltre all’improvvisa paralisi che sembrava colpirlo appena salita la scaletta che portava a quei pochi metri quadrati che per alcune ore erano il centro della loro musica – della loro esistenza -, ci si metteva anche lo sguardo fisso di chi sembra non guardare nulla e nessuno, se non un punto distante, oltre tutto e tutti, con chissà quale intrigante e coinvolgente particolare. E quindi ecco il deprimente ritratto del cantante di quello che, ne era convinto, sarebbe stato un gruppo che avrebbe fatto strada, ma che, ora come ora, era ancora fermo ai locali periferici di una città piovosa e deprimente, circondata da un paesaggio tanto verde e lussureggiate, quasi finto, quanto era poi il grigio delle sue strade, dei suoi palazzi. Assolutamente ed inequivocabilmente vero, per altro.

Aveva iniziato a cantare le parole delle loro canzoni, delle sue canzoni, della sua vita, dando tutto ciò che aveva, mettendoci tutta la sua passione e la sua anima, come faceva sempre, sia che davanti a lui ci fossero solo i suoi nuovi, e peraltro unici, amici di Seattle, sia che ci fosse il pubblico di un piccolo locale di periferia. E lo stesso avrebbe fatto, molto probabilmente, anche quando avrebbero iniziato a suonare per degli stadi pieni di gente. Quegli stessi stadi in cui lui andava a vedere qualche partita di baseball, ogni tanto.

Un’ora di prove, e almeno mezz’ora di battibecchi fra il chitarrista e il bassista. Per non parlare poi delle occhiatacce riservate al batterista, e degli ulteriori battibecchi fra quest’ultimo e di nuovo il bassista. E poi, alla fine, il tentativo fallito di far coincidere alla perfezione le parole di una nuova canzone che aveva scritto, con la musica composta precedentemente da Stone. Tentativo miseramente ed irreparabilmente frustrato. Per cui avrebbe anche dovuto scrivere qualcosa di nuovo, perché non ci pensava nemmeno a chiedere, lui, l’ultimo degli ultimi, di cambiare una musica oggettivamente fantastica, per farla combaciare con quello che aveva in testa. Ma tant’era, e si doveva rassegnare a questa piccola ma bruciante sconfitta. Che aveva reso il suo umore ancora più terreo e allo stesso tempo suscettibile di scatti di rabbia improvvisi, tra l’altro. ‘Fanculo a tutto.

Era stato un sollievo e allo stesso tempo una delusione il momento in cui le prove erano finite. Un sollievo alquanto strano, almeno per uno come lui che avrebbe cantato anche nel sonno, e che chissà, magari lo faceva anche, ma di certo non se ne accorgeva, e di sicuro nessuno fino a quel momento glielo aveva fatto notare. Magari ogni tanto la sua ragazza si lamentava di un leggero russare – non che poi lei fosse da meno – e di qualche frase senza un’apparente senso logico pronunciata durante qualche sogno, bello o brutto che fosse, ma più di questo nulla mai. E di sicuro la sua amata non avrebbe sopportato per così tanti anni di sentirlo canticchiare anche di notte standosene zitta, non una come Beth, almeno. Una persona dolce, forte, allegra e vivace, ma anche seria all’occorrenza. Un’ottima ascoltatrice, una grande consigliera. Senza dubbio la migliore amica possibile. Un punto fermo, forse l’unico della sua vita. Di sicuro, l’unica persona su cui potesse contare sempre. L’unico sostegno. Insieme alla sua musica, ovviamente.

Ed ora eccoli, cinque pazzoidi stretti con i rispettivi strumenti in una vecchia e scassatissima macchina, tanto malconcia che era persino impossibile decifrarne la marca, e per cui c’era da ringraziare qualcuno dei piani alti dove il sole splendeva sempre, eccome - soprattutto quando a guidare era Stone, un vero pericolo pubblico al volante - se non le si staccavano le ruote mentre stava macinando qualche chilometro, giusto quelli necessari per accompagnarli ad uno ad uno nei rispettivi alloggi, come avrebbe fatto poche ore più tardi quella stessa sera, dopo lo spettacolo. Il primo di quella settimana. L’unico motivo accettabile per cui avevano deciso di provare per così poco tempo. Per non far stancare la voce del cantante, dicevano. Non che ce ne sia bisogno poi, aggiungevano con un sorriso benevolo che voleva certo essere di incoraggiamento e di rassicurazione per una persona che, a quanto pareva, aveva un gran bisogno di essere rassicurata. Per non far rovinare le loro manine, pensava lui, ma non diceva nulla. Non ci sarebbe riuscito senza arrossire e sembrare patetico, per altro, o almeno così pensava, anche perché quelle manine erano molto più che magiche ed abili.

