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Autore: RobTwili    30/03/2011    13 recensioni
Lui: Francis 'Frank Fagotto' Hudson.
Lei: Ashley Foster
Lui: Capitano de 'I Matematicici', Capitano de 'Gli elettroni spaiati' e suonatore di Fagotto nella banda del liceo.
Lei: Capitana indiscussa delle Cheer-leader, Capo volontaria del progetto 'Le infermiere della scuola'.
Lui: Innamorato di lei fin dall'asilo.
Lei: Non sa nemmeno che lui esiste.
Ma se, improvvisamente le loro strade si incrociassero? Potrebbe Francis, con molte difficoltà, compiere la vendetta di tutti i nerd facendo capire che l'aspetto non è tutto?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nerds do it better'
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«Chris vado a lavorare» urlai scendendo le scale perché ero in ritardo.
«Moccioso ma vai a lavorare? Da quando?». Mio fratello rispose comodamente seduto sul divano con un pacchetto di patatine aperto tra le mani.
«Da quando voglio comprarmi una macchina nuova perché quella che mi hai lasciato tu ha il paraurti che si stacca ogni volta che tiro il freno a mano». Fissai Chris assottigliando le palpebre e il suo viso assunse una smorfia contrariata.
«La mia vecchia Chevrolet non ha niente che non va. Mi chiedo se tutte quelle macchie sono rimaste ancora…». Si portò l’indice al mento per pensare e io rabbrividii.
«Non dirmi niente, non voglio sapere». Agitai le mani e le braccia e Chris cominciò a ridere.
«Frank, hai diciotto anni, alcune cose dovresti saperle, ora» ghignò schernendomi e lo fissai acido.
«Non sono come te Chris, non porto ogni sera una donna diversa in macchina e non vincerò mai una borsa di studio per il football o per il basket». Chris cominciò a ridacchiare.
«Dubito che qualche università possa offrire una borsa di studio ad una schiappa come te. È già tanto se riesci a camminare. Almeno hai il cervello». Si picchiettò la fronte con l’indice per prendermi in giro e io uscii sbattendo la porta di casa senza degnarlo di una risposta.
«Cervello, quello che tu non hai» borbottai tra me e me chiudendo la portiera della Chevrolet che cigolò minacciando di staccarsi.
I miei genitori si erano decisamente impegnati quando ci avevano procreato.
Chris Hudson, mio unico fratello, più grande di tre anni, aveva ereditato quasi tutte le qualità fisiche di papà.
Alto, moro con gli occhi azzurri, atletico e portato per il basket.
Papà e mamma con Chris si erano impegnati nel fronte fisico; quando era cresciuto però, si erano accorti che faticava a ragionare decentemente, così con me avevano tentato l’opposto.
Decisamente intelligente, con un quoziente intellettivo sopra la media, avevo ereditato da papà, il vecchio Richard Hudson, solo gli occhi azzurri che dovevo nascondere sotto degli spessi occhiali.
Mamma invece mi aveva trasmesso un sacco di qualità.
I capelli biondi, la passione per la musica, la matematica, la chimica e la fisica.
L’astigmatismo.
Chris e io potevamo sembrare perfetti, uniti.
Tra i due, Chris era di certo il più fortunato. Con il suo aspetto così sportivo era riuscito a guadagnarsi un posto d’onore tra i ragazzi conosciuti della scuola, una ragazza cheerleader che l’aveva seguito alla UCLA, l’Università della città di Los Angeles, con un sorriso sbiancato e le valigie di Louis Vuitton, e una foto nella bacheca dei quaterback dell’anno.
Chris era diventato una leggenda nel nostro liceo, nonostante si fosse diplomato due anni prima. Il professor Moriarty, insegnante di educazione fisica, si ricordava ancora di lui e mi accusava di infangare il nome di famiglia con la mia goffaggine.
Anche io ero famoso, in alcuni ambiti.
Capitano dei Matematicici e de Gli elettroni spaiati, da quando avevo cominciato a frequentare quei club avevamo vinto il torneo di chimica e matematica della contea per ben quattro volte consecutive.
In più, indimenticabile, era la mia passione più grande: la musica.
Ero stato costretto ad entrare nella banda della scuola come suonatore di fagotto.
Lì avevo messo il punto definitivo alla speranza di diventare popolare almeno la metà di Chris.
Il cerchio dei miei amici era piccolo, noi non disturbavamo nessuno e nessuno ci disturbava per un semplice motivo: eravamo invisibili, ma ben assortiti.
