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Autore: Ninfea Blu    01/04/2011    42 recensioni
Una storia sofferta e dolorosa di un uomo che ha amato in silenzio chi non poteva avere per non tradire un' amicizia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alain de Soisson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Amore, ricordi e rimpianti' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Mai più avrei amato così tanto

Mai più avrei amato così tanto

 

 

Questo racconto risale al 2008; è quasi inedito, salvo che ha avuto la sua anteprima sul blog di Livia, che ringrazio.

È stato per tutto questo tempo sul mio PC, incompiuto. Non trovavo il modo giusto di risolverlo, o forse non riuscivo ad affrontare questi sentimenti; ora ho preso coraggio e mi sono decisa, anche se non sono certa del risultato. Sono i sentimenti di Alain, il mio amato Alain, secondo solo ad Andrè; quello del manga, con cui non vado troppo d’accordo, e quello dell’anime, che preferisco, fusi insieme. Vi avverto, è una storia triste, ma spero vi piaccia. Buona lettura.

 

******

 

 

Ho amato anch’io una volta.

Come non si potrebbe e non si dovrebbe.

 

Parlo di uno di quegli amori assurdi e impossibili che ti infettano l’anima come una malattia, una di quelle da cui si rischia di non guarire mai. Come la lebbra che ti mangia la carne, o il vaiolo che se non ti uccide, ti lascia deturpato.

Quegli amori che ti cambiano dentro per sempre, e quando se ne vanno si portano via un pezzo di te.

E allora resti monco di qualcosa e più nulla ti sarà restituito di ciò che hai perso.

 

 

Erano le persone migliori che potessi incontrare in questa miseria di vita che mi porto addosso, come la fame.

Il povero figlio di un falegname e la nobile figlia di un generale; coppia strana legata da un destino più cinico che ironico.

Due solitudini diverse, eppure simili come gocce d’acqua.

Due realtà distanti come i loro mondi: il sole e la luna che non dovrebbero incontrarsi mai.

 

Incontrai lui, la prima volta in una taverna puzzolente di Parigi.

Una serata a far baldoria tra risate e schiamazzi, con i miei compagni di sventura, senza un vero motivo per essere allegri, perché se muori di fame e di freddo non hai tempo di pensare a nient’altro. Un reggimento di soldati scalcinati, riottosi e poco inclini alla disciplina, sempre attaccati al collo di una bottiglia o alle gonne di qualche generosa locandiera. Soldataglia lurida, indurita dalle ronde notturne al gelo delle strade, segnata da un’esistenza fatta di stenti. 

 

Arruolati per fame, come me.

 

Disperati, come me.

 

Forse, come loro.

 

Poca speranza, troppa disperazione.

Il dolore e la colpa possono essere compagni molto invadenti, a volte. L’ho scoperto a mie spese.

Lui eri lì per dimenticare… qualcosa… qualcuno…

Un gesto.

Uno sbaglio.

Paura; che forma avesse la sua pena, non potevo saperlo, e certamente non mi interessava. Avevo già i miei fardelli da portare e non ne avrei voluti altri.

Ma non siamo noi che scegliamo il peso del nostro sacco e al mio bagaglio si sarebbe aggiunto il rimorso senza la colpa del peccato.

 

Accettò di unirsi alla nostra compagnia sgangherata e scomposta.

Compagni di bisboccia, quella fu la prima di tante sere venute dopo, in cui affogammo in vinaccio cattivo e amori mercenari i nostri dispiaceri.

 

Così, diventammo amici, io e lui.

 

Era il migliore fra tutti. Il marito che avrei voluto per mia sorella.

Mai avrei concesso ad altri tanta fiducia.

Un giorno lui ha voluto arruolarsi nel mio plotone di miserabili.

Perché in caserma c’era lei.

Arrivata lì, per chissà quale motivo.

 

L’altra metà del suo cielo. La parte oscura della luna. La zona buia sul mio cuore.

Il segreto inconfessabile che si insinuò nei recessi più intimi della mia anima, come un tarlo a corrodere il legno dal suo interno.

