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Autore: Iurin    25/03/2011    7 recensioni
Questa storia sarà... strana. Non ci sarà né romanticismo né quant'altro, nessuna storia d'amore, nessuna ragazza che cerca l'uomo perfetto.
Ci sarà, semplicemente, Willy Wonka.
E come potete capire dal titolo, è un Willy Wonka piuttosto... particolare.
L'altro giorno, infatti, stavo guardando per la diecimlionesima volta La fabbrica di cioccolato (xD) e sono giunta ad una conclusione: Willy Wonka è CATTIVO.
Certo, entro i limiti del possibile xD
Ma non potevo non rimanere turbata mentre guardavo la sua espressione compiaciuta quando a qualche bambino capitava qualcosa di...sì, diciamo di brutto.
E così nasce questa fanfiction! Farò rivivere le avventure dei 5 bambini all'interno della fabbrica, ma tutto sarà visto dal punto di vista di Willy, con tutti i suoi pensieri su quello che gli sta accadendo intorno. I suoi sadici pensieri xD
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti, Willy Wonka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


Willy Wonka odiava i bambini.
Li odiava perché lui stesso era potuto rimanere bambino per troppo poco tempo.
Si ricordava di quando, da giovane, andava a scuola, studiava, camminava per le strade e quando, in altre e simili circostanze, incontrava quei bambini, con i loro denti perfetti.
Lui no… Lui aveva i denti normali. Non perfetti… Giusti. Ma lui doveva averli perfetti; altrimenti suo padre, il dentista più famoso della città, non avrebbe potuto mostrare agli altri la sua bravura, non avrebbe potuto dire:
“Guardate mio figlio! Ha i denti più perfetti della città! Degno figlio del dentista più famoso della città!”
Willy Wonka odiava gli altri bambini.
Questo perché loro potevano andarsene a mostrare i loro denti naturalmente perfetti, mentre su di lui, suo padre, aveva montato un congegno di sua invenzione, un apparecchio estremamente sofisticato, estremamente delicato, estremamente ingombrante, estremamente doloroso.
“Guardate mio figlio! Lo uso come cavia per miei esperimenti sui denti! Così anche voi, quando verrete a farvi curare, non dovrete temere nulla! …L’ha già provato mio figlio!”
Quando Wilbur Wonka decretò che suo figlio di nove anni aveva bisogno di un apparecchio, diede vita alla ricerca dell’apparecchio perfetto.
Per lui. Per Willy. Che aveva i denti normali.
All’inizio cominciò con un apparecchio mobile, da portare tutto il giorno tranne che nell’ora dei pasti. Dopo solo un mese, però, Willy provò la gioia esaltante dell’apparecchio fisso. All’età di dodici anni suo padre montò su di lui un’apparecchiatura…grandiosa: un casco di ferro che gli avvolgeva la testa, agganciato alle bande del suo ex apparecchio fisso, di modo che tirasse i suoi denti nella direzione giusta.
Non importava se quella macchina gli impediva persino di chiudere le labbra; non importava se anche solo per mangiare il piccolo Willy doveva far percorre alla forchetta un percorso apposito prima di giungere in bocca; non importava se per bere era condannato ad usare solamente una cannuccia; non importava che fosse estremamente doloroso.
Quando suo padre gli aveva detto di voler perfezionare il suo apparecchio, Willy Wonka si era seduto tranquillamente sulla poltrona da dentista, conscio che si trattasse della solita routine. Ma quando aveva visto suo padre entrare nella stanza con in mani quella…cosa, si sentì agitare.
“Papà, cos’è…quello?” Gli aveva chiesto il piccolo Willy con la voce che gli tremava per l’ansia.
Il dentista più famoso della città aveva fatto un sorriso. “Questo è il tuo nuovo apparecchio, Willy.”
Willy Wonka aveva sgranato gli occhi, spaventato, mentre suo padre camminava verso di lui con quella museruola tra le mani.
“Io non voglio metterlo!” Aveva detto lui, sconcertato.
“No, Willy, tu devi metterlo: dobbiamo curare i tuoi denti.”
“I miei denti stanno bene!”
“Io sono il dentista, io decido come stanno i tuoi denti.”
Wilbur Wonka non era un padre, in quel momento: era solo il dentista.
Willy scese con un salto dalla poltrona, cercando di scappare dalla stanza e da quella…cosa, ma subito la mano di suo padre lo fermò e a forza lo rimise sulla poltrona. Willy si dimenava, cercando di andare via da lì, e suo padre minacciò di legarlo, se mai si fosse mosso.
