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Autore: Gundam Girl    23/01/2006    1 recensioni
Spike sapeva che non c’era niente da guadagnare guardando Julia più di una volta. Era un demone con le sembianze di un angelo…ed era del suo migliore amico Vicious. Ambientata prima della serie, una fic che racconta il passato di Spike.
Genere: Romantico, Malinconico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Julia, Spike Spiegel, Vicious
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Part Fourteen: Door To The Secret Paradise

Part Fourteen: Door To The Secret Paradise

Quando Spike entrò nell’ospedale il giorno seguente, fu sorpreso di vedere che Julia era già lì. Il dottore non si era sbagliato; aveva solo avuto bisogno di qualche settimana perchè il suo occhio guarisse, e da ora anche il suo corpo era di nuovo funzionale. Solo ieri sarebbe stato impossibile per lui lasciare il suo appartamento, ma adesso si sentiva bene come prima dell’incidente.

Niente di questo era nuovo. Ciò che era nuovo, era il fatto che Julia lo stava aspettando, con le braccia incrociate.

"Cosa ci fai, qui?" chiese Spike. Trasalì immediatamente. "Scusa, non intendevo…Julia…Vicious…"

"No," disse lei, la voce che tremava leggermente per il sollievo nella sua risposta. "Lo so che sembra strano, ma non ha fatto niente. E’ tornato a casa dopo essere venuto da te e…mi ha baciato. Solo baciato. Poi se n’è andato. Ma Spike…" I suoi occhi erano quasi color grigio ardesia, tanta era la preoccupazione. "Lo sa. Sono sicura che lo sa."

Spike immerse le mani nelle tasche del cappotto. Non disse niente, la guardò solamente; stava intrecciando insieme le dita, e i suoi occhi brillavano per l’emozione. "Julia…"

"Spike Spiegel." Il dottore che l’aveva curato quando Mao gliel’aveva portato, stava sorridendo dalle porte che conducevano a un corridoio. "Se mi segue, le toglieremo quella benda," disse gentilmente.

Spike andò col dottore, sentendo che Julia gli era vicina, e tutti e tre entrarono in una piccola stanza dove il dottore fece sdraiare Spike su un lettino e prese una boccia di liquido che sembrava acqua. "Questo aiuterà a togliere l’adesivo della benda," spiegò, cominciando a picchiettare sulla fitta garza con un asciugamano.

Julia rimase in piedi contro la parete vicino alla porta, aspettando pazientemente con le braccia ancora incrociate. Spike la guardò negli occhi con l’unico che funzionava.

Dopo qualche minuto, il dottore afferrò un angolo della benda e lo allontanò delicatamente dall’occhio destro di Spike. La benda si tolse facilmente, e il dottore la raccolse, insieme all’asciugamano e alla boccia, e li mise da parte.

"Eccoci qui, signor Spiegel. Dovrà riempire alcuni documenti, ma le darò un minuto, mentre vado a parlare con un altro paziente. Mi scusi."

Quando il dottore se ne fu andato, Julia si allontanò dalla parete e gli si avvicinò. "Vuoi vedere?" gli chiese a voce bassa. Pensò ci avrebbe messo alcuni minuti ad abituarsi a quanto sembrava diverso.

Spike annuì, e Julia prese uno specchio da un tavolo vicino e lo mise allo stesso livello del suo volto.

Non sembrava così diverso, pensò Spike. Ma ovviamente Julia l’avrebbe notato. Esaminò l’occhio destro confrontandolo con quello sinistro. "Hanno fatto un buon lavoro," mormorò lui, la sua abituale allegria assente nella voce.

"Hai gli occhi di due colori diversi," disse Julia.

Spike sorrise leggermente. "Il mio occhio sinistro guarda verso il passato," le disse in tono calmo.

Malgrado i suoi sentimenti, che erano confusi e aggrovigliati l’uno nell’altro nel suo cuore, anche Julia sorrise. "E quello destro verso cosa?"

Spike era silenzioso. Le prese la mano e la accarezzò con il pollice.

o0o

Lo Swordfish II si scosse violentemente quando lo fece atterrare in un luogo rempoto fuori da Tharsis. Una larga struttura apparve davanti a lui quando atterrò, e Spike spense il motore, uscendo fuori e saltando sul terreno, scivolando un pò in cima alla duna rossa.

Da qualche parte dentro la struttura, era accesa una radio. Spike si diresse verso il suono, le mani nelle tasche dei suoi nuovi abiti – una giacca blu, che portava su una camicia bianca e una cravatta nera. Se li era regalati. Questa era un’occasione speciale, dopotutto.

