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Autore: Gweiddi at Ecate    05/04/2011    6 recensioni
dedicata a Lizzie_Siddal e Sekunden
"«Ha un buon sapore.» si leccò le labbra «Ma non l’ho dissanguata. Ho solo finito la scorta di scotch mentre dormiva, e me ne sono andato.»
«Che cosa bohémien.»
«Felice di avere la tua approvazione.» espresse irriverente. Si sbottonò un poco la camicia, alla ricerca di refrigerio per il corpo accaldato dal sangue e dall’alcool. Doveva aver fatto il pieno di entrambi per arrivare ad avere caldo, l’aveva sentito distintamente prima sfiorandogli la guancia, quel calore inusuale, paradossalmente agghiacciante se si pensava che un vampiro di norma arrivava ad essere
tiepido."
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Katherine Pierce | Coppie: Damon/Katherine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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dedicata a Sekunden: il siparietto Kelena è tutto tuo
e a Lizzie_Siddal che mi ha assistita nello sclero da argh Katherine è incazzata con meee!



I'm not forgetting this



Pettinava i capelli apaticamente, disfacendo i bei boccoli bruni. Lo specchio rifletteva un’immagine in cui non si riconosceva: gli occhi spenti a vacui, la pelle tirata sugli zigomi e la bocca dischiusa che non riusciva a prendere aria a sufficienza.
Era stata in situazioni ben peggiori di quella, sia da umana che da vampira, quindi perché proprio ora si sentiva così svuotata?
Chiuse gli occhi non appena li sentì pizzicare ai lati, e poggiò la spazzola sul legno scuro del tavolo.
Iniziava ad essere stanca. Iniziava a sentire il peso dei secoli passati a scappare e a cercare vie di fuga dall’odio di Klaus. Soffriva in silenzio per Pearl, l’aveva trasformata lei stessa, la sua morte era stata come perdere un dito, una piccola parte di sé. Per quanto l’avesse svalutata di fronte alla sopravvivenza, la loro amicizia era stata parte di lei. Una bella parte, finché era durata.
Quando aveva deciso che era tempo di tornare a Mystic Falls non si era aspettata di venire accolta a braccia aperte, ma nemmeno aveva immaginato un rifiuto così drastico. Tutto per colpa di Elena.
Si sentiva defraudata di ciò che le spettava.
Stefan le aveva sempre dato tutto con un sorriso stampato sia sulle labbra che negli occhi, mentre ora era a malapena disposto a parlarle, e unicamente perché aveva promesso di aiutare a salvare Elena.
Elena qua, Elena là.
Elena era il centro del mondo di Stefan e Damon come lei non lo era mai stata. Forse perché la piccola Gilbert era indifesa, mentre i due fratelli sapevano bene quanto sarebbe risultato patetico ed inutile cercare di proteggere lei, e testimoni ne erano i morsi che un tempo ornavano il loro collo e le loro spalle.
Elena aveva una famiglia che voleva tutelarla fino allo stremo, e anche se Isobel e John non potevano certo candidarsi al premio “Genitori dell’anno”, di fatto avrebbero fatto e facevano di tutto per lei. Anche il fratellino, quel ragazzino avventato, aveva impugnato la spada della lotta ai vampiri per starle accanto ed aiutarla, e Jenna aveva trattato Katherine con tale dolcezza e complicità quando le aveva fatto credere di essere la sua amata nipote.
Se fosse stata un’altra persona, ne sarebbe rimasta toccata.
Ma era Katherine, e tutto ciò serviva solo a farle ribollire il sangue nelle vene e far scricchiolare il legno della spazzola fino a spezzarlo.
Avrebbe dovuto comprarne un’altra.
Gettò sul letto i due monconi e osservò con una smorfia la mano con cui aveva retto l’oggetto. Si spostò esattamente sotto il lampadario e con cura usò le unghie di pollice ed indice per estrarre due schegge. Sventolò la mano e i minuscoli tagli si richiusero.
Aveva bisogno di andare un po’ a caccia. Fare sesso con un avvenente sconosciuto e poi dissanguarlo, o braccare qualche campeggiatore sperso e berne il sangue ribollente di ossigeno ed adrenalina.
Con uno sbuffo arrendevole Katherine spalancò le ante dell’armadio e osservò con sottile piacere i vestiti appesi sulle grucce.
