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Autore: kenjina    27/03/2011    0 recensioni
[Dal prologo] Quanto tempo era passato da quel giorno? Non lo ricordava, ma sentiva che era troppo poco, insufficiente per sbiadire il dolore che ancora provava forte e vivido, ogni istante, come se fosse accaduto solo pochi attimi prima. [...] Ma perché rimaneva ancora così attaccato alla vita? Aveva per caso qualche ragione per cui valesse la pena continuare a nascondersi per tenersi stretta l’unica cosa che odiava con tutto se stesso? I fantasmi continuano a vagare per il mondo dei vivi finché non risolvono le loro questioni in sospeso... Forse anche lui ne aveva una? Non lo sapeva, non voleva saperlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonjour

La Vita Nova.

 

Capitolo XVI

 

 

Felice, ecco come si sentiva. Una sensazione che raramente aveva provato, che in tutta sincerità non pensava neanche che avrebbe mai capito cosa significasse. E invece eccola lì, la felicità, a portata di mano come non lo era mai stata. I lavori a Teatro avanzavano velocemente, sotto i suoi precisi ordini che i due manager non rifiutarono di far seguire alla lettera, e che d'altra parte non potevano lamentarsi, dato che l'Opéra stava risorgendo dalle ceneri più bella e maestosa di prima. E ogni giorno che passava, Erik si rendeva conto che la sua malattia per Christine svaniva a poco a poco, grazie alla sua piccola Phénix, quella ragazza che era piombata nella sua vita come una scintilla che aveva riacceso in lui la fiamma viva della passione per la musica, e gli aveva insegnato cosa volesse dire altruismo. Lui non si era mai preoccupato degli altri, troppo occupato a prendersi cura di stesso per difendersi dal mondo... ma dopo tutto quello che era successo, aveva capito che non poteva chiudere ulteriormente gli occhi trovandosi di fronte l'ennesima vittima delle sue crudeltà.

Ma se da una parte era contento di come stavano andando le cose, dall'altra aveva una tremenda paura che tutto potesse svanire da un momento all'altro. Del resto, cosa poteva sperare lui? Che andasse tutto per il verso giusto, finalmente? Certo che no. Lui non era nato giusto, figurarsi se almeno la sua vita potesse esserlo, un giorno.

«Che cosa stai combinando, Erik?», chiese Claire con apprensione, incrociando le braccia.

«Che cosa sto combinando?», ripeté l'uomo, non capendo inizialmente a cosa alludesse.

«Non ti ho mai visto così... felice.», gli disse cauta, abbozzando un sorriso.

Erik rimase calmo, nonostante la mascella contratta parlasse di altro. «Non posso esserlo, Claire? Dimmi, mi è vietato?»

«No, non fraintendermi. Lo sai bene che quello che voglio per te è il meglio.», si affrettò a dire la donna, con un sorriso. «È proprio per questo che non voglio che ti illuda prima che tutto sia finito. Non commettere ancora lo stesso sbaglio.»

«Ho già avuto modo di dirti che non lo rifarò!», esclamò ora arrabbiato l'uomo, sovrastandola in tutta la sua altezza. Ma lei non mosse un muscolo, per niente spaventata. «Perché non posso semplicemente sperare, Claire? Quanti uomini nella vita hanno sbagliato e hanno ripreso in mano tutto, azzardando a volte, ma vincendo alla fine? Dimmi che nessuno l'ha mai fatto e allora sarò doppiamente soddisfatto.»

Lei non rispose, lasciandosi andare ad un sospiro.

«Credi in me, per favore.», mormorò Erik, prendendola per le spalle e guardandola con affetto, senza più quel lampo di rabbia di qualche secondo prima. «Lo farai?»

«Ho sempre creduto in te, Erik. Lo sai.» Si morse un labbro prima di parlare, conscia di quello che avrebbe detto. «Ho capito che ti piace quella ragazza, te lo leggo negli occhi. Però ricordati che Phénix non è a conoscenza di quello che le stai nascondendo. Diglielo ora, spiegale che hai avuto paura all'inizio, spiegale tutto. Ma fallo ora, o più passerà il tempo, più sarà troppo tardi e perderai la sua fiducia.»

Il groppo che sentì alla bocca dello stomaco non lo abbandonò per giorni interi, soprattutto ogni qualvolta incontrava la ragazza e non riusciva a parlarle apertamente. Lei l'aveva capito che qualcosa non andava, era ovvio, lo capiva sempre al volo. Ma non osò chiedere niente, conscia che sarebbe stato lui a cercarla per confidarsi.

Phénix quei giorni non mancava mai di partecipare alle lezioni di ballo tutte le sere, nonostante la tosse si stesse facendo più insistente, anziché diminuire. E nonostante la premura di Erik, Madame Giry, della figliola e di tutti coloro che l'avevano a cuore, lei non volle sentir parlare di medici. Confidava nelle sue tisane, perché doveva farsi visitare da un estraneo?

