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Autore: Nanix    03/04/2011    1 recensioni
Piove.
Il cielo sopra San Francisco è tetro e ricoperto da nuvoloni minacciosi, come l’umore di una ragazza intenta a litigare col padre in piena notte.
«No. E ancora no. »
«Ti prometto che questa è l’ultima volta»
«Questa è proprio bella. L’ultima volta? Con te non esiste un ultima volta.»
«Vedrai, sarà diverso»
«Anche la volta prima l’hai detto e quella prima ancora. Sono dieci anni che non facciamo altro che trasferirci da un paese all’altro.»
La ragazza guardava fisso negli occhi il genitore che in quel momento considerava come un vecchio irresponsabile incapace di tenersi un lavoro per più di un anno, la rabbia le ribolliva in corpo e non si preoccupava di offendere o mancare di rispetto al padre. Dal altro canto suo padre di tanto in tanto distoglieva lo sguardo avvilito, rimirandosi più volte le scarpe come se fossero più interessanti delle parole della ragazza.

Non uccidetemi, so che ho altre storie da mandare avanti ma per quelle non ho ispirazione momentaneamente e poi mi sono resa conto che preferisco scrivere con un ambientazione scolastica.
Fatemi sapere che ne pensate. Grazie
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove.
Il cielo sopra San Francisco è tetro e ricoperto da nuvoloni minacciosi, come l’umore di una ragazza intenta a litigare col padre in piena notte.
«No. E ancora no. »
«Ti prometto che questa è l’ultima volta»
«Questa è proprio bella. L’ultima volta? Con te non esiste un ultima volta.»
«Vedrai, sarà diverso»
«Anche la volta prima l’hai detto e quella prima ancora. Sono dieci anni che non facciamo altro che trasferirci da un paese all’altro.»
La ragazza guardava fisso negli occhi il genitore che in quel momento considerava come un vecchio irresponsabile incapace di tenersi un lavoro per più di un anno, la rabbia le ribolliva in corpo e non si preoccupava di offendere o mancare di rispetto al padre. Dal altro canto suo padre di tanto in tanto distoglieva lo sguardo avvilito, rimirandosi più volte le scarpe come se fossero più interessanti delle parole della ragazza.
«Faye, sai che ti dico? Fai come vuoi. Io tra 10 minuti parto, servono 8 ore per arrivare a San Diego, se vuoi venire bene, altrimenti resta qui da sola.»
Con o senza di lei sarebbe partito ugualmente, dopo che il contratto come magazziniere era scaduto e il direttore della ditta non gliel’aveva rinnovato era riuscito a trovarsi un buon lavoro come capodormitorio in un liceo. Non avrebbe mai rinunciato a quel posto nemmeno sotto tortura, e con o senza sua figlia, per giunta l’unica parente ancora al suo fianco, sarebbe andato a San Diego.
Faye se ne andò in camera sua. Non aveva molte alternative: partire col padre, per l’ennesima volta, oppure restarsene qui da sola. Certo aveva 18 anni e tecnicamente secondo la legge il padre non era più il suo tutore e volendo poteva andare dove voleva, il problema consisteva nel fatto che non aveva una casa. Non una casa fatta di mattoni, mobili eccetera, non aveva quello che stava dentro la casa. Il solo parente che aveva era quello squilibrato di suo padre e volente o dolente doveva andare con lui.
Prese la valigia che teneva sotto il letto, sapeva che sarebbe partita ma non pensava dopo solo sei mesi. Fortunatamente la scuola era finita e sarebbe iniziato tra un paio di giorni, sperava con tutto il cuore che suo padre si fosse ricordato in tempo dell’iscrizione, non era la prima volta che il padre si scordava d’iscriverla e in quei casi, per giunta non troppo rari, aveva seri problemi a relazionarsi con i suoi compagni.
Non è mai stata una ragazza molto estroversa e per lei fare amicizia era una cosa quasi impossibile, durante i suoi spostamenti erano poche le persone con cui aveva stabilito un rapporto anche fuori da scuola ma infondo la cosa non le dispiaceva più di tanto, in questo modo partire non sarebbe stato cosi doloroso.
La valigia era per metà già pronta, con dentro i suoi libri e i cd, un piccolo ipod regalatole quasi due anni fa dall’unica persona che era arrivata a considerare un amica e il suo piccolo coniglio di peluches. Non aveva idea di chi fosse quel regalo, sapeva solo che l’aveva sempre con se, come una sorta di porta fortuna.
Certe volte si illudeva che quel regalo appartenesse a sua madre, magari quando era piccola le voleva bene e gliel’aveva regalato il giorno del suo compleanno, poi si rendeva conto della stupidità dei suoi pensieri e le veniva da ridere dandosi della stupida.
Sua madre aveva lasciato marito e figlia 12 anni fa, Faye lo ricorda ancora nonostante fosse piccola. L’aveva accompagnata all’asilo come ogni mattina, ma quello era un giorno particolare perché era il suo compleanno e oltre allo zainetto la madre teneva in mano una piccola torta. Qul giorno rimase in asilo più a lungo del previsto e non vedendo arrivare la madre l’accompagnò la sua maestra, una volta a casa vide suo padre con la testa tra le mani mentre fissava un biglietto.
Faye era troppo piccola, a quel tempo, per poterlo leggere ma aveva capito tutto. Sua madre l’aveva lasciata.
Sapeva che sarebbe accaduto prima o poi, più di una volta aveva sentito il padre discutere con lei, e più di una volta aveva sentito la madre dire che Faye era nata per sbaglio, che lei non doveva nascere, era ancora troppo giovane per tenere una bambina. Infondo aveva ragione, aveva 21 anni quando Faye naque, 21 anni e tanta voglia di vivere, tanta voglia di libertà.
Libertà come Saoirse, il nome della madre di origini irlandesi, aveva preso alla lettera il nome vagando in lungo e in largo abbandonando la figlia. Faye non la odiava, non riusciva a darle colpa di nulla, anzi la capiva ma allo stesso tempo non voleva avere più notizie di lei, non le importava sapere se stava bene, se aveva una nuova famiglia, se era felice, no non voleva più sapere assolutamente nulla. Per anni aveva vissuto senza una madre, avrebbe continuato in questo  modo per altrettanti anni.
 