Scelse una canottiera con una bella scollatura a cuore, rosso carminio, e dei jeans neri con piccole borchie rotonde attorno al bordo delle tasche. Erano nuovi, aveva voglia di indossarli.
Raccolse i capelli perché i ricci sciolti dai colpi di spazzola non sembrassero disordinati, ripassò il mascara sulle ciglia folte, e dopo aver infilato gli stivali uscì dalla stanza, decidendo dove andare mentre scendeva gli scalini.
Tecnicamente non sarebbe potuta uscire, Cip e Ciop non erano entusiasti all’idea che la stronza doppiogiochista con la faccia di Elena girasse per Mystic Falls, ma praticamente le bastava agguantare dal comodino di Damon le chiavi di una delle sue auto e farsi un giro appena qualche miglia più in là, giusto perché Stefan da arrabbiato diventava acido come una vecchia zitella che non vedeva testosterone da ere.
Da una parte gli avrebbe consigliato di fare più sesso e pensare di meno, dall’altra gli avrebbe suggerito di fare sesso con lei e non pensare semplicemente, ma era già abbastanza nervoso di suo, ed un capo d’abbigliamento forato da paletti di fortuna le bastava per quella settimana.
Sentì un rumore di bicchieri in cucina e si diresse verso la stanza, convinta di trovare il minore dei due fratelli. Un piccolo saluto non avrebbe fatto male, e comunque avvisare che usciva a farsi un giro le avrebbe evitato di dover spiegare in seguito che no, non sono andata a costruire una macchina anti-Elena, sarebbe di cattivo gusto. Ne avrebbe approfittato per rubare qualcosa di buono dalla scorta di Damon, giusto per rallegrare un po’ il viaggio in auto.
All’ultimo si accorse di una nota stonata che le pungeva l’olfatto, ed arrivata in cucina trovò Elena.
Aveva l’odore di Stefan addosso.
La ragazza sobbalzò, vedendola, e quasi le scivolò il bicchiere d’acqua di mano. Era coperta solo dalla felpa grigia che Stefan aveva indosso quella sera, e le lunghe gambe magre erano nude, a malapena coperte fino alle cosce.
«Povera piccola, ti ho spaventata?» chiese ironicamente avvicinandosi di un passo.
Elena arretrò automaticamente, e Katherine ne rise.
«Non ti mangio mica. Il sangue Petrova è buono per tante cose, ma il suo sapore non è tra i miei preferiti.» la schernì.
«Che ci fai qui?» domandò Elena cauta. Abbassava sempre un po’ la testa quando stava in allerta.
«Uhm.» fece sovrappensiero la vampira, spostando lo sguardo di lato prima di riportarlo su di lei «Non saprei. Ci vivo?»
Si chinò sul tavolo per puntellarsi sul gomito e poggiò il mento sulla mano «E tu, invece, piccola Gilbert? Le bambine a quest’ora della notte dovrebbero essere nel proprio letto a dormire.»
Sorrise candidamente, ma per un attimo Elena ebbe la pelle d’oca di fronte ad una ferocia celata che riusciva ancora a percepire.
«Ci sto giusto andando, non temere.»
«Oh, dubito che tu sia andando nel tuo letto.»
«Certamente è più mio che tuo.» ribatté infastidita.
Katherine tacque forse per due secondi, una smorfia contrariata le deformò il bel viso.
«È solo questione di tempo.» rispose scandendo le parole come in una cantilena. «Tu non sarai qui per sempre, Elena cara, e quando questa storia di Klaus sarà finalmente giunta al termine, io avrò tutto il tempo che voglio per far ammettere a Stefan che mi ama. Perché sappiamo entrambe che è così.»
«Quando questa storia sarà finita, smetterai di farci soffrire e avrai ciò che meriti.»
«Dunque tutto ciò che voglio.»
Elena strinse le labbra per non rimbeccarla ancora, o quello stupido diverbio non sarebbe mai finito. Si sedette, e bevve con calma il suo bicchiere d’acqua ad occhi chiusi. Era serena, e la presenza di Katherine, le sue battute, il suo veleno, non l’avrebbero intaccata. Sarebbe tornata in camera di Stefan e si sarebbe svegliata solo il mattino dopo, ancora abbracciata a lui. E quella era una cosa che a Katherine non era concessa.
