FUGA
CAPITOLO 1
Ricordi
10 MAGGIO 2010
Ricordo ancora lo squillo del mio cellulare, nel bel mezzo della mia
domenica
mattina, e la sensazione di voler
uccidere chiunque fosse dall’altra parte del telefono. Ero
talmente stanca che
non riuscivo ad aprire gli occhi e la mia mente si rifiutava di
comandare al
mio corpo una semplice, innocua, azione:
rispondere.
Drin drin drin.
Sospirai e, continuando ad avere gli
occhi chiusi, presi il telefono e risposi senza nemmeno vedere chi
fosse.
“Pronto?”, gracchiai.
“Tesoro, ma stavi dormendo?”,
rispose la voce della donna
che chiamava sempre nei momenti meno
opportuni.
“Sì, mamma, e
ancora non ho aperto gli occhi. Perciò, ti prego, dimmi che
è importante
altrimenti ci risentiamo dopo…”, sbadigliai.
Mia madre era solita chiamarmi circa cinque volte al giorno, e il fatto
che
vivessi dalla parte opposta dell’Europa non sembrava toccarla
minimamente.
Spendeva più soldi in ricariche telefoniche che nella spesa
di tutti i giorni,
perciò sentirmi chiamare la domenica mattina non era una
novità. Rimaneva il fatto,
però, che avendo lavorato fino a
tardi la sera prima, la stanchezza aveva annullato gran parte della mia
capacità di sopportazione.
“Tesoro mi dispiace, solo che... vedi…”
Mia madre senza parole?
“Mamma, cosa c’è?”, chiesi con
voce decisamente più sveglia.
“Non c’è bisogno che ti spaventi,
è andato tutto per il meglio solo che, beh,
tuo padre non si è sentito bene.”
A quel punto fui totalmente sveglia.
Spostai il cuscino dalla mia faccia e mi alzai a sedere.
“Cosa è successo?”, chiesi allarmata.
“Tesoro non spaventarti, ma tuo padre ha avuto un principio
di
infarto. Ora è in ospedale ma è tutto passato,
davvero. Ti ho chiamato
perché lui voleva salutarti. Sai, si era un po’
spaventato e…”
Mia madre aveva parlato così velocemente, che a stento riuscii a capire le parole "infarto" e "ospedale".
Cercai di mantenere la calma e capire meglio cosa fosse
accaduto.
“Passamelo”, sussurrai.
Sentii un fruscio in sottofondo e subito dopo la voce
dell’uomo più importante
della mia vita.
“Vita mia”, gracchiò.
“Papà, come ti senti?”, chiesi, cercando
di non far tremare la voce.
“Meglio, ci siamo solo spaventati,
però…”
“Dimmi papà, cosa c’è? Hai
bisogno di qualcosa?”, chiesi in ansia.
“Sì. Torna a casa, bambina
mia…”
Trattenni il respiro, incrociando
il riflesso del mio sguardo
nello specchio di
fronte al letto, e solo allora mi accorsi della lacrima che mi solcava
il viso.
Sì. Dovevo tornare a casa.
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“Allora, hai preso tutto?”, chiese Terry, la mia coinquilina.
“Credo di sì, ma non so bene quanto
resterò, e poi… spero solo che i vestiti mi
bastino e che… oh.” Sospirai,
prendendomi la testa tra le mani.
“Sei sicura di voler tornare ? ”, chiese. Lei
conosceva bene il mio stato
d’animo.
“Mio padre ha bisogno di me. La mia famiglia ha bisogno di
me, perciò devo
farmi forza. Dopo due anni, è ora che torni a casa, solo
che… beh, ho paura.” Ammisi
con un sussurro.
“My Darling, non sei la
stessa
persona che ho visto davanti la mia porta due anni fa, non sei
più quel pulcino
spaventato che piangeva tutte le notti. Stai tornando a casa come una
donna
diversa e se ne accorgeranno tutti. Pensa alla tua famiglia e torna
presto da
me. Nel frattempo, io mi occuperò delle tue bellissime
piante.” Sorrise
contagiando anche me.
“Grazie.”
Il volo Londra-Roma sarebbe durato poco più di un paio
d’ore. Solo due semplici
ore mi separavano da quella che era stata la mia vita, fino a due anni
prima.
