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Autore: T_Jey    02/04/2011    1 recensioni
Lily ha da poco compiuto 21 anni, quando attorno a lei iniziano a morire persone a lei più o meno care, tanto da portarla a farsi paranoie sul suo essere portatrice di sfiga e morte.
Non l'aiuta un incontro alquanto inquietante durante il funerale del suo amico ed ex amante Mark.
Un uomo si mette a delirare a proposito di guardiani, maledizioni e morti di cui lei sarebbe responsabile, mettendola ancora più in crisi.
Chi era quel pazzo delirante, che colpa poteva averne lei se la gente moriva?
Joseph è un guardiano dall'età di 14 anni, consapevole del suo destino dal giorno del suo nono compleanno quando, dopo la morte dei suoi genitori per cause sconosciute, uno sconosciuto era venuto a prenderlo e lo aveva portato "lì dove gli avrebbero insegnato come imparare a usare al meglio il suo dono e a capire chi fosse veramente e quale fosse il suo compito nel mondo".
Un giorno, incuriosito da una serie di strani eventi nel suo distretto si imbatte in un guardiano non addestrato e che potrebbe essere una minacchia per la comunità.Lily.
E' un caso eccezionale e la scelte è: addestrarla o ucciderla?
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il funerale


Stavano tutti lì, in circolo, tutti vestiti di nero.

Il sole era sopra di loro e il vento non si era ancora visto.


Il caldo iniziava a farsi fastidioso e lei iniziò a sentirsi ancora più a disagio mentre si faceva aria con la mano.

Già i tacchi la facevano sentire ridicola, che idea era stata quella di mettersi quelle scarpe eleganti? Non che fossero tanto alte, anche perchè ormai si era pure conficcate nel terreno, ma contribuivano a farla svettare ulteriormente tra i presenti, oltre ai suoi 5 cm di altezza superiore alla media.


Era l’unica ad essere vestita elegante, con gli occhiali neri e i tacchi.

Gli altri se ne stavano comodamente nelle loro scarpe da ginnastica, pantaloni comodi e giacche leggere.


Ma cavolo, erano a un funerale!


E di certo i pensieri che stava facendo lei non erano proprio dei più consoni...

Era veramente così importante il modo in cui era vestita, in un occasione del genere??

Lily si sentì estremamente futile e insensibile.

No, quello che doveva fare era tornare a prestare attenzione a quello che diceva il prete e smetterla di farsi i suoi viaggi e in particolare doveva smetterla di pensare che il tipo un po’ più alla sua destra la stessa fissando da almeno 5 minuti.


Girò leggermente il viso il quella direzione per appurare che in effetti l’uomo era ancora lì,ma purtroppo gli occhiali che portava non permettevano di scorgere il suo sguardo.


Chissà chi era. Non l’aveva mai visto e di certo non sembrava proprio un amico di Mark, nemmeno del tipo di quelli nuovi che si era fatto da quando si era trasferito a Londra.


Che fosse il suo datore di lavoro?

Uhm...no, troppo giovane e car... eh che cavolo! Ci era caduta di nuovo!

Doveva tornare a prestare attenzione al funerale! Come cavolo poteva mettersi a divagare in quel modo al funerale di un suo amico? Povero Mark...

Il disprezzo per sé stessa iniziava a bruciarle il petto.

Lily non si era mai ritenuta una persona insensibile, ma era anche vero che ultimamente di morti improvvise ne aveva vissute parecchie e forse stava iniziando a farne l’abitudine, sempre se era possibile abituarsi alla morte, che pensiero abberrante!


Ma purtroppo era vero.

Da quando aveva compiuto 21 anni sembrava che il mondo si fosse deciso di farle capire che nulla dura per sempre...

Tutto sembrava incominciato il giorno che quel piccione si era schiantato sul cofano della sua macchina.

Era stato orribile e aveva quasi fatto un infarto. Aveva appena litigato con la sua compagna di stanza per una sciocchezza, ma al momento l’unica cosa a cui poteva pensare, era quella di tirarle il collo come si fa con le galline come lei e il quel preciso istante. Bum.

Il piccione si era spalmato sulla sua macchina mentre stava mettendo in moto e andando in retromarcia, tanto che era finita addosso all’auto dietro.

Quello era stato veramente un giorno di merda.


Poco tempo dopo sua madre l’aveva chiamata per annunciarle che la vicina di casa, quella che abitava vicino a loro a Portsmouth, era morta di infarto mentra stava dando da mangiare al gatto.

La cosa la colpì parecchio; era sempre stata convinta che quella vecchiaccia sarebbe stata in grado di seppellirli tutti, perchè come si suol dire, “l’erba cattiva non muore mai”, ma a quanto pareva lei era l’eccezione che confermava la regola.

Era anche vero che il gattaccio che si ritrovava era nero e si sa, porta sfiga!


Poi c’era stato il professore del suo liceo, quello che aveva insegnato a lei letteratura inglese. Forse era proprio a causa sua che aveva scelto design e aveva lasciato perdere la sicuramente promettente carriera da scrittrice e giornalista che aveva sognato da quando aveva letto per la prima volta “Piccole Donne” e che era stata rafforzata dalla volontò di scrivere una versione riveduta e corretta di “Piccole donne crescono”.