La vampira piegò la testa di lato, osservandola. Si allungò sul tavolo e le scostò una ciocca di capelli dal viso, facendola saltare sulla sedia ed aprire gli occhi di scatto.
Katherine sorrise socchiudendo le palpebre.
«Sai, per essere la mia copia malriuscita, sei carina. Se non ti fossi presa ciò che è mio di diritto, sarebbe divertente passare le giornata a pettinarti e truccarti. Un po’ come con quelle bambole che facevano tempo fa.»
Sbatté le ciglia allungando il sorriso solo su un lato «E ti farei vestire decentemente.»
«Io non ho preso nulla di tuo.» l’informò pacatamente Elena.
«Ti sei presa Stefan e Damon.»
«Loro non sono mai stati tuoi.»
«Al contrario, lo sono da sempre. E lo sono anche ora, e nel profondo…» mosse un dito in piccoli cerchi fino ad indicare il petto della ragazza «sai che è così.»
«Certo, proprio come so che non stai ancora manipolando tutti di nascosto per i tuoi scopi.» negò sprezzante.
Katherine pensava di avere in mano tutti, Elena lo sapeva, ma non si sarebbero più fatti ingannare da lei.
La donna la guardò con annoiato compatimento, e fu inquietante vedere il proprio volto con un’espressione così surreale. Fredda.
«Non cercare di capire cose che non sono alla tua altezza, Elena.»
Le sorrise affettata sbattendo le palpebre velocemente, e prima che potesse scostarsi le pizzicò la guancia «Beh, fai la brava bambina mentre sono via, o la cara zia Jenna si preoccuperà.»
Fece per lasciare la stanza, ma Elena la richiamò.
«Dove stai andando?»
«A bere qualcosa. Se vuoi accompagnarmi ti conviene indossare altro.»
«Non puoi andare in giro a quest’ora: mi conoscono qui!» protestò scandalizzata la ragazza.
«Buonanotte, Elena.» sventolò la mano dandole le spalle.
«No, Katherine…»
Si alzò di corsa facendo stridere la sedia contro il pavimento. La vampira sogghignò e si voltò verso la sua doppelgänger. Certe volte specchiarsi in un essere vivente le dava ancora i brividi.
«Tranquilla, Maria Ferres, stasera non ho intenzione di aggirarmi per questo buco. Se lo vedi, di’ a Damon che ho preso io l’auto.»
Elena non capì il riferimento, ma non demorse. Quella pazza andava controllata costantemente.
«Per favore, non abbiamo bisogno di altri guai.»
Katherine si girò un’ultima volta verso di lei, lentamente e con tutto il corpo, invece che darle solo un’occhiata di sfuggita, e per un attimo ad Elena parve spossata.
«Ed io sono stanca di averne. Torna a dormire, piccolina, o il nostro ragazzo si preoccuperà.»
Quell’ultima uscita riuscì ad innervosire Elena a sufficienza da farle sbattere il bicchiere sul tavolo e lasciare andare Katherine senza ulteriore indugio.
L’aveva fatto un’altra volta. Riusciva sempre, in un modo o nell’altro, a farla reagire come una tredicenne capricciosa.
Dall’ingresso Katherine ascoltò i passi ovattati di Elena, i piedi scalzi salire le scale fino alla camera di Stefan.
Quando udì la porta richiudersi, afferrò la giacca in pelle lasciata sull’appendiabiti ed uscì.
L’aria notturna era fresca e tagliente, le arrossava le guance. Giocherellando con le chiavi dell’auto si diresse verso il garage.
Katherine non era un’esperta di motori, ma Damon possedeva tre automobili, anche se in genere ne muoveva solo una, e da quel poco che aveva imparato da Mason, aveva capito che erano tutte molto care e di qualità. Lei personalmente le apprezzava per il fatto che fossero belle da guardare.
Alzò il portone del garage e schiacciò gli interruttori. La luce la abbagliò per una frazione di secondo, poi si guardò in giro. L’auto di Stefan era parcheggiata un po’ storta, accanto a quella nera di Damon. Parcheggio tipico di chi non conosce le misure del veicolo che sta guidando. Doveva essere opera di Elena, dedusse con una punta di fastidio.
Prese la chiave tra due dita e la scosse un po’.
