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Autore: emmahp7    27/03/2011    9 recensioni
Più che un Missing Moment, questa è la descrizione di un momento. Una delle scene che più mi hanno emozionato in "Harry Potter e i Doni della Morte Parte I". Il ballo tra Harry ed Hermione visto con gli occhi di quest'ultima, il suo tormento interiore per l'abbandono di Ron. Tutti abbiamo bisogno di concederci attimi di debolezza, questo è quello di Hermione.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Ron/Hermione
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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L’ultimo ballo

Dedicata a Ginevra B.

Perché le sue parole e il suo supporto mi sono di stimolo e mi fanno immensamente piacere.

Grazie.

 

 

L’ultimo ballo

 

 

We have the answer to all your fears

It’s short, it’s simple, it’s crystal dear

It’s round about, it’s somewhere here

Lost amongst our winnings

 

O children – Nick Cave

 

 

 

 

Ron era ancora dappertutto.

Lo sorprendevo a fissarmi attraverso le cose che gli appartenevano e che aveva lasciato nella tenda quando ci aveva abbandonato. Talvolta era il maglione di lana che sua madre gli aveva confezionato per il Natale precedente, o ancora la tazza di ceramica che utilizzava quando bevevamo il tè, la fascia che aveva smesso quando il braccio aveva cessato di dolergli.

Mettevo quello che trovavo nella borsa di perline.

Cercavo di nascondere la sua assenza ai miei occhi.

Sapevo che avrei dovuto buttare tutto, bruciare ogni testimonianza del suo passaggio, ma mi dicevo che non volevo lasciare tracce di noi in giro, che accendere un fuoco avrebbe potuto attirare l’attenzione.

Erano solo bugie.

Avrei potuto sbarazzarmi dei ricordi di Ron in mille altri modi, ma sfuggivo all’idea di prenderne in considerazione anche solo uno.

Quando, rovistando nella borsa, m’imbattevo in qualcuno dei suoi vestiti, me lo lasciavo scivolare tra le dita, ne accarezzavo il tessuto per liberare il lieve odore che era rimasto di lui. Se chiudevo gli occhi e annullavo dalla memoria le ultime settimane riuscivo ancora ad immaginarmelo vicino.

Mi faceva male. Mi facevo male.

Ogni volta che pensavo a lui sentivo comprimermi il petto da un peso che non mi permetteva di respirare, ma non potevo smettere.

Il suo letto vuoto, la sua sedia nascosta in un angolo richiamavano il nostro sguardo continuamente. Io ed Harry tentavamo di evitarli, ma attiravano la nostra attenzione, pulsavano di rancore come fossero cose vive.

C’erano giorni in cui la mancanza di Ron si espandeva a tal punto da inquinare l’aria nella tenda. Talvolta si faceva così densa che io ed Harry non riuscivamo a restare nello stesso posto assieme. Si dilatava tra di noi come una terza presenza, occupava lo spazio che Ron aveva lasciato vuoto, rendendoci ancora più assurdo il proposito di voler dimenticare.

Le sue ultime parole risuonavano tra i nostri silenzi, tra le pause delle nostre brevi conversazioni di circostanza. Entrambi avvertivamo le sue accuse come macigni da portare al collo, ci logoravano l’anima molto più di quanto non facesse già il medaglione di Serpeverde.

Ogni tanto lo sognavo.

Sognavo la sua espressione arrabbiata e delusa quando era uscito dalla tenda, la sua schiena allontanarsi nella notte piovosa. Non ho mai sognato il suo ritorno, forse per paura che non accadesse, o forse perché faticavo a credere in un suo ritorno: io ed Harry eravamo invisibili, in continuo movimento. Non ci trovava Voldemort, non ci avrebbe trovato Ron. E magari era proprio quello che voleva.

Mentivamo.

Tentavamo di far sembrare tutto normale, ricercavamo la routine degli ultimi mesi, vivevamo ogni nuovo giorno fingendo che nulla fosse cambiato.

Ma ogni nuovo giorno era una menzogna.

Tutto era cambiato.

Harry era cambiato.

Io ero cambiata.

E sapevo che non potevamo tornare indietro.

