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Autore: shadowdust    01/04/2011    5 recensioni
"Tu devi vivere. Devi andare avanti e crearti una nuova vita. Magari anche senza di me, ma devi farlo. Promettimelo".
"Sì" disse lui, con la voce rotta "Te lo prometto".
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era distesa lì, su quel letto d'ospedale, proprio come tutti i malai terminali.

Ma il suo sguardo non era rassegnato, bensì sereno e tranquillo.

Si girò piano a guardarlo, sorridendogli, con quegli occhi profondi.

Dolcemente, come faceva sempre, come aveva sempre fatto.

Lui le prese la mano e le parlò, la voce fin troppo calma a causa dell'ansia che si teneva dentro.

Si sentì pervadere dal dolore.

Dopo tutto ciò che lei aveva fatto per lui.

Gli aveva salvato la vita, l'aveva aiutato a ricostruirsene una.

Gliene aveva donata una nuova.

Ora non poteva morire, non dopo tutto ciò che aveva fatto.

Gli occhi diventarono umidi, ma trattenne le lacrime.

Non voleva piangere, per non spaventarla.

"Devi promettermi una cosa" disse ad un tratto lei, la voce come rotta dal pianto e così debole "Devi promettermi che qualsiasi cosa accada tu non ti farai sopraffarre dal dolore.

So che proverai dolore, rabbia, odio, ma non dovrai lasciare che prendano il sopravvento, chiaro?

Ricordi ciò che ti dissi riguardo alle ali dell'anima?".

Come dimenticare.

 

 

Stavano passeggiando in un parco.

Era un bellissimo pomeriggio primaverile, uno di quei pomeriggi in cui il vento fresco ti accarezza il viso e ti fa sentire pieno di vita, di aspettative, di speranze.

Era passato poco più di un anno da quando lei lo aveva trovato, in quel vicolo, e gli aveva salvato la vita

L'ombra degli alberi nascondeva il sole sopra le loro teste e tingeva l'erba del prato di chiazze più chiare e più scure.

Lei era al suo fianco e gli teneva la mano.

Poteva sentire la freschezza delle sue dita sulla pelle e la delicatezza del suo tocco.

Ogni tanto incrociavano alcuni ragazzi, che lo riconoscevano.

Rivedevano in lui il drogato che era stato, il mascalzone del quartiere, il ladro che spesso spaccava i finestrini delle macchine e rubava le autoradio per poi rivenderle e comprarsi la sua dose.

Non credevano che lui fosse davvero cambiato, erano diffidenti, e lui li capiva.

Probabilmente anche lui losarebbe stato, al loro posto.

Così come non riuscivano a credere che una ragazza come LEI stesse con lui.

Lei, così bella, solare, allegra, gentile e dolce con tutti, era andata a cercare LUI, un ladro drogato ormai prossimo alla morte.

Non capivano che lei lo aveva scelto proprio per questo, che lei era riuscita a vedere in lui proprio ciò che era nascosto agli altri.

Erano andati a sedersi in cima ad una collinetta del parco e guardavano il cielo terso attraverso le fronde degli alberi, mentre i raggi di sole si infiltravano tra le foglie e li cercavano sull'erba, per scaldarli con il loro tepore.

"Sai una cosa?" aveva ad un tratto detto lei, rompendo il silenzio che li circondava.

"Cosa?" gli chiese lui, voltandosi a fissarla.

"La prima volta che ti ho visto, in quel vicolo..." iniziò, e lui sentì una fitta al petto.

Il ricordo di quei momenti, della sua vita prima che arrivasse lei, lo facevano sempre stare male.

"Ecco, io ho capito che c'era qualcosa in te. Tu sei speciale, tu non sei come gli altri" gli disse sorridendogli.

"Intendi come gli altri drogati?" le chiese lui, un sapore un po' amaro in bocca.

"Non parlo solo di loro. Tu sei diverso da TUTTI gli altri. Non sei come le altre persone che conosco e l'ho capito subito, quel giorno".

Alzò gli occhi verso le cime degli alberi e sorrise.

Lui la guardò in silenzio, come un poeta osserva una ninfa o una fata.

Sembrava proprio una di queste due, quel pomeriggio.