«Allora, quale di queste tre bambine apri?»
Nera, blu, argento.
Trovò strano che ci fossero tutte: in teoria Damon doveva essere fuori quella sera.
Scrollò le spalle: poco importava se aveva deciso di fare il salutista e camminare.
Premette un pulsante e i fanali dell’Audi nera lampeggiarono.

Colpo fortunato, Katerina.
Aprì lo sportello, tuttavia una voce strascicata la bloccò.
Giusto. Spazzola rotta, Elena in cucina, e ora il proprietario dell’auto che la coglieva in flagranza di reato. Colpo fortunato i miei santi, Katerina.
«Dove pensi di andare con la mia auto?» domandò Damon inquisitorio.
«Voglio fare un giro. Non ne posso più dell’odore del legno vecchio, ma sono una brava bambina e quindi non passeggerò facendo credere che Elena si sia data alla strada.» sputò fuori esasperata.
«Anche se sarebbe divertente.» aggiunse poi.
Sedette in auto e cercò di chiudere la portiera, ma Damon la fermò.
«La pelle dei sedili è incompatibile con le puttane, mi dispiace.» commentò con un sorriso falso.
Katherine colse una vacuità nei suoi occhi che la divertì. Scelse molto cortesemente d’ignorare l’offesa, e si rivolse a lui interessata.
«Due o tre bottiglie?» s’informò.
«Ho smesso di farci caso all’ottavo bicchiere.» ribatté alzando le sopracciglia.
«Sei fortunato che ai vampiri non serva più un fegato, o saresti spacciato.»
«Grazie dell’informazione. Ora fuori dalla mia auto.»
«Rincorrermi per un secolo e mezzo ti ha fatto male, sai? Sei diventato scortese.» lo criticò con piccoli cenni del capo.
Damon l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dall’Audi. Katherine sbatté contro il petto del vampiro, anche se cercò di frenarsi mettendo le mani avanti. Si trovò vicina al suo viso e le arrivò alle narici un odore speziato che non si aspettava.
«Hai bevuto sangue. Hai cacciato sangue!» esclamò deliziata e sorpresa.
Damon le mollò il braccio come scottato, ed arretrò di un passo con un’espressione incupita. Katherine, al contrario, avanzò e gli sfiorò le labbra con le dita.
«Sapevo che c’era qualcosa di stonato nel tuo comportamento. E Stefan lo sa che il suo caro fratello è una belva?»
Gli accarezzò la guancia bollente con i polpastrelli, ma Damon le scansò la mano in malo modo.
«Tu non dirai una parola. Né a Stefan, né tantomeno ad Elena.» le ordinò con un ringhio che gorgogliava in fondo alla gola.
«Questo sì che è un segreto interessante.» commentò Katherine con gli occhi che le brillavano.
«Katherine…» tentò di ammonirla, ma la donna già sentiva di averlo tra le mani.
«Io voglio uscire. E tu ora mi lascerai in pace, o qualche parola mi potrebbe sfuggire accidentalmente davanti a Stefan o alla deliziosa nipotina di Emily. Ti fa tanto male quel suo trucchetto cerebrale, vero?» domandò innocentemente angosciata, con l’indice poggiato sul labbro dischiuso.
Damon parve titubante.
«Spostati, vengo con te.»
«Sei ubriaco e ci schianteremo contro un platano.» si lamentò caustica «Guido io.»
«È la mia auto!»
«Sono i miei vestiti nuovi. Non voglio si rovinino in uno stupido incidente.»
Gli diede le spalle facendo tintinnare le chiavi, poi piegò il collo all’indietro e, curvando la schiena, poggiò le spalle al petto di Damon. Da quella strana posizione gli sorrise furba.
«Oh, e comunque nonostante la scortesia hai guadagnato in fascino, questo te lo concedo.»
Ridendo, prese il posto del guidatore, e aspettò che il vampiro facesse il giro dell’auto per sedersi accanto a lei con una smorfia contrariata.
Portò l’Audi fuori dal garage e chiese a Damon di chiudere il portone.
«Resta così. I ladri sanno che devono stare alla larga da qui.»
Katherine scrollò le spalle e prese la strada per una destinazione non meglio specificata. Non guidava spesso, preferiva il ruolo di passeggera, ma ogni tanto era piacevole essere quella al volante: la metteva di buonumore.
