Wait me
Aspettami.
X
- Incubi in grigio, nero e bianco-
Dentro
di me il mondo stava assumendo i colori del bianco e
nero, un freddo contrasto l’uno accanto all’altro
che volgeva via via verso un
grigio indefinito.
Edward
era il mio bianco, il mio bianco infinito, così
infinito e bello e luminoso, quasi quanto la sua pelle. Così
splendido e
intaccabile, eppure vulnerabile, come il colore dei suoi occhi verdi.
Davanti a
me vedevo un futuro lontano, un futuro felice, qualcosa di migliore.
Il
verde delle sue iridi lo scalfiva appena, le parole non
dette, le bugie ancora non smascherate erano lontane da quel posto
perfetto che
io chiamavo casa.
Nel
nero, però, il verde c’era chiaramente. E anche il
rosso, perfettamente indelebile, segnava il presente con la presenza
dei
Volturi, dei loro occhi di fiamma, occhi che credevamo di aver
sconfitto …
Cercavo
di concentrarmi sul bianco, o, almeno, su quel
grigio chiaro, tornando a casa. Sapevo che Jacob sarebbe stato
decisamente più
felice nel vedermi tornare allegra, e questo avrebbe indotto a Renesmee
a farmi
poche domande.
Risalii
i gradini a gran velocità, armeggiando con la
serratura della porta, e allo stesso tempo tentando di mantenermi in
equilibrio. Ghiaccio, era dappertutto. Ero stata sciocca infondo, io,
con la
mia goffaggine, ad andare a vivere lì.
Poi,
però, il contatto con la maniglia ghiacciata mi
ricordò di colpo la pelle di Edward, e mi ritrovai ad amare
l’Alaska.
Ero
io, la vera io, eppure così lontana da quella di quegli
ultimi mesi da spaventarmi.
Mentre
entravo cercai di rammentare i pochi momenti felici
di quel periodo indefinito.
Renesmee
che mi abbracciava. Primo giorno.
Io,
lei e Jacob in giro per l’Alaska. Secondo giorno.
Una
buona cena. Seconda settimana.
Il
bacio.
Stella,
così uguale ad Alice. Primo mese.
Edward.
Ora.
Sorrisi,
finalmente nel tepore del salotto.
“Bells?”
la voce di Jacob mi ricordò quella di Charlie,
quando mi ascoltava rientrare.
“No,
il lupo cattivo” gridai a mia volta.
Un
rumore di passi giunse dalle scale e vidi Renesmee
corrermi incontro e abbracciarmi. La strinsi a me, annusandone il dolce
profumo, poi la vidi correre di nuovo di sopra.
“Che
fa lassù?” chiesi a Jake, vicino a me.
Alzò
le spalle. “Disegna, dipinge, scrive … Ma se le
chiedo
cosa non risponde” spiegò.
Annuii,
mentre la mia mente oscillava, tremenda, verso la
zona grigia.
Sentii
il mio migliore amico voltarsi e andarsene, senza
altre parole, e il grigio mi inghiotti. Qualcosa dentro di me si mosse,
una
realtà tremenda e stranamente famigliare mi avvolgeva e lo
sguardo che lanciai
a Jacob dovette farglielo intuire. Mi guardò, un’
istante che durò un attimo, poi
si diresse verso la cucina.
Gli
dovetti correre dietro.
“Ehi!”
cercai di afferrarlo per una manica “Ehi, cosa …
Cosa c’è?”
Mi
fissò ancora, mentre una martellante sensazione di
essermi fatta sfuggire qualcosa mi uccideva.
“Non
so cosa disegna. Non so cosa dipinge. Non so cosa
scrive” mi
disse, controllato.
Mi ci volle un po’
per capire che stava parlando di Renesmee.
“Jake
…” tentai. Lui mi zittì con
un’ occhiataccia.
“Non
so a cosa pensa mentre è lassù” aveva
un tono frustato
che mi fece male al cuore “ma posso immaginarlo.”
Dentro
di me tutto urlava. Voleva dire che non stavo
abbastanza accanto a mia figlia, che dovevo dirle la verità
su Edward, che
dovevo parlarle? I suoi occhi neri non mi davano suggerimenti,
c’era solo
rabbia, rabbia e ancora frustrazione e risentimento. Mi resi conto che
non era
solo contro di me solo quando lo vidi avvicinarsi al mio volto,
inspirare profondamente
e poi rivolgermi un ultimo sguardo.
“La
sua puzza si
sente da un miglio di distanza.”
Corsi
di sopra con le lacrime agli occhi. Passando davanti
alla camera di Renesmee avvertii della musica classica a tutto volume,
che
doveva aver coperto il tono di Jacob. Aprii la porta della matrimoniale
con
stizza e con la stessa forza la richiusi dietro di me. Il materasso si
affossò
sotto di me quando ricaddi su di esso e le molle cigolarono piano.
Quando
mi voltai, un acchiappasogni indiano mi fissava da
sopra la testata. Lo afferrai con rabbia, quindi lo buttai a terra sul
pavimento lucidissimo. Una voce nella mia testa chiedeva disperatamente
aria.
Senza
sapere cosa stavo facendo indossai il primo cappotto
che mi capitò in mano e scesi. Mi ritrovai fuori, al freddo,
il buio che mi
avvolgeva.
Non
so per quanto camminai, solo che le gambe cedettero
dopo diversi minuti che forse erano ore. Caddi nella neve, gelida,
senza sapere
cosa fare. Invocavo i nomi di una famiglia di cui non avevo mai fatto
parte,
nomi che si accalcavano sulle mie labbra.
Mia
madre che sorrideva e mi diceva che tutto sarebbe
andato per il meglio. ‘Va tutto bene’. Quanto
desideravo che fosse lì a
dirmelo?
Avevo
così poche certezze –forse solo una, mia figlia- e
un
mondo che mi era ostile, ma di cui volevo disperatamente fare parte. Il
cielo
era nero, sopra di me.
“Va
tutto bene” una voce calda e bassa mi risvegliò,
suadente. Era famigliare, quanto il profumo che mi avvolse assieme alle
sue
braccia. Il freddo si sostituì al sintetico calore di una
coperta di pile. Un
solo nome, ora, soffiava dalle mie labbra.
“Edward
…” mormorai. L’unica risposta fu un
bacio a fior di
labbra. Lo immaginai sorridere, dietro di me.
“Niente
più brutti sogni” mi sussurrò,
cullandomi.
Eh,
ancora ritardo. Ma non tanto questa volta, daaai ^^
Insomma, che ne pensate? Un capitolo abbastanza interessante, no?
Spero
che vi sia piaciuto, carissime :)
Che
altro? Beh … Come vedete, un po’ di romanticismo,
anche
se molti misteri restano ancora … misteri.
Baci,
Missy.