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Autore: My Pride    27/03/2011    6 recensioni
Igni natura renovatur integra, salve spiritus ignis: flamma cerei te video doce mihi intellegere vis ignis.
Lux et lex, lux et veritas. Post tenebras lux in luce tua videmus lucem, in lumine tuo videbimus lumen”
«É questa la vera natura dell’alchimia del fuoco»

«Se le ho affidato la mia schiena e quelle ricerche è perché credevo in lei, Maggiore. Credevo nei suoi sogni, in un futuro dove tutti avrebbero potuto vivere felicemente. Ho continuato a crederci anche se siamo dovuti arrivare a questo»
[ Roy/Ed, Accenni HyuRoy e Royai ]
[ Partecipante al contest «My beloved one» indetto da DallasEfp ]
[ Spoiler del volume quindici, del Gaiden Blue e del Character Guide Book ]
[ Seconda classificata e vincitrice del Premio Giuria al «Queen Contest» indetto da Himechan84 ]
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tra i bagliori del fuoco'
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Please, take me out of here_5
In mia difesa, cosa c’è da dire?
Tutti gli errori che abbiamo fatto devono essere affrontati oggi.
Non è facile ora sapere da dove iniziare mentre il mondo che amiamo si distrugge.
- In my defence, Queen -
 

05. EPILOGUE › CENTRAL CITY, 1919
AFTER THE RAIN
 
    «Il resto credo che tu lo sappia», conclusi, sentendo sempre più debole il ticchettio delle gocce di pioggia contro la finestra, sopraffatto da quello dell’orologio a pendolo appeso sulla parete dietro di noi, accanto ad una delle librerie.
    Edward appariva un po’ rigido, lì seduto sul divano, ma fu con una certa compostezza che tornò a fissarmi dritto negli occhi. «Dai racconti del Tenente Hawkeye ero preparato ad una cosa simile, ma... sentirlo fa comunque un certo effetto», ammise, e dovetti fargliene atto. Se era scosso quasi quanto me che avevo raccontato, lo dava a vedere ben poco. Quel che era certo, era che non era un ragazzo che restava impassibile dinanzi a cose del genere, dato ciò che aveva vissuto sin da bambino. «Mi parlò dell’obiettivo che ti eri prefissato, delle tue intenzioni, persino del tuo voler mettere fine a tutte le guerre che logoravano e logorano tuttora Amestris», continuò, serrando i pugni sulle cosce. «Mi ha persino posto il caso che, se il potere tornasse in mano al parlamento, le cose non sarebbero più come adesso e l’istituzione degli Alchimisti di Stato verrebbe abolita». Si interruppe per una frazione di secondo, come se stesse riprendendo fiato; quando ricominciò, il suo tono cambiò e mi sembrò che fosse divenuto basso e sconnesso. «Se dovesse succedere, voi non verrete più considerati eroi di guerra, ma dei comuni assassini di massa».
    Mi meravigliai che Riza gli avesse detto quelle cose, ma tutto ciò che feci fu semplicemente annuire. «Questo lo so».
    «E nonostante tu lo sappia... vuoi comunque cercare di diventare Comandante Supremo, conscio che ciò sarebbe come suicidarsi?
 [1]» mi domandò senza tanti giri di parole o peli sulla lingua, e non seppi cosa mi diede la forza di continuare ad osservare quei suoi occhi dorati, così infervorati che sembravano ardere come la prima volta che ci incontrammo. Potevo benissimo avvertire la tensione che si era impossessata dei suoi arti, la rabbia che ribolliva per la consapevolezza che non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo; vedevo l’agitazione che lo animava, e mi sembrava di poter sentire il battito furioso del suo cuore contro la sua gabbia toracica. Ma per quanti sforzi facessi per cercare le parole adatte, in modo che potessi rassicurarlo, non riuscivo a trovarne nemmeno una.
    «La mia vita non vale più di quella delle persone che ho ingiustamente ucciso, Acciaio», dissi infine con un sospiro; gli sfiorai appena un braccio, sentendolo irrigidirsi prima di allontanarsi.
    «Ma non è neanche giusto che tu la sacrifichi in questo modo!» esclamò fuori di sé, e dovetti sporgermi verso di lui per poggiargli un dito sulle labbra, nel vano tentativo di calmarlo ed evitare che le sue urla svegliassero qualche vicino. Me lo allontanò di scatto, come se non volesse sentir ragioni, e io sospirai.
