In
una notte di giugno insolitamente calda per una piccola cittadina dello
stato
di Washington, nella sua camera da letto, Isabella si agita sotto le
lenzuola.
Si è risvegliata da un sogno a dir poco ridicolo.
È di nuovo alle scuole
superiori e abbandona l’aula di biologia, nel bel mezzo di
una lezione, per
correre in bagno. Sente che se non si sbrigherà, si
farà la pipì addosso. Il
solo pensiero è esilarante e al tempo stesso terrificante.
Ha diciassette anni,
un fidanzato, e una famiglia normalissima; decisamente troppo presto
per
diventare incontinente. Scorge l’insegna alla fine del
corridoio che indica il
bagno delle ragazze, e gioisce mentalmente.
Non
si dovrà umiliare davanti ai suoi compagni di scuola,
spiegando loro perché i
suoi jeans sono zuppi. Sta ancora sorridendo, quando sente il primo
rivolo di
liquido caldo scorrerle lungo l’interno coscia. «
Oh, merda! ». Si affretta a
raggiungere il locale, ma è troppo tardi. I muscoli che
tanto bene hanno
lavorato fino a quel momento, nel rimanere contratti ed evitare il
peggio hanno
ceduto, ed il tessuto dei suoi pantaloni si è bagnato,
aderendo perfettamente
alla sua intimità e alle gambe. Spalanca gli occhi, e
registra la stessa
sensazione di bagnato che ha provato poc’anzi. Subito un
pensiero si fa strada
con straziante angoscia, nella sua testa: mi
si sono rotte le acque.
Non
può elaborare altro, la sua bocca è
già aperta e chiama suo marito, che le
dorme accanto. « Edward… ».
La
risposta è un silenzio di tomba.
«
Edward, svegliati… ».
Edward
muove leggermente la testa, come a cercare di allontanare la voce che
tenta di
richiamarlo indietro dal suo mondo
dei sogni.
«
Edward, mi si sono rotte le acque e se non ti svegli subito, temo che
partorirò
il bambino nel nostro letto ».
Edward
ci mette cinque secondi a registrare quelle parole, prima di scattare
verso
l’alto e voltarsi in direzione della donna che ha parlato.
È
ancora troppo addormentato per mantenere un perfetto equilibrio, ma al
tempo
stesso troppo scioccato, per fermarsi a pensare quanto si senta stanco.
Perciò appoggia
un braccio sul materasso per sostenersi, e parla.
«
Cazzo, amore, sei sicura?! » le domanda con apprensione, il
cuore che gli
scoppia nel petto.
Non
ha il tempo di ricevere una risposta, gli basta registrare la
sensazione di
umido a contatto con il fondoschiena e la porzione delle gambe che
tocca il
lenzuolo.
Dopo
una buona mezz’ora passata a misurare in tutta la sua
lunghezza il corridoio adiacente
alla sala parto, sente dei vagiti provenire proprio da quella stanza,
talmente
forti da suonare più come una richiesta d’aiuto,
che come una presentazione al
mondo.
Non
ha assistito alla nascita del suo bambino.
Isabella
l’ha sbattuto fuori all’ennesimo “
dottore, lei non capisce un cazzo, mio
figlio deve nascere adesso, e le conviene aiutarlo subito!”.
Il
dottore in questione non ha mandato giù l’ennesima
ingerenza di un giovane padre
troppo coinvolto emotivamente, per rimanere lucido. Lo ha invitato ad
allontanarsi,
e sua moglie gli ha dato manforte.
Così
ora si ritrova lì, con il fiato corto e le lacrime pronte a
straripare dal
confine limitato rappresentato dai suoi occhi, da un momento
all’altro.
Non
si vergogna di essere così, di lasciarsi prendere dalle
emozioni, e soprattutto
di esternarle in qualunque momento, davanti a qualsiasi persona.
E
quello stronzo
del dr. Frederick si è meritato dalla prima
all’ultima parola che gli ho detto.
Mi è stato sulle palle dal primo giorno che l’ho
visto.
