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Autore: tsukinoshippo    25/03/2011    20 recensioni
Per una donna in dolce attesa, il suo ombelico può rappresentare insieme le speranze più rosee e le paure più sconvolgenti.
Insieme al suo compagno, dovrà cercare di concretizzare le prime e mettere da parte le seconde, imparando come l'amore, senza la comunicazione, spesso non sia sufficiente.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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In una notte di giugno insolitamente calda per una piccola cittadina dello stato di Washington, nella sua camera da letto, Isabella si agita sotto le lenzuola. Si è risvegliata da un sogno a dir poco ridicolo. È di nuovo alle scuole superiori e abbandona l’aula di biologia, nel bel mezzo di una lezione, per correre in bagno. Sente che se non si sbrigherà, si farà la pipì addosso. Il solo pensiero è esilarante e al tempo stesso terrificante. Ha diciassette anni, un fidanzato, e una famiglia normalissima; decisamente troppo presto per diventare incontinente. Scorge l’insegna alla fine del corridoio che indica il bagno delle ragazze, e gioisce mentalmente.
Non si dovrà umiliare davanti ai suoi compagni di scuola, spiegando loro perché i suoi jeans sono zuppi. Sta ancora sorridendo, quando sente il primo rivolo di liquido caldo scorrerle lungo l’interno coscia. « Oh, merda! ». Si affretta a raggiungere il locale, ma è troppo tardi. I muscoli che tanto bene hanno lavorato fino a quel momento, nel rimanere contratti ed evitare il peggio hanno ceduto, ed il tessuto dei suoi pantaloni si è bagnato, aderendo perfettamente alla sua intimità e alle gambe. Spalanca gli occhi, e registra la stessa sensazione di bagnato che ha provato poc’anzi. Subito un pensiero si fa strada con straziante angoscia, nella sua testa: mi si sono rotte le acque.
Non può elaborare altro, la sua bocca è già aperta e chiama suo marito, che le dorme accanto. « Edward… ».
La risposta è un silenzio di tomba.
« Edward, svegliati… ».
Edward muove leggermente la testa, come a cercare di allontanare la voce che tenta di richiamarlo indietro dal suo mondo dei sogni.
« Edward, mi si sono rotte le acque e se non ti svegli subito, temo che partorirò il bambino nel nostro letto ».
Edward ci mette cinque secondi a registrare quelle parole, prima di scattare verso l’alto e voltarsi in direzione della donna che ha parlato.
È ancora troppo addormentato per mantenere un perfetto equilibrio, ma al tempo stesso troppo scioccato, per fermarsi a pensare quanto si senta stanco. Perciò appoggia un braccio sul materasso per sostenersi, e parla.
« Cazzo, amore, sei sicura?! » le domanda con apprensione, il cuore che gli scoppia nel petto.
Non ha il tempo di ricevere una risposta, gli basta registrare la sensazione di umido a contatto con il fondoschiena e la porzione delle gambe che tocca il lenzuolo.

 
Dopo una buona mezz’ora passata a misurare in tutta la sua lunghezza il corridoio adiacente alla sala parto, sente dei vagiti provenire proprio da quella stanza, talmente forti da suonare più come una richiesta d’aiuto, che come una presentazione al mondo.
Non ha assistito alla nascita del suo bambino.
Isabella l’ha sbattuto fuori all’ennesimo “ dottore, lei non capisce un cazzo, mio figlio deve nascere adesso, e le conviene aiutarlo subito!”.
Il dottore in questione non ha mandato giù l’ennesima ingerenza di un giovane padre troppo coinvolto emotivamente, per rimanere lucido. Lo ha invitato ad allontanarsi, e sua moglie gli ha dato manforte.
Così ora si ritrova lì, con il fiato corto e le lacrime pronte a straripare dal confine limitato rappresentato dai suoi occhi, da un momento all’altro.
Non si vergogna di essere così, di lasciarsi prendere dalle emozioni, e soprattutto di esternarle in qualunque momento, davanti a qualsiasi persona.