Dall’inverno che decisi di lasciare tutto e tutti, compresa
la mia famiglia.
Mia madre e mio padre sapevano il perché della mia decisione
e non mi
ostacolarono in nessun modo. Forse, in cuor loro, credevano che questa
mia
“fuga” sarebbe stato solo uno svago di sei mesi,
“Solo per imparare la lingua”,
dicevo loro. Ma quando i sei mesi
divennero un anno e poi uno e mezzo e infine due senza dar segno di
cedimento,
anche loro iniziarono a perdere la speranza che ritornassi.
Erano venuti due volte a trovarmi, non di più,
perché ero stata io a non
permetterglielo. La scusa ufficiale era che dovevo lavorare. La
motivazione
vera era che mi mancavano tremendamente e non potevo sopportare di
salutarli
quando sarebbero dovuti ritornare indietro, perciò preferivo
resistere e non
vederli. Per Natale o festività varie, poi, era una vera e
propria lotta con mia
madre che mi chiedeva di tornare per qualche giorno di vacanza;
fortunatamente
ero sempre riuscita a trovare una scusa per posticipare ad
“un altra volta”, che
in realtà non era mai arrivata. Almeno fino a quel momento.
Sentire la voce
emozionata di mio padre che mi chiedeva di tornare da lui, era stato
uno dei
momenti più commuoventi della mia vita. Lessi tra le righe, il bisogno disperato che aveva
di rivedere sua
figlia. Lessi la paura che aveva avuto di morire, senza che fossi stata
lì con
lui. Lessi il suo bisogno e il suo amore che mai mi avevano lasciato in
quegli
anni. Lessi tutto ciò, e non potei non raggiungerlo, anche
se forse questo
avrebbe compromesso la mia felicità.
Dlin Dlon
“I signori passeggeri sono pregati di allacciare le
cinture di sicurezza,
la fase di decollo è iniziata.”
La
voce del comandante mi
risvegliò dai miei pensieri, ma ancora mi sentivo
scombussolata sapendo che
questa sensazione non sarebbe passata presto. Almeno finché
non sarei tornata
di nuovo a Londra, sì, perché ero sicura di voler
tornare.
Avevo il mio piccolo appartamento con Terry, avevo il mio lavoro al pub
vicino
casa e le mie lezioni private di italiano e spagnolo che davo ai
ragazzi del liceo.
Mi ero in un certo modo organizzata una nuova vita lì e non
ero pronta a
lasciarla. Perciò avrei seguito il piano: stare un
po’ con la mia famiglia in
questo momento delicato, essere sicura di aver fatto tutto per
aiutarli, e
tornare indietro. Punto. Avevo scritto questi tre obbiettivi su un
piccolo
post-it giallo che mi guardava come se aspettasse che aggiungessi
qualcos’altro. Ma queste erano le priorità,
perciò ripiegai il cartoncino
giallo e lo misi nel portafoglio.
Accesi il lettore mp3, scivolando più giù sulla
poltrona e decisi di provare a
dormire per il resto del viaggio. Stranamente, non ricordo come, ma per
la
prima volta dopo tanto tempo accettai che la mia mente vagasse tra i
ricordi di
ciò che era stato. Forse dipendeva da quel viaggio che avevo
intrapreso. Forse
il mio cuore era pronto per rivisitare i luoghi che lo avevano
tormentato. Forse…
forse, avevo solo nostalgia del suo viso.
Per
la prima volta, dopo due
anni, mi permisi di ricordare…
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Estate
2007
“Micky vuoi dirgli qualcosa?”, urlò Gaia
verso di me.
Ero sdraiata sul verde prato del mio giardino, leggendo un libro e
godendomi
una giornata di pausa dagli esami. L'intento era, cercare di
abbronzare la pelle
color latte che raramente, solo dopo lunghe esposizioni al sole,
accennava ad
una sfumatura rosea.
“Non ti sento!”, urlai di rimando. Naturalmente
stavo mentendo.
Gaia, però, non si arrese. “Guarda che sto
parlando con te!”, disse togliendomi il libro dalle
mani.
La cosa mi indispettì molto. “Si può
sapere cosa vuoi da me?”