    «Morire nel tentativo di rendere Amestris una Nazione pacifica non servirebbe ad espiare le mie colpe, questo lo so bene», rimbeccai, vedendo il suo petto alzarsi ed abbassarsi a ritmi irregolari, quasi stesse cercando di tranquillizzarsi senza successo. «Ma starmene con le mani in mano mentre queste guerre continuano, crogiolandomi nelle onorificenze che mi hanno conferito per quello che è stato solo un massacro, sarebbe anche peggio. Non voglio mai più che ciò che è successo ad Ishvar si ripeta. Mai più», mi feci un po’ più vicino a lui, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle prima di farle scivolare lungo i suoi avambracci, fermandomi in prossimità dei polsi e carezzando appena quello d’acciaio. «Men che mai voglio che sia tu a ritrovarti in una carneficina del genere. Forse potrà sembrarti ingiusto, ma non posso calpestare l’unico vero ideale che è rimasto del Roy Mustang che ero stato prima di quella guerra», ciò detto, lo lasciai andare, non sentendo necessario aggiungere qualcos’altro. Avevo detto ciò che mi ero sentito di dire, stava a lui, adesso, comportarsi da persona matura e comprenderlo. Non agivo per un mio tornaconto personale e mai l’avrei fatto, e, pur sapendo a cosa andavo incontro, avrei continuato a camminare su quella strada che io stesso mi ero scelto.
    «Sei uno stupido», pigolò Acciaio a sguardo chino, come se in quel momento trovasse molto più interessante il pavimento del salotto. «Uno stupido idealista figlio di puttana», soggiunse con lo stesso tono basso ed incrinato, e capii che si stava agitando proprio dal modo in cui aveva cominciato a parlare. «Vedi di raggiungere il tuo obiettivo senza farti ammazzare e riporta il culo in salvo, se non vuoi che sia io a farti fuori».
    Nonostante tutto, non potei fare a meno di sorridere sincero. Anche se
il più delle volte i suoi modi di fare erano rozzi e senza tatto, quello era il suo modo per far capire quanto in realtà ci tenesse a me e alla mia incolumità. Bizzarro, forse, ma non sarebbe stato Edward Elric, altrimenti. Mi avvicinai ancora un po’ e gli passai un braccio intorno alle spalle con fare rassicurante, poggiandogli un lieve bacio sul capo. Quella era una delle poche - anzi, pochissime - cose che potevo permettermi senza che cominciasse a strepitare, a ben pensarci. «Farò del mio meglio perché questo accada», risposi, e mai come in quel momento le mie parole furono sincere e veritiere.
    Edward alzò lo sguardo per incrociare ancora una volta i miei occhi, ed ebbi appena il tempo di scorgere all’interno di quelle polle dorate lo scintillio di qualcosa prima che mi fissasse con rabbia, atta a mascherare la sua preoccupazione. «Lo spero per te», volle avere l’ultima parola, concedendosi il lusso di poggiare il capo contro la mia spalla. In altri momenti non l’avrebbe mai fatto, dunque la conversazione l’aveva scosso particolarmente. Ma non gli chiesi nulla né dissi niente, lasciando solo che il tempo facesse il suo corso. Quando sembrò un po’ più calmo e rassicurato, Acciaio si allontanò, senza che io lo costringessi a tornare al mio fianco. Ognuno dei due aveva i suoi spazi e sapevamo quando potevamo invaderli. E a me stava bene così.
    Controllai distrattamente l’ora, picchiettandomi le mani sulle cosce prima di alzarmi in piedi e scoccare una rapida occhiata al mio compagno. «Si è fatto abbastanza tardi, ci conviene andare a riposare».
    Acciaio ricambiò il mio sguardo e adocchiò a propria volta il quadrante dell’orologio, tornando a guardare me. «Se vogliamo arrivare svegli a lavoro ci converrebbe, già», sembrò ironizzare, alzandosi. Mi fece giusto segno di seguirlo con un breve cenno del capo, cominciando ad avviarsi da solo verso quella che era ormai diventata la nostra camera da letto.
    Io mi intrattenni ancora un po’ lì in salotto, ficcandomi le mani nelle tasche. Abbassai lo sguardo sui tomi che avevamo abbandonato sul divano prima che cominciassi quel mio racconto, traendo un lungo sospiro e scuotendo subito dopo il capo. Forse parlarne con lui era stato come togliersi un peso, ancora non riuscivo a capire con certezza come mi sentissi. Probabilmente, la verità era che dentro di me sentivo che quella guerra non era finita e mai lo sarebbe stata. Ma dovevo solo attendere, ogni singolo giorno, l’approssimarsi di una nuova alba.
 
 
 
«Non importa quanto in alto dovrò salire per proteggere le persone che amo.
Con queste mie stesse mani, seppellendo il passato e tutti i suoi errori, proverò a costruire il futuro».
 