Uno come lui è troppo
giovane, troppo
sicuro di sé, troppo belloccio per
essere
un ginecologo. Scommetto che ha scelto quella specializzazione solo per
metter
le mani sul maggior numero possibile di vagine.
«
Signor Cullen? » l’infermiera lo trova girato di
spalle, la testa piegata in
avanti e le mani affondate tra i capelli.
Non
è una novità per lei, avere a che fare con uomini
che, in attesa di diventare
padri, perdono la testa.
Quello
che la colpisce, è la forza con la quale il ragazzo sembra
stringersi i
capelli; teme che da un momento all’altro se li possa
strappare via.
Non
ha idea dello stress e della preoccupazione a cui Edward è
sottoposto. L’idea
che possa accadere qualcosa di brutto a sua moglie e suo figlio, lo
rende
letteralmente incapace di continuare a respirare.
La
donna si schiarisce la voce, cercando di richiamare la sua attenzione
più
efficacemente.
« Signor Cullen, non vuole
conoscere suo figlio?».
Non
c’è bisogno di aggiungere altro. Edward si volta e
raggiunge il fagottino
celeste stretto tra le mani sapienti dell’operatrice
sanitaria, a grosse
falcate.
Nella
sua testa rimbombano due semplici ma significative parole: mio figlio.
Allunga
le braccia, al tempo stesso estasiato e timoroso di fare male a
quell’esserino morbido e minuscolo, rispetto al suo metro e
ottantacinque d’altezza.
Non
appena lo stringe a sé, e guarda quegli occhi rotondi e
scuri che il bambino
sbatte senza sosta, si sente diverso. Come se quella notte, invece che
una sola
persona, ne siano nate due.
Subito
dopo aver riconsegnato il piccolo all’infermiera, riesce
vedere anche Isabella.
Entrando nella stanza che la ospita, nota la
sua espressione stanca e provata e il
sudore che ancora le bagna la fronte, le guance e i capelli.
Nonostante
il chiaro disordine del suo stato, il semplice camice chiaro di cotone
fornito
dall’ospedale che indossa, e la totale mancanza di trucco sul
viso, la trova la
donna più bella del mondo. Il suo cuore, se possibile, batte
per lei ancora più
forte, ora che gli ha donato un figlio. Il loro bambino. Sente che ora
che nel
mondo esiste il frutto del loro amore, il legame che li unisce si
è fatto
indissolubile.
Ha
l’intenzione di proteggere i suoi due tesori a qualsiasi
costo. Con questa
convinzione, si avvicina al letto di Isabella, fissandola negli occhi.
«
Amore… » si china a baciarle la fronte.
«
Edward, sei riuscito a vederlo? ».
«
Si, è bellissimo. E’ ancora presto per capire di
che colore siano i suoi occhi,
ma i pochi capelli che ha, sono decisamente del tuo colore »
le sorride,
spostandole una ciocca di capelli dagli occhi e sistemandogliela dietro
l’orecchio.
Lei
ride, divertita della sua osservazione.
«
Si, l’ho notato, anche se col tempo potrebbero schiarirsi
oppure avere dei
riflessi ramati, come i tuoi. La sua bocca è di sicuro
identica alla tua, così
come la forma del naso. Da me ha preso davvero poco » gli
risponde,
socchiudendo per un attimo gli occhi, per potere visualizzare meglio
l’aspetto
del suo bambino.
«
Una cosa è certa – aggiunge –
è il neonato più bello che si sia mai visto. Di
solito i bambini appena nati sono tutti rugosi, contratti, con la pelle
arrossata. Lui, a
parte aver urlato
disperatamente per un minuto scarso, subito dopo essere
stato appoggiato sul mio petto, si è stretto
contro la mia pelle con un’espressione corrucciata, per poi
rilassarsi
completamente e cadere in uno stato di semi-incoscienza ».
«
Come biasimarlo amore, dopo aver vissuto per quasi nove mesi dentro una
donna
tanto meravigliosa? » le dice lui, lasciandole un altro bacio
sulla guancia, «
io stesso, al suo posto, non avrei mai permesso a nessuno di separarmi
da te »
le sorride, facendola rimanere senza fiato.
«
Edward, non mi sorridere così… » Bella
abbassa lo sguardo, arrossendo.