Occhi cerulei che nascondevano profondità insospettabili in cui potevi annegare, e capelli mossi che si scioglievano all’aria; ricordavano la distesa dorata di un campo di grano maturo accarezzato dal vento della primavera, poco prima della mietitura.

 

Il nuovo Comandante era una donna.

E che donna, dannazione!

Prendere ordini da una femmina in uniforme è quasi eccitante.

Può scatenare pensieri dolci e perversi nella fantasia maschile.

Cosa non farebbe un uomo per lei…

Cosa avrei fatto io, per una come lei.

Forse, quello che fece lui che la seguì per una vita.

Che l’amò come se non ci fosse altro per cui vivere.

 

Già…

 

Forse anch’io avrei sfidato il mondo e le sue regole.

Forse anch’io mi sarei trasformato nella sua ombra, pur di poterle stare accanto.

 

Al mio amico gli era rimasto un occhio.

Lo avrebbe perso per lei.

Si sarebbe fatto ammazzare, per lei.

La testa, chissà, l’aveva già persa.

Sarebbe potuto accadere a me.

E forse, ci andai vicino.

 

Volevo salvarlo dal suo sortilegio.

O forse…

Volevo salvare me stesso.

 

Povero stolto.

 

Non sapevo che alcuni sogni proibiti ti si attaccano sulla pelle come il morso velenoso di certi animali.

Anch’io finii per subire il suo incantesimo. Ne porto ancora il segno, ma ho lasciato che nessuno lo vedesse.

 

Non volevo credere che si potesse perdere il buon senso, gli occhi e il sonno per una simile algida amazzone che tutto sembrava, tranne una donna da amare.

Non ti scalda il letto e le notti una valchiria del genere. Eppure, certe notti, quando nel cielo si disegnava la sagoma bianca e lucente della luna piena, non riuscivo a chiudere occhio se nella mia branda in caserma, pensavo al mio biondo comandante, come non avrei dovuto. In quella luce lunare che tracciava strisce bianche sul pavimento, la immaginavo entrare dalla porta, nuda e candida, con i capelli sparsi sulle spalle e sulla schiena, una fata eterea che camminava nelle baracche e avanzava silenziosa tra le brande in mezzo agli uomini che dormivano. E solo io potevo vederla così.

 

 

È indegna dei tuoi sentimenti questo superbo angelo biondo, gli dicevo.

Che appare freddo e inaccessibile. Torre d’avorio inviolabile.

Che sembra voler fuggire da sé.

 

Tentai di svilirla ai suoi occhi, la dipinsi come il mostro peggiore.

Cercavo di demolire quell’immagine altera e perfetta che ci restituiva.

Le conosco io, queste madame che si fanno gli stallieri; mi hanno raccontato certe storie.

Si divertirebbe tra le lenzuola con te, e poi ti mollerebbe per un altro amante. Non sono mai sazie.

Credi che non venderebbe i suoi uomini? È corrotta e viziosa come tutti i nobili.

 

Ma che potevo sapere io, di questa dea della guerra?

Cosa sapevo io, della guerra che infuriava nel suo animo?

Lui ostinato, la difendeva.

Negava tutte le accuse che le opponevo.

 

Provai a disprezzarla…

Oh, lo sa Dio se provai.

Tentai con tutte le mie forze, ma il mio disperato, inutile disprezzo si trasformò in altro.

Per molto tempo non volli credere che potesse succedere a me.

E ancor meno volli ascoltare quello che mi sussurrava il cuore. Erano solo i pensieri di un folle, in fondo.

Ma più cercavo di scacciare le immagini che affollavano la mia mente, più loro mi assalivano.

 

Avrei voluto odiarla, e intanto, con la mente la schiacciavo contro un muro dove le slacciavo febbrile i bottoni dell’uniforme e poi con le dita, scivolavo sotto la camicia di seta a sfiorarle la pelle del seno. Nei miei sogni colpevoli lei mi assecondava in tutto: nella tenerezza e nella lascivia. Immaginavo le sue labbra su di me. Ma quanto possono essere pericolose certe fantasie, tanto da farti perdere il lume della ragione.