«Credevo fossi uscito con Barbie giornalista questa sera.»
«Sì, era qualcosa di simile.» sogghignò Damon distendendosi sul sedile ad occhi chiusi.
«Certo che avete inventiva. Non ci sono molti posti dove passare la serata qui nei dintorni.» si complimentò. Non le piaceva com’era diventata Mystic Falls. Forse perché una volta c’erano vampiri decisamente più simpatici, o perché comunque per l’epoca c’era abbastanza movimento, ma ora le sembrava una città piatta, dalla routine scandita da feste studentesche e rinfreschi di associazioni di beneficienza.
«Siamo rimasti a casa sua tutta la sera. Sesso e vino bianco. Se ne intende di entrambi.» spiegò Damon con semplicità.
«Allora perché poi te ne sei andato ad ubriacarti di…» inspirò con il naso saggiando l’aria «scotch e sangue? Perché non penso tu abbia dissanguato la tua piccola factotum.»
«Ha cominciato a parlare.» rispose laconico.
Una cosa che aveva notato della biondina: aveva una passione incommensurabile per le verità scomode, e se aveva saputo essere velenosa con lei nei cinque minuti in cui l’aveva vista qualche giorno prima – chiaramente il suo compagno di viaggio non doveva aver decantato le sue lodi con lei – non voleva neanche immaginare che strazio potesse rappresentare per la psiche instabile di Damon: ami una donna, ne ami anche un’altra, le vuoi entrambe, ma ammetti la forza calamitante solo di una; poi c’è il fratello buono che se le prende entrambe, e in tutto ciò un gustoso contorno di vampiri millenari con la luna girata e licantropi che aspettano solo che la luna giri anche per loro.
Poteva capire perché Andie fosse sotto un incantesimo di soggiogamento così esteso da farla sembrare un vegetale per la maggior parte del tempo: tenerle la bocca chiusa doveva essere una scocciatura tremenda.
«E ti sei ubriacato prima o dopo averla dissanguata?»
«Ti interessa?» le domandò scocciato.
«Cercavo di fare conversazione. Sei veramente sgarbato.» gli rispose inacidita cambiando la marcia.
Damon sbuffò sarcasticamente. Si poteva sbuffare sarcasticamente? Lui ci riusciva.
«Ha un buon sapore.» si leccò le labbra «Ma non l’ho dissanguata. Ho solo finito la scorta di scotch mentre dormiva, e me ne sono andato.»
«Che cosa bohémien.»
«Felice di avere la tua approvazione.» espresse irriverente. Si sbottonò un poco la camicia, alla ricerca di refrigerio per il corpo accaldato dal sangue e dall’alcool. Doveva aver fatto il pieno di entrambi per arrivare ad avere caldo. L’aveva sentito distintamente prima sfiorandogli la guancia, quel calore inusuale, paradossalmente agghiacciante se si pensava che un vampiro di norma arrivava ad essere solo tiepido.
Damon tornò ad accomodarsi sul sedile con l’aria di chi aveva voglia di buttarsi sul primo letto disponibile e dormire per i tre giorni successivi.
«Stefan non ti vorrà mai finché continuerai a bere sangue umano direttamente dalla bottiglia.» se ne uscì dal nulla.
«Quando saremo insieme capirà che "trentasei-gradi-centigradi-e-cinque" è più apprezzabile della gola pelosa di Bugs Bunny. E attualmente quello più a rischio sei tu. Non hai paura della reazione della tua piccola gang anti-vampiro?»
«Stefan ed Elena mi ripudierebbero, come al solito. Ma del resto non mi interessa.»
«Raccontala a qualcun altro. Non sai mentire.»
«Oh, c’è una fila di persone che potrebbe provarti il contrario.» la contraddisse agitando l’indice, sempre a occhi chiusi, senza guardarla, come un sonnambulo.
«Il bugiardo. L’astuto. L’inintelligibile. Il barone di Münchausen è nulla al confronto.» blaterò, autocompiacendosi.
«Non sai mentire a me.» corresse Katherine.
«No. Ma tu sai mentire perfettamente a me.» disse lui improvvisamente serio.
«Torna a dormire, Damon.» lo zittì con una smorfia. Entrò in autostrada. Il pieno di carburante avrebbe permesso di arrivare abbastanza lontano.