«
Perché, ti da forse fastidio amore? » il sorriso
di Edward si allarga
ampiamente, e il ragazzo sfiora con delicatezza il mento della moglie,
costringendola a guardarlo negli occhi.
«
No, ma ho appena partorito, e lo sai che il tuo sorriso mi fa fare
strani
pensieri. E in questo momento, il sesso deve essere l’ultima
delle mie
preoccupazioni. Ho appena subito una episiotomia mediana, ho 4 punti
tra la mia
vagina e il sedere. Direi che non voglio vedere niente che appartenga
al tuo
corpo dalla cintola in giù, per mooolto tempo ».
«
Ugh. Quanto sarebbe esattamente, questo tempo? ».
«
Almeno otto settimane… è il minimo secondo le
indicazioni del dottore » smette
di fissarlo, puntando invece gli occhi sulla piccola porzione di petto
rivelata
dai primi bottoni della sua camicia, lasciati aperti. «
Perciò evita di provocarmi.
E chiuditi la camicia ».
Edward
scoppia a ridere, abbracciandola.
«
Amore, ti adoro quando dici queste cose ».
«
Sono seria ».
«
Certo, certo, lo so… » la sua mente, ad ogni modo,
pensa esattamente il
contrario.
Uno
strano
rumore. Si, sento un rumore. E’ persistente, e sempre
più forte. Sembra quasi
un lamento… non quasi, è un lamento. Un gatto che
miagola, senza sosta? No, non
può appartenere ad un animale. È umano. Si
interrompe solo per qualche secondo,
cosicché chi lo sta emettendo possa riprendere fiato. Ormai
mi ha svegliato;
apro gli occhi. E’ tutto buio, il corpo di Bella è
accanto al mio, lo
percepisco dal calore che emana. Mi volto nella sua direzione e mi
scontro con
due occhi spalancati, che mi fissano. « Edward » mi
dice, allungando una mano
per accarezzarmi il viso, « Edward non è niente,
rimettiti a dormire ».
« Non è niente?
Ma lo senti?! E’ insopportabile, è impossibile
ignorarlo » le rispondo, facendo
per alzarmi. Lei mi afferra per un braccio, esercitando tutta la forza
che
possiede, per bloccarmi. « Ti dico che non è
niente. Dormi ».
Si, potrei
dormire, in fin dei conti, mi sento distrutto… socchiudo gli
occhi, ma il suono
acuto che giunge alle mie orecchie, mi ridesta subito.
« No, devo
andare a controllare ». Mi alzo, liberandomi della sua mano
che di nuovo ha
cercato di fermarmi. Penso che nel comportamento di mia moglie ci sia
qualcosa
di strano, ma non riesco a ragionare, a capirne il perché.
Riesco a pensare
solo al lamento, alla sua disperazione, alla sua capacità di
entrarmi dentro e
farmi sentire profondamente triste e inerme. Esco dalla stanza e lo
sento più
chiaramente. Proviene dalla mia destra, così lo seguo, fino
a raggiungere
un’altra porta della casa, aperta. E’ troppo buio
perché riesca a mettere a
fuoco qualcosa, ma il lamento è talmente energico, che so
che proviene da lì.
Entro, e una volta all’interno della stanza, abbasso
automaticamente lo
sguardo. Nell’istante esatto in cui compio
l’azione, vedo una culla e
la sagoma di un neonato, piccolissimo. È sul
pavimento, e mi da le spalle. E’ caduto dal suo lettino, mi
dico. Devo
aiutarlo.
Allungo le mani
e stringo il suo corpicino tenero tra le dita, facendo attenzione a non
fargli
del male. Lo rigiro verso di me, ed è allora che la vista
del suo viso mi
colpisce, come un pungo nello stomaco. I suoi connotati sono distorti
in una
maschera di dolore e paura. Le sue urla mi feriscono. Piange,
così intensamente
da non riuscire più a respirare. Prende dei respiri sempre
più profondi, per
poi ricominciare. Per un attimo solo riapre gli occhi, ed è
allora che una
vocina dentro di me lo riconosce.