 
 
 
 
PLEASE, TAKE ME OUT OF HERE
FINE









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
In realtà non avrei voluto postare questa storia qui su EFP, visto il mio abbandono del fandom su questo sito. Sto difatti scrivendo per conto mio, da un po' di tempo, ma questo è un discorso a parte. Ho deciso di pubblicare soltanto perché ha partecipato ad un contest, e devo dire che, sebbene non la consideri uno dei miei lavori migliori, scriverla è stata davvero un piacere. C'erano momenti in cui restavo incollata al Pc fin quando non arrivavo ad un punto abbastanza significativo, ed è proprio per questo motivo che mi sento piuttosto attaccata a questa storia, quasi quanto lo fui per la cara e vecchia Stand by me.
Bando alle ciance e via con le precisazioni, adesso, visto che è più che doveroso farle: questa storia è stata scritta per il contest indetto da Himechan84, Queen Contest, e si è classificata, con mio grandissimo stupore, Seconda vincendo il Premio Giuria.
Non doveva nemmeno essere così, lo ammetto spudoratamente. Al principio lo svolgimento che avrebbe dovuto seguire era ben altro, ma non mi convinceva per niente e ogni volta che aprivo il file che conteneva quell'orrore mi veniva voglia di cestinarlo. E' così, dunque, che è nata la versione che avete appena finito di leggere. E, ad essere sincera, mi convince molto di più della prima stesura.
Passiamo adesso a qualche spiegazione:
il titolo della storia trae origine da una doujinshi di Ninekoks che adoro, il cui nome completo è “Hana to Tekka”, ovvero “Fiori e spari”. Ho scelto poi di stendere la storia in questo modo perché in un momento di follia, dovuto forse al trenta dicembre - momento in cui mi sono resa conto che la storia poteva dare di più e che sarebbe dunque stato meglio ripartire da zero - mi è tornata in mente la stesura di “Intervista con vampiro” di Anne Rice. Ho dunque fatto in modo che la storia venisse raccontata da Roy, senza che si trattasse di uno svolgimento sul momento ma più che altro di una specie di flashback.
La narrazione di Roy si colloca durante il volume quindici, dove viene raccontato il massacro di Ishvar, per l'appunto, e nel capitolo quattro si chiude poi, più o meno, con la side story non presente nel manga, “His battlefield continue”.
Come fosse iniziata la relazione fra Edward e Roy non l'ho ritenuto importante ai fini della storia ma, in tal caso, potrebbe anche collocarsi in un momento indefinito tra “One day, who knows [For now, nothing else matters]” o dopo “Strange Love Story [Il nostro inizio]” presente nella raccolta “Heart Burst Into Fire”.
Non ho altro da dire, adesso, dato che credo d'aver detto tutto ciò che era necessario. Grazie infinite ai commentatori, a chiunque abbia letto o solo seguito, e grazie ad Hime per aver indetto il contest.

Qui di seguito il commento della giudice:
  • Grammatica e sintassi: 10/10
  • Originalità: 9,5/10
  • Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
  • Stile: 10/10
  • Gradimento personale: 5/5
  • Utilizzo della citazione: 5/5
  • Totale: 49,5/50
Punto primo: io odio il pc. Voglio dire, ti avevo scritto una recensione-valutazione-papiro, entusiasta, scritta a caldo subito dopo aver letto sia la tua fic per il contest, sia Zankyou, Kieru Made, per capire di più sul massacro di Ishvar, la salvo tutta soddisfatta, e quando oggi vado a riaprire il documento… puff scomparsa nel nulla. Cercherò allora di rimettere in fila le sensazioni che la tua splendida storia mi ha dato, ma non sarà semplice. Innanzitutto è stato molto toccante leggere di un Roy così intimo, privato, nel suo rievocare quella che in realtà non è stata una guerra, ma un vero e proprio massacro civile, un racconto intenso, incalzante, anche se fortunatamente la tensione a tratti viene smorzata da quel fagiolino biondo (termine che ho letteralmente adorato, e a proposito, non so perché ma le chiacchierate tra Roy e Ed hanno qualcosa di così pacifico e rilassante che danno davvero un senso di quiete e tranquillità). Un racconto dalle tinte drammatiche, ben documentato e ben scritto, straordinariamente universale purtroppo per qualunque conflitto: hai descritto un Roy splendido, profondamente tormentato dal dover eseguire gli ordini ad ogni costo, dal rimorso dell’Alchimista di Fuoco di utilizzare il proprio potere per uno scopo nefando, e nonostante tutto la speranza e il conforto che Ed gli da e che gli permettono, malgrado gli errori terribili del passato di cui si è macchiato, di costruire il proprio futuro, nonostante la sua guerra personale, la guerra con il proprio animo con i propri tormenti interiori e con le proprie angosce non si sia mai placata. Inutile che ti dica quanto il tuo stile mi piace: in ogni cosa che scrivi si sente la cura dei dettagli, dei particolari, e ogni personaggio è vivo e reale. Sono contenta che in un certo senso questo contest ti abbia spronato a tornare a scrivere, credo che tu sia una delle autrici più in gamba che abbia letto in Efp.
I miei complimenti cara!

SECONDA CLASSIFICATA CON PREMIO GIURIA


[1] Questa non è esattamente una citazione tratta dal manga, ma è il richiamo ad un discorso avvenuto in esso tra Edward e Riza.
Più precisamente si tratta del volume sedici, capitolo sessantadue: “Al di là del sogno”.



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