 

Dea della guerra o dea dell’amore?

 

Viaggiavo con la colpa sul cuore; quella di nascondere al mio amico quella insana passione che mi germinò nel petto, come fosse stata un’erba infestante.

Era un peso leggero, in fondo. Riuscivo a sostenerlo. Potevo fingere che fosse altro. Potevo convincermi che non era amore e che tutto partiva da una parte molto al di sotto del cuore.

Potevo guardarla negli occhi e lasciarmi lambire dal fuoco che bruciava in quelle iridi fredde senza scottarmi. Potevo sentire la mia carne infiammarsi al suono della sua voce vibrante e appassionata, immaginarla morire di piacere tra le mie braccia e soffocare lo spasimo, senza tradirmi. Senza tradire lui.

È meglio amare in silenzio, che gridare senza voce e restare inascoltati.

 

Per non cadere anch’io in suo potere, ero caduto vittima delle mie fantasie.

Perché più cerchi di scansare l’inevitabile, più la sorte si accanisce e lancia i dadi contro di te.

Il mio cuore amava, avvinto da un sentimento sbagliato. Ma può essere uno sbaglio, l’amore?

Può esserci un modo sbagliato di amare, o semplicemente si ama e basta? Senza come e perché? Senza regole?

 

Il mio cuore batteva da solo, ad un ritmo che non controllavo più, per una donna che non potevo avere.

Lei era già sua, era nata per lui.

Allora perché, con istinto quasi feroce, tutto il mio essere la reclamava, se nulla potevo pretendere?

Nulla mi spettava. Ma c’era qualcosa da imparare.

Il giorno esatto che lo compresi davvero, il fendente di un colpo di spada che lacera la carne sarebbe stato meno doloroso di quello che provai in quel momento.

 

Accadde quando, per la prima volta, vidi i suoi occhi profondi e trasparenti come acqua di fonte, tremare per lui.

E allora, avvertii anche quella particolare vibrazione che aveva nella voce quando lo chiamava per nome.

Era come un sospiro fremente, un’ansia trattenuta.

Era amore gridato in un nome. In una parola.

 

Lei, che non aveva paura di nulla.

Lei, che aveva coraggio da vendere.

Lei, che non lasciava venire a galla le sue emozioni, ma ti strappava a forza le tue.

 

Ho capito che era un buon Comandante.

Il migliore che abbia avuto.

Una donna da ammirare.

L’ho stimata e rispettata, ma non amarla nel silenzio del desiderio che sfibra, era impossibile.

Non soffrire era impossibile.

Era un comandante ed era la sua donna. Era l’altra metà della sua anima.

Era ciò che va oltre le leggi degli uomini e degli dei.

Ho capito cosa aveva passato lui in tutti quegli anni. Compresi la sua ostinazione.

Lui aveva combattuto contro gli stessi fantasmi che ora ossessionavano me, per una valida ragione.

 

Quell’amore in tanti anni, mai si era spento perché lei lo alimentava e ne era divorata a sua volta.

Ho capito che lo amava, forse da sempre. E che aveva paura del suo stesso sentimento.

Perché l’amore può far spavento.

 

Il fuoco che ballava nel suo sguardo era la fiamma palpitante di quell’amore che li univa.

Non avrebbe potuto amare me, o un altro nello stesso modo, con quella stessa forza.

Perché si ama così, una volta soltanto.

 

Mi restano per lei parole mai dette, come carezze proibite sul cuore.

Lasciati andare.

Liberati dalla paura, così che io mi possa liberare dal tormento di sapervi infelici e possa godere anch’io un po’ della vostra gioia.

A volte è consolante vivere di quella degli altri.

Lasciami le briciole.

Così che io possa rassegnarmi ed espiare la mia colpa.

Ti prego, lasciami libero...

 

 

******

 

 

 

Perdonami amico mio.