Alexander…
Apro
gli occhi di scatto, boccheggiando.
«
Alexander… Bella… » le mie sono parole
impastate dal sonno e dalla confusione,
dovute al sogno appena fatto, che in quel momento mi sembra ancora
terribilmente reale. Allungo una mano, per accettarmi che lei sia
accanto a me,
ma le mie dita sfiorano solo delle lenzuola fredde. Il pianto a pieni
polmoni,
però, c’è sempre.
Mi
metto a sedere sul letto, e solo allora mi accorgo del piccolo
spiraglio di
luce che filtra nella camera dal corridoio. « Cazzo
».
In
trenta secondi sono nel salone, davanti ad una Bella esasperata che
cerca in
ogni modo di cullare con dolcezza il nostro bambino per farlo
rilassare, ma
evidentemente incapace di farlo, piange a sua volta e gli chiede di
smetterla.
Alexander, che per niente al mondo sembra disposto ad obbedire alla sua
mamma,
continua a strepitare. Non appena mi vede, lei si volta, dandomi le
spalle e
cerca di asciugare le lacrime come meglio può. È
così da quasi due mesi. Da
quando siamo tornati a casa dall’ospedale. Niente
sesso, e nervi a fior di pelle.
Ogni
volta che non riesce a farlo calmare subito, va nel panico e perde il
controllo
della situazione. Pensa di non essere brava, solo perché il
suo tocco non lo
manda automaticamente in estasi. Assurdo.
«
Am- » non mi fa pronunciare nemmeno una sillaba, che mi
zittisce. Brutto segno.
«
Zitto Edward, per favore. Ora non ho davvero bisogno delle tue parole
del cazzo
» tira su col naso, continua ad agitare le braccia che
tengono stretto
Alexander, scuote la testa.
Il
bambino, in tutto questo, non fa che strillare, e strillare, e
strillare.
E’
esasperata,
Edward. Ormai potrebbe dirti qualsiasi cosa, ma lo fa solo
perché è stanca.
Chissà da quanto tempo è qui, mentre tu
dormivi…
giusto, ma devo
pur sempre fare qualcosa.
«
Non ho intenzione di dirti niente, non agitarti amore » cerco
di risponderle
con cautela, alzando addirittura le mani a mezz’aria, con i
palmi rivolti nella
sua direzione. Vengo in pace, Bella. Lei
si volta di scatto, puntando i suoi occhi gonfi ed iniettati di sangue
nei
miei. E’ a dir poco furiosa. E stanca, sconvolta,
demoralizzata. Sul suo volto
sono leggibili perlomeno una decina di emozioni diverse.
Se
uno sguardo potesse uccidere, il suo mi avrebbe già fatto a
pezzi.
Ripetutamente.
«
DEVO CALMARMI?! Oh Edward, ora si che mi sento meglio, davvero. Grazie,
per
aver alzato il tuo culo dal letto ed essere venuto qui, a dirmi di
farlo. Ora
che mi hai illuminato, saprò finalmente far addormentare tuo
figlio » ansima,
sembra spiritata.
« Bella, ti prego… ascoltami ».
«
No. Sono stufa di sentirmi dire da tutti, te compreso, come devo fare
per
prendermi cura di mio figlio! Non fate altro che starmi addosso e
correggermi.
Mi state esasperando, mi sminuite, mi riempite di insicurezze. Ho
bisogno di
tranquillità e non dei vostri occhi sempre pronti a
giudicare puntati addosso!
».
Ahi.
questo fa
davvero male.
«
M-ma io-» mi interrompe di nuovo.
«
Basta Edward, levati quell’aria da saputello dal viso e
ritorna in camera. Io
sono sua madre, devo riuscire a fare tutto da sola. Pensate che non ne
sia
capace, ma vi dimostrerò il contrario » la sua
voce viene meno con l’ultima
parola, e nella stanza risuona un suo singhiozzo.
Non
so bene cosa dire; temo che qualsiasi parola non farebbe altro che
alimentare
la sua rabbia. Sono ferito da quello che mi ha appena detto, ma solo
perché non
voglio che abbia una considerazione di me tanto bassa. Così,
opto per un
approccio fisico, perché voglio rassicurarla e non
innervosirla ancora. Mi avvicino
a lei a piccoli passi, non interrompendo mai il nostro contatto visivo.
