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Autore: Nenredhel    05/04/2011    6 recensioni
Dean ha avuto una vita relativamente lunga e abbastanza felice. Ha avuto una famiglia, una casa e un lavoro normale, ma arriva per tutti il momento di salutare ed andare... e per chi ha aspettato per tutta la vita un segno dal cielo, morire può essere una fantastica avventura.
Spoiler minimi per il finale della 5 stagione. La storia è ambientata in un futuro in cui la 6 stagione non ha mai avuto luogo, in nessun modo.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Dean&Castiel's Compilation'
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Solo un minuscolo consiglio prima di lasciarvi alla lettura, anche se questa non è propriamente una song-fic, consiglio di leggerla ascoltando: “The chain – Ingrid Michaelson”.

Enjoy…

 

 

In My Time of Dying

 

“The sky looks pissed
The wind talks back
The bones are shifting in my skin
And you my love are gone
My room feels wrong
The bed won’t fit
I cannot seem to operate
and you my love are gone”

 

L’aria sapeva di malinconia e di placido finale di una storia un po’ triste e un po’ aspra, mentre si infilava fra i vetri aperti della finestra di una villetta qualunque, in fila con altre mille villette gemelle in un tranquillo paesino dell’Indiana. Il cielo parlava di nostalgia e di una tristezza dolce come un addio sussurrato piano, senza fretta, mentre si colorava di rosso e cobalto sfumando in una notte di primavera. Il vento gonfiò le morbide e leggere tende azzurre, facendole svolazzare pigramente nella luce dorata e tiepida del tardo pomeriggio, ed accarezzò con un tocco lieve il braccio dell’uomo sdraiato nel grande letto matrimoniale. Le poche nuvole sparse nel cielo dipingevano ombre dalle forme inusuali e giocose sul suo viso, scavando tra una manciata di rughe d’espressione che non rovinavano la sua vigorosa bellezza, ma ne sottolineavano il fascino un po’ mascalzone che esplodeva ogni volta che i suoi occhi verdi si aprivano in un sorriso scanzonato.

Solo poco grigio sporcava i suoi corti capelli castani, vicino alle tempie, ma un demone che non poteva vincere con sale ed acqua santa, e che ormai da un anno lo divorava dall’interno, aveva fatto al suo corpo ciò che né i mostri della sua vita né il tempo inesorabile erano riusciti a fare. Era diventato magro e debole e nelle sue guance scavate, come negli occhi ora appena socchiusi, si leggeva una stanchezza invincibile, la fatica di chi non ha più la forza né la voglia di sopportare oltre il dolore, che sia nelle membra martoriate dal cancro oppure nel cuore malato di nostalgia.

Dean spostò appena la mano lambita dal vento tiepido della primavera, e cercò istintivamente quella del ragazzo che aveva imparato a chiamarlo papà molto prima di diventare l’uomo che era. Morire in primavera non gli sembrava facile: ci voleva coraggio a lasciare un mondo che sembrava sorridere con tutte le sue forze per convincerlo a restare, eppure lui si sentiva pronto, sentiva che presto avrebbe rivisto la sua vecchia amica, e questa volta non aveva voglia di lottare e fuggire. Questa volta avrebbe preso la sua mano e sarebbe andato docilmente con lei, lasciando, finalmente, che fosse qualcun altro a combattere le sue battaglie per quel mondo di primavera.

La mano di Ben incontrò subito quella dell’uomo e la strinse forte mentre si chinava un poco verso di lui, indirizzandogli un sorriso stanco e rigato di lacrime, fra la rada barba scura che gli sporcava le guance. Il vecchio cacciatore rispose debolmente al sorriso e chiuse del tutto gli occhi, affondando nel dolce conforto ovattato della morfina quel tanto che bastava per dimenticare la stanchezza e la sofferenza, ma non a sufficienza per scordare se stesso. Nonostante il pesante effetto anestetico, gli sembrava di poter sentire, sotto il proprio corpo stanco, quel letto in cui aveva dormito molto più a lungo che in qualsiasi altro letto della sua vita, e che tuttavia non aveva mai avuto il profumo di casa.

Amava Ben, amava Lisa e la sua era stata una buona vita, se ne rendeva conto, eppure qualcosa, dentro di lui, gli sussurrava che non era stata la sua vita: era stata un regalo che qualcuno un giorno gli aveva forzato tra le mani e costretto ad accettare. Qualcuno. Sam, che con i suoi occhi preoccupati e determinati gli faceva promettere di cercare una famiglia e un po’ di serenità… lui e una mancanza, un posto vuoto sul sedile passeggero della sua vita, che aveva trasformato ogni giorno in un’attesa sussurrata e mai ammessa, e il suo cuore in un luogo solitario. Amava Ben, amava Lisa ed era stato felice di fare parte delle loro vite, ma alla sua vita era mancato un pezzo, quel brandello di sé che lo aveva fatto sussultare ad ogni frullio d’ali e rabbuiare nel guardare il blu intenso di un cielo d’estate. Ma ora, forse, l’attesa era finita.