La valigia era pronta, guardò l’ultima volta quella stanza che per sei mesi l’aveva tenuta al sicuro e si avviò alla macchina mentre suo padre l’attendeva speranzoso al posto del guidatore.
Conosceva bene sua figlia, e sapeva che se anche si arrabbiava non l’avrebbe mai lasciato solo come aveva fatto la madre, anche lei aveva provato il senso dell’abbandono e non avrebbe mai abbandonato quel genitore scriteriato.
L’orologio segnava mezzanotte e mezza quando misero in moto la macchina, entro le nove sarebbero arrivati a San Diego.
«Faye, dovresti dormire un po’.»
«Si, forse è meglio »
Il padre, Lucas, osservò la figlia mentre si accoccolava sul sedile accanto a lui. Dimostrava più di 18 anni, per la sua età era molto matura e coscenziosa, l’esatto opposto della madre, eppure Faye aveva molto di quella donna.
Le labbra rosate, che avevano fatto impazzire l’uomo appena conobbe Saoirse, le orecchie piccole e graziose che Faye copriva con i lunghi capelli mossi castani con qualche ciocca rossiccia, esattamente come la madre. Di Lucas aveva preso gli occhi azzurri dolci e sinceri, quegli occhi erano lo specchio della sua anima, la facilità con cui si poteva leggere la ragazza attraverso gli occhi era sorprendente. Quando il tempo cambiava, anche gli occhi subivano lo stesso trattamento, arrivavano dall’essere azzurri cielo a grigi in un tempo quantivamente breve.
Non aveva preso il carattere, ne dal padre e nemmeno della madre, per sua fortuna.
Era molto introversa, faceva fatica a relazionarsi con gli altri, un po’ dovuto alla timidezza e un po’ al fatto che erano perennemente in viaggio e sapeva che se si legava a qualcuno l’avrebbe dovuto lasciare molto presto, ma era anche molto altruista e in certi casi combattiva. Non amava farsi mettere i piedi in testa, e faceva valere le sue idee molto chiaramente. Quando insorgevano problemi li affrontava di petto, contrariamente ai genitori: il padre li scavalcava e la madre scopariva.
Dopo più di otto ore di macchina finalmente arrivarono a San Diego.
Non era come San Francisco, ma tutto sommato non era male.
«Faye, siamo arrivati. Svegliati.»
La ragazza si stropiccio rischiando di cacciare un dito nell’occhio al padre, sbadigliando si guardò attorno, per metà incuriosità e per metà arrabbiata. Quando si svegliava era sempre di pessimo umore, specialmente dopo aver dormito sul sedile di una macchina per giunta scomoda.
Arrivarono al liceo e per poco Faye non le venne un colpo vedendo in che stato pietoso era un lato del liceo.
«Emh, dove siamo?»
«Te l’ho detto no che mi hanno preso come guardiano in questo liceo»
«Si, ma pensavo qualcosa di meglio. È orribile.»
«Solo una metà è orribile, l’altra guarda come è bella»
Si voltò seguendo il dito del padre, l’altra parte del liceo sembrava da poco ristruttatara. Le finestre non avevano la sbarre come nella parte vecchia, il muro era stato sicuramente da poco pitturato, con una tonalità azzurina.
Da entrambe le parti c’erano gli alloggi degli studenti, molti venivano da fuori e per evitare di fare avanti e indietro passavano tutta la settimana al dormitorio, alcuni rimanevano addirittura per tutto l’anno.
Preoccupata di finire nella parte raccapricciante del liceo, scese col padre dall’auto prendendo le valige.
Mentre il padre parlava con la responsabile,giunta da loro subito dopo aver parcheggiato l’auto, Faye si guardò attorno scorgendo di tanto in tanto qualcuno osservarla affacciato alla finestra, per colpa del sole che batteva su quella parte non riusciva a vedere bene il viso del guardone.
« Faye, andiamo.»
Si avvicinò alla donna, una signora dai capelli bianchi raccolti in una morbida treccia, gli occhi verdi emenavano tranquillità per questo a Faye le andò subito a genio.
Padre e figlia preceduti dalla signora andarono verso i loro dormitori, distanti dalla scuola.
 «Venite, questa è la sua stanza» disse indicando una stanza subito dopo le scale appena salite. Il padre la ringraziò portando subito la valiga all’interno. Faye e la donna continuarono a camminare in silenzio fino alla fine del corridoio.
«Mentre questa è la tua stanza. Spero ti piaccia.»
«La ringrazio»
«Ora riposati. Domani mattina iniziano le lezioni anche per te, prima passa dal mio ufficio intesi?»
«Ok, la ringrazio.»
Salutò la signora e con la valigia entrò nella sua piccola stanza. Era abbastanza spoglia, solo un armadio, un letto ad una piazza per giunta, e una piccola scrivania. La cosa bella della stanza era la finestra che dava direttamente sul cortile dove poteva vedere un magnifico salice piangente.
“Chissà se farò presto amicizia con qualche ragazza”
Peccato che non sapeva che quella scuola…
 
 
 

  
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