«Ciao». Alzai il viso per salutare il proprietario della pizzeria che gesticolò salutandomi.
«C’è da portare quest’ordine subito». Mi consegnò il foglietto con l’indirizzo e lo fissai, convinto che fosse uno scherzo.
Baker Street, 211B.
«Devo per forza andarci? Non è libero Joshua? ». Continuai a guardare Andrew che mi lanciò un’occhiata confusa.
«No, ci vai tu. Forza!». Lanciò la borsa con le pizze tra le mie mani e io sospirai uscendo.
«Certo, perché tra tutti quelli che potevano fare l’ordinazione, io devo portarla proprio a lei». Agganciai la cintura di sicurezza e la Chevrolet protestò quando girai la chiave nel quadro.
In fondo non era così brutto, un saluto, un grazie per la mancia, un sorriso e un nuovo saluto.
Questione di due minuti.
Quando parcheggiai davanti a casa sua chiusi gli occhi e mi sistemai gli occhiali che erano scivolati sul naso per l’agitazione.
Con le pizze mi diressi verso la grande porta bianca dai vetri colorati e suonai il campanello.
Pochi secondi dopo la serratura scattò.
«C-c-c-iao Ashley». Sorrisi appena quando aprì la porta e mi fissò come se fossi stato un alieno.
«E tu chi saresti?». Alzò un sopracciglio schifata, sembrava non mi avesse mai visto.
«Fr-frequentiamo lo stesso liceo, siamo in classe assieme per storia e le-letteratura». Perché dovevo balbettare solamente davanti a lei?
«Non credo di averti mai visto. Sei sicuro?». Continuò a fissarmi mantenendo un’aria altezzosa, con il suo splendido sorriso da cheerleader e la sua abbronzatura californiana.
«Amore, come fai a non ricordarti di lui?». Alex, suo leggendario ragazzo e quaterback della squadra di football, comparve alle sue spalle e la abbracciò non pensando minimamente di togliere le pizze dalle mie mani. «Non lo riconosci? È Frank Fagotto, suona nella banda». Pronunciò l'ultima parola come se fosse stato qualcosa di brutto.
«Nella banda? Forse per questo non l'ho mai notato». Ashley ridacchiò e scosse la testa. «Frank Fagotto assolutamente non mi dice nulla». Mi osservò confusa sistemandosi la folta chioma bionda.
«Ve-ve-veramente mi chiamo Fr-Francis Hudson. Cercai di sorriderle ma la vidi fare una smorfia.
«Amore, ma come si chiama?». Si voltò verso il suo ragazzo e cominciò a baciarlo sotto i miei occhi allibiti.
«Non lo so tesoro. Fino a un secondo fa credevo si chiamasse Frank Fagotto». Scrollò le spalle parlando tra un bacio e l'altro.
«I-i-io suono il fa-fagotto». Mi schiarii la voce e sospirai per cercare di calmarmi.
«Be’, se non ti di-di-dispiace, Frank Fa-fa-fa-fa-fa-fa-gotto, io e lei andiamo a studiare per il test di anatomia di domani». Ammiccò e sentii Ashley ridere.
«No-no-non c'è nessun test do-do-domani». Sicuro. Non c'erano test di anatomia il giorno dopo.
Ashley continuò a ridere e chiuse la porta alle sue spalle proprio quando Alex cominciò a mangiarle la bocca.
Rabbrividii schifato pensando che non c’erano sentimenti tra quei due.
I baci erano puramente fisici.
Non avevo esperienza, ma sapevo che di solito un bacio si donava con il cuore.
«Ehi! Le pizze!» urlai rimanendo fermo come un idiota davanti alla porta chiusa, quando sentii qualcuno sbatterci contro e gemere.
Oddio, forse qualcuno stava male.
Suonai di nuovo il campanello e la porta si spalancò lasciandomi vedere Alex a petto nudo e con tutti i capelli in disordine.
«Che vuoi?». Un ruggito, ecco che cosa era stato.
«Le-le pi-pi-pizze» balbettai. Mi accorsi che Ashley era dietro a lui e si stava tenendo una maglietta davanti al seno.
«Dammi queste pizze e levati dai piedi, Fagotto». Strappò le pizze dalle mie mani lanciandomi cinquanta dollari sul viso e ghignò «Tieniti il resto, magari potrai comprarti un paio di occhiali alla moda, o delle lenti a contatto». Ashley cominciò a borbottargli qualcosa ma non sentii nulla perché richiuse la porta alle sue spalle.
Maleducato, ecco che cos’era.
