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Autore: Lela White    26/03/2011    12 recensioni
A volte è molto più facile scappare. A volte, è l’unica possibilità che ci si presenta. A volte la vita ti mette davanti a l’unica eventualità che non puoi sopportare e tutto diventa semplicemente troppo doloroso…
Michela è una studentessa universitaria, semplice, dolce ed ingenua. Alessandro è colui che c’è sempre stato, il suo migliore amico, che la sempre protetta da tutto, tralasciando l’unico, imprevedibile pericolo, se stesso! Il loro è un legame possessivo, completo, disarmante, che li lascia entrambi persi di fronte l’inevitabile. Nulla però è scontato, non lo sono loro…non ne sono capaci e quando Michy fugge…tutto cambia!
Una storia narrata tra presente e passato, perché nulla di adesso può essere spiegato senza ricordare ciò che erano stati, ciò che non sono più….ma cosa è accaduto? Non più quelli di ieri, ma solo quelli di oggi…
Può l’amicizia trasformarsi in amore? Può l’Amore trasformarsi in rabbia e dolore? E se tutto ciò per cui hai lottato, vissuto…sparisse portandosi via tutto, cosa faresti?
Dal capitolo 1-( “..perchè se l’amicizia è uno dei tesori più grandi, l’Amore è uno dei dolori più forti che una persona possa provare..”)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FUGA- cap 1-betato

FUGA

CAPITOLO 1

Ricordi

Betato da nes_sie




10 MAGGIO 2010



Ricordo ancora lo squillo del mio cellulare, nel bel mezzo della mia domenica mattina, e la sensazione di voler uccidere chiunque fosse dall’altra parte del telefono. Ero talmente stanca che non riuscivo ad aprire gli occhi e la mia mente si rifiutava di comandare al mio corpo una semplice, innocua, azione: rispondere.

Drin drin drin.


Sospirai e, continuando ad avere gli occhi chiusi, presi il telefono e risposi senza nemmeno vedere chi fosse.

“Pronto?”, gracchiai.

“Tesoro,
ma stavi dormendo?”, rispose la voce della donna che chiamava sempre nei momenti meno opportuni.

“Sì,
mamma, e ancora non ho aperto gli occhi. Perciò, ti prego, dimmi che è importante altrimenti ci risentiamo dopo…”, sbadigliai.

Mia madre era solita chiamarmi circa cinque volte al giorno, e il fatto che vivessi dalla parte opposta dell’Europa non sembrava toccarla minimamente. Spendeva più soldi in ricariche telefoniche che nella spesa di tutti i giorni, perciò sentirmi chiamare la domenica mattina non era una novità.
Rimaneva il fatto, però, che avendo lavorato fino a tardi la sera prima, la stanchezza aveva annullato gran parte della mia capacità di sopportazione.

“Tesoro mi dispiace, solo che... vedi…” Mia madre senza parole?

“Mamma, cosa c’è?”, chiesi con voce decisamente più sveglia.

“Non c’è bisogno che ti spaventi, è andato tutto per il meglio solo che, beh, tuo padre non si è sentito bene.”

A quel punto fui totalmente sveglia. Spostai il cuscino dalla mia faccia e mi alzai a sedere.

“Cosa è successo?”, chiesi allarmata.

“Tesoro non spaventarti, ma tuo padre ha avuto un principio di infarto. Ora è in ospedale ma è tutto passato, davvero. Ti ho chiamato perché lui voleva salutarti. Sai, si era un po’ spaventato e…”

Mia madre aveva parlato così velocemente, che a stento riuscii a capire le parole "infarto" e "ospedale".


Cercai di mantenere la calma e capire meglio cosa fosse accaduto.

“Passamelo”, sussurrai.

Sentii un fruscio in sottofondo e subito dopo la voce dell’uomo più importante della mia vita.

“Vita mia”, gracchiò.

“Papà, come ti senti?”, chiesi, cercando di non far tremare la voce.

“Meglio, ci siamo solo spaventati, però…”

“Dimmi papà, cosa c’è? Hai bisogno di qualcosa?”, chiesi in ansia.

“Sì. Torna a casa, bambina mia…”

Trattenni il respiro, incrociando il riflesso del mio sguardo nello specchio di fronte al letto, e solo allora mi accorsi della lacrima che mi solcava il viso.
Sì.
Dovevo tornare a casa.