E quello stronzo del dr. Frederick si è meritato dalla prima all’ultima parola che gli ho detto. Mi è stato sulle palle dal primo giorno che l’ho visto.
Uno come lui è troppo giovane, troppo
sicuro di sé, troppo belloccio per essere un ginecologo. Scommetto che ha scelto quella specializzazione solo per metter le mani sul maggior numero possibile di vagine.
« Signor Cullen? » l’infermiera lo trova girato di spalle, la testa piegata in avanti e le mani affondate tra i capelli.
Non è una novità per lei, avere a che fare con uomini che, in attesa di diventare padri, perdono la testa.
Quello che la colpisce, è la forza con la quale il ragazzo sembra stringersi i capelli; teme che da un momento all’altro se li possa strappare via.
Non ha idea dello stress e della preoccupazione a cui Edward è sottoposto. L’idea che possa accadere qualcosa di brutto a sua moglie e suo figlio, lo rende letteralmente incapace di continuare a respirare.
La donna si schiarisce la voce, cercando di richiamare la sua attenzione più efficacemente.
« Signor Cullen, non vuole conoscere suo figlio?».                         
Non c’è bisogno di aggiungere altro. Edward si volta e raggiunge il fagottino celeste stretto tra le mani sapienti dell’operatrice sanitaria, a grosse falcate.
Nella sua testa rimbombano due semplici ma significative parole: mio figlio.
Allunga le braccia, al tempo stesso estasiato e timoroso di fare male a quell’esserino morbido e minuscolo, rispetto al suo metro e ottantacinque d’altezza.
Non appena lo stringe a sé, e guarda quegli occhi rotondi e scuri che il bambino sbatte senza sosta, si sente diverso. Come se quella notte, invece che una sola persona, ne siano nate due.
Subito dopo aver riconsegnato il piccolo all’infermiera, riesce vedere anche Isabella. Entrando nella stanza che la ospita, nota  la sua espressione stanca e provata e il sudore che ancora le bagna la fronte, le guance e i capelli.
Nonostante il chiaro disordine del suo stato, il semplice camice chiaro di cotone fornito dall’ospedale che indossa, e la totale mancanza di trucco sul viso, la trova la donna più bella del mondo. Il suo cuore, se possibile, batte per lei ancora più forte, ora che gli ha donato un figlio. Il loro bambino. Sente che ora che nel mondo esiste il frutto del loro amore, il legame che li unisce si è fatto indissolubile.
Ha l’intenzione di proteggere i suoi due tesori a qualsiasi costo. Con questa convinzione, si avvicina al letto di Isabella, fissandola negli occhi.
« Amore… » si china a baciarle la fronte.
« Edward, sei riuscito a vederlo? ».
« Si, è bellissimo. E’ ancora presto per capire di che colore siano i suoi occhi, ma i pochi capelli che ha, sono decisamente del tuo colore » le sorride, spostandole una ciocca di capelli dagli occhi e sistemandogliela dietro l’orecchio.
Lei ride, divertita della sua osservazione.
« Si, l’ho notato, anche se col tempo potrebbero schiarirsi oppure avere dei riflessi ramati, come i tuoi. La sua bocca è di sicuro identica alla tua, così come la forma del naso. Da me ha preso davvero poco » gli risponde, socchiudendo per un attimo gli occhi, per potere visualizzare meglio l’aspetto del suo bambino.
« Una cosa è certa – aggiunge – è il neonato più bello che si sia mai visto. Di solito i bambini appena nati sono tutti rugosi, contratti, con la pelle arrossata.  Lui, a parte aver urlato disperatamente per un minuto scarso, subito dopo essere  stato appoggiato sul mio petto, si è stretto contro la mia pelle con un’espressione corrucciata, per poi rilassarsi completamente e cadere in uno stato di semi-incoscienza ».
« Come biasimarlo amore, dopo aver vissuto per quasi nove mesi dentro una donna tanto meravigliosa? » le dice lui, lasciandole un altro bacio sulla guancia, « io stesso, al suo posto, non avrei mai permesso a nessuno di separarmi da te » le sorride, facendola rimanere senza fiato.
« Edward, non mi sorridere così… » Bella abbassa lo sguardo, arrossendo.
« Perché, ti da forse fastidio amore? » il sorriso di Edward si allarga ampiamente, e il ragazzo sfiora con delicatezza il mento della moglie, costringendola a guardarlo negli occhi.
« No, ma ho appena partorito, e lo sai che il tuo sorriso mi fa fare strani pensieri. E in questo momento, il sesso deve essere l’ultima delle mie preoccupazioni. Ho appena subito una episiotomia mediana, ho 4 punti tra la mia vagina e il sedere. Direi che non voglio vedere niente che appartenga al tuo corpo dalla cintola in giù, per mooolto tempo ».
« Ugh. Quanto sarebbe esattamente, questo tempo? ».
« Almeno otto settimane… è il minimo secondo le indicazioni del dottore » smette di fissarlo, puntando invece gli occhi sulla piccola porzione di petto rivelata dai primi bottoni della sua camicia, lasciati aperti. « Perciò evita di provocarmi. E chiuditi la camicia ».
Edward scoppia a ridere, abbracciandola.
« Amore, ti adoro quando dici queste cose ».
« Sono seria ».
« Certo, certo, lo so… » la sua mente, ad ogni modo, pensa esattamente il contrario.