Ancora non riuscivo a capire perché Ashley si ostinasse a rimanere con lui dopo quattro anni.
‘Per la popolarità’, così aveva risposto Mac.
Io non ci avevo creduto nemmeno per un secondo.
Ashley era già popolare prima di cominciare il liceo, quando aveva fondato il progetto de Le infermiere della scuola si era dimostrata una ragazza intelligente e con ambizioni.
Ashley era… Ashley.
Mi ero innamorato di lei dal primo anno di asilo.
Era amore da quando mi aveva raccolto i piccoli occhiali tondi con la montatura rossa perché ero scivolato sopra a una buccia di banana correndo davanti a lei.
«Ti sei fatto male?». Quando si era avvicinata per chiedermelo, con le sue treccine bionde, avevo capito che lei sarebbe stata la donna che avrei sposato.
Stupidi sogni infantili.
Non avevo fatto i conti con il liceo e tutte le classi sociali che c’erano.
Ashley si era dimenticata di quel bambino biondo che le aveva sorriso anni prima e aveva scelto altre compagnie: Kathrina, Luke, Alex… tutte quelle persone bellissime e stupide che si vantavano di avere una borsa di marca.
Consegnai le altre pizze senza veramente prestare attenzione alle persone o gli edifici.
Quando tornai a casa e trovai papà e Chris seduti sul divano a urlare davanti a una partita di football, cercai di svignarmela senza farmi vedere.
Sorbirmi una partita di football con loro equivaleva a rimanere nella stessa stanza con Alex per otto ore.
«Frank!». Papà agitò la manona di spugna rossa e mi chiamò.
«Dannazione» sussurrai avvicinandomi a loro. «Come procede la partita?
». Evitai di sedermi nello spazio libero.
«Stanno per fare touchdown». Chris indicò il televisore inginocchiandosi di colpo ed esultando.
«Bene, allora io vado in camera». Indicai le scale quando papà e Chris si abbracciarono per la felicità.
«Francis, sei tornato?». Misi il piede sul primo gradino della scalinata di marmo e sentii la voce di mamma chiamarmi dall’altra stanza.
«Sì, stavo andando a studiare». Mi avvicinai al suo plastico quasi completo ammirandolo soddisfatto.
Mia madre era uno dei migliori architetti della zona.
«Che te ne pare Francis?». Si posizionò la matita dietro all’orecchio destro e si versò un bicchiere di succo.
«Mi sembra perfetto, anche se forse potresti ampliare di più qui, di poco, ma sarebbe luminoso». Indicai una piccola finestrella e subito mamma sorrise soddisfatta.
«Tu sei un genio, figlio mio!». Stampò un bacio sulla mia guancia e io ridacchiai salutandola.
Quando mi chiusi la porta della mia camera alle spalle, sospirai stanco.
Quell’incontro a casa di Ashley mi aveva tolto tutte le forze.
Ogni volta che la vedevo e cominciavo a balbettare era come un’ora con il professor Moriarty: stancante, imbarazzante e decisamente mi faceva sudare come se fosse stato agosto.
Mi distesi supino a letto senza nemmeno togliermi i jeans, tolsi le scarpe senza muovermi e seppellii la testa sul cuscino deciso a dormire.
Non avevo voglia di studiare, non avevo voglia di chiacchierare con John o Zac perché sapevo che mi avrebbero tartassato di domande, bastava solo aspettare qualche ora e il mattino dopo, nel tragitto tra la loro casa e la scuola, mi avrebbero fatto il terzo grado; me li immaginavo già, elettrizzati perché avevo intravisto Ashley senza maglia e divertiti perché avevo balbettato.
Chiusi gli occhi e cercai di dormire.
 
«Esco» urlai chiudendo la porta di casa con un tonfo.
Forse avevo svegliato Chris, ma sinceramente in quel momento non mi interessava.
Poteva tornare nel suo appartamento al Campus, visto che le lezioni per lui sarebbero cominciate due giorni dopo.
Salii in macchina e girai la chiave nel quadro sorridendo quando il motore finalmente si accese; ingranai la retro e partii allegro verso le ville di John e Zac.
Abitavamo a qualche isolato di distanza, era più comodo andare in bici o in skateboard, ma nei giorni di scuola era decisamente più opportuno utilizzare la macchina.
Suonai due volte il clacson e John e Zac uscirono dalle loro case contemporaneamente.
Si salutarono a vicenda e una volta saliti in macchina salutarono anche me.