*************************



“Allora, hai preso tutto?”, chiese
Terry, la mia coinquilina.

“Credo di sì, ma non so bene quanto resterò, e poi… spero solo che i vestiti mi bastino e che… oh.” Sospirai, prendendomi la testa tra le mani.

“Sei sicura di voler tornare ? ”, chiese. Lei conosceva bene il mio stato d’animo.

“Mio padre ha bisogno di me. La mia famiglia ha bisogno di me, perciò devo farmi forza. Dopo due anni, è ora che torni a casa, solo che… beh, ho paura.” Ammisi con un sussurro.

My Darling, non sei la stessa persona che ho visto davanti la mia porta due anni fa, non sei più quel pulcino spaventato che piangeva tutte le notti. Stai tornando a casa come una donna diversa e se ne accorgeranno tutti. Pensa alla tua famiglia e torna presto da me. Nel frattempo, io mi occuperò delle tue bellissime piante.” Sorrise contagiando anche me.

“Grazie.”



Il volo Londra-Roma sarebbe durato poco più di un paio d’ore. Solo due semplici ore mi separavano da quella che era stata la mia vita, fino a due anni prima. Dall’inverno che decisi di lasciare tutto e tutti, compresa la mia famiglia.

Mia madre e mio padre sapevano il perché della mia decisione e non mi ostacolarono in nessun modo. Forse, in cuor loro, credevano che questa mia “fuga” sarebbe stato solo uno svago di sei mesi, “Solo per imparare la lingua”, dicevo loro. Ma quando i sei mesi divennero un anno e poi uno e mezzo e infine due senza dar segno di cedimento, anche loro iniziarono a perdere la speranza che ritornassi.

Erano venuti due volte a trovarmi, non di più, perché ero stata io a non permetterglielo. La scusa ufficiale era che dovevo lavorare. La motivazione vera era che mi mancavano tremendamente e non potevo sopportare di salutarli quando sarebbero dovuti ritornare indietro, perciò preferivo resistere e non vederli. Per Natale o festività varie, poi, era una vera e propria lotta con mia madre che mi chiedeva di tornare per qualche giorno di vacanza; fortunatamente ero sempre riuscita a trovare una scusa per posticipare ad “un altra volta”, che in realtà non era mai arrivata. Almeno fino a quel momento. Sentire la voce emozionata di mio padre che mi chiedeva di tornare da lui, era stato uno dei momenti più commuoventi della mia vita. Lessi tra le righe,
il bisogno disperato che aveva di rivedere sua figlia. Lessi la paura che aveva avuto di morire, senza che fossi stata lì con lui. Lessi il suo bisogno e il suo amore che mai mi avevano lasciato in quegli anni. Lessi tutto ciò, e non potei non raggiungerlo, anche se forse questo avrebbe compromesso la mia felicità.

Dlin Dlon

I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza, la fase di decollo è iniziata.”

La voce del comandante mi risvegliò dai miei pensieri, ma ancora mi sentivo scombussolata sapendo che questa sensazione non sarebbe passata presto. Almeno finché non sarei tornata di nuovo a Londra, sì, perché ero sicura di voler tornare.

Avevo il mio piccolo appartamento con Terry, avevo il mio lavoro al pub vicino casa e le mie lezioni private di italiano e spagnolo che davo ai ragazzi del liceo. Mi ero in un certo modo organizzata una nuova vita lì e non ero pronta a lasciarla. Perciò avrei seguito il piano: stare un po’ con la mia famiglia in questo momento delicato, essere sicura di aver fatto tutto per aiutarli, e tornare indietro. Punto. Avevo scritto questi tre obbiettivi su un piccolo post-it giallo che mi guardava come se aspettasse che aggiungessi qualcos’altro. Ma queste erano le priorità, perciò ripiegai il cartoncino giallo e lo misi nel portafoglio.

Accesi il lettore mp3, scivolando più giù sulla poltrona e decisi di provare a dormire per il resto del viaggio. Stranamente, non ricordo come, ma per la prima volta dopo tanto tempo accettai che la mia mente vagasse tra i ricordi di ciò che era stato. Forse dipendeva da quel viaggio che avevo intrapreso. Forse il mio cuore era pronto per rivisitare i luoghi che lo avevano tormentato. Forse… forse, avevo solo nostalgia del suo viso.