 
Uno strano rumore. Si, sento un rumore. E’ persistente, e sempre più forte. Sembra quasi un lamento… non quasi, è un lamento. Un gatto che miagola, senza sosta? No, non può appartenere ad un animale. È umano. Si interrompe solo per qualche secondo, cosicché chi lo sta emettendo possa riprendere fiato. Ormai mi ha svegliato; apro gli occhi. E’ tutto buio, il corpo di Bella è accanto al mio, lo percepisco dal calore che emana. Mi volto nella sua direzione e mi scontro con due occhi spalancati, che mi fissano. « Edward » mi dice, allungando una mano per accarezzarmi il viso, « Edward non è niente, rimettiti a dormire ».
« Non è niente? Ma lo senti?! E’ insopportabile, è impossibile ignorarlo » le rispondo, facendo per alzarmi. Lei mi afferra per un braccio, esercitando tutta la forza che possiede, per bloccarmi. « Ti dico che non è niente. Dormi ».
Si, potrei dormire, in fin dei conti, mi sento distrutto… socchiudo gli occhi, ma il suono acuto che giunge alle mie orecchie, mi ridesta subito.
« No, devo andare a controllare ». Mi alzo, liberandomi della sua mano che di nuovo ha cercato di fermarmi. Penso che nel comportamento di mia moglie ci sia qualcosa di strano, ma non riesco a ragionare, a capirne il perché. Riesco a pensare solo al lamento, alla sua disperazione, alla sua capacità di entrarmi dentro e farmi sentire profondamente triste e inerme. Esco dalla stanza e lo sento più chiaramente. Proviene dalla mia destra, così lo seguo, fino a raggiungere un’altra porta della casa, aperta. E’ troppo buio perché riesca a mettere a fuoco qualcosa, ma il lamento è talmente energico, che so che proviene da lì. Entro, e una volta all’interno della stanza, abbasso automaticamente lo sguardo. Nell’istante esatto in cui compio l’azione, vedo una culla e  la sagoma di un neonato, piccolissimo. È sul pavimento, e mi da le spalle. E’ caduto dal suo lettino, mi dico. Devo aiutarlo.
Allungo le mani e stringo il suo corpicino tenero tra le dita, facendo attenzione a non fargli del male. Lo rigiro verso di me, ed è allora che la vista del suo viso mi colpisce, come un pungo nello stomaco. I suoi connotati sono distorti in una maschera di dolore e paura. Le sue urla mi feriscono. Piange, così intensamente da non riuscire più a respirare. Prende dei respiri sempre più profondi, per poi ricominciare. Per un attimo solo riapre gli occhi, ed è allora che una vocina dentro di me lo riconosce.
Alexander…                                                                                                                                            