La morfina aveva davvero un gradevole abbraccio, ancora più misericordioso di quello alcolico che aveva inseguito fin troppo spesso nei lunghi giorni in cui i suoi occhi avevano cercato in ogni ombra il viso di Sam, e in ogni cielo un conforto che continuava ad essergli negato. Era dolce lasciarsi scivolare lentamente nella sua incoscienza benedetta. Niente più dolore. Niente più ombre. Nell’attesa, ancora una volta, dell’ultimo, debole, battito di cuore.

 

~~~

 

Ben sentì a malapena il debole frullio d’ali che aleggiò per un secondo nella stanza, mentre l’uomo che chiamava padre si addormentava per l’ultima volta, abbandonando la sua mano grande e segnata da mille fatiche fra le sue, giovani, pulite, intonse. Sentiva gli occhi bruciargli sotto le ciglia già umide, ma non voleva piangere, voleva essere forte e mostrare a suo padre che sapeva sopportare il dolore, proprio come aveva fatto lui per tutta la vita. Non sentì quel rumore sommesso che annunciava sempre l’arrivo di un angelo, il giovane giornalista poco più che trentenne, perché non lo aveva mai sentito prima, anche se suo padre gliene aveva parlato migliaia di volte. Ma perfino lui non poteva ignorare la pungente sensazione di avere un frammento di Paradiso dietro le spalle.

Non aveva più la forza di sobbalzare, quando si voltò, spinto dal fastidioso senso di una presenza estranea, ma il suo cuore sussultò ugualmente quando scorse la strana, immobile figura di quell’uomo, chiuso in un logoro e sovrabbondante trench beige, e il blu intenso dei suoi occhi puntati fermamente sul corpo addormentato e sfinito di Dean. Ben si alzò di scatto, mettendosi davanti allo straniero, in modo da ostacolargli la vista di quel lato del grande letto matrimoniale. Non credeva che quell’uomo volesse fare del male a qualcuno, paradossalmente, non gli pareva nemmeno che la sua presenza fosse inopportuna, ma all’improvviso qualcosa dentro di lui era certo che fosse lì per portargli via suo padre.

- Chi sei? Cosa vuoi? Chi ti ha fatto entrare? – lo apostrofò rudemente, guardandolo con durezza dall’alto della sua considerevole statura e studiando con una sottile vena di paura l’espressione amorevole con il quale quegli occhi blu si ostinavano a fissare il viso stanco di Dean.

Lo straniero allontanò finalmente lo sguardo dal letto per portarlo sul volto di uomo, fermo con aria minacciosa e determinata, a pochi passi da lui, e le sue labbra si incresparono appena nell’ombra di un sorriso.

- Gli somigli molto – constatò con una profonda voce roca, in cui si intravedeva una leggera spolverata di soddisfazione.

- Non è veramente mio padre – replicò il ragazzo, senza sapere nemmeno lui perché lo aveva specificato, perché si era ritrovato a pronunciare quella frase davanti ad un tizio che non aveva mai visto e che non avrebbe neppure dovuto essere lì, quando perfino lui aveva dimenticato da molti anni il fatto che l’uomo in quel letto non fosse biologicamente suo padre.

L’uomo allargò il sorriso, che era stato fino ad un secondo prima niente più della vaga sensazione di un’espressione felice, ed improvvisamente i suoi occhi cambiarono, brillando di una serenità che non poteva appartenere a questa terra, e Ben fu certo di poter scorgere in quel blu lo stesso infinito numero di stelle che suo padre gli aveva insegnato ad amare, sdraiato sul cofano tiepido della sua Impala.

Lo straniero allungò lentamente una mano e la posò sulla spalla, nettamente più alta della sua, del ragazzo, stringendo appena, solo per un secondo, - E’ ora, Benjamin – sussurrò, prima di spostarsi per superarlo e raggiungere in pochi passi il lato del letto su cui Dean giaceva ancora profondamente addormentato.

- Tu sei Castiel – bisbigliò Ben, quasi parlando a se stesso, senza ombra di domanda nella voce perchè sapeva che ciò che aveva appena detto era vero.

Castiel si fermò, in piedi accanto al comodino ingombro di medicine, e voltò di nuovo il viso verso di lui, annuendo una volta sola senza aggiungere nulla.

- Mio padre mi ha parlato molto di te – ma non era per le parole di suo padre che era certo di avere davanti agli occhi un angelo del Signore – Ti stava aspettando – ed era la verità, lo sapeva, se lo sentiva mormorare nell’anima così come sentiva che quello che lo stava fissando era lo stesso blu profondo di cui Dean gli aveva raccontato tanto spesso.

- Lo so – replicò questa volta Castiel, senza staccare un solo secondo lo sguardo dagli occhi nocciola del ragazzo – Ora sono qui –

- Per portarlo via – ribatté immediatamente, come un’accusa, come un grido che non voleva saperne di lasciare la sua gola, e per quanto avesse voluto ingoiare il dolore e la rabbia, non poté nascondere la lacrima che brillò nel centro esatto della sua voce.

Castiel sorrise di nuovo, e Ben capì in quel momento ogni singola parola che suo padre gli aveva riferito riguardo il suo angelo-sulla-spalla. Le sentì incise dentro di sé, tanto a fondo da fare male, come se la voce di Dean non potesse più smettere di ripetergli quelle storie, e per un istante fu felice che l’angelo fosse lì, che fosse tornato, finalmente, per accompagnare suo padre in cielo. Poi quegli occhi blu si spostarono su un punto completamente vuoto di fianco a lui, prima di abbassarsi nuovamente sul volto di Dean, guardandolo ancora con quella paradisiaca espressione di puro amore – E’ tempo che sia in pace – sussurrò, tanto piano che il ragazzo ebbe quasi l’impressione di averlo sognato.

Il secondo successivo l’angelo era scomparso nel nulla, lasciando solo l’eco della propria immagine impressa sulla retina di Ben, appena oltre una sottile patina di lacrime. E il petto di Dean aveva smesso di muoversi.

 