Lei
mi osserva, e il suo sguardo si addolcisce leggermente. Sta leggendo
nei miei
occhi quello che voglio comunicarle, sa che non era mia intenzione
offenderla o
farla sentire un’isterica. Tutto quello che voglio,
è che lei si senta in pace
con se stessa e non si torturi dalle preoccupazioni.
Alexander
deve percepire il suo rilassamento, perché anche lui
comincia a calmarsi.
Quando li ho raggiunti, entrambi hanno smesso di piangere e mi
guardano,
rapiti.
Se
solo mi
avessi chiesto aiuto prima amore mio.
«
Oh, Edward! » Bella serra gli occhi e si abbandona contro il
mio petto,
stremata. Automaticamente stringo un braccio intorno alla sua vita e
uno
intorno a nostro figlio.
«
Shhh, non piangere amore. Mi spezzi il cuore. Va tutto bene, ci sono io
qui con
te e non ti lascio » le sussurro nell’orecchio,
dandole un bacio sulla tempia.
«
Lasciami prendere Alex, e torniamo in camera tutti insieme. Ti va?
» le
accarezzo i capelli e appoggio la fronte contro la sua, sopraffatto
dall’amore
che provo per lei. E’ tutto il mio mondo, e la sua
fragilità richiama
sentimenti che non pensavo avrei mai provato, in vita mia. Dolcezza.
Senso di
protezione. Strazio. Potrei letteralmente morire per lei. Farei
qualsiasi cosa
per vederla sorridere.
Bella
muove la testa, strofinando la sua pelle contro la mia.
«
Sono qui amore mio. Andiamo ».
Annuisce
semplicemente, e mi segue senza aggiungere più una parola.
Qualche
ora più tardi, la tengo stretta tra le braccia,
accarezzandole con delicatezza
la schiena coperta dal pigiama. Lei mi stringe con tutta la forza che
possiede.
Le sue braccia sono serrate intorno alla mia vita, le gambe ai miei
fianchi. Il
suo viso poggia contro il mio petto, e ogni tanto lo bacia, quasi
timorosa.
«
Ti senti meglio? » le domando, fissando il soffitto.
«
Si… » la sua voce è quasi
impercettibile, e la sento tirare su col naso. Dopo
tutto questo tempo, ancora riesce a piangere. Mi domando come il suo
corpo
possa fornirle ancora dei liquidi da sprecare così.
«
Bella, tesoro, non c’è niente di sbagliato nel
chiedere aiuto, per quanto
riguarda Alex. Ci sono io, ci sono i tuoi genitori, i miei. Le mie
sorelle
impazzirebbero per poter passare più tempo con il loro
nipotino, e credo che
perfino Emmett sarebbe entusiasta di avere un compagno di giochi della
sua
stessa età mentale » strozza una risatina, alle
mie parole.
«
Non sei una super-donna, non puoi imparare in nessun modo come
comportarti con
un neonato, se non con l’esperienza. E questo vuol dire anche
“sbagliare” »
mimo con le dita la forma delle virgolette, « non voglio
vederti mai più così
disperata. Mai più. Promettimi che ti aprirai di
più con me. Promettimi che mi
dirai tutto quello che ti passa per la testa ».
«
Edward, non credo che tu voglia sapere davvero tutto
ciò che la mia mente malata pensa. Ti
deluderei e
basta, ed è l’ultima cosa che voglio fare.
Credimi. » aumenta, se possibile, la
pressione della sua stretta sul mio corpo. Oh,
piccola mia.
«
Shhh, non lo pensare nemmeno. E sai perché?
Perché so perfettamente cosa ti
preoccupa: temi di non essere una buona madre, perché quando
Alex piange e non
riesci a farlo smettere, spesso ti auguri di non essere rimasta incinta. Hai paura di non riuscire
ad amare tuo figlio
quanto vorresti o dovresti, di avere sempre qualcosa in meno rispetto
alle
altre madri ».