Apro gli occhi di scatto, boccheggiando. 
« Alexander… Bella… » le mie sono parole impastate dal sonno e dalla confusione, dovute al sogno appena fatto, che in quel momento mi sembra ancora terribilmente reale. Allungo una mano, per accettarmi che lei sia accanto a me, ma le mie dita sfiorano solo delle lenzuola fredde. Il pianto a pieni polmoni, però, c’è sempre.
Mi metto a sedere sul letto, e solo allora mi accorgo del piccolo spiraglio di luce che filtra nella camera dal corridoio. « Cazzo ».
In trenta secondi sono nel salone, davanti ad una Bella esasperata che cerca in ogni modo di cullare con dolcezza il nostro bambino per farlo rilassare, ma evidentemente incapace di farlo, piange a sua volta e gli chiede di smetterla. Alexander, che per niente al mondo sembra disposto ad obbedire alla sua mamma, continua a strepitare. Non appena mi vede, lei si volta, dandomi le spalle e cerca di asciugare le lacrime come meglio può. È così da quasi due mesi. Da quando siamo tornati a casa dall’ospedale. Niente sesso, e nervi a fior di pelle.
Ogni volta che non riesce a farlo calmare subito, va nel panico e perde il controllo della situazione. Pensa di non essere brava, solo perché il suo tocco non lo manda automaticamente in estasi. Assurdo.
« Am- » non mi fa pronunciare nemmeno una sillaba, che mi zittisce. Brutto segno.
« Zitto Edward, per favore. Ora non ho davvero bisogno delle tue parole del cazzo » tira su col naso, continua ad agitare le braccia che tengono stretto Alexander, scuote la testa.
Il bambino, in tutto questo, non fa che strillare, e strillare, e strillare.

E’ esasperata, Edward. Ormai potrebbe dirti qualsiasi cosa, ma lo fa solo perché è stanca. Chissà da quanto tempo è qui, mentre tu dormivi… giusto, ma devo pur sempre fare qualcosa.
« Non ho intenzione di dirti niente, non agitarti amore » cerco di risponderle con cautela, alzando addirittura le mani a mezz’aria, con i palmi rivolti nella sua direzione. Vengo in pace, Bella. Lei si volta di scatto, puntando i suoi occhi gonfi ed iniettati di sangue nei miei. E’ a dir poco furiosa. E stanca, sconvolta, demoralizzata. Sul suo volto sono leggibili perlomeno una decina di emozioni diverse.
Se uno sguardo potesse uccidere, il suo mi avrebbe già fatto a pezzi. Ripetutamente.
« DEVO CALMARMI?! Oh Edward, ora si che mi sento meglio, davvero. Grazie, per aver alzato il tuo culo dal letto ed essere venuto qui, a dirmi di farlo. Ora che mi hai illuminato, saprò finalmente far addormentare tuo figlio » ansima, sembra spiritata.
« Bella, ti prego… ascoltami ».           
« No. Sono stufa di sentirmi dire da tutti, te compreso, come devo fare per prendermi cura di mio figlio! Non fate altro che starmi addosso e correggermi. Mi state esasperando, mi sminuite, mi riempite di insicurezze. Ho bisogno di tranquillità e non dei vostri occhi sempre pronti a giudicare puntati addosso! ».