Spike fece vagare gli occhi una volta entrato nella struttura. Era solo un garage veramente grande, e qua e là c’erano scatole di attrezzi vari. Ruote di atterraggio di ricambio costellavano il pavimento sotto tre enormi navi per un pilota, uno dei quali era molto simile a quello di Spiegel.

"Ehi!" gridò all’enorme spazio. "Doohan! Dove sei?"

Ci fu un rumore e un’imprecazione, e infine un uomo anziano con un volto raggrinzito e molto scontroso apparse da dietro una delle navi, incrociando le braccia. "Chi diavolo è?" chiese.

"Spike Spiegel," disse Spike. "Il ragazzino pidocchioso a cui hai dato lo Swordfish."

"Oh, bè," Doohan fece un passo avanti per vedere meglio Spike alla luce. "Immaginavo che ti avrei rivisto, prima o poi. Non hai distrutto quel pezzo di arte, vero?"

"No. Ma ho bisogno che tu lo controlli per me. Sto per…partire." Spike fu soddisfatto quando il vecchio scrollò le spalle, senza indovinare il suo bluff.

"Lo Swordfish II non è un veicolo da viaggio," disse Doohan con tutta l’importanza di un uomo con la sua conoscenza. "Dovrai prendere una nave."

"Non ho il tempo o il denaro per comprarne una, in questo momento," gli disse Spike. "Lo Swordfish mi porterà almeno fuori da Marte. Dagli solo un’occhiata e me ne andrò via."

"Il problema che voi giovani di oggi non capirete mai è che pensate che tutti abbiano tempo per voi." Sospirò Doohan, grattandosi la testa con la chiave che aveva in mano.

"Che è come dire che sei impegnato."

"Sono sempre impegnato!" insistette Doohan. Si passò una mano sulla fronte, sconfitto. "D’accordo, Spike. Ci darò un’occhiata, ma ci vorranno un paio d’ore. Mi auguro che tu non abbia fretta."

"Ho solo bisogno che faccia del tuo meglio. Il motivo per cui ho bisogno dello Swordfish è più grande di qualsiasi cosa abbia fatto finora, Doohan."

Doohan fissò Spike negli occhi per un momento, e lui si chiese se avrebbe notato la differenza tra di essi. "Hai cambiato il tuo aspetto in qualche modo, ragazzo?"

"No." Spike accompagnò Doohan fuori. "Sono solo più concentrato del solito."

"La gente che cerca di lasciare l’organizzazione lo è sempre."

Spike rimase impietrito anche se Doohan aveva aperto la parte anteriore dello Swordfish II e stava esaminando i vari meccanismi all’interno. "Doohan," cominciò Spike.

"Non sei la prima persona a provarci, e se fallisci, non sarai nemmeno il primo a farlo. Non dirmi dove stai andando."

Spike lanciò un’occhiata all’anziano meccanico. Alcuni secondi dopo, sospirò, incapace di trattenersi dal sorridere. "Credo che non riuscirei mai a nasconderti qualcosa, Doohan."

Doohan si fermò, la chiave intorno a una giuntura che stava rinforzando. "Spike, dimmi solo una cosa. Hai intenzione di farti uccidere?"

"No," disse Spike fermamente.

"Hai intenzione di fare uccidere qualcun altro?"

"No," gli disse Spike, questa volta a voce più alta. "Non sarà ucciso nessuno, Doohan. Sto per dare un pò di libertà a due persone."

Per un momento, il silenzio cadde tra i due uomini. Alla fine Doohan si rimise al lavoro, ma chiese, "Come pensi di farlo?"

"Speravo che tu potessi aiutarmi."

"Cosa? Io?" Doohan saltò su così velocemente che la sua testa colpì lo Swordfish. "Dannazione, perchè diavolo vuoi immischiarmi in tutto questo?"

"Ho bisogno di comprare l’altra tua nave. Somiglia molto allo Swordfish." Spike osservò l’aereo immobile nel garage. "Tutti sanno che l’unica via di fuga dal Red Dragon è morire."

"Non sei serio—"

"Ho il denaro," disse Spike. "Che ne dici di cinquanta-cento woolong?"

"Bè…va bene," disse Doohan. "Ma Spike, che cosa vuoi farci?"

Spike si voltò a guardarlo, e il sole artificiale creò un bagliore simile ad un’aureola intorno ai suoi capelli verdi. "Morire." Sorrise.

o0o

"Certo che ha piovuto parecchio," commentò Shin rivolgendosi al fratello. "Pensi che influirà sull’operazione, domani mattina?"

"No, Vicious lavorerà con la pioggia e il sangue," rispose Lin. "Come sempre. E Spike è altrettanto resistente."

Si voltarono entrambi quando l’ascensore si fermò al piano dell’ufficio personale di Mao Yenrai. Le porte si aprirono per rivelare l’uomo in questione, il sorriso spavaldo al suo posto.

