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Autore: Purrrkwood    05/04/2011    5 recensioni
Non voleva andare, non voleva chiudere gli occhi. Voleva lei.
"Sango..."

Miroku è a letto, avvelenato dai Saimyosho. Tra i deliri della febbre, per la prima volta si accorge di temere la morte.
E che c'è una persona che non vuole lasciare.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miroku, Sango
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction...l' ho scritta tra le undici e mezzanotte di ieri sera e non ho idea di cosa sia nato XD Però essendo la mia prima pubblicazione su InuYasha la cosa mi attizzava parecchio. Voglio fidarmi di un' ispirazione fulminea, contando che sono finita a fare matematica a notte fonda per scriverla *uaccentatapuntinouaccentata*

E' una cosina piuttosto corta rispetto alle altre cose che ho scritto, ma spero di aver fatto un lavoro decente XD

Non so di preciso come mi sia venuta, ma sfogliavo i primi numeri l' altro giorno e...boh, niente. Miroku è un personaggio che adoro, potrei dire che è il mio preferito. Ho voluto lasciare da parte il suo continuo atteggiamento da dongiovanni a favore di un suo lato un po' più maturo, che ha ma che non mostra abbastanza spesso XD

D on't wanna close my eyes...

Il cielo quella notte era nero come mai era stato. Le nubi spesse e scure gravavano sul villaggio, gravide di pioggia e di freddo, come in attesa del momento migliore per scagliare il loro minaccioso carico. Per le strade l' unico rumore era quello del vento che sferzava gli alberi, ne spezzava i rami e ne trasportava lontano le foglie, unito alle imprecazioni degli ultimi contadini che si affrettavano a portare i cavalli e gli altri animali al sicuro nelle stalle. Quando anche l' ultimo chiuse dietro di sé le porte del granaio, la natura rimase la sola a rompere il gelido silenzio che permeava la notte.
La casa del capo villaggio non faceva eccezione. Tutti erano stesi nei propri letti, dai padroni a i servi. Solo una guardia solitaria stava immobile di vedetta sul tetto, in attesa di nemici che non sarebbero arrivati. Placida calma prima di un temporale, che sarebbe passato così come tanti erano passati prima. Ma non per tutti. Non per lui.
La stanza in cui si trovava era ampia e ber aerata, eppure gli sembrava di soffocare avvolto in quella coperta. Caldo, aveva caldo. Tutto il suo corpo bruciava di quel veleno di cui si era imprudentemente riempito. Il sudore gli colava sulla fronte, lungo il collo, sul petto ansante, ora bollente ora gelido. Gli scivolava addosso come un serpente fatto di ghiaccio, insinuandosi tra i vestiti, graffiandogli i muscoli tesi e contratti. Una nuova scarica di dolore gli fece tremare i nervi.
Miroku si morse nuovamente le labbra, ormai prossime a spaccarsi, cercando di trattenere i gemiti di dolore che gli salivano alla gola sempre più insistenti e, contemporaneamente, cercando di riempirsi i polmoni di un' aria che sembrava sempre più rarefatta e stagnante.
Respirava veleno, ingoiava lava e piombo, tutto faceva male. Ogni minimo movimento sembrava strappargli un arto o un' altra parte del suo corpo. I bendaggi fasciavano stretti il suo braccio sinistro, ferito di striscio da uno degli spettri che aveva affrontato, ma era dentro di sé che soffriva, era dentro di sé che sentiva l' inferno.
L' inferno. Naraku e i suoi insetti, un paragone perfetto che vestiva il mezzo-spettro meglio della pelliccia candida dietro alla quale si nascondeva. Aveva teso loro l' ennesima trappola, per l' ennesima volta InuYasha aveva estratto la tessaiga e si era lanciato nel combattimento, trucidando l' esercito di turno, loro tre più Shippo al suo seguito.
Lo sapeva, l' aveva sempre saputo che dove c' era Naraku c' erano i Saimyosho e sempre aveva impedito che il suo Foro del vento ne assorbisse il miasma. Ma anche lui era umano. E lo spettro lo aveva vinto. Per proteggere Kagome e Sango aveva risucchiato quel nugolo di spettri, incurante delle gigantesche vespe che si muovevano con essi. Erano entrate nella sua mano e con loro era entrato il veleno. Non c' era stato tempo per pensare alle conseguenze, aveva dovuto agire per salvare le ragazze. E non se ne pentiva. Ma Naraku, che fosse stato maledetto! Miroku aveva contato ogni giorno, ogni singolo attimo che viveva con la consapevolezza di avere il tempo contato, di dover contemplare l' idea di una morte prematura. Aveva contato, perchè il demone potesse pagare ogni singolo minuto che aveva portato via a suo nonno, a suo padre e a lui. Ma ora, in quel letto, affrontava di nuovo la realtà della sua sconfitta; un' altra tacca sulla scala delle vittorie di Naraku, nessuna sulla sua. Ora si rendeva conto che la sua maledizione era il Foro del vento, che un giorno lo avrebbe risucchiato, ma anche che di modi per morire ce ne erano tanti.
C' era stato un tempo, prima che il suo destino si incrociasse con quello di InuYasha e Kagome, in cui un pensiero simile non avrebbe gravato sul suo animo più di tanto. Era stato arrabbiato, Miroku, e mai aveva smesso di esserlo, ma crescendo e diventando un uomo aveva dovuto accettare l' idea che la sua vita sarebbe stata breve. Se ne era sempre preoccupato il meno possibile, annegando i suoi timori in sakè e belle ragazze, godendo al massimo del minimo che aveva.
Avrebbe voluto essere della stessa opinione in quel momento. Avrebbe voluto accettare le fitte lancinanti, le scosse di dolore mandate dal veleno che gli attaccava i nervi, come un dono di Buddha e abbandonarsi al suo ultimo sonno, senza doversi preoccupare di lasciare nessuno che avrebbe potuto piangere per lui, forse all' infuori del suo maestro. Voleva tornare ad essere il Miroku di qualche mese prima e smettere di provare quel macerato terrore che gli procurava l' idea di trapassare. Perchè lo sapeva che prima o poi la sua ora sarebbe giunta, che differenza faceva qualche anno?
Si poneva insistentemente quelle domande, eppure lo sapeva perfettamente il motivo. Quella sofferenza corporale non era nulla, non era il vero problema, perchè in tanti anni lui al dolore fisico si era abituato. Aveva passato anni della sua vita a subire e leccarsi ferite, così come l’enorme marchio che gli squarciava il palmo testimoniava, assieme a segni e cicatrici disseminati sulla sua pelle. Era un dolore differente quello che pativa ora, un dolore che nasceva dal petto e si diramava in tutto il corpo dall’interno, come il puro veleno che gli scorreva nelle vene; era qualcosa che gli si artigliava ferocemente al cuore nello spietato tentativo di strapparglielo dal corpo. Stava soffrendo per qualcun altro. Per qualcuno che non era lui stesso. Era una sensazione nuova, un dolore diverso, e lui non sapeva cosa fare. Si sentiva perso, disorientato, impotente, e soprattutto, tormentato nel profondo. E tra i deliri della febbre quelle sensazioni sembravano centuplicate, nel costante pulsare delle sue tempie rimbalzava costante quella voce che cercava di attirarlo a sé e che lo spaventava come un bimbo con il buio.
"San...go" quel nome, quella parola così corta uscì dalla sua bocca come un suono raschiante e basso causato dalla gola arida: "San...go" ripeté alle tenebre, le uniche che potessero udire i suoi vaneggiamenti. La stanza che la cacciatrice di spettri divideva con Kagome era poco lontana, ma un suono così lieve non sarebbe giunto alle sue orecchie. Il pensiero fece salire agli occhi del monaco lacrime che mai avrebbe pensato di versare.
Vieni con me, ora. sussurrò la voce nella sua mente. Scosse la testa per scacciarla, ma ottenne solo un ulteriore fitta. Non voleva andare, non voleva chiudere gli occhi. Voleva lei.
"Sango..."
Sango, Sango. Quel nome ormai sembrava l' unica cosa che lo teneva saldamente ancorato a quel mondo, l' unica cosa che lottava contro le voci incantatrici che invece cercavano di trascinarlo via. Salvami, Sango. Salvami. Non erano le braccia della morte quelle in cui voleva sentirsi stringere, non era la morbidezza di un cuscino quella che voleva sul viso, non era la coperta che le sue mani volevano stringere.
Non adesso, ancora qualche mese, qualche giorno. Qualche ora. Perché capiva quelle cose in punto di morte? Era anche quello uno scherzo di Naraku? L’ ultima beffa, affinché con dolore potesse anche morire? Altre lacrime gli rigarono il volto, o forse erano sempre le stesse di prima che rimanevano sospese sulle sue guance. Sempre lo stesso era il veleno, sempre le stesse le lacrime.
Sempre lo stesso il nome.
“Sango…!” un gemito, più forte. L’ ultimo.
Prima del nulla.
Muoio.