Di nuovo a casa, di nuovo in doccia, di nuovo i primi vestiti capitati a tiro, di nuovo a camminare per strada il più velocemente possibile, per arrivare al locale, mentre il cielo si faceva sempre più nero e il sole calava dietro lo schermo grigiastro che lo nascondeva, come se un nuovo strato di nubi si fosse aggiunto a quello già presente. Sarebbe venuto a piovere, ne era certo. Non c’era bisogno di essere dei meteorologi per capirlo. E nemmeno di tanta fantasia, in fondo: erano a Seattle. Sperava solo che almeno uno dei suoi quattro colleghi non trovasse compagnia per quella sera. Altrimenti, di nuovo a casa a piedi, di corsa per sfuggire alle goccioline che inesorabili stavano già iniziando a cadere, e la cui intensità non avrebbe fatto altro che aumentare. Come la sua incazzatura. ‘Fanculo a Seattle.

Alla fine, era arrivato al locale piuttosto umidiccio, avrebbe detto lui con un eufemismo. Piuttosto, gli piaceva pensare che dopo tutta l’acqua che si era visto, volontariamente o meno che fosse, scorrere addosso durante quella mezza giornata, avrebbe anche potuto evitare di fare una doccia per almeno tre giorni. Anche quattro, se quella sera fosse dovuto tornare a piedi. Evviva Seattle.

All’entrata aveva trovato Mike, appena arrivato anche lui, con la sua adorata chitarra sulle spalle ed un ombrello bagnato fra le mani.

- Hey Eddie! Cavolo sei bagnato fradicio! Non pensi mai di portarti un ombrello, quando esci di casa? – gli aveva chiesto con un sorriso vagamente allucinato ed uno sguardo un po’ opaco. Tipico di chi è fatto. Tipico di Mike, che un po’ per non pensare a quei dolori insistenti quanto fastidiosi che lo assalivano frequentemente allo stomaco, e che sempre lo avrebbero perseguitato, un po’ perché in fondo gli piaceva da matti, spesso amava stordirsi con qualche sostanza di natura e composizione indefinita. E che tale sarebbe dovuta rimanere, almeno per lui.

- Sì. No. Insomma, hai capito – mugugnò senza nemmeno alzare gli occhi, grigi come il cielo, dalle scarpe, per poi entrare e lascare sulla porta un Mike alquanto perplesso. Non che i borbottii e le risposte monosillabiche di Eddie fossero una novità, ma ogni volta gli facevano un certo effetto.

Forse Eddie non si faceva, anzi di sicuro stava ben lontano dalla droga, almeno da quella pesante, ma senza dubbio gli avrebbe fatto bene sciogliersi di più ed essere un po’ meno teso; se fosse stato una corda della sua chitarra, era sicuro che l’avrebbe rotta. O forse sarebbe bastato fare più sesso, invece di aspettare una ragazza che aveva lasciato nella soleggiata San Diego.

Dopo qualche istante Mike lo seguì, e all’interno incontrò anche gli altri suoi compagni che stavano sistemando tutta la strumentazione sul piccolo palco, per poi scendere a prendersi tutti una birra ristoratrice, e dagli effetti calmanti almeno per quanto riguardava il cantante, mentre lentamente il locale si riempiva di gente. Avevano già una discreta reputazione in città, molti sembravano apprezzarli, e quasi tutti avevano accolto calorosamente quel ragazzetto che veniva dalla California con la sua voce splendida e la sua aria timida e riservata. Anche se, in realtà, addirittura alcuni del pubblico erano rimasti abbastanza sorpresi da suo atteggiamento sul palco. Ma comunque gli spettacoli erano assolutamente degni di nota, per cui ad ogni data un buon numero di persone spendeva sempre una parte del proprio tempo per andare ad ascoltarli.

Al momento di salire sul palco, Eddie si stava scolando l’ultimo sorso, almeno per quel momento, di birra, quando Stone, col suo umorismo forse troppo pesante, almeno nella sua opinione, gli aveva chiesto con un sorriso ironico e il suo solito sguardo tagliente: -  Hey Ed, non ti incanti mica anche stasera, eh? –

Non era la prima volta che gli faceva quella domanda alludendo al suo atteggiamento on stage, ma in quel momento il timido, introverso, e probabilmente anche poco equilibrato – anche se gli altri non ne avevano ancora un’idea precisa – Eddie aveva deciso che sarebbe stata, sicuramente, l’ultima. Con un gesto stizzito e una risposta che di carino non aveva proprio niente, da qualsiasi punto di vista si fosse provato a valutarla, aveva appoggiato pesantemente la sua bottiglia su uno scatolone e si era staccato dal muro cui era stato appoggiato per tutto il tempo, dirigendosi a passo spedito verso il palco. Stone non era nemmeno riuscito ad aprire bocca tanto era stato colto alla sprovvista, cosa insolita per lui, ed aveva assunto un’espressione di pura sorpresa, ma non era stato l’unico. A voler dire la verità, nessuno del gruppo aveva avuto una reazione molto diversa dalla sua. Avevano seguito piuttosto scettici il loro cantante, che da quel momento in poi, ne avevano la sensazione, sarebbe davvero diventato anche il loro leader, la loro motrice.