Ahi. questo fa davvero male.
« M-ma io-» mi interrompe di nuovo.
« Basta Edward, levati quell’aria da saputello dal viso e ritorna in camera. Io sono sua madre, devo riuscire a fare tutto da sola. Pensate che non ne sia capace, ma vi dimostrerò il contrario » la sua voce viene meno con l’ultima parola, e nella stanza risuona un suo singhiozzo.
Non so bene cosa dire; temo che qualsiasi parola non farebbe altro che alimentare la sua rabbia. Sono ferito da quello che mi ha appena detto, ma solo perché non voglio che abbia una considerazione di me tanto bassa. Così, opto per un approccio fisico, perché voglio rassicurarla e non innervosirla ancora. Mi avvicino a lei a piccoli passi, non interrompendo mai il nostro contatto visivo.
Lei mi osserva, e il suo sguardo si addolcisce leggermente. Sta leggendo nei miei occhi quello che voglio comunicarle, sa che non era mia intenzione offenderla o farla sentire un’isterica. Tutto quello che voglio, è che lei si senta in pace con se stessa e non si torturi dalle preoccupazioni.
Alexander deve percepire il suo rilassamento, perché anche lui comincia a calmarsi. Quando li ho raggiunti, entrambi hanno smesso di piangere e mi guardano, rapiti.

Se solo mi avessi chiesto aiuto prima amore mio.
« Oh, Edward! » Bella serra gli occhi e si abbandona contro il mio petto, stremata. Automaticamente stringo un braccio intorno alla sua vita e uno intorno a nostro figlio.
« Shhh, non piangere amore. Mi spezzi il cuore. Va tutto bene, ci sono io qui con te e non ti lascio » le sussurro nell’orecchio, dandole un bacio sulla tempia.
« Lasciami prendere Alex, e torniamo in camera tutti insieme. Ti va? » le accarezzo i capelli e appoggio la fronte contro la sua, sopraffatto dall’amore che provo per lei. E’ tutto il mio mondo, e la sua fragilità richiama sentimenti che non pensavo avrei mai provato, in vita mia. Dolcezza. Senso di protezione. Strazio. Potrei letteralmente morire per lei. Farei qualsiasi cosa per vederla sorridere.
Bella muove la testa, strofinando la sua pelle contro la mia.
« Sono qui amore mio. Andiamo ».
Annuisce semplicemente, e mi segue senza aggiungere più una parola.
Qualche ora più tardi, la tengo stretta tra le braccia, accarezzandole con delicatezza la schiena coperta dal pigiama. Lei mi stringe con tutta la forza che possiede. Le sue braccia sono serrate intorno alla mia vita, le gambe ai miei fianchi. Il suo viso poggia contro il mio petto, e ogni tanto lo bacia, quasi timorosa.
« Ti senti meglio? » le domando, fissando il soffitto.
« Si… » la sua voce è quasi impercettibile, e la sento tirare su col naso. Dopo tutto questo tempo, ancora riesce a piangere. Mi domando come il suo corpo possa fornirle ancora dei liquidi da sprecare così.
« Bella, tesoro, non c’è niente di sbagliato nel chiedere aiuto, per quanto riguarda Alex. Ci sono io, ci sono i tuoi genitori, i miei. Le mie sorelle impazzirebbero per poter passare più tempo con il loro nipotino, e credo che perfino Emmett sarebbe entusiasta di avere un compagno di giochi della sua stessa età mentale » strozza una risatina, alle mie parole.
« Non sei una super-donna, non puoi imparare in nessun modo come comportarti con un neonato, se non con l’esperienza. E questo vuol dire anche “sbagliare” » mimo con le dita la forma delle virgolette, « non voglio vederti mai più così disperata. Mai più. Promettimi che ti aprirai di più con me. Promettimi che mi dirai tutto quello che ti passa per la testa ».
« Edward, non credo che tu voglia sapere davvero tutto ciò che la mia mente malata pensa. Ti deluderei e basta, ed è l’ultima cosa che voglio fare. Credimi. » aumenta, se possibile, la pressione della sua stretta sul mio corpo. Oh, piccola mia.
« Shhh, non lo pensare nemmeno. E sai perché? Perché so perfettamente cosa ti preoccupa: temi di non essere una buona madre, perché quando Alex piange e non riesci a farlo smettere, spesso ti auguri di non essere rimasta incinta.  Hai paura di non riuscire ad amare tuo figlio quanto vorresti o dovresti, di avere sempre qualcosa in meno rispetto alle altre madri ».
« Oddio, Edward, come fai a saperlo? » alza la testa e mi fissa, a bocca aperta.
« Lo so perché sono le mie stesse preoccupazioni, a parte rimanere incinta e non essere una buona madre, ovviamente » le sorrido, « io stesso mi sono chiesto se avessimo fatto bene ad avere un bambino così presto - visto che siamo sposati da soli due anni - e se fossi in grado di occuparmi di lui come un padre dovrebbe fare: con tutte le responsabilità annesse e connesse. E beh, la mia conclusione è che entrambi ce la caveremo, e sai perché? ».
« Perché? » mi guarda, come se fossi il Papa che si accinge a rivelare il quarto segreto di Fatima.           
« Perché alla base del nostro rapporto ci sono l’amore e la stima. Alexander è senza ombra di dubbio il frutto di un matrimonio felice. Comunque dovessero andare le nostre vite, questo non cambierà mai. E’ un bambino voluto, è nostro, è un miracolo. Ogni volta che lo guardo, non posso fare a meno di pensarlo e di desiderare la sua felicità ».
« Oh Edward, come fai a dire sempre la cosa più intelligente, e io ad essere sempre così stupida?! ».
« Non sarai mai stupida, amore. E non ho detto niente di che, non lo pensi forse anche tu? » le chiedo ancora, alzandomi dal cuscino per lasciarle un bacio sul nasino morbido. Quando mi allontano da lei, non posso fare a meno di sfiorarle le labbra con le dita.