Lo sapevano tutti che Jo in verità si sarebbe dovuta sposare con Teddy! Sarebbero stata la coppia più bella di tutta la storia della letteratura, come Romeo e Giulietta, ma senza finale macabro! Beh...oddio poteva scegliere coppia migliore,ma insomma, due amanti perfetti.


Invece no. Dopo 4 anni in cui lui aveva distrutto completamente la sua autostima di grande scrittrice di classici, rifilandole sfilze infinte di insufficiente e sufficienze stiracchiate, la sua scelta universitare era ricaduta sulla facoltà di design. No, non se ne pentiva perchè la sua vena creativa ora era al massimo della sua potenza, ma l’odio profondo che provava per quell’uomo era sicuramente infinito.


Quando le dissero che era morto però si sentì parecchio strana.

Però era già il terzo morto nel giro di qualche mese e la cosa aveva iniziato a inquietarla parecchio.

Oddio, le spiegazioni per eventi simili si sprecavano.

L’uomo era un vecchio grassone che non aveva mai fatto minimamente attenzione a quello che mangiava e il colesterolo alle stelle aveva fatto il suo dovere.

La vecchietta, a detta del suo medico, aveva un piede in una fossa praticamente da quando era rimasta vedova e la vera sorpresa era che fosse riuscita a rimanere in vita tanto a lungo.

Il piccione invece era stato solo sfigato ed estremamente scemo, si era buttato giù dal nido senza aver ancora imparato a volare.

Il minimo era che si sarebbe sfracellato al suolo.

La sua macchina era stata la vera e unica coincidenza.


Nonostante le chiare e razionali spiegazioni, non poteva tenere conto del fatto che erano tutte persone che conosceva, piccione a parte e la cosa l’aveva fatto venire un po’ di ansia. Anche perchè di mezzo nel frattempo c’era finita anche sua zia che si era sentita male ed era stata ricoverata d’urgenza, operata e aveva sfiorato la morte tanto da vicino che il viso era ancora segnato dalla stanchezza della lotta contro il destino.


Era andata a trovarla immediatamente, aveva preso la macchina ed era corsa da lei.

Mark l’aveva rivisto proprio in quel periodo. Abitava vicino alla zia quando era piccolo ed era così che l’avevo conosciuto, poi, Portsmouth è una piccola città, si eravano ritrovati al liceo assieme. Eravano stati grandi amici, fino a quando lui non aveva deciso, dopo esser stato bocciato, che la scuola non era il suo forte e che si sarebbe trasferito a Londra.

Lì aveva trovato lavoro come barista in un locale dove tra una birra e l’altra potevi farti fare un piercing o un tatuaggio.

Non so se perchè sotto gli effluvi dell’alcol o perchè alla fine l’idea lo aveva sempre ispirato, alla fine si era fatto fare anche lui qualche piercing tra cui uno sulla lingua e qualche tatuaggio.

Era tornato da Londra per lei, per andarla a consolare quando sua zia era stata male.

Aveva preso il weekend libero.

In verità eravano stati un po’ più che semplici amici e dopo tanto tempo che non si vedavano, la bottiglia di whiskey per dimenticare, la tristezza e il suo strip per farle vedere i suoi tatuaggi, alla fine, eravano finiti sul divano a fare sesso, in memoria dei vecchi tempi.


Si era fatto un idiotissimo tatuaggio, un gattino stilizzato sul polso, che il più del tempo stava nascosto sotto uno dei suoi amati bracialetti di cuoio.


Le aveva detto che era per lei, che lui chiamava sempre Kitty, perchè quando erano amici aveva provato su di se sia la parte più dolce e affettuosa di lei, che quella più selvaggia e felina che le faceva snudare le unghie per fare a strisce chiunque le desse fastidio.

Così, aveva detto, lei era sempre con lui.


Ora non più.

L’avevano chiamata i genitori di lui, una settimana dopo che l’aveva salutato.

Era morto. Era morto di infarto mentre in palestra si alleneva.

Aveva un bel fisico e ci teneva a tenerlo in allenamento.

Il suo turno dell’orario di pranzo finiva alle 15:30 e ogni volta dopo andava in palestra direttamente dal lavoro, faceva un’oretta di esercizi e poi se ne tornava a casa per poi tornare al bar alla sera, per le 19:30.

Quella sera non era tornato a lavoro.

Era rimasto steso per terra in palestra e non c’era stato niente da fare.

Il cuore aveva ceduto.

Il suo maledettissimo e sanissimo cuore aveva ceduto.

L’unica consolazione era che non avesse avuto nemmeno il tempo per soffrire.

Almeno lui non aveva sofferto.


Lei invece sì.

E continuava a farlo, in fondo al cuore continuava a sanguinare.