«Frank, ti aspettavamo connesso ieri sera». John strattonò la cintura di sicurezza che si era bloccata.
«Sì, be’, diciamo che ero abbastanza stanco». Guardai la strada davanti a me senza aggiungere altro; ero quasi sicuro che Zac avrebbe capito.
«Che è successo? A chi hai consegnato la pizza?». Si voltò a guardarmi sistemandosi la borsa di scuola tra i piedi.
«Ashley». Una parola.
«Lei?». John urlò posando le sue mani sulle mie spalle; la sua faccia, vista dallo specchietto retrovisore era comica. Annuii svoltando ad un incrocio. «Racconta
» continuò scuotendomi leggermente.
«Che cosa devo raccontare? Ho consegnato le pizze con una figura delle mie e poi me ne sono andato». Posteggiai la macchina facendo manovre.
«Oh no. Non dirmi che hai balbettato anche ieri sera». John si portò una mano davanti agli occhi con fare teatrale.
«Direi che il balbettare è stata la parte meno imbarazzante». Scendemmo dalla macchina prendendo in mano contemporaneamente tutti e tre le borse.
«Che cosa hai combinato?». Zac mi fissò confuso, sedendosi a cavallo di una piccola panchina mezza rotta; la nostra piccola panchina mezza rotta, il nostro punto di ritrovo.
«Ciao ragazzi». Mac si sedette sorridendo di fianco a John e io la guardai sorridendo.
«Mac, che cosa hai fatto ai capelli? Non erano blu ieri?». Indicai le meches rosse e Mac sorrise.
«Avevo voglia di cambiare». Si sistemò la molletta e lanciò la borsa ai suoi piedi.
«Allora, che cosa è successo?». John, curioso, faticava a rimanere fermo.
«Ho suonato e mi ha aperto lei, quando l’ho salutata mi ha detto che non sapeva chi ero e mi sono presentato. È arrivato Alex e mi ha preso in giro, poi hanno cominciato a baciarsi e si sono chiusi la porta alle spalle». Mi fermai per riprendere fiato e Mac ridacchiò.
«Spero che tu non li abbia interrotti, altrimenti ho paura di sapere come li hai trovati». Si legò i capelli con un elastico.
«Ho suonato, avevo le pizze in mano». Fissai i loro volti sconvolti e curiosi.
«E ti ha aperto nuda?». John si sfregò le mani soddisfatto. 
«Come sono le sue tette? Grandi come sembrano dentro alla divisa da cheerleader?». Si avvicinò a me scansando Mac che sbuffò.
«Non capisco perché voi ragazzi vi fissiate sempre sulle tette di una ragazza». Pizzicò una gamba a John perché si spostasse e le sorrisi capendo che forse, unica ragazza tra tre maschi, alcune volte per lei poteva essere imbarazzante sentire i nostri discorsi.
Ci conoscevamo da più di dieci anni però, e avevo capito che ormai non si scandalizzava più per nulla.
«Mi ha aperto lui, senza maglietta. Lei si teneva la maglia quindi non ho visto nulla
». Abbassai lo sguardo imbarazzato ripensando alla sera prima.
«E che cosa ti ha detto mr. Sono-il-più-bello-della-scuola-nessuno-mi-eguaglia-per-bellezza?». Mac ridacchiò del soprannome che anni prima avevamo dato ad Alex.
«Che con i cinquanta dollari che mi ha dato potevo prendermi un paio di occhiali nuovi o delle lenti a contatto». Fissai Mac in attesa di una risposta che morì sulle sue labbra.
«Che stronzo. Se solo avessi un po’ di potere in questa scuola gli farei vedere io che non sono i muscoli a comandare». Zac, di solito sempre tranquillo ed educato, picchiò un pugno sulla panchina facendoci sussultare tutti.
«Calma Zac. Non possiamo fare nulla, siamo solo i cervelloni, invisibili». Mac indicò gli studenti attorno a noi che camminavano ignorandoci.
«Verrà il giorno in cui i nerd prenderanno il potere». Zac annuì convinto e Mac ridacchiò tenendosi una mano sulla pancia.
«Tanto non si ricorderanno più di me quindi non mi preoccupo» Sbottai. Ci alzammo tutti per andare in classe quando la campanella suonò.
«Che lezione abbiamo ora?». John fissò l’orologio di Star Wars che aveva ricevuto in regalo dalla nonna per il suo nono compleanno.
«Biologia, come ogni lunedì». Zac chiuse il suo armadietto dopo aver preso i libri.