Aprivo gli occhi e mi convincevo che potevo andare avanti anche senza Ron, che dovevo andare avanti. Non volevo permettere ad Harry di andare in pezzi, ed io per prima non dovevo andare in pezzi.

Mi persuadevo di essere intatta, mi mostravo salda e sicura, ostentavo interesse per la ricerca degli Horcrux, curiosità per il significato nascosto delle fiabe di Beda.

Mi stancavo. Cercavo di affaticarmi il più possibile. Coprivo due o tre turni di guardia di seguito, rimandavo più che potevo il momento di dormire.

Harry mi lasciava fare. Forse sapeva meglio di me che erano inutili espedienti.

La notte mi metteva paura. Di notte non riuscivo a non crollare.

Quando entravo sotto le coperte, il freddo incombeva su di me e mi obbligava a pensare ancora.

Non soffrivo il freddo prima.

Quando Ron dormiva nel letto accanto al mio, quando avvertivo la sua veglia al di là della tenda, il freddo non mi toccava. Adesso il gelo mi scuoteva incessantemente, s’infilava sotto la mia pelle, mi arrivava fin nelle ossa. Forse era il mio cuore stesso ad essere ghiacciato.

Il suono del suo respiro mi riempiva ancora le orecchie nella solitudine del nostro rifugio, non riuscivo a scordare il ritmo che aveva accompagnato il mio sonno tanto spesso. Era come se lo avessi tatuato nei timpani. M’inseguiva in qualsiasi luogo ci accampassimo, in qualunque notte cercassi di addormentarmi.

Evitavo di arrendermi al pianto, almeno davanti ad Harry, ma c’erano momenti in cui mi sentivo sopraffatta al punto che trovavo conforto solo tra le lacrime. Mi allontanavo con una scusa dal mio amico e mi lasciavo andare alla disperazione, davo sfogo alla mia frustrazione, alla rabbia, alla delusione. Non mi portava a stare meglio, ma il dolore, in qualche modo, mi diceva che ero ancora viva.

Credevo che, col passare del tempo, la situazione si sarebbe stabilizzata, che avrei iniziato a rassegnarmi.

Mi sbagliavo.

Non immaginavo che lui mi fosse entrato così nel profondo.

Una parte di me era talmente tanto legata a Ron da spaventarmi e stupirmi al tempo stesso.

Quell’Hermione non voleva cedere, avrebbe addirittura abbandonato Harry per riprendersi Ron. Dovevo lottare ogni giorno contro di lei, ed ogni giorno mi avvicinavo un po’ di più alla sconfitta, ma insistevo e combattevo e soffrivo e piangevo…

Iniziai ad accendere la radio per riempire il silenzio.

Io non volevo parlare, Harry neppure, l’ascolto della radio era la scusa giusta per il nostro mutismo.

Nonostante sapessi che gli recava fastidio, Harry non mi chiese mai di spegnerla.

A volte prestavo attenzione alle parole che ne uscivano: liste con nomi di persone scomparse si srotolavano infinite tra i nostri pensieri, rendendoci ancora più abbattuti. Sentivo la responsabilità di quelle sparizioni, ed ero sicura che la sentiva anche Harry.

Udivamo elenchi di persone senza storia sciorinati come liste della spesa.

Erano solo nomi e cognomi. La maggior parte non li conoscevamo.

Potevano essere chiunque, e potevano essere nessuno.

Come noi.

Ormai eravamo solo nome e cognome. Harry Potter, Hermione Granger.

Una volta c’era anche un Ron Weasley.

Perdevo di vista la missione. Ne ero consapevole, ma la mia mente non era abbastanza lucida per riflettere. Guardavo le Rune segnate tra le pagine di Beda ed era come se stessi fissando il ramo di un albero spoglio: non ci vedevo nulla.

Pian piano tutto perdeva di significato.

Mi dicevo che dovevo riprendermi, che era arrivato il momento di rialzarmi come avevo sempre fatto, che, se volevo, potevo essere invincibile. Ma non volevo.

Desideravo annullarmi, crogiolarmi nello sconforto.

I giorni si rincorrevano uno con l’altro e sembravano tutti uguali.