Ma a quel funerale...no, per i funerali provava talmente tanto disprezzo, per quel prete che sparava stronzate sul peccato e sul perdono, sulla vita eterna e su chi fosse Mark, che l’unica cosa che veramente avrebbe voluto fare, era scappare e andare a chiudersi nella stanza di Mark per poter sentire ancora una volta il suo odore, e potersi illudere che quello era tutto un brutto sogno e che lui sarebbe tornato nel giro di qualche ora.

Lui era al bar e finito il turno sarebbe tornato a casa sua.


Non poteva impedirsi di ricordare di averlo vista una settimana prima, vivo e vegeto.

Cazzo, avevano passato tutta la maledetta notte a scopare ed era più che vivo,invece lui adesso era morto. Neanche una settimana dopo.

Morto.

Non era più lì e non lo sarebbe più stato.

E un senso di colpa le stringeva lo stomaco.

Senza dubbio del tutto irrazionale, infondo lei che poteva c’entrare con la sua morte? Non era mica colpa sua se la gente attorno a lei moriva, lei non aveva potere su questo genere di cose. Lei era solo estremamente sfortunata, perchè le conosceva.

Lei non poteva controllare la cosa. Anche perchè sennò Mark non sarebbe morto, sua zia, anche se ora stava meglio, non ci sarebbe andata così vicina e lo stupido piccione non sarebbe di certo caduto esattamente sulla sua macchina!


Per questo adesso se fosse scappata dal funerale nessuno l’avrebbe presa come un’ammissione di colpa.

Sapeva di stare delirando, ma il vestito, le scarpe, gli altri, le morti, l’uomo che la fissava e il caldo, le stavano dando alla testa e l’unica cosa che voleva fare era scappare.

Poi c’era quell’idiota della loro ex compagna di classe, Meredith, che continuava a frignare come una fontana e metteva angoscia a tutti, compresi i genitori di Mark che stavano lì, alla destra della bara e ogni tanto le gettavano sgurdi angosciati.

Tutti stavamo soffrendo, ma lei doveva a tutti costi dimostrare di farlo più degli altri ed era solo una cosa patetica.

Il pensiero che si sarebbe meritata di stare lei dentro a quella bara le si era infilato tra gli altri, facendo leva sul suo dolore e pur sapendo che era solo una cattiveria lo pensava veramente, ed era proprio assorta in quell’odio profondo per quell’oca e nella compassione per i genitori di Mark, tanto che non si era minimamente accorta dello spostamento dell’uomo che la fissava poco prima.


Solo quando si ritrovò ad allontanarsi dal circolo delle persone in nero, tirata per un braccio realizzò che lui la stava strattonando via.


-non lo devi fare -


Lui aveva parlato senza nemmeno guardarla e con una voce roca e profonda, da brividi.

Lei iniziò a porre resistenza e a strattonare il braccio.


-mi lasci! che cavolo sta facendo! -


Lui mollò subito la presa, quasi avesse ricevuto l’ordine e non potesse farne a meno, ma il suo modo di fare era stizzito, come se non fosse veramente sua intenzione farlo.

Un tipo strano.

Lei aveva iniziato a sbraitare, mentre si massaggiava il polso che le era stato strattonato e si allontava di qualche passo, inveendo contro di lui e chiedendogli spiegazioni sul chi fosse e cosa volesse.


-non deve pensare certe cose, poi potrebbe pentirsene...specie se non le vuole veramente. -


Lo sguardo di lei si fece ancora più confuso.


senta, io non so a che cavolo si riferisce, ma non mi sembra proprio il modo di comportarsi, non la conosco nemmeno, come si permette di prendermi in quel modo e strattonarmi via, quello è il funerale di un mio caro amico! Si vergogni! -


Lui le lanciò uno sguardo astioso mentre si alzava gli occhiali.


-senta lei, se continua così e non inizia a controllarsi, i funerali che dovrà assistere aumenteranno a dismisura, quindi veda di fare attenzione! -

Lei lo fissò allibita.


-ma che diavolo blatera?! Vuole darmi la colpa di tutto questo? Ma come si permette?? -

E lo schiaffo seguì l’esclamazione.


Ma non fu quello a lasciare interdetto il ragazzo.


-mi prendi in giro? Non hai capito che sei stata tu? Che guardiano sei? E’ una delle lezioni elementari e poi ha ancora i segni della maledizione... -


Lei iniziò a indietreggiare spaventata dal discorso delirante del tipo.


-si certo... senta, io devo andare... - e veloce ritornò verso il gruppo delle altre persone giusto in tempo per gettare anche lei la rosa sulla tomba del suo amico e amante.

Ma quando si girò per andarsene notò poco lontano l’uomo di prima che parlava irrequieto al telefono.


Quello senza dubbio era stato uno degli incontri più inquetanti della sua vita, anche per la serietà con cui quell’uomo delirava e l’insistenza con cui le stava dando la colpa della morte di Mark. Si era stato proprio la ciliegina su quella maledetta torta di merda.


E non era finita, perchè di lì a due giorni sarebbe iniziato il periodo di esami, per i quali non avava studiato praticamente niente e per colpa dei quali avrebbe dovuto passe le successive due settimane da reclusa nella sua stanza.

  
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