Ma a volte la cocciutaggine è anche presagio di disfatte, come spesso accade.

«Devi farti controllare da un medico.», ripeté  con calma e per l'ennesima volta Claire, togliendole il panno bagnato dalla fronte.

«Non è niente, vi dico! È solo un po' di febbre.», sbuffò l'altra, girandosi su un fianco e coprendosi fino sopra le spalle per il freddo. Era sudata e investita dai brividi. Stava tremendamente male.

Peccato che Erik si fosse accorto da tempo del suo stato fisico e aveva premuto affinché Claire la facesse controllare, anche usando la forza se necessario. Lui sì che si preoccupava per lei, forse anche troppo.

Ed era arrivato il giorno in cui svenne davanti agli occhi terrorizzati di Rosalinda, che gridò per tutta la casa che la ragazza si sentiva male, ed invocando la Madre de Dios per proteggerla.

«Sophie, perché non fai come dice Maman?», chiese Meg, seduta sul bordo del letto. «Solo una visita, per vedere cosa puoi prendere per guarire.»

«Passerà.», borbottò la zingara, nascondendosi la testa col cuscino.

«Oh, potremo chiedere a monsieur Faucon, il cugino del Visconte.», continuò imperterrita madame Giry, facendo roteare gli occhi alla rossa. «È un medico, se non erro.»

«Sì, hai ragione, Maman! Vado subito ad chiedere a Rosalinda di informare monsieur de Chagny.», balzò dal letto la piccola Meg, sparendo due secondi dopo.

«Grazie, eh.», fu la frecciatina sarcastica di Phénix.

Madame Giry si mise le braccia sui fianchi. «Lo stiamo facendo per te, mia cara.» Bagnò il panno in una tinozza d'acqua fredda e le levò il cuscino dalla testa, per rimetterglielo in fronte e raffreddarla un poco. «Scotti e la febbre non sembra voler diminuire. Può essere pericoloso.»

«Non voglio rimanere ferma in un letto!»

«E invece lo farai, se non vuoi collassare nuovamente.», le disse con calma, spintonandola lentamente contro il letto, dato che la giovane si era messa a sedere, con il chiaro intento di alzarsi. «Per fortuna Erik si è mosso per farmi notare la tua salute! Se avessi aspettato te...»

«Devo ricordarmi di strangolarlo.»

«No, devi semplicemente ringraziarlo.»

Phénix si accucciò in posizione fetale, assumendo un'espressione infantile. «Devo dirgli così tanti "grazie" che ormai ho perso il conto.»

L'altra donna sorrise, inchinandosi vicino a lei. «Erik si è affezionato a te, bambina mia. Ormai farebbe qualsiasi follia pur di vederti felice. Ti vuole bene, lo sai.»

«Mi vuole bene...», ripeté, chiudendo gli occhi per immaginarlo meglio. Non riusciva a pensare ad altro ormai. Lo sguardo furente di quando Davìd l'aveva scovata, e quell'espressione diabolica in viso per la rabbia... era spaventoso, così adirato. Ma l'affascinava anche per quello. E quando i suoi occhi acquamarina risplendevano calmi come un lago, il suo sorriso dolce, il calore delle sue braccia? Era incredibile come sapeva accendersi come un fuoco e raffreddarsi subito dopo con una facilità disarmante, rendendolo lunatico e adorabile nel contempo. Neanche il suo aspetto scoperto da poco, senza quella maschera a coprirgli il volto, l'aveva disgustata, anzi. Se possibile vederlo così le aveva fatto completamente perdere la testa. Era dolce e indifeso, senza quell'oggetto che gli conferiva quell'aria misteriosa e sinistra, veramente troppo tenero per i suoi gusti. Quale strano sortilegio le aveva fatto per ammaliarla così? Era lei la strega della situazione, non lui!

Ma ora era arrivato quello strano male a sfiancarla, sperava vivamente che passasse tutto in fretta pur di rivederlo.

Monsieur Faucon giunse in casa qualche ora dopo, portandosi dietro una valigetta in pelle piena di arnesi e medicine di soccorso.

Phénix sentiva di non andare a genio a quell'uomo, ma si sforzò in tutti i modi di essere gentile e disponibile, per non attirare altra attenzione su di sé. Ne aveva abbastanza delle insinuazioni sul suo conto da parte di Françoise, non voleva che anche Faucon ci mettesse del suo.

«Bonjour, mademoiselle Rembrant.», esordì cortese il medico, mentre s'inchinava lievemente in segno di saluto.

«Buongiorno a voi, monsieur.», rispose lei, mettendosi a sedere. Vide con la coda dell'occhio madame Giry che si accostava ai piedi del letto, per intervenire in caso di necessità, e gliene fu tacitamente grata.