Per la prima volta, dopo due anni, mi permisi di ricordare…



*************************

Estate 2007



“Micky vuoi dirgli qualcosa?”, urlò Gaia verso di me.

Ero sdraiata sul verde prato del mio giardino, leggendo un libro e godendomi una giornata di pausa dagli esami. L'intento era, cercare di abbronzare la pelle color latte che raramente, solo dopo lunghe esposizioni al sole, accennava ad una sfumatura rosea.

“Non ti sento!”, urlai di rimando. Naturalmente stavo mentendo.

Gaia, però, non si arrese. “Guarda che sto parlando con te!”, disse togliendomi il libro dalle mani.

La cosa mi indispettì molto. “Si può sapere cosa vuoi da me?”

“Certo. Te ne stai qui come se nulla fosse, senza preoccuparti delle azioni del tuo caro amico”, disse sottolineando la parola ‘caro’.

“Se è per questo, è tuo cugino”, commentai.

“Non pensi che sia ora di dirgli qualcosa? Non vedi come sta illudendo quella povera ragazza?”

“Io non illudo nessuno”, rispose l’interessato.

Mi voltai, coprendomi gli occhi dal sole con la mano, ma potei vedere perfettamente il momento in cui si avvicinò a me. Si tolse la maglietta mostrandomi gli addominali perfetti, levigati sotto quella sua pelle naturalmente abbronzata che sembrava brillare, proprio in quel preciso momento, di luce propria. Le goccioline di sudore in bilico sull’ombelico non aiutavano la mia concentrazione.

Alessandro ero il mio più caro amico. Ci conoscevamo da anni e tra noi c’era quell’affetto sincero e reale che si ha la fortuna di incontrare raramente nella propria vita. Ci conoscevamo dal primo anno delle medie, eravamo nella stessa classe, e ricordo ancora quando il primo giorno, finite le lezioni, ci ritrovammo a fare la stessa strada per tornare a casa.

Da quel giorno, un tacito accordo di andare a scuola insieme tutte le mattine ci accompagnò fino al liceo.

Per Ale ero solo una ragazzina, lo ero sempre stata. Certo non potevo nascondere che la mia corporatura esile unita all’altezza di un metro e sessanta aiutasse la mia causa, ma da quando ci conoscevamo lui era solito chiamarmi con qualche nomignolo di suo gradimento,come ragazzina, bimba, nana o…

Pulce, mi metti un po’ di crema?”, chiese con voce serena porgendomi il tubetto.

Ecco. “Pulce” era come mi chiamavano i miei genitori, e dal primo momento che lo sentì, cominciò ad utilizzarlo anche lui, perché diceva che mi si addiceva perfettamente. A niente servirono le mie repliche. Passai dal sentirmi offesa, allo stressata, al disinteressata fino all’ultima fase rassegnata ai suoi modi di fare. Sapevo che mi voleva bene e questo aiutava a farmi comprendere meglio il suo carattere e le sfumature che prese negli anni.

Ad occhi estranei, Alessandro poteva sembrare il classico bello e dannato, perché, ammettiamolo, era davvero molto bello. Affascinante ma mai superficiale, per quanto lui cercasse sempre di far sembrare il contrario. Alto circa un metro e novanta, con spalle larghe ma sottili. Aveva il viso delicato e gli occhi accesi di un verde acqua che si scontravano con la sua bocca morbida e perennemente imbronciata per cui le ragazze impazzivano.

I capelli non troppo corti, perennemente in disordine come se si fosse appena alzato dal letto, contribuivano a donargli quell’aurea di fascino che era insita in lui. Solo un aspetto del suo viso era, se possibile, il più bello che avessi mai visto: il suo sorriso. Lui sorrideva poco e quando lo faceva suscitava una vera e propria emozione. Mi illuminava, mi riempiva il cuore e quando ero io a farlo sorridere, ogni mia azione acquistava un senso. In quella precisa fase della mia vita, del nostro legame, era proprio questo che stavo cercando, un senso a ciò che vivevo e provavo con lui… perché se l’amicizia era uno dei tesori più grandi, l’amore a volte provocava uno dei dolori più forti che una persona possa mai provare.