Come le notti.

Neanche le distinguevo più.

Erano scandite dalle parole della radio, il continuo sottofondo dei nostri fallimenti. L’annunciatore pareva ricordarci ininterrottamente i nostri errori, rimproverarci ed insultarci. Io chinavo il capo sotto quelle accuse, me le sentivo piombare sopra pesantemente, mi lasciavano stordita, m’indebolivano.

Avevo davanti agli occhi una sorta di nebbia perenne che mi appannava il cervello e non mi concedeva di vedere la via d’uscita, credevo di essere in un abisso senza ritorno.

Mi sentivo sola. Anche se Harry c’era sempre.

Alla sera la malinconia mi si stringeva addosso e mi impediva persino di sollevare la testa e condividere il mio dolore con Harry seduto poco distante da me.

Una di quelle sere alla radio passava una canzone.

Non la stavo ascoltando, ma mi resi conto che non era il solito bollettino di sconosciuti dispersi.

 

Stanno raccogliendo dal pavimento del macellaio

i vostri piccoli cuori spezzati

 

Diceva la voce cantante.

Il mio, di cuore spezzato, non era neanche più sul pavimento, l’avevano calpestato e spazzato via.

 

Noi abbiamo la risposta a tutte le vostre paure

è breve, è semplice, è chiara come il cristallo

è qui attorno, è qui da qualche parte,

persa fra le nostre vincite

 

Non c’era nulla di breve, o di semplice, o di chiaro lì attorno.

C’era buio, c’era freddo e c’era la paura. La paura per ciò che dovevamo fare, paura di non riuscirci, paura di rimanere in balìa di quel momento che durava ormai da troppo tempo.

Harry si alzò e venne verso di me. Mi si fermò di fronte.

Mi tese la mano, invitandomi ad alzarmi.

Ignoravo cosa volesse, ma afferrai le sue dita e mi misi in piedi.

Mi tolse dal collo il medaglione di Serpeverde, poi mi portò al centro della tenda.

 

O bambini

alzate la vostra voce, alzate la vostra voce

 

Eravamo ancora dei bambini. Io, Harry e anche Ron.

Facevamo finta di dimenticarlo, ma in verità eravamo dei bambini.

E ai bambini è permesso avere paura.

Volevo essere una bambina e alzare la voce, come diceva la canzone.

Per la prima volta da mesi non mi sentii in colpa per ciò che provavo: avevo paura, freddo, fame, ero arrabbiata e triste e ne avevo tutto il diritto.

 

Bambini

rallegratevi, rallegratevi

 

Harry cominciò a muoversi, a dondolare, e mi spingeva a seguirlo.

Non avevo abbastanza forza per oppormi ai suoi gesti.

Manovrava le mie braccia come fossi una bambola. Le gambe si spostavano rincorrendo le sue mosse, senza che io ne avessi il pieno controllo.

Stavamo ballando.

Il mondo fuori crollava e noi stavamo ballando.

E non m’importava…

Era quello di cui avevo bisogno: volevo mollare tutto e ballare.

Mi fece girare, girò a sua volta su sé stesso.

Rideva e venne da ridere anche a me.

Erano mesi che non ridevo, pensavo di non ricordare come si faceva.

E dimenticai tutto, dimenticai perché sentivo quel gran dolore al centro del petto, perché io ed Harry non riuscivamo più a parlare, perché mi sembrava di esserci addossati un onere molto più grande di noi.

La cosa fondamentale in quel momento era seguire la musica e rispondere al sorriso malinconico di Harry.

 

Stiamo tutti piangendo adesso

piangendo perché non possiamo fare niente per proteggervi

 

Mi abbracciò. Il calore del suo corpo si fuse con il mio.

Harry cercava di proteggermi, avrebbe fatto qualsiasi cosa per allontanare da me ogni tormento, come avrebbe fatto un fratello, se ne avessi avuto uno; ma non poteva proteggermi dal male che mi aveva provocato la perdita di Ron.

La sua stretta mi rammentò un altro paio di braccia che mi avevano circondato raramente, al cui ricordo però si volgeva ogni mio pensiero.