~~~

 

A Dean pareva di essersi addormentato solo un momento prima, quando sentì la strana sensazione di essere osservato fargli formicolare la pelle alla base della nuca. Pensò che aprire gli occhi sarebbe stato straordinariamente difficile, perché sapeva che la morfina aveva fatto effetto ormai, e sottrarsi alla sua presa non era solo arduo, ma anche molto doloroso, di solito. Questa volta, però, le palpebre si sollevarono senza problemi e nemmeno la luce dorata del tramonto riuscì a disturbarlo quando i suoi occhi si posarono su un viso familiare che aspettava ormai da diversi giorni.

- Tessa – la salutò con un sorriso e la sua voce era molto più forte e giovane di quanto non fosse stata negli ultimi mesi – Non speravo di vedere proprio te –

La ragazza dai lunghi capelli neri gli sorrise con un’espressione divertita e in qualche modo anche dolce – Il capo voleva assicurarsi che non facessi storie questa volta – replicò, facendo un cenno col capo dietro le proprie spalle, come se si aspettasse di vedere apparire da un momento all’altro Morte in persona – Non fuggirai questa volta? Non lotterai? – domandò quindi, con un nota di scetticismo ed una certa dose di ironia nella voce.

Dean scosse la testa ancora poggiata comodamente al cuscino – Sono pronto, ti stavo aspettando. E poi… sono ansioso di arrivare in Paradiso – ribatté il vecchio cacciatore, allargando le proprie labbra in un sorriso scanzonato che era esattamente quello che aveva rivolto ad un migliaio di ragazze in un migliaio di bar diversi, quando girava l’America con suo fratello e il carrozzato amore della sua vita.

- Sembri molto sicuro di te – lo punzecchiò Tessa, tendendogli una mano con il chiaro invito ad afferrarla.

- Un giorno qualcuno mi ha detto che meritavo di essere salvato. Ho deciso di cominciare a credergli – aggiunse allora Dean, ed il suo sorriso da mascalzone si addolcì piano piano, sporcandosi di ricordi e nostalgia, mentre alzava senza difficoltà la propria mano, per afferrare quella che il Mietitore gli aveva offerto e tirarsi a sedere.

Tessa strinse un po’ più forte la mano di Dean e gli sorrise di nuovo, con calore, prima di lasciarla e scostarsi appena di lato – Credo che quel qualcuno sia venuto a prenderti, per assicurarsi che tu non ti perda sulla via per il Paradiso – il braccio che aveva appena lasciato il ragazzo si allargò in un gesto, non troppo ampio, ma che andava evidentemente ad indicare una figura ancora ferma vicino al bordo inferiore del letto.