«Spero vivamente che non ci facciano sezionare una rana oggi perché potrei vomitare». John assunse un’espressione schifata che fece ridere tutti.
«A proposito, che cosa si mangia oggi in mensa?”. Sussurrò Zac sedendosi tra me e Mac sul tavolo di biologia.
Ci dovrebbe essere quella zuppa grigia, quella che sembra colla». John si allungò sul tavolo dietro al nostro per sussurrarcelo.
«Che schifo, mi chiedo perché non possiamo essere come tutti gli altri licei, con una mensa decente». Rabbrividii al ricordo della zuppa e Zac ridacchiò.
«Signor Hudson, signor Bolton, avremmo cominciato la lezione, se non vi dispiace». La voce del professore fece sogghignare John dietro di noi. Il povero Zac non aveva minimamente fiatato.
«Scusi professore» sussurrammo entrambi.
 
«Dite che se chiedo una pizza o un hamburger me lo danno?». Guardai rabbrividendo il piatto grigio davanti a me e Mac scosse la testa.
«Ne dubito, altrimenti la squadra di football e le cheerleader avrebbero già chiesto qualcosa di commestibile». Posò il vassoio su una tavola vuota e io avanzai di qualche passo per sedermi.
«Ehi Fagotto». Mi bloccai sentendo quella voce e fissai stupito Mac, Zac e John.
Gli occhi azzurri di Zac erano spalancati per la sorpresa.
«Si ricorda di te». John si sedette lentamente, come se non avesse voluto attirare l’attenzione di nessuno.
«Girati Frank». Mac mi incoraggiò e Zac fece un segno con la testa per farmi capire che sarebbe stato meglio girarsi.
«Sì?». Trovai Alex molto più distante di quanto mi fossi aspettato.
«Vieni un attimo qui, devo chiederti una cosa importante». Rimase seduto, a gambe aperte, sulla sedia e sentii tutta la tavolata ridacchiare.
Avevo gli occhi della mensa intera puntati addosso.
Mi avvicinai lentamente, con il vassoio in mano, concentrato al massimo per non cadere.
«Andiamo Fagotto, velocizzati un po’». Luke, amico di Alex, parlò non distante da me.
Stranamente era seduto a un tavolo diverso di quello di tutta la squadra.
«Che cosa vuoi fare?». Chiese Ashley ad Alex toccandogli una spalla.
«Dimmi Fagotto…». Alex lentamente si alzò dalla sedia e girò attorno alla tavola avvicinandosi a me.
«S-s-sì?». Cominciai a balbettare e l’intera squadra di football rise.
«Che cosa pensi di questa zuppa?». Indicò il mio piatto.
«Ch-ch-ch-che non è ta-tanto buona». Deglutii per cercare di calmarmi.
Non dovevo pensare ad Ashley a pochi passi da me.
«Quindi tu la mangi sempre volentieri?». Ghignò appena e io annuii. «Sai che ho sentito che fa bene alla vista?». Rimase appoggiato alla tavola e non mi mossi. «Dicono che se te la spalmi sul viso poi ritorni a vederci bene». Indietreggiai di un passo perché non mi convinceva quello che mi stava dicendo. «Luke, proviamo, che ne dici amico?». Successe tutto velocemente.
Chiusi gli occhi appena in tempo, quando sentii il vassoio sparire dalle mie mani.
Quando li riaprii, pochi secondi dopo, notai che il danno era molto peggiore di quello che avevo ipotizzato.
Mi tolsi lentamente gli occhiali perché non riuscivo a vedere nulla.
La zuppa era completamente divisa tra il mio viso, la mia maglia e i miei pantaloni.
L’intera mensa stava ridendo a crepapelle.
Mi abbassai per riprendere il vassoio e i piatti dal pavimento e qualcosa mi sorprese.
«Perché l’avete fatto?». La voce di Ashley non era per niente divertita.
«Andiamo tesoro, era per divertirci un po’». Alzai lo sguardo e notai Alex con un sorriso divertito.
Kathrina, migliore amica di Ashley, che ne approfittava solo perché voleva conquistare Alex, continuava a ridere asciugandosi le lacrime con un fazzolettino di carta.
«Non ti ha fatto nulla di male». Di nuovo quel tono serio da parte di Ashley.
«Era per farti ridere tesoro, se non l’hai capito non so che cosa farci». Alex si girò ridendo e abbracciò Kathrina che lo lodò per lo scherzo.
Quando mi alzai per cestinare il mio pranzo i miei occhi corsero subito verso Zac, Mac e John: pietà, ecco quello che i loro volti esprimevano.
