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Autore: KikiWhiteFly    24/03/2011    1 recensioni
«Ancora tu? Perché ti piace così tanto il mare?»
Domandò, raccogliendo con parsimonia un altro paio di conchiglie.
Il mare era un po' mosso, quel giorno: le onde si accavallavano aggressivamente l'un l'altra poi morivano sulla riva, le arrivavano solo alcuni schizzi di schiuma sulle braccia.
«Sto cercando delle orme.»
Dichiarò l'uomo, flettendosi in avanti con il busto e tracciando una linea sulla sabbia. Sembrava che vedesse delle orme, che veramente ci fossero. O, forse, era la bambina a non notarle.
«Ma non ci sono orme.»
«Già. Ci sono solo ricordi.»
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mancanza di dolore.








La bambina camminava sulla spiaggia, lasciando orme sulla sabbia. Il mare, ciclicamente, le bagnava i piedi e, di tanto in tanto, lei si fermava ad osservare quel fenomeno; non che fosse qualcosa di stupefacente ma, era risaputo, nella mente di una bambina a prevalere era l'immaginazione.

Erano gli adulti ad essersi dimenticati di sognare, a loro sì che il mondo appariva perfettamente circolare... E non si stupivano più, ormai, si limitavano solamente a scrollare le spalle con noncuranza.

«Sono così grandi le mie orme?»

Si domandò, flettendosi leggermente per osservarle da vicino. Poi voltò lo sguardo verso l'interlocutore che, fino ad allora, l'aveva osservata a debita distanza.

«Forse perché le guardi da vicino.»

La bambina smise di tracciare con le dita la sagoma del suo piede, si alzò in piedi e strattonò un po' la camicia a quadri dell'uomo.

«E tu perché le guardi da lontano?»

Chiese, con ovvietà.

L'uomo sospirò, accarezzò la nuca della piccola e si abbassò alla sua altezza: sì, tornare bambini ogni tanto non era così male. Perlomeno, gli permetteva di immaginare.

«Per ricordarle.»

«Ricordarle?»

«Sì. Se ti avvicini troppo alle cose, accade spesso di perderle. Osservarle da lontano, invece, aiuta a comprendere.»

C'era qualcosa di malinconico nel suo timbro di voce, persino una bambina riusciva a leggervi una sfumatura amara.

«Non capisco...»

Trillò con la sua vocina squillante la piccola; l'uomo sorrise mesto poi iniziò a ridere convulsamente, sempre di più, quasi fosse in preda ad un attacco di pura euforia.

«Bene. È importante che tu non capisca... non adesso, perlomeno. Sogna, tu che puoi.»

Si allontanò, silenzioso com'era venuto se n'era andato.

La bambina lo chiamò a gran voce ma lui non si voltò; chissà, forse doveva cercare qualcosa – pensò ingenuamente, rammentando le sue parole.

L'immagine di quel signore iniziò a sfumare a poco a poco ma se c'era una cosa che aveva notato erano le sue orme: la sabbia le aveva inghiottite probabilmente, poiché l'uomo non aveva lasciato nessuna traccia.

Tutti noi camminiamo, ogni giorno.

Ma questo non vuol dire che lasciamo delle impronte sul terreno – pensò la bambina, prestando particolare attenzione alle proprie tracce.








Sofia si svegliò di colpo, flettendo il busto in avanti.

Mise una mano sul petto, respirò per alcuni secondi con affanno, dopodiché si stese nuovamente. Diede una rapida occhiata alla sveglia, constatò che erano grossomodo le tre del mattino: si era svegliata di soprassalto, mancava poco che urlasse. Sicuramente i suoi vicini non avrebbero gradito molto; tuttavia, era solo in parte colpa sua: se i sogni – o, meglio, incubi – la perseguitavano ogni notte, non poteva farci nulla.

Oltretutto, era circa una settimana che viveva la medesima scena: era quasi sicura che quella bambina sulla spiaggia fosse lei, ma non ricordava di aver mai vissuto in un luogo simile né di aver mai visto quell'uomo.

Doveva avere qualche significato?

Non ne aveva parlato con nessuno sino ad allora, i suoi discorsi con l'uomo misterioso li aveva tenuti per se stessa; da quando lo sognava, però, le capitava di guardare con più attenzione gli individui che incontrava ogni giorno... cercava il suo volto, sentiva che doveva essere lì, tra la folla, bastava solo guardarsi attorno.

Una teoria, un'illusione oppure una fantasia che si era costruita, forse per sopperire alla mancanza di un uomo nella sua vita. Tuttavia, una donna in carriera come lei di sicuro non poteva permettersi distrazioni di quel tipo, senza contare che il suo tempo era veramente prezioso e la maggior parte lo trascorreva in ufficio. Alla modesta età di trentadue anni si poteva dire una donna realizzata, sentiva di aver fatto la sua parte nella grande scalata contro l'emancipazione femminile.

Si stese nuovamente, il battito cardiaco ora iniziava a calmarsi e tutto adesso appariva improvvisamente in ordine; aveva quasi paura di socchiudere gli occhi, non voleva rischiare di essere inghiottita da quel sogno ricorrente – era così reale, sembrava quasi palpabile.

