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Autore: Love_in_London_night    28/03/2011    6 recensioni
Un viaggio atteso e giunto al termine.
L'aeroporto di Stansted. Di notte.
Il volo parte all'alba, ma lei è inquieta.
Non le piace volare, ma lo fa per vedere il mondo.
Una lei qualunque, nella media, tranne per quanto riguarda la sfiga.
Ma non questa volta. Perchè vivrà un'esperienza decisamente sopra la media.
Perchè parlare con gli sconosciuti a volte è una buona valvola di sfogo... e Robert ne sa qualcosa.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One night in Stansted
 



Aeroporto di Stansted. Mezzanotte.
Lei. Seduta sul pavimento liscio e splendente quanto anonimo. Su di esso si riflettevano le luci dei neon, asettici e chiarissimi che la sbattevano ancora di più.
Era una ragazza qualunque. Non brutta ma non una dea della bellezza. Capelli castani, occhi marroni, altezza media, fisico medio.
Era nella media, ma nella media non si sentiva davvero.
Se poi si trattava di sfiga, pensava di superare la media abbondantemente.
Si guardava intorno sorpresa. Odiava volare, ma era un sacrificio a cui si sottoponeva pur di visitare il mondo. Pian piano l’avrebbe visto tutto, o quasi.
Sogni di gioventù.
L’aeroporto era invaso da un innaturale silenzio. La gente era molta, ma veramente discreta. I più dormivano su giacigli di fortuna, e le persone sveglie parlavano a bassa voce per non disturbare.
Non le era mai capitato di vedere uno scalo così silenzioso e tranquillo.
Lei e le sue amiche si erano accomodate in uno dei pochi posti vuoti, ovvero una saracinesca abbassata di un negozio chiuso. Si mise lì e provò a dormire, sdraiandosi sul pavimento freddo.
Non era da lei scandalizzarsi per condizioni improbabili, specialmente se non erano inumane.
Chiuse gli occhi, ma il sonno non veniva.
Troppe idee le vorticavano per la testa: il nervosismo per il volo imminente, sei ore da far passare con un libro che prometteva bene ma in realtà non era il massimo, la tristezza per quel viaggio che stava finendo.
Era la prima volta in cui visitava Londra, e le aveva ridotto il cuore in briciole.
Era una ragazza che cercava invano se stessa, in quel sentimento malinconico tipico di quei caratteri considerati da artisti, e finalmente l’aveva trovata in una città.
Non le era sembrato possibile.
E ad abbandonarla le sembrava di dover morire un po’.
Eppure, per sentirsi completa le mancava ancora qualcosa.
Ma la verità, era che la disperazione che sentiva dentro, dipendeva anche da altro.
Nonostante fosse benissimo a conoscenza del fatto che Robert Pattinson non fosse lì, sapere di essere nella sua città che tanto amava, e che probabilmente aveva calpestato gli stessi marciapiedi che aveva percorso lui ed era entrata in luoghi dove anche Robert era stato, la faceva impazzire.
Era l’unico legame che aveva con lui, ed ora lo stava deliberatamente spezzando.
Aveva provato ad avvicinarglisi con questo viaggio, ma il lavoro di lui e l’Oceano avevano giocato a suo sfavore.
La sua sfiga era decisamente sopra la media.
Spalancò gli occhi, improvvisamente irritata. Le sue amiche erano diventate di troppo, per quel momento intimo.
Doveva allontanarsi da lì, o le avrebbe uccise con l’odio insensato che stava provando.
Non era normale, lo sapeva, ma non aveva mai preteso di esserlo.
- Vado a fare un giro. Torno tra un po’, non preoccupatevi.
Sapendo che l’amica aveva bisogno di spazio per riflettere, tempo da perdere e curiosità da soddisfare, la lasciarono andare annuendo appena.
Prese il lettore mp3 e alzò il cappuccio della felpa sulla testa.
Camminava al centro di quella larga corsia per non inciampare in gente dormiente. La musica fluiva leggera nelle orecchie, trasportandola in un mondo tutto suo. In quella dimensione che più le apparteneva, e di cui aveva maledettamente bisogno in quel momento.
Più andava avanti, più le persone si diradavano, lasciando spazio a negozi chiusi e a qualche catena di caffè aperta per quelle anime in cerca di un posto.
Guardava per terra, sconfitta.
Non aveva trovato Robert nemmeno lì. Non in una copertina di qualche rivista, né in qualche locandina. Neanche sulla bocca di qualcuno.
Lo sentiva solo nelle proprie sensazioni.
E faceva male.
Quell’ossessione ere deleteria per la sua sanità mentale.
Era arrivata quasi alla fine del lungo corridoio, ritrovandosi all’uscita degli arrivi. Girò forzatamente a destra, passando per un Costa Café, un surrogato di Starbucks.
Sbatté contro qualcuno.