“Certo. Te ne stai qui come se nulla fosse, senza
preoccuparti delle azioni del
tuo caro amico”, disse sottolineando la parola
‘caro’.
“Se è per questo, è tuo
cugino”, commentai.
“Non pensi che sia ora di dirgli qualcosa? Non vedi come sta
illudendo quella
povera ragazza?”
“Io non illudo nessuno”, rispose
l’interessato.
Mi voltai, coprendomi gli occhi dal sole con la mano, ma potei vedere
perfettamente il momento in cui si avvicinò a me. Si tolse
la maglietta mostrandomi
gli addominali perfetti, levigati sotto quella sua pelle naturalmente
abbronzata che sembrava brillare, proprio in quel preciso momento, di
luce
propria. Le goccioline di sudore in bilico sull’ombelico non
aiutavano la mia
concentrazione.
Alessandro ero il mio più caro amico. Ci conoscevamo da anni
e tra noi c’era
quell’affetto sincero e reale che si ha la fortuna di
incontrare raramente
nella propria vita. Ci conoscevamo dal primo anno delle medie, eravamo
nella
stessa classe, e ricordo ancora quando il primo giorno, finite le
lezioni, ci
ritrovammo a fare la stessa strada per tornare a casa.
Da quel
giorno, un tacito
accordo di andare a scuola insieme tutte le mattine ci
accompagnò fino al
liceo.
Per Ale ero solo una ragazzina, lo ero sempre stata. Certo non potevo
nascondere
che la mia corporatura esile unita all’altezza di un metro e
sessanta aiutasse
la mia causa, ma da quando ci conoscevamo lui era solito chiamarmi con
qualche
nomignolo di suo gradimento,come ragazzina, bimba, nana
o…
“Pulce,
mi metti un po’
di crema?”, chiese con voce serena porgendomi il tubetto.
Ecco. “Pulce” era come mi chiamavano i miei
genitori, e dal primo momento che
lo sentì, cominciò ad utilizzarlo anche lui,
perché diceva che mi si addiceva
perfettamente. A niente servirono le mie repliche. Passai dal sentirmi
offesa,
allo stressata, al disinteressata fino all’ultima fase rassegnata ai suoi modi di fare. Sapevo
che mi voleva bene e questo
aiutava a farmi comprendere meglio il suo carattere e le sfumature che
prese
negli anni.
Ad occhi estranei, Alessandro poteva sembrare il classico bello e
dannato,
perché, ammettiamolo, era davvero molto bello. Affascinante
ma mai superficiale,
per quanto lui cercasse sempre di far sembrare il contrario. Alto circa
un
metro e novanta, con spalle larghe ma sottili. Aveva il viso delicato e
gli
occhi accesi di un verde acqua che si scontravano con la sua bocca
morbida e
perennemente imbronciata per cui le ragazze impazzivano.
I capelli non troppo corti, perennemente in disordine come se si fosse
appena
alzato dal letto, contribuivano a donargli quell’aurea di
fascino che era
insita in lui. Solo un aspetto del suo viso era, se possibile, il
più bello che
avessi mai visto: il suo sorriso. Lui sorrideva poco e quando lo faceva
suscitava una vera e propria emozione. Mi illuminava, mi riempiva il
cuore e
quando ero io a farlo sorridere, ogni mia azione acquistava un senso.
In quella
precisa fase della mia vita, del nostro legame, era proprio questo che
stavo
cercando, un senso a ciò che vivevo e provavo con
lui… perché se l’amicizia era
uno dei tesori più grandi, l’amore a volte
provocava uno dei dolori più forti
che una persona possa mai provare.
“Ehi, Pulce, sei rimasta
imbambolata
davanti ai miei addominali?”, sogghignò,
guardandomi di sottecchi.
Cercai di riprendermi ma naturalmente avvampai, poiché anche
se la sua voleva
essere una battuta scherzosa, era molto più vicino alla
realtà di quanto credesse.
Mi alzai a sedere e lo schiaffeggiai sulla spalla per farlo girare.
“Sì, certo. Accarezzare i tuoi addominali
è il mio sogno proibito”, affermai
mentre Gaia mi lanciava uno sguardo strano e per me del tutto
incomprensibile.