Dio, sono due mesi che muoio per toccarti ancora.
« Si, lo penso anche io, ma ero così preoccupata a farmi venire una crisi isterica, da metterlo in secondo piano. In ogni suo gesto, ogni sua espressione, ci vedo te, amore. E il mio cuore si riempie di euforia, all’idea di aver dato alla luce un bambino perfetto come te. E’ quello che mi rende più felice » sorride. Per la prima volta, da ieri sera, mi sorride!
Le mie dita sfiorano anche i suoi denti, e i miei occhi vengono attratti come calamite, dalla sua bocca.
« Come noi, Bella. Perfetto come noi ».
« Come noi…».
La bacio, afferrandola per le spalle. Le mie labbra cercano dapprima le sue con cautela, scusandosi per l’improvvisa intrusione, ma al tempo stesso decise nel far capire loro che le brama da ormai troppo tempo. Lei risponde al mio attacco con una passione che avevo quasi dimenticato. Ci spogliamo a vicenda, e in pochi secondi sono dentro di lei, finalmente.
Mi muovo con gentilezza, sia perché sono passate otto settimane dall’ultima volta, ma soprattutto perché ho paura che la ferita appena rimarginata le possa fare male. Ma quando le sue mani si artigliano sui miei glutei, attirandomi verso il suo centro bollente, capisco che posso anche mettere da parte le mie paure. E spingo, spingo con tutto quello che ho, tenendo le sue cosce strette saldamente tra le mani.
« Bella, ti amo » le sussurro, sentendo la sensazione familiare dell’orgasmo intorpidire il mio corpo.
« Anche io amore, sono così vicina… » quando la sento contrarsi intorno a me, raggiungo il piacere - uno dei più potenti che abbia mai provato - e mi libero in lei.