Mi tornarono alla mente le ultime parole che Ron aveva pronunciato prima di sparire oltre la tenda: “ Vi ho visti, voi due ” e l’abbraccio con cui Harry stava tentando di consolarmi, mi parve d’un tratto sbagliato.

La sensazione di essere la causa della mancanza di Ron tornò nuovamente a diffondersi nel mio cuore, violenta, irrefrenabile.

Harry poggiò la guancia sulla mia spalla, io posai il mento sulla sua.

Desideravo ritrovare la spensieratezza di un attimo prima, ma capii che per me il momento era passato; l’espressione accusatoria di Ron quell’ultima sera seguitava a ricomparirmi davanti.

Harry alzò la testa e mi guardò speranzoso.

 

O bambini

alzate la vostra voce, alzate la vostra voce

 

Io risposi al suo sguardo e mi illusi che potesse vedere la stessa aspettativa nei miei occhi, ma non ero già più capace di alzare la voce, un nodo mi serrava la gola ora. Di nuovo.

La stanchezza m’invase. Mi sentii così stanca di fingere che, le mani di Harry che stringevo tra le mie, mi sembrarono improvvisamente pesanti, troppo pesanti.

Non riuscii a sopportare la sua vicinanza un istante di più, abbassai lo sguardo e mi scostai da lui.

Harry non sarebbe stato in grado di scorgere alcun briciolo di speranza sul mio viso perché io stavo fissando un paio di occhi verdi, e l’unica cosa che mi avrebbe riportato a ritrovare me stessa erano due iridi azzurre.

Tornai al posto che occupavo prima di alzarmi.

Non avevo più voglia di ballare.

Ero consapevole del fatto che stavo dando ad Harry un ulteriore dolore e che non se lo meritava.

Neanche io meritavo quel dolore.

Nessuno lo meritava, ma noi eravamo costretti a conviverci.

Quel giorno decisi che avrei reagito, che sarei tornata in me, che non potevo cancellare Ron dal mio cuore, ma non avrei più permesso che il suo ricordo mi facesse perdere di vista l’obbiettivo: c’era una guerra lì fuori.

Dovevamo prepararci.

Dovevamo combattere.

Dovevamo far sapere al mondo che non ci saremmo arresi, che avevamo smesso di essere bambini.

Harry sarebbe andato avanti fino alla fine ed io sarei stata al suo fianco.

Col cuore spezzato, con una parte di me chissà dove, ma sarei rimasta al suo fianco, a lottare per far sentire la nostra voce.

 

 

 

 

 

 

 

Erano mesi che non mi cimentavo con la prima persona. Mi mancava, mi mancava descrivere un momento triste e intenso.

Ho adorato “Harry Potter e i Doni della Morte Parte I” ed ho adorato questa scena.

C’è un po’ del libro e un po’ del film dentro. Non so se questa Hermione sia “in canon” con l’uno o con l’altro, ma è sicuramente “in canon” con l’Hermione che io ho imparato a conoscere e che amo: una ragazza estremamente sensibile e fragile che troppo spesso tenta di nascondere la sua fragilità dietro una maschera di perfezione che la porta a diventare troppo dura con sé stessa e con gli altri. Spero che possiate riconoscerla tra le mie parole.

Questa è la mia prima vera e propria song-fic. Ho sempre citato, nelle mie storie, le canzoni da cui traggo ispirazione, ma è la prima volta che la canzone entra a far parte del testo. La canzone è O’ children di Nick Cave che è proprio la colonna sonora della scena nel film. Ho utilizzato solo le frasi che mi sembravano più adatte nel racconto ed ho usato la traduzione ( che non è mia, ma che potete trovare in questa pagina: http://www.nickcave.it/discografia-dettaglio.php?idAlbum=15&idCanzone=141 ) perché le parole della canzone si correlavano direttamente con quelle della storia.

Spero di essermi spiegata e spero davvero che possa piacervi.

Se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate, mi renderete felice.

E se avete un account su Facebook e avete voglia di un’amica in più, mi trovate sotto Emmahp EFP.

Grazie a tutti e alla prossima.

 

Emmahp7

 

   
 
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