“Allora, cosa hai fatto questa volta?”, chiesi
cercando di non far tremare le
mani mentre sfioravo le sue spalle. Oh, ma perché ero
così
masochista?
“Te lo dico io cosa ha fatto il signorino. Ti ricordi
Claudia, la mia amica
dell’università?”, domandò
Gaia, tornando all’attacco.
Mi ghiacciai sul momento, perché era facile immaginare il
seguito. Claudia, 21
anni, alta, bionda, misure… beh, cosa importa. Faceva la
modella a Milano come
lavoro part-time e la valletta televisiva in non so quale programma!
Non c’era altro
da aggiungere.
Sorrisi, cercando di sembrare complice. D’altra parte ero la
sua migliore amica…
“Ma bravo! Ti piacciono di alta
classe…”, dissi pizzicandogli una spalla.
Lui si voltò, quel tanto che bastava a mostrarmi il suo
sorriso strafottente.
“Solo le migliori”, sussurrò,
incrociando il mio sguardo e paralizzando il mio
corpo.
Appena la mia mano si fermò, il suo sorriso si spense e fu
come se una nuvola
avesse coperto il sole. Provai un brivido freddo.
“Mi stai ascoltando?”, Gaia interruppe il mio stato
di catarsi e la ringraziai
mentalmente.
“Certo. Solo che mi è venuta in mente una cosa
tremenda”, risposi
tempestivamente.
“Cosa?”, chiese lei, mentre io mi alzai
dall’asciugamano chiudendo il tubetto
di crema e porgendolo di nuovo ad Ale.
Entrambi mi guardavano curiosi.
Sorrisi perché avevo la scusa perfetta per defilarmi da
quella situazione, ma
anche una terribile verità ad attendermi.
“Mi sono ricordata che Daniela ha organizzato una specie
di…cosa, per
stasera”, tentai di spiegare senza sentirmi troppo
imbarazzata.
“Con cosa per stasera,
intendi…?”, suggerì Gaia che stava
morendo di
curiosità.
Ale mi guardava senza parlare. Sapevo a cosa stesse pensando.
“Beh, una specie di appuntamento al buio, almeno per me, con
un ragazzo del suo
corso ed un suo amico. Niente di importante. È solo
che…”
Ma Alessandro mi anticipò.
“E quando avevi intenzione di dirmelo?”, chiese con
tono duro ed una luce negli
occhi.
Rimasi per un minuto interdetta dalla sua reazione.
“Scusa, so che avrei dovuto avvertirti, ma mi ero
completamente dimenticata di
questa cosa, e prima quando hai
parlato di quella ragazza e dell’università, beh,
mi è venuto in mente.”
Gaia ci guardò sconvolta, per poi fare un passo avanti verso
di me e
posizionandosi di fronte suo cugino.
“A parte il fatto che dovresti chiamare questa cosa
con il suo nome e cioè appuntamento.
Punto secondo, direi che era ora che ti dessi una
svegliata...” E a queste sue
parole di nuovo avvampai, ma sapevo che non era finita.
“…ed infine: mi spieghi perché cavolo
deve rendere conto a te di quello che
fa?”, chiese Gaia, girandosi verso Ale.
Lui
rispose
prima che io potessi anche solo respirare. Si alzò agilmente
senza guardarmi, e
sfoderando di nuovo quel suo sorrisetto arrogante.
“Lei non deve rendermi conto di niente. Sono rimasto sorpreso
perché avevamo
deciso di vedere un film insieme e mangiarci una pizza, e tra amici
sarebbe
carino avvertire se ci sono cambi di programma. E poi… no,
niente.”
Girò il viso senza neanche guardarmi e iniziò a
rivestirsi, mentre io
cominciavo seriamente ad alterarmi davanti a quel suo atteggiamento.
“Senti, ti ho già chiesto scusa. Non mi sembra la
fine del mondo se saltiamo un
giovedì. So che è la nostra
serata relax, ma magari potremmo
spostarla a domani, che ne dici?”, dissi
con un sorriso, cercando di trattenere la tensione. La
verità era che ero stata
io a chiedere a Daniela di vederci, perché era troppo tempo
che iniziavo a
sentirmi tremendamente in ansia pensando alle serate del
giovedì con
Alessandro. Le avevo quindi chiesto di uscire noi due, per una serata
tra
donne. Certo, però, non era mia intenzione finire in un
appuntamento… ma ormai
non potevo rifiutarmi.