«Dunque, quali sono i sintomi?», chiese Faucon, tirando fuori lo stetoscopio, oggetto che Phénix non aveva mai visto e che, in un primo momento, la spiazzò non poco.

«Solo un po' di tosse ogni tanto, niente di che.» Madame Giry le lanciò un'occhiata eloquente, rimproverandola. «E tanta stanchezza, anche.»

Faucon annuì, assimilando la cosa. «Dovrei chiedervi di scoprirvi il torace, mademoiselle.»

Phénix guardò allarmata l'altra donna, che le sorrise per rassicurarla. Riluttante, la rossa si spogliò della parte superiore della camicia da notte, arrossendo peggio dei suoi capelli quando l'uomo avvicinò lo stetoscopio sul petto, per sentirle i polmoni.

«Ora respirate con la bocca, profondamente. Bene, continuate finché non vi dico di smettere.»

Phénix si sentì un po' ridicola, a pensarci bene, ma evidentemente serviva affinché la visita andasse a buon fine. Lei, del resto, non aveva mai avuto il piacere di farsi controllare da un medico.

«Da quanto tempo è iniziata la tosse?»

«Non saprei...» La ragazza si strinse nelle spalle, pensando. «Più di un mese, ma non così frequentemente.»

«E non siete mai andata a farvi controllare?», esclamò indispettito Faucon, mettendosi dritto sulla schiena.

Phénix balbettò un innocente no, pensando che nessun medico l'avrebbe voluta visitare qualche mese prima.

«Aprite bene la bocca, ora.» Faucon le poggiò sulla lingua una stecchetta di legno e le controllò la gola per qualche secondo. Poi le batté sulla schiena due dita, scuotendo il capo. «Potete coprirvi ora.»

Phénix obbedì subito, decisa a porre fine a quella situazione alquanto imbarazzante. Nessun estraneo l'aveva mai vista mezza nuda!

«Mademoiselle, sarò onesto con voi.», disse il medico, ritirando i suoi strumenti di lavoro. «Noto con disappunto che siete molto magra e pallida; per non parlare delle condizioni in cui versano i vostri polmoni. Avete mai tossito sangue?»

Claire trasalì a quella domanda e strinse convulsamente i pugni contro la stoffa del suo abito scuro, temendo la conclusione di quel discorso.

«No, mai...»

«La cosa fa ben sperare, allora, ma Mademoiselle Rembrant... non posso dirlo con certezza, ma avete tutti i sintomi della tubercolosi polmonare. Forse la conoscerete con il nome di tisi.»

«Oh Dio...», mormorò Claire, poggiandosi contro il muro, spiazzata.

La ragazza non aprì bocca, non capendo esattamente la gravità della situazione.

«Purtroppo ancora non si conoscono rimedi efficaci per curare questa malattia.», proseguì il medico, schiarendosi la voce. «Ma alcuni studiosi stanno cercando di trovare una soluzione.»

«State dicendo che... non posso essere curata?», chiese a gola secca Phénix, per la prima volta in vita sua spaventata all’idea di morire.

«Sto dicendo che la tubercolosi è una brutta bestia, ma faremo il possibile per aiutarvi.» Faucon si voltò verso madame Giry. «Madame, pregherei voi e la vostra famiglia di coprirvi le vie respiratorie con qualcosa se doveste stare a stretto contatto con mademoiselle, anche se non è detto che verrete contagiate, vedo che voi non avete sintomi.», disse scrivendo qualcosa in un foglio. «E comprate questa medicina. Aiuta a rallentare la corsa della malattia.»

Claire annuì, guardando preoccupata la giovane, immobile sul suo letto.

«Mi raccomando, mangiate sano e soprattutto molto, anche se non ne sentite lo stimolo, o vi indebolirete ancora di più.», continuò l'uomo, continuando a scrivere. «E prendete regolarmente questo antibiotico, per ora è il massimo che posso fare. Oh, è ovvio che dovrete starvene al caldo, siamo d'accordo?»

Phénix annuì, ricambiando la stretta di mano che il medico le porse, e guardò la sua schiena che spariva dietro la porta. Rimase inebetita per qualche minuto, incapace di muovere un solo muscolo. Aveva paura, una tremendissima paura. Paura di ammalarsi gravemente, di non poter dare la svolta decisiva alla sua vita, finalmente cambiata, di non poter più vedere l'uomo di cui si era innamorata - ebbene, ormai non poteva più negarlo. Perché proprio ora che tutto stava andando per il meglio doveva sgretolarsi in un istante davanti ai suoi occhi? Si sentiva impotente ed arrabbiata con chiunque fosse stato l'artefice di tutto. E che questo si chiamasse Dio o Belzebù, non le importava.