Tardivo, vengo a confessarmi su questa pietra.

Mi sono sentito colpevole e indegno della tua amicizia, tu non sai quanto.

Guarda il traditore che sono stato nei tuoi confronti.

 

Guardami da dove sei ora. Mi vedi?

 

Tu non lo hai mai saputo.

Chissà se lo hai sospettato.

Forse lo avresti letto nel mio sguardo, se non fossi stato quasi cieco.

Una fortuna vergognosa per me.

Perché mi guardi così?  mi chiedevi incerto.

Oh, non potevi vedere come guardavo lei.

 

Ma ora puoi. Mi vedi?

Non so se mi basteranno la parole.

Non so se saprò trovarle.

 

Che ne sapevo io del dolore che custodivi?

Ti osservavo e cercavo di trovare quella forza segreta che avevi.

Mi sforzavo di avere il tuo coraggio mentre soffocavo nel cuore una gran pena.

Ora so che non si può conoscere il dolore di un uomo se non lo si prova.

Se non lo si vive fino in fondo.

 

Ho capito, sai?

Finché non tocchi il fuoco non puoi sapere quanto brucia e può far male.

La sensazione di calore resta vaga.

È solo un semplice tepore che scalda le mani fredde, ma non scotta la pelle.

Ma io ho conosciuto il tuo fuoco, quella fiamma più ardente che brucia e distrugge tutto.

 

L’ amore è davvero così.

È un incendio che devasta una foresta.

 

Mi sono procurato le tue stesse piaghe.

Sono lì, ma non bruciano più.

E dove prima c’era un campo di messi rigogliose, ora restano sul terreno sterpaglie annerite.

Nella mia valle spuntava l’erba più verde; quando e se ricrescerà, non avrà mai più lo stesso colore brillante.

Perdonami se non ho creduto nella forza della nostra amicizia.

Perdonami se ho avuto paura che potesse corrompersi allo stesso fuoco.

Non saprai mai quanto mi è costato.

 

Guarda la mia fatica. Mi vedi?

Ho fatto pace con me stesso e con certi sentimenti che ho provato.

E ora so per certo che tu avresti compreso.

Io adesso, conosco il senso di quella prova.

 

Ti saresti fidato, lo hai sempre fatto, fino a quell’ultimo giorno sulla piazza, quando mi hai chiesto di portarti via.

Non ho fatto in tempo e il destino è stato più veloce.

Quante volte sei morto, in vent’anni?

Quante volte sei rinato nei suoi occhi di cielo?

 

A me è bastata una volta per capire la differenza.

Mi avete lasciato monco di qualcosa.

Tu e lei siete le braci annerite sul mio cuore.

 

Ho compreso tardi la misura del vostro amore.

Vi siete amati e io l’ho sentito come un miracolo.

Tra voi era inevitabile.

 

Una strana legge del contrappasso, la vostra.

 

Quando sei morto, dopo che l’hai avuta, ho sentito che lei ti avrebbe seguito.

Perché tu avevi sempre seguito lei.

Come la notte segue sempre il giorno, e il giorno la notte.

E proprio come il giorno e la notte, vi siete incontrati solo nell’istante di un tramonto.

Quando lei è morta è stato come ricordare, rivivere una pena antica.

Mi pare di sentirla di nuovo affondare come una lama che taglia i lembi di una cicatrice mai rimarginata.

 

È la pena per questo amore soffocato nel petto.

A voi è stato concesso di viverlo.

Ho compreso il dolore che mi avete lasciato.

È ancora qui, negli occhi e sul cuore.

Su questa pietra su cui sono venuto a piangere.

Per un’amicizia che non volevo tradire.

Solo ora so cosa significa.

Il mio amore nascosto per lei.

Il dolore per voi.

 

Perdonami.

Mi vedi?

 

Come te, ho amato anch’ io.

Come te, mai più avrei amato così tanto.

 

 

Fine

 

 

 

Grazie a tutti quelli che leggeranno e a coloro che avranno voglia di lasciare un commentino.

 

   
 
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