“Ehi, non preoccuparti. Non sia mai che io non capisca il
bisogno di una
sana... scopata, perciò mi capirai anche tu se domani non
posso, vero?”, disse
sprezzante in un tono che non aveva mai usato con me e che mi sconvolse
letteralmente. Gaia si immobilizzò al mio fianco, mettendosi
una mano davanti
alla bocca.
“Come, scusa?”, chiesi sconvolta.
Lui voltò le spalle senza rispondermi.
“Sto parlando con te, idiota, orgoglioso che non sei
altro!” Lo presi per una
spalla, costringendolo a voltarsi.
“Che c’è, sei sorpresa? Come se non
conoscessi le abitudini della tua amica. Come
minimo ti ritroverai ad aspettarla da qualche parte mentre si sbatte
uno dei
due.”
Lo guardai sempre più scioccata. Non mi parlava mai in quel
modo, e poi perché
tutta quella scontrosità verso Daniela?
“Sì, ma è a me che ti sei rivolto in
quel modo.”
“Pensavo solo che non fossi quel tipo di
ragazza…”, sussurrò abbassando lo
sguardo.
“E non lo sono, dovresti saperlo. Perciò non
permetterti più di parlarmi in
quel modo”, dissi fredda, alzando lo sguardo sul suo viso.
Anche se era
decisamente più alto di me, potei vedere il suo volto
diventare triste e
colpevole.
“Tu non sei una ragazza che... tu non…”,
cercò di convincermi prendendomi per
le spalle.
A quel punto la furia aumentò. Non so quale fu esattamente
la goccia che fece
traboccare il vaso, ma in quel momento mi sentii come una sorellina
indifesa e
sgridata dal fratello più grande. Ma non era assolutamente
così: ero una donna,
non una ragazzina.
Scansai le sue mani dal mio corpo, aumentando la distanza tra noi che
era
diventata fin troppo insostenibile e lo guardai per la prima volta in
vita mia
con una rabbia che lo sorprese.
“Non sono cosa? Non sono
forse una
donna anche io? Non dovrei essere libera di uscire con chi mi pare e
piace
visto che sono single? O forse credi che non possa essere interessante
e che
sia solo una ragazzina? Vuoi sapere una novità? Io sono una
Donna come tutte le
altre, e che tu ci creda o no c’è chi mi trova
interessante e vuole uscire con
me. Perciò io ci andrò, perché mi va,
perché sono libera e perché anche se
volessi farmi una scopata, come
dici
tu, non ci sarebbe niente di male, se sono Io a volerlo. E tu non hai
nessun diritto
di insinuare che sarei una puttana se lo facessi!”, urlai con
una furia che
sorprese anche me.
“Non ho mai detto questo!”, urlò di
rimando.
“Ma è così che mi hai fatto
sentire”, dissi freddamente e questo lo ammutolì.
Ci guardammo negli occhi per un secondo di troppo. In silenzio e senza
avere né la voglia né la forza di dire altro,
rientrai in casa, diretta in camera mia.
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Ciao a tutte, eccomi qui con la mia
primissima fanfiction, l'ho scritta
di getto e sono sicura si veda, ma avevo una voglia tremenda di
postarla e sapevo che se non l'avessi fatto stasera, sarebbero passati
altri mesi...sono un pò fifona quando si tratta di far
leggere ciò che scrivo e sò che è
difficile capire ed entrare in una storia con un solo capitolo ma
questa è una sorta di prova, con me stessa e con
ciò che posso fare, perciò vediamo come va ;D
La storia è tutta quì nella mia testa, spero solo
di riuscire a rendere i personaggi belli come li vedo e a far percepire
le loro emozioni... Avviso che ci saranno lacrime, rabbia, passione e
spero davvero di riuscire a mostrarveli come desidero. Ogni consiglio
è super gradito, ma non siate troppo dure con me...no
scherzo, ogni critica costruttiva mi aiuterà a crescere.
Alla prossima,
Lela