Quella notte non chiuse occhio, neanche dopo le parole rassicuranti che madame Giry le disse per farla tranquillizzare almeno un po'. Riacquistò un po' di vitalità solo quando si accorse che qualcuno di sua conoscenza bussava alla finestra di camera sua.

Erik non fece neanche in tempo ad entrare che Phénix gli si era già buttata tra le braccia, piangendo nervosamente. La strinse forte contro di sé, soffrendo ad ogni nuovo singhiozzo della ragazza, come se fosse stato lui l'ammalato disperato.

«Ho paura... Erik, ho paura...»

«Shh, bambina mia. Ci sono qui io, ora.», le sussurrò dolcemente in un orecchio, cullandola con lentezza nel suo abbraccio.

Come risvegliata, Phénix sgranò gli occhi e balzò indietro, con le mani sulla bocca. «Erik, non dovresti essere qui! Potrei contagiarti! Il dottore ha detto che...»

Erik non sentì niente di quello che la ragazza aveva iniziato a blaterare. L'unico modo che conosceva in quel momento per zittirla una buona volta era uno ed uno solo. E sortì l'effetto desiderato immediatamente.

Le sue labbra le ricordava esattamente così, morbide e carnose. Con la differenza che fu lui a farle tremare sotto le sue carezze, ad indugiare con lentezza prima che lei iniziasse a ricambiare quel bacio infuocato con il suo stesso ardore. Fu come ritornare a bere dopo giorni e giorni, e si sentì morire di felicità quando Phénix si strinse di più contro il suo torace, fremendo al tocco delle sue mani che percorrevano audacemente la schiena. Da troppo tempo avevano agognato quel momento, da troppo tempo avevano nascosto i loro desideri per non rischiare di rovinare tutto.

Un bacio ha lo stesso magico potere di far dimenticare qualsiasi cosa che non sia la persona che si ha tra le braccia. Ed entrambi si dimenticarono di chi fossero, degli ultimi avvenimenti, della notizia sulla malattia di lei... niente in quel momento aveva più importanza di quelle dolci carezze che si stavano scambiando, e che avevano la stessa forza di una promessa indissolubile.

Non ti lascerò mai, qualunque cosa accada.

Phénix pianse a quelle parole sussurrate. Lo strinse forte, temendo che sparisse da un momento all'altro, sperando che quell'abbraccio servisse a scacciare chiunque volesse portarla via dal mondo, lontana da lui e dalla sua musica, proprio quando era tornata a vivere, quando era rinata e aveva scoperto cosa significasse avere qualcuno da amare...

«Erik, non voglio morire.», gli mormorò contro le sue labbra. «È già quasi successo anni fa, non voglio morire.»

Non comprese appieno le sue parole, ma non ci pensò sopra molto. «Non morirai, mon ange. Non ora che ti ho trovata

«Rimani con me. Ti prego.»

Erik abbassò lo sguardo sul suo viso rigato dalle lacrime e glielo asciugò con i pollici. Baciò ancora una volta le sue labbra arrossate per quella dolce tortura e sorrise.

Phénix pensò che fosse di una bellezza sconvolgente con quell'espressione di beata felicità che gli si era dipinta in viso. Poteva il volto di un uomo che non sorrideva da una vita ritornare quello di un bambino felice e spensierato?

«Mi prometti che non piangerai più?»

La ragazza annuì, sorridendo tra le lacrime. Lo prese per mano e lo fece sdraiare accanto a sé, lasciandosi avvolgere dal suo caldo abbraccio che la strinse possessivamente, quasi come se stentasse a credere che lei era lì, con lui, come se avesse paura che potesse svanire ed essere solo frutto di un suo splendido sogno.

Gli tolse con delicatezza la maschera che gli copriva la consueta metà destra, facendogli chiudere gli occhi, come se ancora temesse una qualche reazione da parte sua. Ma Phénix gli sorrideva e pensò che non ci fosse sensazione più bella di quella del sentirsi osservato senza suscitare pietà o peggio ancora orrore.

«Grazie di tutto, Erik.», gli sussurrò, accoccolandosi meglio tra le sue braccia ed inspirando a fondo il suo profumo che tanto adorava.

Lui, in risposta, si chinò su di lei per baciarla ancora, e ancora una volta, come se quel gesto potesse essere l’unico in grado di dargli forza.

 

 

 

Continua...

 

 

A meno che la mia testa mi faccia dimenticare tutto, ho deciso di aggiornare più speditamente questi ultimi capitoli che mancano (sei, compreso l'epilogo), perché presto avrò poco tempo libero, immagino, e ho in programma di scrivere qualche altra storiella, quindi non vorrei ritardare ulteriormente quelle che ho già in cantiere. :)

Un saluto a tutti!

Marta.

   
 
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