«
Oddio, Edward, come fai a saperlo? » alza la testa e mi
fissa, a bocca aperta.
«
Lo so perché sono le mie stesse preoccupazioni, a parte
rimanere incinta e non
essere una buona madre, ovviamente » le sorrido, «
io stesso mi sono chiesto se
avessimo fatto bene ad avere un bambino così presto - visto
che siamo sposati
da soli due anni - e se fossi in grado di occuparmi di lui come un
padre
dovrebbe fare: con tutte le responsabilità annesse e
connesse. E beh, la mia
conclusione è che entrambi ce la caveremo, e sai
perché? ».
« Perché? » mi guarda, come se
fossi il Papa che si accinge a rivelare il quarto segreto di Fatima.
«
Perché alla base del nostro rapporto ci sono
l’amore e la stima. Alexander è
senza ombra di dubbio il frutto di un matrimonio felice. Comunque
dovessero
andare le nostre vite, questo
non cambierà mai. E’ un bambino voluto,
è nostro, è un miracolo. Ogni volta che
lo guardo, non posso fare a meno di pensarlo e di desiderare la sua
felicità ».
«
Oh Edward, come fai a dire sempre la cosa più intelligente,
e io ad essere
sempre così stupida?! ».
«
Non sarai mai stupida, amore. E non ho detto niente di che, non lo
pensi forse
anche tu? » le chiedo ancora, alzandomi dal cuscino per
lasciarle un bacio sul
nasino morbido. Quando mi allontano da lei, non posso fare a meno di
sfiorarle
le labbra con le dita.
Dio,
sono due
mesi che muoio per toccarti ancora.
«
Si, lo penso anche io, ma ero così preoccupata a farmi
venire una crisi
isterica, da metterlo in secondo piano. In ogni suo gesto, ogni sua
espressione, ci vedo te, amore. E il mio cuore si riempie di euforia,
all’idea
di aver dato alla luce un bambino perfetto come te. E’ quello
che mi rende più
felice » sorride. Per la prima volta, da ieri sera, mi
sorride!
Le
mie dita sfiorano anche i suoi denti, e i miei occhi vengono attratti
come
calamite, dalla sua bocca.
«
Come noi, Bella. Perfetto come noi ».
«
Come noi…».
La
bacio, afferrandola per le spalle. Le mie labbra cercano dapprima le
sue con
cautela, scusandosi per l’improvvisa intrusione, ma al tempo
stesso decise nel
far capire loro che le brama da ormai troppo tempo. Lei risponde al mio
attacco
con una passione che avevo quasi dimenticato. Ci spogliamo a vicenda, e
in
pochi secondi sono dentro di lei, finalmente.
Mi
muovo con gentilezza, sia perché sono passate otto settimane
dall’ultima volta,
ma soprattutto perché ho paura che la ferita appena
rimarginata le possa fare
male. Ma quando le sue mani si artigliano sui miei glutei, attirandomi
verso il
suo centro bollente, capisco che posso anche mettere da parte le mie
paure. E
spingo, spingo con tutto quello che ho, tenendo le sue cosce strette
saldamente
tra le mani.
«
Bella, ti amo » le sussurro, sentendo la sensazione familiare
dell’orgasmo
intorpidire il mio corpo.
«
Anche io amore, sono così vicina… »
quando la sento contrarsi intorno a me,
raggiungo il piacere - uno dei più potenti che abbia mai
provato - e mi libero
in lei.
Osservo
Edward mentre dorme su di me, con un’espressione beata
dipinta sul volto.
Il
sesso che abbiamo fatto è stato semplicemente travolgente.
E’ incredibile che
siano passati due mesi, senza che abbia mai sentito un accenno
particolare di
desiderio, nei suoi confronti. Che sia colpa di Alexander?
E’a questo che si
riferiscono tutti, quando dicono che i primi mesi di un neonato
significano
zero intimità per i suoi genitori? Non ne ho idea. Ma non
era mai capitato che
passasse tutto questo tempo, prima che facessimo l’amore.