Mi incamminai verso l’uscita, circondato dalle risa di tutta la mensa e poco dopo sentii delle persone seguirmi.
«Che stronzo». Mac tirò fuori dalla sua borsa le salviettine e me le allungò quando la ringraziai con un gesto del capo.
«Gli avrei pestato la faccia. Solo un idiota come lui può fare una cosa del genere. Non ho capito perché si siano messi tutti a ridere». John cominciò a camminare avanti e indietro agitando le braccia.
«Lascialo perdere, Frank. Solo gli stolti seguono gli idioti come Alex». Zac iniziò ad aiutarmi a pulire la mia maglia dalla zuppa.
«Mi chiedo perché non abbia cominciato a ridere anche lei». Levai la maglietta rimanendo con una a maniche corte grigia dei Rooney.
«Forse ha un po’ più di cervello». Ridacchiò Mac allungandomi una nuova salvietta.
«Scusatemi, vorrei solo scusarmi per quello che è successo poco fa». Quando sentimmo quella voce tutti e quattro ci voltammo a guardarla.
«No-no-no-non fa nie-e-nte». Abbassai lo sguardo timidamente per non farmi vedere in quelle condizioni.
«Alex ha esagerato e mi scuso a nome suo, anche se non è la stessa cosa». Cominciò a torturarsi le dita e indossai gli occhiali semipuliti.
«Va-va-va bene lo st-st-stesso. Gr-gr-grazie». Quando, dopo aver indossato gli occhiali, la guardai, mi accorsi che era veramente dispiaciuta.
«Ash! Ash piccola dove sei?». Sentii la voce di Alex chiamarla e Ashley cominciò a guardarsi attorno imbarazzata, poi sparì di colpo.
«Almeno lei ha chiesto scusa». Strizzai la maglia impregnata di zuppa e Zac si avvicinò sconvolto.
«Ma era Ashley Foster quella che è appena andata via?». Indicò il punto esatto in cui era sparita e ridacchiai.
«Forse non è così stupida come sembra. No aspetta, mi sbaglio. È una cheerleader, non può avere cervello». Mac gettò le salviette nel cestino e si sedette di fianco a me pensierosa.
«Ragazzi, devo ricordarvi che è la ragazza di Alex Kingston? Secondo voi può essere intelligente? Bella, con due belle tette, ma intelligente no. Viene rimandata ogni anno in matematica e fisica, una persona che non capisce la fisica non può essere intelligente, è una delle cose più facili che ci siano». John assunse un’espressione strana, come se avesse creduto veramente in quello che aveva detto.
«Sai John, ora comincio a capire perché non hai una ragazza». Mac parlò seria e non riuscii a trattenere una risatina che contagiò anche Zac.
«Senti chi parla, sei decisamente circondata da ragazzi». Zac canzonò Mac che si arrabbiò all’improvviso.
«E che cosa c’entri tu, ora? Parla per te. Scusatemi, devo sistemare un pc della scuola». Sparì all’improvviso dopo aver preso la sua sacca.
«Potevi risparmiartela, Zac». Ammonii il mio amico con lo sguardo e lui mi fissò confuso.
«Che cosa ho detto di male? Ho solo difeso John!». Si sistemò gli occhiali sul naso e io scossi la testa.
«Mac è una donna, sono più sensibili rispetto a noi». John parlò al posto mio e non lo contraddissi.
«Ma se è la prima che fa battute sul fatto che è piccola e non è bionda
». Zac, continuando con la sua idea, cominciò a correre seguendoci verso la biblioteca.
«Sei un piccolo genio della chimica Zachary Bolton, ma le donne sono ancora un pianeta oscuro per te». Picchiettai una sua spalla con la mano quando entrammo in biblioteca.

 
 
 
 
 
Salve ragazze!
Allora, nonostante abbia pubblicato molte storie/os qui su EFP è la prima volta che pubblico un’originale romantica…e spero che non mi tiriate i pomodori marci! :P
Prima di tutto un doveroso grazie a Malia85 che mi beta la storia! Questo ringraziamento ci sarà in ogni capitolo quindi fateci l’abitudine! :)
Poi… spero di essere riuscita a incuriosirvi con questo primo capitolo!
I volti dei personaggi li ho pubblicato nell’album in FB, sul mio profilo. Ci sono tutti quelli citati in questo capitolo.
Ringrazio in anticipo chi vorrà lasciare una recensione anche solo per criticare! :)
Al prossimo capitolo!
   
 
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