 
Osservo Edward mentre dorme su di me, con un’espressione beata dipinta sul volto.
Il sesso che abbiamo fatto è stato semplicemente travolgente. E’ incredibile che siano passati due mesi, senza che abbia mai sentito un accenno particolare di desiderio, nei suoi confronti. Che sia colpa di Alexander? E’a questo che si riferiscono tutti, quando dicono che i primi mesi di un neonato significano zero intimità per i suoi genitori? Non ne ho idea. Ma non era mai capitato che passasse tutto questo tempo, prima che facessimo l’amore. Spero solo che Edward non pensi che non mi piaccia come prima, perché Dio, non potrebbe sbagliarsi di più. Chiudo gli occhi, e i ricordi di poche decine di minuti fa si riaffacciano nella mia testa, con prepotenza; le sue dita, che ghermiscono la pelle delle mie gambe, la sua bocca, che bacia tutti i punti che riesce a raggiungere, i suoi gemiti, i movimenti del suo bacino, che si scontra contro il mio, permettendo al suo membro di penetrarmi sempre più a fondo. L’orgasmo, fortissimo. Ho passato tutte queste settimane, senza ricordare cosa volesse dire essere una donna, sentirmi bramata. Ed Edward ci riesce così bene.
L’ho escluso praticamente dalla mia vita, non sono riuscita a spiegargli cosa mi stava succedendo. Ma come dire a tuo marito, che ti senti un’incapace, che a volte sei così spazientita, da auspicare di non doverti occupare più di tuo figlio? Non era così, quando l’aspettavo; il semplice pensiero di portare dentro di me una nuova vita, quella che io ed Edward avevamo creato, e che sarebbe stata solo nostra, mi rendeva ebbra di gioia. Una volta nato, Alexander aveva suscitato in me i sentimenti più disparati. Era così piccolo, indifeso, incapace di provvedere a se stesso. E io, oltre al desiderio di curarlo con tutto il mio amore, sentivo anche un dovere morale derivato dal nuovo ruolo che ricoprivo: quello di mamma. Non si era mai vista una donna che non riusciva ad essere anche un’ottima madre. Eppure, le prime volte che l’avevo tenuto stretto contro il mio petto, allattandolo o semplicemente cullandolo, avevo percepito una nota stonata. L’armonia che avrebbe dovuto risuonare, non c’era. Se da un lato il mio cuore scoppiava di tenerezza e affetto per lui, dall’altro mi lanciava un allarme costante: dovevo stare attenta, perché Alex era piccolo, delicato. Troppo. La mia insicurezza era cresciuta così in maniera esponenziale. Più lo stringevo, più temevo di potergli fare male. Nei momenti in cui ero con lui, non mi sentivo a mio agio, perché quella voce fastidiosa non faceva che tormentarmi, con i suoi dubbi. Il punto massimo della mia esasperazione, poi, era rappresentato dalle visite dei nostri parenti. Sembrava che tutti, nessuno escluso, ci sapesse fare con i bambini. Beh, per quanto riguarda i miei genitori e quelli di Edward, la cosa non poteva essere casuale, ma Emmett?! Jasper?! Perfino loro, i miei cognati, rubavano un sorriso al mio bambino. E quando mi avvicinavo io? Si rabbuiava, e il più delle volte scoppiava a piangere. Era tranquillo solo quando lo allattavo. Traditore.
Mi ero abbattuta al punto di trovare le scuse più disparate per tenerli lontani da casa. Ed Edward se n’era accorto. Del resto, non era scemo. Se mi vedeva in difficoltà col piccolo, veniva subito in mio soccorso, facendo finta di niente. Non mi si rivolgeva direttamente, chiedendomi se avessi dei problemi, ma dal suo sguardo capivo che era preoccupato.
Che si stesse chiedendo se sua moglie non fosse impazzita? E se andando avanti questa situazione l’avrebbe stancato e spinto a cercare l’affetto di un’altra donna? In queste otto settimane non solo non mi ero occupata di mio figlio come avrei voluto, ma avevo ignorato anche  mio marito. Così non va per niente bene.