Spero solo che Edward
non pensi che non mi piaccia come prima, perché Dio, non
potrebbe sbagliarsi di
più. Chiudo gli occhi, e i ricordi di poche decine di minuti
fa si riaffacciano
nella mia testa, con prepotenza; le sue dita, che ghermiscono la pelle
delle
mie gambe, la sua bocca, che bacia tutti i punti che riesce a
raggiungere, i
suoi gemiti, i movimenti del suo bacino, che si scontra contro il mio,
permettendo al suo membro di penetrarmi sempre più a fondo.
L’orgasmo,
fortissimo. Ho passato tutte queste settimane, senza ricordare cosa
volesse
dire essere una donna, sentirmi bramata.
Ed Edward ci riesce così bene.
L’ho
escluso praticamente dalla mia vita, non sono riuscita a spiegargli
cosa mi
stava succedendo. Ma come dire a tuo marito, che ti senti
un’incapace, che a
volte sei così spazientita, da auspicare di non doverti
occupare più di tuo
figlio? Non era così, quando l’aspettavo; il
semplice pensiero di portare
dentro di me una nuova vita, quella che io ed Edward avevamo creato, e
che
sarebbe stata solo nostra, mi rendeva ebbra di gioia. Una volta nato,
Alexander
aveva suscitato in me i sentimenti più disparati. Era
così piccolo, indifeso,
incapace di provvedere a se stesso. E io, oltre al desiderio di curarlo
con
tutto il mio amore, sentivo anche un dovere morale derivato dal nuovo
ruolo che
ricoprivo: quello di mamma. Non si era mai vista una donna che non
riusciva ad
essere anche un’ottima madre. Eppure, le prime volte che
l’avevo tenuto stretto
contro il mio petto, allattandolo o semplicemente cullandolo, avevo
percepito
una nota stonata. L’armonia che avrebbe dovuto risuonare, non
c’era. Se da un
lato il mio cuore scoppiava di tenerezza e affetto per lui,
dall’altro mi
lanciava un allarme costante: dovevo stare attenta, perché
Alex era piccolo,
delicato. Troppo. La mia insicurezza era cresciuta così in
maniera
esponenziale. Più lo stringevo, più temevo di
potergli fare male. Nei momenti
in cui ero con lui, non mi sentivo a mio agio, perché quella
voce fastidiosa
non faceva che tormentarmi, con i suoi dubbi. Il punto massimo della
mia
esasperazione, poi, era rappresentato dalle visite dei nostri parenti.
Sembrava
che tutti, nessuno escluso, ci sapesse fare con i bambini. Beh, per
quanto
riguarda i miei genitori e quelli di Edward, la cosa non poteva essere
casuale,
ma Emmett?! Jasper?! Perfino loro, i miei cognati, rubavano un sorriso
al mio
bambino. E quando mi avvicinavo io? Si rabbuiava, e il più
delle volte
scoppiava a piangere. Era tranquillo solo quando lo allattavo. Traditore.
Mi
ero abbattuta al punto di trovare le scuse più disparate per
tenerli lontani da
casa. Ed Edward se n’era accorto. Del resto, non era scemo.
Se mi vedeva in
difficoltà col piccolo, veniva subito in mio soccorso,
facendo finta di niente.
Non mi si rivolgeva direttamente, chiedendomi se avessi dei problemi,
ma dal
suo sguardo capivo che era preoccupato.
Che
si stesse chiedendo se sua moglie non fosse impazzita? E se andando
avanti
questa situazione l’avrebbe stancato e spinto a cercare
l’affetto di un’altra
donna? In queste otto settimane non solo non mi ero occupata di mio
figlio come
avrei voluto, ma avevo ignorato anche
mio marito. Così non
va per niente
bene.
Come
mai ci sto pensando solo adesso? E’ per via delle parole di
Edward? Si,
probabilmente. In tutto questo tempo, non mi aveva mai parlato con
schiettezza,
come stasera. Si era limitato ad offrirmi il suo aiuto, in silenzio.
Forse è
giunto il momento di confidarmi con lui. Che senso ha che una coppia si
definisca tale, se i suoi componenti non si aprono e non si sostengono
l’uno
con l’altro? Edward mi ha sempre ascoltato, non si
è mai dimostrato scocciato
all’idea di sentire le mie lamentele su un mucchio di cose.