I raggi del sole che filtravano tra le fronde degli alberi le illuminavano il vestito bianco a tratti, facendola brillare d'oro.

Gli occhi erano luminosi e all'interno di essi riusciva a scorgere il riflesso delle foglie e del sole sopra le loro teste.

"Vedi" ricominciò "io vedo, in un certo senso, l'anima delle persone".

Lui la fissò, non sapeva nemmeno lui se la sua espressione fosse più di incredulità o di sorpresa.

"Cosa intendi dire, scusa?".

"Beh, non è che vedo proprio la loro ANIMA, diciamo che la immagino, ecco" gli spiegò lei, lo sguardo ancora rivolto verso il cielo.

"Io vedo, intorno alle persone, come delle ali".

Lui la guardava zitto, non sapendo cosa rispondere.

"Mi prendi per matta, non è vero?" gli chiese allora lei ridendo e girandosi nella sua direzione.

"No, no. É solo che non riesco a capire. Tu vedi delle ali intorno alle persone?".

"Non le vedo proprio, però le immagino. Mi sembra di vedere qualcosa intorno ad una persona e la mia fantasia fa' il resto. Ci immagina qualcosa, delle ali per essere precisi".

"E tu mi stai dicendo che le ali che vedi sono, in un certo senso, l'anima delle persone?".

"Esatto. Io riesco a vedere le loro ali, quelle che io chiamo "ali dell'anima" e che rispecchiano quello che essi sono in realtà" gli disse lei, guardandolo in volto.

Lui restò in silenzio a fissarla, il viso concentrato.

"Credi che io abbia qualche rotella fuori posto, non è vero?" scherzò lei, ridendo.

"No, anzi" rispose lui, ancora concentrato "Ti credo eccome".

Lei, tornò a fissarlo, ancora sorridendo "Davvero?".

"Sì".

"Allora ti racconterò cosa vidi quel giorno. Il giorno in cui ti trovai. Entrata nel vicolo vidi un ragazzo nell'ombra ed intorno a lui, che partivano dalla sua schiena, due grandi ali fatte completamente di tenebre.

Erano nerissime, completamente fatte d'ombra, simili a quelle di un demone...".

Lui la ascoltava in silenzio, quasi consapevole di ciò che avrebbe sentito.

"Mi stai dicendo" le disse alla fine "che la mia anima è nera? Beh, ma già sapevo di esserlo, voglio dire, so già quello che sono e, in particolare, so già quello che SONO STATO".

Lei però scosse la testa, non abbandonando il suo sorriso.

"Io non sto dicendo questo".

Quando vide l'espressione dubbiosa sul volto di lui, continuò.

"Io quel giorno vidi un ragazzo circondato da ombre e con le ali completamente nere, ma questo solo all'apparenza. In realtà, sotto quelle tenebre, una luce brillava. Era fioca, pallida, eppure c'era.

Una luce nascosta alla vista, eppure presente".

Lo guardò felice, mentre lui la guardava ancora più confuso di prima.

"E che cosa vuol dire?" le chiese allora "Cos'era quella luce?".

"Le tue vere ali" gli rispose lei.

Un uccellino volò sopra di loro, illumanato a tratti dai raggi del sole, prima di sparire di nuovo tra le fronde degli alberi.

"Che cosa significa "le tue vere ali"? Le mie ali non erano nere? Non erano le ali di un demone?".

"All'apparenza sì. Ed erano le ali che vedevano gli altri e per cui tu eri guardato male dalla gente".

"Io ero guardato in quel modo, e ancora lo sono, perché ero un drogato".

"Lo so. Sto dicendo che la tua anima sembrava essere quella, poteva sembrare nera e scura, ma in realtà non era così".

Lo guardò sorridendo serena, mentre lui ancora faticava a capire.

"Insomma" le chiese alla fine "Come sarebbero le mie ali? Nere o che altro?".

"Le tue ali" gli rispose lei "Non erano in realtà nere. Le tenebre che ti appesantivano il cuore nascondevano le tue vere ali, nascondevano la luce che era in te. La luce che io ho visto la prima volta che ti ho incontrato".

Lui la guardò in silenzio, cercando di capire il significato di quelle parole.