“Ehi, Pulce, sei rimasta imbambolata davanti ai miei addominali?”, sogghignò, guardandomi di sottecchi.

Cercai di riprendermi ma naturalmente avvampai, poiché anche se la sua voleva essere una battuta scherzosa, era molto più vicino alla realtà di quanto credesse.

Mi alzai a sedere e lo schiaffeggiai sulla spalla per farlo girare.

“Sì, certo. Accarezzare i tuoi addominali è il mio sogno proibito”, affermai mentre Gaia mi lanciava uno sguardo strano e per me del tutto incomprensibile.

“Allora, cosa hai fatto questa volta?”, chiesi cercando di non far tremare le mani mentre sfioravo le sue spalle. Oh, ma perché ero così masochista?

“Te lo dico io cosa ha fatto il signorino. Ti ricordi Claudia, la mia amica dell’università?”, domandò Gaia, tornando all’attacco.

Mi ghiacciai sul momento, perché era facile immaginare il seguito. Claudia, 21 anni, alta, bionda, misure… beh, cosa importa. Faceva la modella a Milano come lavoro part-time e la valletta televisiva in non so quale programma! Non c’era altro da aggiungere.

Sorrisi, cercando di sembrare complice. D’altra parte ero la sua migliore amica…

“Ma bravo! Ti piacciono di alta classe…”, dissi pizzicandogli una spalla.

Lui si voltò, quel tanto che bastava a mostrarmi il suo sorriso strafottente.

“Solo le migliori”, sussurrò, incrociando il mio sguardo e paralizzando il mio corpo.

Appena la mia mano si fermò, il suo sorriso si spense e fu come se una nuvola avesse coperto il sole. Provai un brivido freddo.

“Mi stai ascoltando?”, Gaia interruppe il mio stato di catarsi e la ringraziai mentalmente.

“Certo. Solo che mi è venuta in mente una cosa tremenda”, risposi tempestivamente.

“Cosa?”, chiese lei, mentre io mi alzai dall’asciugamano chiudendo il tubetto di crema e porgendolo di nuovo ad Ale.

Entrambi mi guardavano curiosi.

Sorrisi perché avevo la scusa perfetta per defilarmi da quella situazione, ma anche una terribile verità ad attendermi.

“Mi sono ricordata che Daniela ha organizzato una specie di…cosa, per stasera”, tentai di spiegare senza sentirmi troppo imbarazzata.

“Con cosa per stasera, intendi…?”, suggerì Gaia che stava morendo di curiosità.

Ale mi guardava senza parlare. Sapevo a cosa stesse pensando.

“Beh, una specie di appuntamento al buio, almeno per me, con un ragazzo del suo corso ed un suo amico. Niente di importante. È solo che…”

Ma Alessandro mi anticipò.

“E quando avevi intenzione di dirmelo?”, chiese con tono duro ed una luce negli occhi.

Rimasi per un minuto interdetta dalla sua reazione.

“Scusa, so che avrei dovuto avvertirti, ma mi ero completamente dimenticata di questa cosa, e prima quando hai parlato di quella ragazza e dell’università, beh, mi è venuto in mente.”

Gaia ci guardò sconvolta, per poi fare un passo avanti verso di me e posizionandosi di fronte suo cugino.

“A parte il fatto che dovresti chiamare questa cosa con il suo nome e cioè appuntamento. Punto secondo, direi che era ora che ti dessi una svegliata...” E a queste sue parole di nuovo avvampai, ma sapevo che non era finita.

“…ed infine: mi spieghi perché cavolo deve rendere conto a te di quello che fa?”, chiese Gaia,
girandosi verso Ale.

Lui rispose prima che io potessi anche solo respirare. Si alzò agilmente senza guardarmi, e sfoderando di nuovo quel suo sorrisetto arrogante.

“Lei non deve rendermi conto di niente. Sono rimasto sorpreso perché avevamo deciso di vedere un film insieme e mangiarci una pizza, e tra amici sarebbe carino avvertire se ci sono cambi di programma. E poi… no, niente.”

Girò il viso senza neanche guardarmi e iniziò a rivestirsi, mentre io cominciavo seriamente ad alterarmi davanti a quel suo atteggiamento.