"Sei vestito in modo poco adeguato per un incontro con il signor Yenrai," disse Lin mentre Spike si avvicinava a loro.

"Ho paura di non essere nel suo elenco." Spike fece un cenno di saluto a Shin. "Ha un minuto?"

"E’ sempre molto impegnato," disse Shin, "ma non vedo perchè non vorrebbe vederti."

"Vai pure," aggiunse Lin.

Spike fu sul punto di fare un passo avanti, quindi si fermò. Mise una mano sulla spalla dei gemelli. "Voi due…siete davvero dei bravi ragazzi. Spero che lo sappiate." Girò sui tacchi e si allontanò, sparendo nell’ufficio del leader dell’organizzazione e lasciando i ragazzi storditi dal suo complimento.

Mao interruppe la sua attività e alzò gli occhi. Anche se stava invecchiando ogni giorno di più, Spike aveva sempre creduto che la sua mente notevole continuasse a crescere in saggezza e tuttavia rimanesse giovane e attenta.

"Spike," disse Mao con un sorriso. "Non mi aspettavo di vederti fino a domattina."

"Sono in anticipo," replicò Spike. "Avevo bisogno di venire qui per un minuto."

Mao annuì, la sua espressione ancora amichevole, anche se nei suoi occhi c’era un bagliore che che significava che aveva subito colto qualcosa. "Capisco. Il tuo occhio…il dottor Pearson ha fatto davvero un buon lavoro. Ti ha dato problemi?"

"Mi sto abituando." Anche dicendo questo, Spike desiderò ardentemente di poter vedere Mao con entrambi gli occhi invece che solo con il sinistro. L’uomo che sedeva dietro una scrivania era l’unica figura paterna che avesse mai conosciuto, e gli stava a cuore molto più profondamente di quanto avesse mai dato a vedere. Per tutti, era sempre stato solo un ragazzo audace con ottime abilità di pilota. Per Mao, lui era stato come un figlio. "Non le ho mai detto grazie per avermi aiutato."

"Non c’è ne bisogno. E’ la signorina Julia che dovresti ringraziare. Se lei non mi avesse chiamato, le conseguenze sarebbero state molto più gravi della perdita di un singolo occhio." Mao si alzò, interrompendosi per un secondo mentre le sue gambe si abituavano al cambio di posizione. Quindi distolse lo sguardo dalla scrivania e guardò fuori dalla finestra.

Il silenzio cadde tra i due uomini, anche se non sgradevolmente, fino a quando Mao non parlò di nuovo: "Perchè sei venuto qui, Spike?"

Spike si mosse in avanti trovandosi di fronte alla scrivania, le dita sulla sua superficie. "Quando ho detto che volevo dirle grazie, intendevo di tutto. Tutta la mia vita…è stato tutto per persone come lei, e come Annie…avrebbe potuto non farlo. Ma l’ha fatto e si è assicurato che crescessi bene."

"Spike." Mao girò intorno alla scrivania e anche se doveva alzare lo sguardo per incontrare l’occhio di Spike, non sembrava meno potente. "Ho fatto quello che ero obbligato a fare. Tuo padre e io eravamo nella stessa unità del Red Dragon. Eravamo buoni amici. Quandò morì, naturalmente andai a vedere tua madre."

Spike non rispose, ma il suo stupore era enorme. Questo era più di quanto Mao gli avesse mai detto dei suoi genitori. Era pur vero che non gli aveva mai fatto domande su di loro, ma era strano in ogni caso.

"Scoprìì che era malata. Il suo cuore era debole per la polvere che la tecnologia di allora non riusciva a fermare impedendole di entrare in città. Era ovvio che non sarebbe sopravvissuta dandoti alla luce. Sono riuscito a darti un posto all’orfanotrofio, a farti andare a scuola e a farti addestrare dall’organizzazione fino a quando hai compiuto quindici anni. Se tu avessi voluto essere libero dal Clan del Red Dragon, il tuo desiderio sarebbe stato esaudito. Ma hai scelto di non andartene, e ti sei unito a noi il giorno che hai compiuto quindici anni. E sei stato con noi fin da allora." Mao unì le mani dietro la schiena. "Hai qualche richiesta da farmi?"

Il volto di Spike era torvo, ma aveva una domanda. "Perchè mi sta dicendo tutto questo adesso, signore?"

Il sorriso di Mao si allargò ulteriormente. "Perchè l’espressione che vedo ora nei tuoi occhi, anche in quello prostetico, è la stessa che avevi quando decidesti di unirti all’organizzazione. Posso vedere che hai preso un’altra decisione importante."