Si tolse un auricolare e chiese scusa nel suo inglese nella media, abbastanza buono da comprendere un discorso, e rispondere decentemente.
La voce era uscita a fatica, quasi rotta, e prima che potesse andarsene, la persona in questione la prese per le spalle e le chiese preoccupata – Stai bene?
Lei alzò lo sguardo, e qualcosa si spezzò.
Delle lenti scure riparavano quegli occhi chiari dall’intensità dei neon, ma soprattutto da quella degli sguardi altrui. Il cappuccio anche.
La barba nascondeva una mascella marcata.
Peccato che il suo tentativo di passare inosservato lo facesse risaltare ancora di più.
Il cuore della ragazza aumentò i battiti schizzando alla base della gola. Un fuoco prese possesso di lei e delle sue guance. Sentì le pupille dilatarsi.
Non era possibile. Cosa ci faceva Robert lì?
E da quando la fortuna era dalla sua parte?
- Si – rispose balbettando – Sto bene.
Lui le sorrise imbarazzato e si allontanò, salutandola mentre le voltava le spalle.
Non era mai stata meglio, si sentiva leggera e vuota.
Un fischio alle orecchie e il nero davanti agli occhi però, confermarono il contrario.
Si ritrovò senza forze stesa sul pavimento accanto alla caffetteria.
Avrebbe voluto rassicurare quelle voci che le chiedevano se stava bene, ma non riusciva a comandare la propria bocca.
Provò ad alzare un braccio, ma non ce la fece.
Si umettò le labbra, erano secche.
Aprì gli occhi, e quei maledetti neon la stavano già accecando.
Vide due teste davanti a sé: il cameriere del Costa, e Robert.
Allora non era una visione. E lo svenimento quindi era più che giustificato.
Inspirò a fondo e disse – Sono ok, grazie.
I due ragazzi si rialzarono, e Robert le tese una mano – Ce la fai?
Annuì, incerta.
La afferrò e si rimise in piedi, barcollando leggermente. L’attore la prese per i gomiti.
- Per fortuna stavi bene! – e sorrise – Mi hai fatto spaventare a morte.
Lui preoccupato per lei? In quale vita?
Guardò l’ora, era l’una e dieci minuti.
Si guardò in giro, ma sembrava che nessuno si fosse accorto della presenza di Robert Pattinson in aeroporto. Molto contribuiva il fatto che la maggior parte della gente stesse dormendo.
La distolse dai suoi pensieri – Hai bisogno di zuccheri. Un caffè? – e le indicò un tavolo dove sedersi.
Scosse la testa – e fu peggio – mentre andava ad accomodarsi – No grazie, non mi piace. Del latte, magari.
Annuì e andò al bancone, controllandola da lontano.
Arrivò poco dopo con due bicchieri di carta giganti – Ci ho messo un bel po’ di zucchero. Non voglio averti sulla coscienza.
Ridacchiarono insieme per sciogliere il ghiaccio.
- E così cadi ai piedi di ogni ragazzo che incontri? È preoccupante la cosa, sai? – disse dopo essersi tolto gli occhiali da sole.
- No, è successo solo con te – e si vergognò da morire per quella stupida affermazione.
- Sei una mia fan?
- Devo essere sincera?
Lui asserì.
- Si. E molto anche. Ti disturba?
- No, se non urli, non piangi e non fai richieste strane.
Ma non avrebbe mai potuto. Solo per il semplice fatto di essere lì con Rob, mentre lui si preoccupava per lei era già una gran cosa, al di sopra della media.
- Non è il mio stile.
- Ne sono felice – e sorrise sincero.
Sorseggiò il suo caffè bollente – Ti va di farmi compagnia? Devo stare qui ancora un po’, e vorrei assicurarmi che tu stia bene.
Avrebbe anche potuto morire. Ma quelle parole non gliele avevano mai dette. Nessun ragazzo si era preoccupato per lei in quel modo.
Fissò il tavolo – Certo. Il mio aereo parte tra più di quattro ore, ho tutto il tempo che vuoi.
E rimasero in silenzio.
Lei fissava il tavolo, e lui fissava lei.
Trovava interessante il fatto che una sua fan fosse davanti a lui e non stesse facendo nulla per ottenere qualcosa di più.
Lei trovava il tutto un’occasione irripetibile, e aprì la bocca prima di mordersi la lingua – Come stai?
Lui alzò un sopracciglio, sorpreso da quella domanda – Non pensi che io dovrei chiederlo a te? – ridacchiò appena, stupito – Comunque bene, grazie.
- Come stai davvero?
La domanda di lei lo colse alla sprovvista. Non era da tutti centrare il punto in modo simile.
Lei voleva solo conoscere un po’ di più il vero Robert, per capire se quello che leggeva nelle interviste era un prodotto ben imbastito da quegli sciacalli di giornalisti, o era davvero la verità.
- Davvero? – posò il bicchiere sul tavolo – Non lo so. È complicato.
- Non dovresti essere sul set?
- Infatti. Ma avevo bisogno di… tempo. Per me. E ora sto volando da Tom, conosci? – annuì – Ho bisogno di buttarmi in un po’ di normalità.