L’ acquazzone preannunciato si rovesciò sui campi e sulle case, irrigò i prati e rese le strade impraticabili ammassi di fango.
Non seppe dire quanto tempo trascorse.
L’ odore di terra e di pioggia invase le sue narici, l’ abbaiare di un cane selvatico sorpreso all’ aperto dal temporale arrivò alle sue orecchie come un suono ovattato e indistinto.
Sono morto.
Una mano lo afferrò, e fu l’ ultima cosa che i suoi sensi avvertirono. Una mano delicata, dalla pelle morbida che intrecciò le proprie dita alle sue. Un’ altra si aggiunse per stringere la sua mano in un dolce abraccio.
Miroku girò il viso. Erano davvero dolci, gli spettri della morte, e a quanto pareva si mostravano con un volto familiare. I suoi occhi velati si illuminarono e le sue labbra si piegarono in un debole sorriso. Il dolore sembrò scemare tutto d’ un colpo, come se ogni goccia di veleno se ne fosse andata, lavata via dalla pioggia. 
Il calore nel suo petto non bruciava più. C' era solo quel volto, solo lei.
“Sei bellissima…”
Miroku non sapeva che gli spettri della morte potessero arrossire. La sua ora forse non era ancora giunta, perché l’ apparizione, rossa in volto, lasciò la sua mano e corse via con la stessa velocità con cui era apparsa. Dietro di sé lasciò solamente il miagolio di quello che sembrava un gatto.

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La fine è LOL.
Penso che andrò a meditare sulle mie azioni su un cucuzzolo del monte Hakurei *upuntinousenzaaccento*
   
 
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