Se voglio
migliorare e sentirmi più sicura come mamma, devo
coinvolgerlo nelle mie
preoccupazioni. E’ proprio
così…
«
Edward ».
«
Mmmm ».
«
Edward » lo chiamo di nuovo, passando le dita tra i suoi
capelli, all’altezza
della nuca.
«
Umm?! Bella, amore, che c’è? ».
«
Spesso… mi capita di pensare che quando Alex era ancora
nella mia pancia, tutto
era più facile. Guardavo il mio ombelico, e mi dicevo che
finché lui fosse
rimasto lì dentro, sarei stata in grado di proteggerlo da
qualsiasi cosa e di
sapere quali fossero i suoi bisogni. Fissavo questa piccola,
insignificante
cicatrice e mi sentivo la madre migliore del mondo…
».
«
Oh, amore, ma tu sei la madre migliore del mondo! » sta
biascicando, mi rendo
conto di aver scelto il momento meno adatto per iniziare una
conversazione
tanto complicata.
Ma
ho appena deciso di essere sincera sempre, e queste parole sentivo di
dovergliele proprio dire.
«
Si, certo, proprio la migliore… »
l’altra mano che era appoggiata sul letto, è
ora sul mio viso, a coprirmi gli occhi. E’ già
tanto che io riesca ad esternare
tutto questo, figuriamoci che mi convinca di essere davvero brava.
Edward
si solleva dal mio petto, e appoggia entrambi i gomiti sul materasso,
ai lati
della mia vita. Mi scruta con un’espressione scettica.
«
Smettila di farti questo, Isabella. Il semplice fatto che tu ti sia
posta il
problema, che ti sia chiesta che fossi in grado di accudire tuo figlio,
ti
rende una delle madri migliori del mondo, credimi. Io penso che il
primo passo
sia quello di mettere da parte chi siamo e cosa vogliamo e pensare
prima di
tutto al suo bene. E tu lo fai, lo fai dal giorno in cui abbiamo fatto
il test
di gravidanza insieme. Non hai fatto altro, amore » i suoi
occhi sono così
dolci, lo specchio della sua anima.
«
Si, non ho fatto altro, eppure non sono migliorata molto » mi
acciglio, ripensando
a tutte le nottate passate in piedi a cercare di farlo smettere di
piangere.
«
Shhh, ne abbiamo già parlato, quello non vuol dire niente.
Permettimi di
aiutarti di più, ed insieme non avremo problemi, vedrai
Bella ».
Mi
sorride, e lo vedo; non ha paura, o se ce l’ha, è
riuscito a metterla da parte
per qualcos’altro. Amore.
Fiducia. Gioia.
E’
a questo che devo pensare, la gioia e la fortuna che ho, ad avere
Edward e Alex
nella mia vita.
«
Lo sto già facendo, te l’ho detto proprio
perché voglio che mi aiuti… ».
«
Si, amore. È così che deve essere. Insieme,
ricordi? Non c’è niente che non
possiamo risolvere, insieme. Te l'assicuro ».
«
Insieme ».
Allunga
una mano sulla mia, intrecciando le nostre dita.
Mai
una parola ha avuto un significato tanto importante, per me.
Bene,
questo è tutto.
Questa
os è una delle prime cose in
assoluto che scrivo, e spero che l’abbiate apprezzata.
E’ nata come una sorta
di compito. Ho chiesto a keska di darmi una parola qualsiasi, e su
quella avrei
dovuto costruire una one-shot di minimo sei pagine, con entrambi i PoV
di Bella
ed Edward. Visto che la scrittura di questa piccola storia è
coincisa con lo
svolgimento del Contest sulla maternità che noi due avevamo
proposto a tutte le
autrici interessate, mi è venuto fin troppo facile collegare
la parola
“ombelico” ad una gravidanza.
Mi piacerebbe sviluppare una storia più
lunga un giorno, perciò spero che continuerete a seguirmi.
Fatemi sapere le vostre considerazioni,
sono molto curiosa di sentirle.
Grazie per aver letto.