- Sei stanco?
Era un fiume in piena, non poteva farci nulla.
Voleva sapere tutto di lui, anche le cose più futili. Soprattutto quelle più futili, perché sono quelle che ti fanno affermare di conoscere davvero una persona.
- Sinceramente? Si, molto. Ma c’è qualcosa di maledettamente gratificante nel mio lavoro, che mi spinge a non smettere mai. Però è difficile non uscire di testa.
- Sappi che ci sono moltissime altre persone come me che credono in te e in quello che fai. A te ci tengono. Ed io sono una di quelle.
Quelle semplici parole gli riscaldarono il cuore. Era bello potersi aprire con una sconosciuta che non era isterica per la sua presenza.
Le indicò il bicchiere e lei bevve obbediente – È per voi che vado avanti e ringrazio di far questo lavoro.
Finì il caffè – Come ti chiami?
Gli interessava davvero.
- Preferisco non dirtelo.
- Perché?
- Perché tanto un giorno ti dimenticherai il mio nome, e non mi piace pensarlo. Preferisco essere per sempre la ragazza senza nome di cui ti ricorderai, perché l’hai fatta svenire.
Risero.
- Sai? Ti fa… onore. Non chiedermi perché, ma lo trovo giusto, anche se mi dispiace.
E si passò una mano tra i capelli.
- Grazie, sono contenta che tu mi capisca almeno un po’.
- No credimi, sono io che devo ringraziare te.
- Perché?
- Per questi momenti di normalità.
E si mise a parlare come un fiume in piena al limite del disastro. Sviscerò i suoi sentimenti, conscio di rimetterli in una persona che a lui teneva davvero e che li avrebbe custoditi come preziosi segreti.
Era bello sfogarsi con una persona che ti ascoltava davvero, senza porre troppe domande.
Ma lei sapeva che avrebbe ricevuto risposta a molte di quelle che le vorticavano per la testa.
Un’ora dopo Robert si accorse di aver parlato ininterrottamente – Scusa. Devo averti annoiata a morte.
Lei sorrise tranquilla e allegra – No, per nulla. Anzi, ti sono grata per avermi dato l’opportunità di conoscerti davvero per quello che sei.
Si rese conto che la ragazza aveva ragione.
Il telefono si mise a squillare, e lui si allontanò un attimo per rispondere.
Lei chiese un foglio ed una penna al cameriere che prima la soccorse, e riempì il fogliettino di scritte.
Quando Robert tornò il suo volo per Berlino fu annunciato, e si alzò.
- Devo andare – disse dispiaciuto.
- Mi dispiace.
- Anche a me – era da tempo che non era sincero con qualcuno di altamente sconosciuto.
Era una bella sensazione.
- Posso chiederti una foto? – gli chiese timida ed imbarazzata.
- Volentieri.
La scattò con il cellulare, anche se non aveva una bella fotocamera. Meglio di niente, si disse.
- Beh, ciao. È stato un piacere conoscerti.
E si passò una mano sulla nuca, imbarazzato.
- Grazie per avermelo permesso – disse lei commossa.
Si protese sulle punte, lui era veramente alto, e gli schioccò un bacio sulla guancia.
Forse era stata azzardata, ma le sembrava il modo migliore per ringraziarlo.
Lui invece sorrise, e le scompigliò i capelli, grato di quel gesto sincero.
Prima che potesse allontanarsi, sollevò una sua mano e gli disse – Ti sembrerà stupido, ma qui troverai un po’ di miei contatti. Cellulare, mail, skype. Se vuoi parlare e sfogarti, io ci sono.
E si allontanò prima che fosse troppo difficile abbandonarlo una volta per tutte.
- Buon viaggio! – le urlò.
- Anche a te! – si girò sorridendogli.
Robert aprì il biglietto.
Era vero, aveva tutti i suoi contatti.
Ma soprattutto, ora sapeva il suo nome, perché era lì, nero su bianco.
Impossibile da scordare.
Sorrise, e si incamminò verso il gate che il tabellone segnava.
Lei si allontanò con il cuore pesante ed un sorriso sulla faccia. Aveva trovato quel senso di completezza che prima le mancava. Quel viaggio e la sua vita non avrebbero avuto più niente nella media.

 

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Eccomi qui. Lo so, lo so. Non era programmata, però non posso farci niente.
Era da quasi un annetto (anche di più, in realtà) che mi vorticava per la testa, e non so perchè, ma non avevo mai avuto il coraggio di scriverla.
Sono contenta di averlo fatto, perchè ci tengo davvero.
Spero che vi sia piaciuta almeno un po'.
Lei è semplicemente lei, senza un nome - almeno, ce l'ha, ma a noi non è dato saperlo - perchè lei è ognuna di noi, probabilmente.
Non potevo rinchiuderla in un nome solo.
Per chi mi seguisse già, ci sentiamo domani per l'aggiornamento.
Un abbraccio, Cris.

   
 
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