Come mai ci sto pensando solo adesso? E’ per via delle parole di Edward? Si, probabilmente. In tutto questo tempo, non mi aveva mai parlato con schiettezza, come stasera. Si era limitato ad offrirmi il suo aiuto, in silenzio. Forse è giunto il momento di confidarmi con lui. Che senso ha che una coppia si definisca tale, se i suoi componenti non si aprono e non si sostengono l’uno con l’altro? Edward mi ha sempre ascoltato, non si è mai dimostrato scocciato all’idea di sentire le mie lamentele su un mucchio di cose. Se voglio migliorare e sentirmi più sicura come mamma, devo coinvolgerlo nelle mie preoccupazioni. E’ proprio così…
« Edward ».
« Mmmm ».
« Edward » lo chiamo di nuovo, passando le dita tra i suoi capelli, all’altezza della nuca.
« Umm?! Bella, amore, che c’è? ».
« Spesso… mi capita di pensare che quando Alex era ancora nella mia pancia, tutto era più facile. Guardavo il mio ombelico, e mi dicevo che finché lui fosse rimasto lì dentro, sarei stata in grado di proteggerlo da qualsiasi cosa e di sapere quali fossero i suoi bisogni. Fissavo questa piccola, insignificante cicatrice e mi sentivo la madre migliore del mondo… ».
« Oh, amore, ma tu sei la madre migliore del mondo! » sta biascicando, mi rendo conto di aver scelto il momento meno adatto per iniziare una conversazione tanto complicata.
Ma ho appena deciso di essere sincera sempre, e queste parole sentivo di dovergliele proprio dire.
« Si, certo, proprio la migliore… » l’altra mano che era appoggiata sul letto, è ora sul mio viso, a coprirmi gli occhi. E’ già tanto che io riesca ad esternare tutto questo, figuriamoci che mi convinca di essere davvero brava.
Edward si solleva dal mio petto, e appoggia entrambi i gomiti sul materasso, ai lati della mia vita. Mi scruta con un’espressione scettica.
« Smettila di farti questo, Isabella. Il semplice fatto che tu ti sia posta il problema, che ti sia chiesta che fossi in grado di accudire tuo figlio, ti rende una delle madri migliori del mondo, credimi. Io penso che il primo passo sia quello di mettere da parte chi siamo e cosa vogliamo e pensare prima di tutto al suo bene. E tu lo fai, lo fai dal giorno in cui abbiamo fatto il test di gravidanza insieme. Non hai fatto altro, amore » i suoi occhi sono così dolci, lo specchio della sua anima.
« Si, non ho fatto altro, eppure non sono migliorata molto » mi acciglio, ripensando a tutte le nottate passate in piedi a cercare di farlo smettere di piangere.
« Shhh, ne abbiamo già parlato, quello non vuol dire niente. Permettimi di aiutarti di più, ed insieme non avremo problemi, vedrai Bella ».
Mi sorride, e lo vedo; non ha paura, o se ce l’ha, è riuscito a metterla da parte per qualcos’altro. Amore. Fiducia. Gioia.
E’ a questo che devo pensare, la gioia e la fortuna che ho, ad avere Edward e Alex nella mia vita.
« Lo sto già facendo, te l’ho detto proprio perché voglio che mi aiuti… ».
« Si, amore. È così che deve essere. Insieme, ricordi? Non c’è niente che non possiamo risolvere, insieme. Te l'assicuro ».
« Insieme ».
Allunga una mano sulla mia, intrecciando le nostre dita.
Mai una parola ha avuto un significato tanto importante, per me.

 

 

 

 

 

Bene, questo è tutto.

Questa os è una delle prime cose in assoluto che scrivo, e spero che l’abbiate apprezzata. E’ nata come una sorta di compito. Ho chiesto a keska di darmi una parola qualsiasi, e su quella avrei dovuto costruire una one-shot di minimo sei pagine, con entrambi i PoV di Bella ed Edward. Visto che la scrittura di questa piccola storia è coincisa con lo svolgimento del Contest sulla maternità che noi due avevamo proposto a tutte le autrici interessate, mi è venuto fin troppo facile collegare la parola “ombelico” ad una gravidanza.
Mi piacerebbe sviluppare una storia più lunga un giorno, perciò spero che continuerete a seguirmi.
Fatemi sapere le vostre considerazioni, sono molto curiosa di sentirle.
Grazie per aver letto.

 

 

 

 

 

 

                                                                   

 

  
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