Prima che Dean potesse ricordarsi di essere vecchio, stanco e malato, balzò in piedi in uno scatto degno dei suoi giorni migliori e in due passi fu di fronte a Castiel, un mezzo sorriso soltanto accennato sulle labbra e le sopracciglia appena corrugate mentre i suoi occhi non potevano evitare di registrare una figura terribilmente sfocata eppure familiare alle spalle dell’angelo.

- Lo rivedrai, Dean. Il tempo in Paradiso può sembrare solo un battito di ciglia - lo rassicurò Castiel, senza smettere un secondo di fissarlo con la sua espressione solenne ed intenta di angelo.

- Me ne sono accorto… - lo interruppe Dean, riportando gli occhi verdi su di lui, e allargando quel suo mezzo ghigno per accompagnare l’ironia di cui aveva impregnato quella mezza accusa, indirizzata al suo angelo.

- Quando sarà il momento lo rivedrai. E anche Lisa, potrai passare il resto dell’eternità con lei – proseguì l’angelo, abbassando gli occhi in risposta al sarcasmo del cacciatore, come in un tacito segno di scusa o forse di rimorso.

- Grazie per avermi costretto a vivere questa vita, Cas – disse improvvisamente Dean, abbassando di poco il capo per cercare di nuovo un contatto con il suo sguardo blu, mentre la smorfia sul suo viso si trasformava in un sorriso finalmente degno di questo nome - Ho amato Lisa, davvero. Ma non è con lei che voglio passare la mia eternità –

Dean fece un passo avanti, e solo quando sentì Castiel abbastanza vicino da poterne percepire il calore attraverso i vestiti, si accorse di non essere più rinchiuso nel corpo malato e morente di un ultra-cinquantenne in pigiama. Era di nuovo lo stesso Dean che aveva combattuto gomito a gomito con quell’angelo per salvare il mondo da un’Apocalisse che aveva iniziato lui stesso: giovane, forte, con i suoi jeans consumati, la vecchia giacca verde portata sopra ad una camicia troppo abbondante e ad una sottile maglietta di cotone, e perfino quel ciondolo speciale, quello che gli aveva regalato Sam, e che lui aveva buttato un giorno nel cestino di un motel, dopo che l’ultima speranza di un angelo era stata distrutta. Alzò una mano ed afferrò saldamente il bavero del fin troppo noto trench beige, accarezzandone piano la stoffa con la punta del pollice, come cercando di assaporare adagio un gusto a lungo dimenticato, avvicinò il viso a quello di Castiel finché poté percepire l’illusione del suo respiro contro le labbra, e tutto quello che poteva scorgere davanti agli occhi era il blu impossibile di quelle iridi che aveva tanto atteso.

- Mi hai fatto aspettare vent’anni per poter fare questo… - sussurrò sfiorando appena la sua bocca prima di poggiarvi delicatamente la propria, bevendo il suo fiato caldo come il nettare più prezioso che avesse mai assaggiato e passando piano la lingua sulle sue labbra secche ma morbide e piene, gustandone con un brivido il sapore sommesso e forte di Paradiso.

Il cacciatore sentì Castiel sorridere pienamente contro le sue labbra mentre lo accoglieva nella sua bocca con un sospiro che era forse sollievo e forse qualcosa di più. Non diede più un solo sguardo al corpo esanime che aveva lasciato in quel letto che non era mai stato casa sua, mentre le sue dita sprofondavano avidamente nei corti capelli castani dell’angelo. Le braccia di Castiel gli circondarono il busto, aggrappandosi alla grossolana stoffa della sua giacca e stringendolo forte contro di lui, mentre le sue ali si spiegavano, enormi e splendenti come un lago di montagna in un giorno d’estate, avvolgendolo nella sua luce e portandolo su, sempre più su, rompendo ogni catena che lo aveva inchiodato al suolo e alla solitudine, compagna indivisibile del suo viaggio sulla terra, verso l’eternità di una pace che era la pienezza completa che aveva atteso per tutta la vita.

 

“So glide away on soapy heels,
and promise not to promise anymore
And if you come around again
Then I will take, then I will take
The chain from off the door”

[The Chain – Ingrid Michaelson]

 

 

 

Lo so, sono una persona triste vero? Cosa ci posso fare, mi viene naturale… Spero comunque che questa piccolissima fic vi sia piaciuta e come sempre, vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate! Per me è fondamentale.
Infine un ringraziamento a sickobsession, perché è stata lei a suggerirmi di scrivere qualcosa usando questa bellissima canzone come colonna sonora e quindi non solo è merito suo se questa piccola storia è nata, ma è stata scritta appositamente per lei.
Grazie anche a chiunque abbia speso qualche minuto per leggere, spero sia stata qualche minuto piacevole.

   
 
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