Tirò su il lenzuolo fino al naso, come quand'era bambina, lasciò che la melodia delle onde la cullasse: quella sinfonia senza tempo forse era un inganno... Oppure no?

Senza volerlo, si era ritrovata nuovamente sulla spiaggia – la sabbia dorata si infilava tra le sue dita, pungeva anche un po' – stava cercando l'uomo ma non c'era traccia di esso.

Allora si mise a cercare le conchiglie, era un peccato lasciarle sulla riva dal momento che ce n'erano una distesa sconfinata. Suo padre si divertiva spesso ad esplorare la spiaggia insieme a lei, gli piaceva sentire il rumore che facevano e diceva che dietro ogni conchiglia si nascondeva qualcosa, perché nel mare era sepolta la storia.

Era un'assurda favoletta a cui aveva creduto, meravigliandosi quasi di quante conoscenze avesse suo padre e vantandosene coi compagni dell'asilo... Quasi non ci credevano, erano corsi a raccontare ai propri genitori quei piccoli tesori.

Sofia aveva ancora in mente quella scena, era una delle poche cose che le rimanevano del genitore. Aveva quasi completato la sua collana, finché l'uomo non si era avvicinato nuovamente; d'un tratto le sue orme si fecero di nuovo piccole, improvvisamente era tornata ad essere la piccola Sofia, coi boccoli al vento ed il vestitino color panna svolazzante.



«Ancora tu? Perché ti piace così tanto il mare?»

Domandò, raccogliendo con parsimonia un altro paio di conchiglie.

Il mare era un po' mosso, quel giorno: le onde si accavallavano aggressivamente l'un l'altra poi morivano sulla riva, le arrivavano solo alcuni schizzi di schiuma sulle braccia.

«Sto cercando delle orme.»

Dichiarò l'uomo, flettendosi in avanti con il busto e tracciando una linea sulla sabbia. Sembrava che vedesse delle orme, che veramente ci fossero. O, forse, era la bambina a non notarle.

«Ma non ci sono orme.»

«Già. Ci sono solo ricordi.»

L'uomo ridacchiò vivacemente, sembrava davvero divertito.

Però, nella sua risata c'era una lacrima... Non che lo desse a vedere, quella della piccola era semplicemente un'impressione – la fantasia di una bambina, probabilmente.

«I ricordi non si cancellano?»

Chiese, cercando nella sabbia meno luccicante del solito una risposta; tuttavia, la trovò molto prima sulle labbra dell'uomo che ora si erano inspiegabilmente rivolte verso il basso.

«Mai. Forse si possono accantonare per un po' ma non si possono cancellare...», sospirò, il timbro di voce era diventato improvvisamente più incerto, «... Anche tu Sophie, sei diventata l'immagine di te stessa. Non ti ricordi neppure di me...»





Sofia si svegliò nuovamente di soprassalto, aveva l'impressione di aver perso qualcosa di importante. Scetticamente, diede un'occhiata alle sue mani: la sabbia dorata era solo un vecchio ricordo, così come il tepore dei raggi solari e la brezza del vento.

Il sogno, stavolta, non era affatto confuso: nei tratti dell'uomo ora, a ben pensarci, sembrava esserci qualcosa di familiare – quei lineamenti non le apparivano più così offuscati, doveva solo cercare.

Sophie, l'aveva chiamata...

Per quale motivo conosceva il suo nome?

Solo sua madre la chiamava così, da piccola le diceva sempre che semmai avesse potuto scegliere una nazione in cui farla nascere sarebbe stata la Francia. Così, anche suo padre, si era affezionato a quel nomignolo. O, almeno, così le aveva raccontato sua madre, dal momento che aveva perso il genitore in giovane età.

Riusciva a ricordare solo qualche carezza, forse se si sforzava qualche tratto... Quelli erano i suoi unici ricordi. Ogni tanto nella memoria germinava un flashback improvviso, forse era il modo da parte di suo padre di comunicarle qualcosa.

E, per ogni ricordo che riaffiorava nella memoria, il dolore si faceva più vivo. Se chiudeva gli occhi le sembrava di esser inghiottita dalla sabbia, fin quasi a soffocare; così riaprì di scatto le palpebre, camminò a tastoni sul pavimento gelido e si precipitò in bagno.

La sua fronte era madida di sudore, il suo volto era quasi cadaverico – simile alle pareti asettiche di una stanza ospedaliera – , le labbra non erano più rosse e piene, anzi, stavano pian piano diventando dello stesso colore del suo viso.

Guardandosi allo specchio, stentò a riconoscersi; poi, un sussurro quasi impercettibile sfiorò le sue labbra: «Papà...»

Le lacrime iniziarono a scenderle copiosamente sulle guance: a Sophie mancava il dolore, le mancava l'eco della sofferenza che un corpo non riusciva a contenere tutto. Per quanto fosse contraddittorio ammetterlo, per essere un po' felici bisognava anche essere un po' tristi... se la bilancia pendeva solo da un lato, l'equilibrio era in bilico.