L’apparecchio-museruola venne montato sulla testa di Willy, mentre lui piangeva, mentre il dentista gli intimava di stare zitto, ma al ragazzo non riusciva, e il padre, così, lo schiaffeggiava, provocando il rumore di quei suoi guanti da dentista, quel rumore scricchiolante di plastica che sempre lo infastidiva, perché quando lo sentiva ciò stava a significare che Wilbur Wonka in quei momenti non era suo padre, ma un dentista.
Quella notte Willy non dormì, e non perché non riuscisse a trovare una posizione adatta, ma perché quell’apparecchio gli provocava un dolore tremendo alle mascelle, ai denti e alle gengive; sotto le coperte piangeva in silenzio, per non farsi sentire dal dentista, che sarebbe arrivato, altrimenti, con i suoi guanti bianchi.
Il giorno dopo non era neanche riuscito a fare colazione, e quando era arrivato a scuola, nella sua classe, molti bambini erano anche riusciti a prenderlo in giro:
“Ciao, uomo di latta! Dov’è il mago di Oz?”
“Hai bisogno di un apriscatole?”
“Attenzione, Willy è diventato un robot!”
E ridevano di lui, tutti, con i loro denti perfetti.
Willy Wonka odiava i bambini. Odiava il fatto che per avere i denti che suo padre desiderava dovesse portare quel congegno in testa e in bocca, mentre loro ci erano semplicemente nati, e potevano anche mangiare tutti i dolci che volevano, loro, mentre Willy l’unica cosa con un po’ di zucchero che avesse mai mangiato fino a quel momento era del succo di frutta.
Ma il primo Novembre le cose erano nettamente cambiate: suo padre, dopo aver bruciato sotto i suoi occhi i dolci racimolati durante la notte di Halloween, gli aveva ordinato di ripulire le ceneri dal camino, quelle ceneri formate dalla speranza di riuscire, magari, a convincere suo padre che non c’era niente di male nel cioccolato…ma non era servito a nulla, ovviamente, e ora era lì, a pulire il camino.
Ed aveva trovato un cioccolatino.
Da quel giorno gli si era aperto un mondo: a discapito del suo apparecchio Willy aveva assaporato delizie di zucchero e di cioccolato, gomme, caramelle, ovetti di cioccolata…e amava, amava quella nuova scoperta: il cioccolato era la cosa più bella che avesse mai sperimentato…era come se si sentisse rinato…e già dal primo giorno decise che avrebbe dedicato tutta la sua vita a quel meraviglioso cioccolato.
“Mio figlio non diventerà mai un cioccolatiere!” Gli aveva però risposto suo padre, quando Willy, un giorno, si era deciso a rivelargli le sue profonde ambizioni.
E Willy si sentiva…esausto. Stanco di non poter decidere, stanco di dover sottostare ai voleri di un dentista.
“Allora io scapperò, andrò in Svizzera, in Baviera, nella capitali mondiali del cioccolato!” Aveva annunciato Willy, e così aveva fatto.
E non aveva più rivisto suo padre: era cresciuto, da solo, con solo il cioccolato come sua unica compagnia.
Aveva subito dovuto imparare a crescere, da solo, mentre gli altri bambini, invece, aveva ancora tutto il tempo per giocare e divertirsi. Lui no.
Willy Wonka odiava gli altri bambini.
Poi aveva avuto successo, era diventato il cioccolatiere più grande e famoso del mondo, ed era fiero di se stesso. Ma non dimenticava mai quello passato durante la sua infanzia: qualcosa gli tornava sempre in mente, quando meno se lo aspettava; a volte, la notte, si svegliava di soprassalto, come se ancora sentisse il proprio apparecchio che gli tirava i denti. E quando si accorgeva, invece, di essere un adulto nella sua stanza, si tranquillizzava.
Beh, ‘adulto’ per modo di dire. In realtà si sentiva più bambino ora di quanto non lo fosse stato da piccolo… Questo probabilmente perché lui non aveva avuto il tempo per essere, tanto tempo prima.
Si ricordava sempre la sua infanzia, sempre. Anche i guanti che indossava gliela ricordavano… Il loro rumore di plastica era identico a quello dei guanti di suo padre…quegli odiosi guanti… Ma erano viola, i suoi, per lo meno, non bianchi. Non come quelli del dentista.
Willy Wonka odiava i bambini.
Ed era stato costretto ad invitarne cinque nella sua meravigliosa ed unica fabbrica.
Invasori del suo mondo personale.
Piccole pesti.
   
 
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