Si allontanò da Spike, dirigendosi verso una piccola cassaforte in un angolo della stanza. La schiena rivolta a Spike, aprì la pesante porta di acciaio e ne trasse fuori un revolver. Chiudendo la cassaforte, tornò dal suo agente e gli porse la pistola. "Era di tuo padre."

Spike prese il dono con una mano intorpidita. Non riusciva a guardare Mao negli occhi.

"Non te la sto consegnando perchè credo che ti influenzerà in qualche modo. So che sei un ragazzo dalla testa troppo dura perchè una manovra simile funzioni. Ma sono passati nove anni da quando sei diventato un membro del Clan. Un tempo abbastanza lungo, perchè tu potessi avere l’onore di portare quest’arma."

Spike sollevò la pistola verso l’occhio buono e fissò le lettere incise su un lato. "Jericho," mormorò.

"Se c’è qualcuno in grado di usarla bene, quello sei tu. Le mura di Jericho furono distrutte," riflettè Mao, "ma non credo che questa lo sarà, se si trova nelle tue mani."

Spike alzò gli occhi. "Grazie."

"Usala bene." Mao stese una mano e Spike la scosse, senza parole. "Abbi cura di te."

Quelle parole lo congedarono con un’ondata di orgoglio.

Fu solo quando si trovò sulla strada al di fuori dell’edificio che Spike si rese conto che Mao, nel suo modo sottile, gli aveva detto arrivederci.

o0o

Pioveva. Julia poteva sentire i tuoni da dentro il suo appartamento. Stava guardando una piccola statuetta sul davanzale della sua finestra; due pesci che si fronteggiavano da altezze diverse. Stava cominciando a pensare che i pesci non riuscissero a raggiungersi. L’aveva comprata d’impulso, ma ora desiderava che non l’avesse mai fatto. Non aveva acceso le luci, e l’intera stanza era immersa in un bagliore grigio che la faceva sembrare tetra e scolorita.

Aveva appena ricevuto una chiamata da Lin, cui Vicious aveva chiesto di dirle dell’operazione che sarebbe avvenuta l’indomani mattina. "Questa volta," aveva scherzato il più vecchio dei due gemelli, "Spike è al sicuro da ogni pericolo, con Vicious."

Se solo Lin avesse saputo quando fosse pericolosa la presenza di Vicious; Spike era più a rischio questa volta che nello scontro in cui aveva perso un occhio.

La porta non era chiusa a chiave. Il pensiero la raggiunse come un sesto senso un secondo prima che venisse aperta. Rimase impietrita per un momento, quando l’intruso entrò e si chiuse la porta alle spalle. Il cuore in gola, si voltò.

Spike era lì in piedi, con un sorriso pieno di sicurezza. Non la salutò, ma le rivolse un’occhiata che sembrò leggerle la mente per un secondo. E in un istante, capì che lei sapeva dell’operazione.

"Quando sarà finita," disse lui, "lascerò l’organizzazione." Il suo sorriso non vacillò mai, e l’assenza di paura impressionò e preoccupò Julia al tempo stesso.

La confusione di emozioni rese la sua voce ferma e chiara. "Ti uccideranno." Era un fatto. "Sai come lavorano."

"Lasciagli dire che sono morto." Mise una mano nella tasca della giacca che indossava. Gli occhi di Julia la seguirono e riconobbe la sagoma di una pistola, ma Spike tirò fuori un pezzo di carta piegato, e non l’arma.

"Ti aspetterò al cimitero. Davanti alle tombe, non in una di loro," aggiunse.

"Spike…" Julia voleva prendere il biglietto, ma l’istinto non glielo permetteva. Non ancora. "Non posso venire con te." Ogni parte sensibile di lei glielo disse.

Ma Spike disse altrimenti. "Sì che puoi. Lasceremo questo posto…e ne usciremo fuori." La sua voce era fluida, come il modo in cui combatteva, ma adesso non stava combattendo.

Julia si stava ancora opponendo. "E andare dove?" chiese disperatamente. "E fare che cosa?"

"Vivere." Pronunciò quella parola con un’incredibile passione, calmo e animato al tempo stesso. "Essere liberi. Sarà come guardare un sogno."

Quelle furono le parole che convinsero il suo cuore. Sollevò una mano, e Spike le porse il pezzetto di carta, le dita che accarezzavano le sue e le fecero correre un brivido lungo il braccio, ricordandole quando lo amasse.

Incontrò i suoi occhi, e in quell’istante Spike capì perchè l’amava: non aveva mai incontrato qualcuno con così tanta vitalità ed emozioni. Non aveva mai incontrato qualcuno che era davvero vivo, prima di lei.

Quando Spike la lasciò dopo un bacio che le fece tremare le ginocchia, Julia ricordò quanto le facesse male amarlo, anche se amarlo le aveva portato l’unica vera pace che lei avesse mai conosciuto.

  
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