Alla fine gli fece una sola domanda.

"Adesso le mie ali come sono?".

Lei sorrise ancora più dolcemente "Ora le tue ali sono come davvero dovrebbero essere. Non ci sono più tenebre a coprirle" lo guardò negli occhi "Ora sono delle bellissime ali d'angelo. Bianche e luminose come la neve illuminata dal sole".

Lui la guardò esterrefatto e lei, a quell'espressione, scoppiò a ridere.

 

 

"Sì" rispose lui, la voce rotta dal pianto come la sua "Mi ricordo delle ali".

"Non lasciare che le tue ali d'angelo ritornino quelle di un demone, non lasciare che le tenebre tornino a coprirle. Capito? Non permetterlo mai.

Sei così cambiato, e non voglio che tu torni come prima"qui si interruppe e lo guardò più intensamente che mai "Tu devi vivere. Devi andare avanti e crearti una nuova vita. Magari anche senza di me, ma devi farlo. Promettimelo".

Una lacrima le scese sul viso d'angelo, riflettendo i raggi della luna e illuminandolo di diamanti.

"Sì" disse lui, con la voce rotta "Te lo prometto".

Un sorriso di gioia, sebbene velato di una tristezza malinconica e sofferente, le illuminò il volto.

Lo abbracciò, facendolo piegare sul letto dalle lenzuola bianco sporco.

"Grazie" gli disse, non trattenendo più le lacrime, che le scivolarono sul viso.

Si abbracciarono e lungo.

"Tienimi stretta. Ti prego. Non lasciarmi" gli chiese lei tra le lacrime.

E lui lo fece. La strinse forte, quasi come se così avrebbe impedito che lei le venisse portata via.

Le toccò i morbidi e lunghi capelli.

Pensò per quanto ancora avrebbe potuto farlo e una fitta gli colpì il cuore.

Lei lo chiamò per nome, piano "Ho paura" continuò, la voce flebile "Tanta paura. Non voglio lasciarti. Io...".

Ma lui si divincolò.

La guardò negli occhi, spaventati e colmi di silenzioso dolore, ma trasparenti come quelli di un bambino.

"Per un'ultima volta" le chiese "ti prego. Dammi un bacio. L'ultimo. Ti supplico".

Ora non tratteneva più le lacrime, che scorrevano libere sul suo volto.

Lei, finalmente, sorrise come faceva un tempo e il mondo sfumò davanti a quell'immagine.

Gli prese il viso fra le mani e lo avvicinò al suo.

Le mani erano fresche, come petali al vento.

E lo baciò.

Le lacrime rigarono entrambi i volti, quelle di lui scivolando sulle mani di lei.

Il mondo, già come sospeso nel tempo, s'immobilizzò del tutto.

C'erano solo loro, e il loro bacio.

Il loro ultimo bacio.

Ma poi i singhiozzi di lei ruppero il silenzio.

Lui la guardò e la vide, il viso che rifletteva un dolore immenso.

Continuò a guardarla, come in trance, mentre le infermiere lo portavano fuori.

Quando la porta si chiuse, fu come svegliato da un sogno.

Si spostò verso la finestra e guardò dentro, le mani premute sul vetro.

Lei era lì, il viso rigato da lacrime simili a fiumi di diamanti, illuminati dalla luna.

I dottori non avevano fatto in tempo ad accendere la luce, nemmeno nel corridoio, da cui lui ora guardava quella scena, quasi stesse guardando un film alla tv.

Come se quella non fosse la vita reale, non fosse la realtà.

Lei soffriva, ma di un dolore silenzioso.

Come quel dolore che provi al rifiuto della persona che sai di amare.

Un dolore muto, come la malattia che l'aveva presa e che ora gliela stava portando via.

Sembrava un angelo, un angelo caduto e sofferente, gli occhi ancora chiusi dal momento del loro bacio.

E poi tutto finì, così come era iniziato.

Lei smise di agitarsi, il viso si calmò.

Le ultime lacrime le scesero sul volto.

I medici scossero lentamente il capo.

E il dolore s'impadronì di lui.

Urlò con tutta l'aria che aveva in corpo.

Urlò tutto il suo dolore, la sua rabbia, mentre due medici lo tenevano per le braccia e le lacrime tornavano a scorrere.