“Senti, ti ho già chiesto scusa. Non mi sembra la fine del mondo se saltiamo un giovedì.
So che è la nostra serata relax, ma magari potremmo spostarla a domani, che ne dici?”, dissi con un sorriso, cercando di trattenere la tensione. La verità era che ero stata io a chiedere a Daniela di vederci, perché era troppo tempo che iniziavo a sentirmi tremendamente in ansia pensando alle serate del giovedì con Alessandro. Le avevo quindi chiesto di uscire noi due, per una serata tra donne. Certo, però, non era mia intenzione finire in un appuntamento… ma ormai non potevo rifiutarmi.

“Ehi, non preoccuparti. Non sia mai che io non capisca il bisogno di una sana... scopata, perciò mi capirai anche tu se domani non posso, vero?”, disse sprezzante in un tono che non aveva mai usato con me e che mi sconvolse letteralmente. Gaia si immobilizzò al mio fianco, mettendosi una mano davanti alla bocca.

“Come, scusa?”, chiesi sconvolta.

Lui voltò le spalle senza rispondermi.

“Sto parlando con te, idiota, orgoglioso che non sei altro!” Lo presi per una spalla, costringendolo a voltarsi.

“Che c’è, sei sorpresa? Come se non conoscessi le abitudini della tua amica. Come minimo ti ritroverai ad aspettarla da qualche parte mentre si sbatte uno dei due.”

Lo guardai sempre più scioccata. Non mi parlava mai in quel modo, e poi perché tutta quella scontrosità verso Daniela?

“Sì, ma è a me che ti sei rivolto in quel modo.”

“Pensavo solo che non fossi quel tipo di ragazza…”, sussurrò abbassando lo sguardo.

“E non lo sono, dovresti saperlo. Perciò non permetterti più di parlarmi in quel modo”, dissi fredda, alzando lo sguardo sul suo viso. Anche se era decisamente più alto di me, potei vedere il suo volto diventare triste e colpevole.

“Tu non sei una ragazza che... tu non…”, cercò di convincermi prendendomi per le spalle.

A quel punto la furia aumentò. Non so quale fu esattamente la goccia che fece traboccare il vaso, ma in quel momento mi sentii come una sorellina indifesa e sgridata dal fratello più grande. Ma non era assolutamente così: ero una donna, non una ragazzina.

Scansai le sue mani dal mio corpo, aumentando la distanza tra noi che era diventata fin troppo insostenibile e lo guardai per la prima volta in vita mia con una rabbia che lo sorprese.

“Non sono cosa? Non sono forse una donna anche io? Non dovrei essere libera di uscire con chi mi pare e piace visto che sono single? O forse credi che non possa essere interessante e che sia solo una ragazzina? Vuoi sapere una novità? Io sono una Donna come tutte le altre, e che tu ci creda o no c’è chi mi trova interessante e vuole uscire con me. Perciò io ci andrò, perché mi va, perché sono libera e perché anche se volessi farmi una scopata, come dici tu, non ci sarebbe niente di male, se sono Io a volerlo. E tu non hai nessun diritto di insinuare che sarei una puttana se lo facessi!”, urlai con una furia che sorprese anche me.

“Non ho mai detto questo!”, urlò di rimando.

“Ma è così che mi hai fatto sentire”, dissi freddamente e questo lo ammutolì.

Ci guardammo negli occhi per un secondo di troppo. In silenzio e senza avere né la voglia né la forza di dire altro, rientrai in casa, diretta in camera mia.



*************************

Ciao a tutte, eccomi qui con la mia primissima fanfiction, l'ho scritta di getto e sono sicura si veda, ma avevo una voglia tremenda di postarla e sapevo che se non l'avessi fatto stasera, sarebbero passati altri mesi...sono un pò fifona quando si tratta di far leggere ciò che scrivo e sò che è difficile capire ed entrare in una storia con un solo capitolo ma questa è una sorta di prova, con me stessa e con ciò che posso fare, perciò vediamo come va ;D
La storia è tutta quì nella mia testa, spero solo di riuscire a rendere i personaggi belli come li vedo e a far percepire le loro emozioni... Avviso che ci saranno lacrime, rabbia, passione e spero davvero di riuscire a mostrarveli come desidero. Ogni consiglio è super gradito, ma non siate troppo dure con me...no scherzo, ogni critica costruttiva mi aiuterà a crescere.
Alla prossima,
Lela




   
 
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