- Fottuti stronzi, siete qui per ascoltarci suonare, sì? E allora chiudete quelle cazzo bocche e fate silenzio! – aveva urlato un Eddie alquanto alterato al microfono. Ed in effetti, aveva ottenuto proprio quello che voleva. Perché tutti, in sala, avevano avuto la stessa reazione di Stone e del suo gruppo. Come per un comando supremo, si erano zittiti contemporaneamente, e avevano ascoltato le prime note di una melodia ormai conosciuta ed apprezzata da tutti loro in un silenzio tanto assoluto quanto spaventato. Sì, perché quelli delle prime file non avevano potuto fare a meno di tenere gli occhi incatenati a quelli del cantante, che in quel momento non solo erano ben fissi su di loro, ma sembravano persino desiderosi di bruciarli tutti, uno per uno, da vivi.

Assurdo e incredibile allo stesso tempo. Ma anche un tantino spaventoso, in effetti. Perché quando Eddie aveva portato il suo dito indice davanti alla bocca con un movimento rapido e assolutamente scazzato, spalancando quanto più possibile quelle due pozze che aveva al posto degli occhi, dicendo tacitamente a tutti di stare zitti, era sembrato davvero un pazzo furioso*. Uno da cui stare lontani, insomma.

Il concerto era filato liscio come sempre, anzi quella sera erano stati anche meglio di tutte le altre. Ed era vero, avevano avuto la sensazione giusta. Eddie si era improvvisamente trasformato nella miccia che aveva fatto scoppiare il palco come fosse stato sommerso di benzina. Aveva iniziato a muoversi in modo sciolto, a cantare con ancora più grinta, tirando fuori tutta quella rabbia, quel malumore, quel nervosismo, quella tensione che aveva accumulato nel tempo, aveva tenuto gli occhi fissi sul pubblico per tutta la sera, facendo passare ad una ad una le facce delle prime file, come per imprimerle bene nella memoria. Come per bruciarle. Da vive.

Alla fine dello spettacolo, dopo essere rimasti per un po’ al locale ed essersi bevuti un buon quantitativo di alcool, avevano deciso di tornare a casa, tutti incredibilmente soddisfatti per come erano andate le cose quella sera, per l’esibizione, per la grinta. E anche, forse, per quello scatto d’orgoglio di Eddie, che finalmente non sembrava più un pesce fuor’d’acqua, ma piuttosto uno squalo affamato pronto a fare una strage.
Come aveva previsto il cantante, i suoi colleghi avevano trovato compagnia; tutti, tranne Jeff, che si era offerto di accompagnarlo al suo residence in macchina, per evitare che si bagnasse di nuovo. Quel ragazzone grande come una montagna (almeno se paragonato all’esile californiano) era buono come il pane, ma soprattutto – cosa che lo faceva ridere non poco, anche se mai lo avrebbe fatto apertamente e, soprattutto, davanti all’interessato – si preoccupava per lui più di quanto aveva fatto sua madre quando era ancora un lattante.

- Aspetta Eddie, ti accompagno in macchina. Non vorrai andare a piedi, e per di più senza ombrello, con questa pioggia? –

- No Jeff, lasca stare, ho voglia di camminare un po’. Mi rilassa –

Jeff lo aveva guardato interrogativo. Perché si sapeva che lui odiava camminare per le strade di quella città. Con la pioggia, per di più! Poi, però – cosa che non si sarebbe mai aspettato, anzi credeva che avrebbe insistito fino alla nausea – il bassista aveva disteso il volto in un sorriso incredibilmente allegro.

- Sei proprio strano sai, Ed? Però se la rabbia e le battutine di Stone ti fanno questo effetto, allora ben vengano. Cercheremo di farti esplodere più spesso! –

Questa volta era stato lui a sorridere apertamente, in un modo che poche volte, da quando era arrivato e aveva fatto la loro conoscenza, Jeff gli aveva visto. E soprattutto, per la prima volta in assoluto, invece di guardare il pavimento e arrossire come una ragazzina, aveva incatenato gli occhi a quelli dell’altro, prima di rispondergli.

- Non ce ne sarà bisogno, Jeff. Credimi –

E si era girato facendo un cenno di saluto silenzioso con la mano, prima di avviarsi e lascare il suo amico – perché questo erano, in fondo, i suoi compagni: degli amici – sulla porta, con un’aria perplessa e allo stesso tempo soddisfatta. Sì, ne era certo, sarebbe andata proprio così. Non ci sarebbe stato più bisogno di accumulare tensioni e malcontenti, di sentirsi fuori posto e assolutamente non in pace con se stessi. Ora che aveva iniziato a bruciare, lui, la benzina, non si sarebbe più fermata.
 
 


*riferimento alla famosa fotografia, che personalmente adoro (^^), facilmente reperibile anche su internet.






Una piccola dedica: a Neve83, per le sue splendide storie, che mi hanno ispirato tantissimo e che rileggo sempre con piacere; a Martina, che mi ha dato anche stavolta il coraggio di pubblicare quanto avevo scritto: grazie mia cara!

  
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