Strinse le nocche con forza, fin quasi a farsi male, poi gettò mollemente le ginocchia a terra; chiuse di nuovo gli occhi, più cercava di assopirsi tanto più i ricordi germinavano nella memoria come tanti spezzoni di un film, sembrava quasi che il dolore fosse palpabile.



«Sophie... Ti aspettavo.»

Mormorò suo padre, tracciando con un rametto delle circonferenze sulla sabbia. Inutile, perché qualche secondo dopo il mare avrebbe risucchiato qualsiasi cosa; Sophie si soffermò a guardarlo per un momento, si somigliavano davvero: il modo di parlare, di atteggiarsi, i tratti fisici ed i lineamenti del viso erano grossomodo simili.

«Mi aspettavi, già. Io... io ho perso così tanto tempo a guardarmi attorno, che non mi sono accorta quel che avevo accanto a me.»

Strinse le nocche, gli occhi si diressero in tutt'altra direzione – voleva esser forte, piangere le sarebbe servito davvero a poco.

«Se potessi restare bambina, se potessi restare con te...», suo padre strinse le sue mani – calde, fu la prima cosa che pensò la ragazza –, solo allora Sophie trovò il coraggio di guardarlo dritto negli occhi.

«Ascolta Sophie, tu sei il mio specchio. Tu mi rifletti. E ti basterà cercarmi nei sogni, per ricordarti di me.»

E per la prima volta la bocca tremò, qualunque cosa avesse detto l'emozione avrebbe tradito la sua voce.

«Ma io voglio restare qui.», dichiarò alla fine, non riuscendo ad aggiungere altro.

«Anche io volevo restare lì, accanto a te. Accanto a voi.», le sfiorò i lunghi capelli, anche stavolta non riuscì a tradire del tutto la sicurezza, « Ma siamo figli del destino bambina, non dimenticare. La nostra vita viene scritta ancor prima di venire al mondo...»

«Destino...», Sophie ripeté lentamente quella parola, come se l'avesse sentita per la prima volta nella sua vita, «... E mi sta passando accanto, io neppure me ne accorgo.»

Fu una dichiarazione di resa, quella; molto semplicemente, Sophie si era accorta di quanto fosse stata egoista nella sua vita, la prova lampante di tutto ciò era che in fondo era sola – lei viveva in funzione del suo lavoro: in mancanza di ciò, la sua esistenza non sarebbe stata più così necessaria.

«Sophie, lascia che ti dica una cosa: la nostra vita è un'immensa distesa d'acqua, il mare.», suo padre le indicò un punto nel vuoto, poiché il mare era davvero così: non era possibile sapere come iniziasse e, men che meno, come finisse. «L'alta marea arriva quando meno te l'aspetti, purtroppo. Ma devi riuscire a trovare il tuo appiglio, a non affondare... Hai capito?», le domandò.

La ragazza annuì con vigore, aveva l'impressione di esser tornata la bambina di un tempo... Quante spiegazioni premurose da parte del genitore si era persa, quanti discorsi non avevano avuto il tempo di affrontare, quanta mancanza di dolore.

«Sì, a non affondare...», sussurrò, sentendosi d'un tratto un po' più forte.

«Ed ogni volta che qualcosa ti farà male, ascolta il suono delle conchiglie. Lo senti? », suo padre le avvicinò una conchiglia, il suono melodioso e senza sosta del mare la cullò, sembrava che tutti i problemi fossero di colpo svaniti. «Ascoltalo con calma, il tempo non esiste più.»

Aveva ragione, davvero: se si smettesse per un attimo di pensare, il tempo scorrerebbe in modo diverso e la realtà non sarebbe più la stessa natura circoscritta che si è abituati a vedere. Se si potesse guardare per un momento un altro specchio diverso dalla realtà, gli occhi si abituerebbero al fatto che la vita trascorre con i suoi sforzi ed eccessi e si ripete sempre allo stesso modo, è un immenso labirinto in cui si è costretti a voltarsi e ruotare senza sosta.

Il destino, visto da questa prospettiva, diventava un po' più accettabile. Le scelte che si erano prese – o meglio: le scelte che si era stati costretti a prendere, senza troppi indugi – erano il premio oppure il torto che il destino aveva in serbo da molto tempo.

Solo allora, la ragazza intuì il significato di quell'incontro: tutti noi camminiamo, ogni giorno... Ma questo non vuol dire che lasciamo delle impronte sul terreno.

Quando Sophie aprì gli occhi, fu solo per sorridere: poteva ancora sentire la brezza del vento sfiorarle i capelli e la salsedine dell'aria di mare s'impregnava sulla sua pelle come un ricordo che non avrebbe mai dimenticato. 








* * *





Questa storia ha partecipato ad un concorso... il tema era “Scelta o destino”, ad interpretazione personale di ogni autore. Purtroppo non ho vinto ma è stata un'esperienza fantastica, se non altro per confrontarsi con altri scrittori :).

Grazie per aver letto!


Kiki.

   
 
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