I suoi NO, quella notte, riempirono il silenzio dell'ospedale.

 

 

Ora era lì, di fianco a lei, o meglio a ciò che lei era stata.

Aveva terminato le lacrime, ma il dolore era ancora lì.

Quando era entrato era corso ad abbracciarla, in lacrime.

Non aveva mai pianto così tanto.

Adesso i singhiozzi si erano placati e teneva il viso premuto contro il suo ventre fragile, la testa nascosta tra le braccia.

Il dolore, la rabbia, dominavano in lui.

Ma li indirizzava tutti a sè stesso.

Non aveva saputo salvarla, lei che invece era riuscita a salvare lui da una morte certa.

Si morse il labbro fino a farlo sanguinare.

Voleva soffrire.

Inspirò a lungo per calmarsi.

La sua pelle era fredda, ma profumava ancora di quel profumo dolce e fresco che sapeva di casa, ormai, e che gli metteva sempre voglia di riposare, di dormire.

Riposare. Dormire.

Decise allora cosa fare.

Si alzò e uscì, diretto alla stanza dei farmaci.

La trovò subito.

Entrato cercò una siringa e, una volta trovata, la prese in mano.

Era fredda, come le mani di lei.

Come il suo cuore in quel momento.

Rovistò tra gli scaffali e, infine, lo trovò.

Un farmaco.

Un farmaco che, se somministrato in dosi eccessive, porta alla morte.

La sua morte.

Lui era stato un drogato, sapeva benissimo tutte queste cose.

E per una volta si rivelavano veramente utili.

Riempì tutta la siringa, superando di dieci volte la dose massima consentita, e puntò l'ago alla vena del braccio.

Rivide le cicatrici sul polso, quelle che si era fatto per togliersi la vita, invano, molto prima.

Sembrava passata un'eternità da allora.

Lei lo aveva trovato, lo aveva fermato, lo aveva salvato. Aveva saputo donargli la fiducia e la speranza nella vita, che aveva perdute molto tempo prima.

Allora la mente tornò all'ultima volta che lei gli aveva parlato, poche ore prima:

"Devi promettermi che qualsiasi cosa accada tu non ti farai sopraffarre dal dolore"

"Tu devi vivere. Devi andare avanti e crearti una nuova vita. Magari anche senza di me" "Promettimelo"

Lui doveva vivere.

Lo aveva promesso.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime, anche se era sicuro di averle finite.

Lei aveva fatto così tanto per salvarlo, e ora lui stava gattando via tutto.

Tutta la sua fatica, il suo impegno.

Tutto il suo amore.

Gettò a terra la siringa e la pestò col piede, frantumandola.

Fissò il liquido che si spandeva sul pavimento.

Uscì e si chiuse la porta alle spalle in silenzio.

Quando entrò nella camera non era cambiato nulla.

La luce della luna la illuminava, attraverso le tende, di una luce quasi innaturale.

Era bellissima.

Lì, su quel letto, sembrava davvero un angelo morto.

"Il mio angelo è volato via" pensò, mentre le si inginocchiava al fianco.

La guardò a lungo.

Le labbra delicate e chiuse, che non avrebbe più baciato.

Il petto, che non si sarebbe più alzato ed abbassato dolcemente, cullandolo quando lei gli prendeva la testa fra le mani e lo faceva riposare.

Non avrebbe più accarezzato quei capelli, che poco prima aveva toccato dolcemente.

Non avrebbe più sfiorato la sua pelle fresca e delicata, profumata.

Il viso bellissimo, argenteo alla luce lunare, splendeva.

Le palpebre chiuse.

Sapeva che lì sotto c'erano due stupendi occhi blu.

Avrebbe voluto rivederli ancora una volta, ma avrebbe trovato solo occhi spenti e vuoti, lo sapeva.

Preferiva ricordarli così com'erano: profondi, sinceri, ricchi di speranza e amore.

Le prese una mano e se la portò alla guancia.

"Ti amo. Te l'ho sempre detto. Andrò avanti senza di te, te l'ho promesso, ma solo te amerò. Ti amerò per sempre".

 

 

FINE

 
   
 
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