«Mi hai preso in giro fin dall’inizio, hai passato un secolo e mezzo a ridere di me che cercavo un modo per salvarti. Poi arrivi e ti spacci per Elena, e mi prendi in giro un’altra volta, torni, ma intanto non mi hai mai amato, ti presenti nella mia stanza, ma probabilmente è solo ché il bagno di Stefan è troppo piccolo per ospitare il tuo ego, mi mandi ad uccidere un Originario ben sapendo che sarei morto anch’io. A questo punto sono in trepidante attesa del prossimo scherzo.» continuò il vampiro, ignorando ogni vincolo di rispetto con il suo amor proprio.
Katherine accelerò ad occhi sbarrati e stringendo i denti, pur desiderando accostare e prenderlo a calci.
«Quella donna, quella che ho ucciso stasera… mi ricordava te. E non mi è bastato solo scarnificarle il collo e bere fino a farla morire. Ho dovuto infierire, sentirla gridare mentre le spezzavo le ossa una alla volta. Non riuscivo a smettere.» Damon sbatté le palpebre come ipnotizzato, ricordando «L’osso della gamba aveva squarciato il muscolo ed era uscito. Era spezzato di netto, un bel lavoro.»
«Giocare con il cibo, che cosa di cattivo gusto. Spero tu sia abbastanza ubriaco da non ricordare nulla domani, o la vergogna ti massacrerà.» gli augurò, interrompendolo accigliata.
«Tu ti vergogni per aver schiacciato un insetto?» chiese, retorico.
«Non era a quello che mi riferivo.» rispose la donna con un sorriso eloquente.
Calò il silenzio, e Katherine ne approfittò per dare un’occhiata ai cartelli stradali e scegliere l’uscita giusta.
Alla radio trasmettevano una canzone hip-hop che stava chiaramente snervando Damon, tanto che osò rimettersi composto con un verso scontento e cambiò un paio di stazioni. Non gli piaceva neanche quella musica e quindi tirò fuori dal cruscotto alcuni cd e iniziò la difficile scelta, resa più ardua dagli occhi appannati dalla stanchezza.
«Mettili giù: siamo arrivati.» lo avvisò Katherine prima di parcheggiare.
Damon scese dall’auto e si guardò intorno, colpito dalle luci gialle ed arancioni del locale.
«Un jazz club?» indovinò.
«Mi sembrava più carino del solito pub di periferia. E ringrazia che esistano ancora locali che stanno aperti tutta la notte anche in quest’angolo di America.» disse amabile.
L’interno del bar era piacevolmente tiepido, e l’aria resa nebbiosa dai numerosi recipienti di ghiaccio secco che emanavano volute di fumo profumato. Le luci erano soffuse, blu chiaro e bianche, ad eccezione di quelle puntate sul palco che tingevano tutto di un gradevole tono di rosso aranciato, dove tre uomini suonavano il sax e il basso.
Katherine si fermò di colpo e gli si rivolse crucciata «Ora che ci penso, averti intorno mi rovinerà la piazza. Siediti da un’altra parte.»
«Avresti dovuto pensarci prima, tesoro. Ormai siamo una coppia.» la rimbeccò con un sorriso trionfante di scherno.
Katherine imbronciò le labbra e si appoggiò ad una sedia davanti al banco, squadrando interessata il trio musicale, ma spostando poi lo sguardo su un tavolo di ragazzi e uomini discretamente attraenti. Sembrò puntarne uno biondo.
Damon fece un cenno per richiamare l’attenzione del barman, un uomo sulla trentina in camicia bianca e cravatta nera. Ordinò un Jack Daniels liscio, e sedette di fianco a Katherine, poggiando un braccio piegato sul ripiano in legno mogano del bancone.
«Signorina?» la chiamò il barista.
«Red apple Martini, grazie.» rispose svagata.
Si accomodò dandogli la schiena, le gambe accavallate e la punta dello stivale che poggiava su un piolo della sedia alta.
«Ho sete.» disse ad un tratto leccandosi le labbra.
Damon alzò un sopracciglio e bevve il primo sorso di whiskey «Fatti bastare l’alcool per stasera.»
Katherine girò le gambe verso di lui e si sporse, prendendo in mano il Martini e divertendosi a far girare il drink nel bicchiere prima di sorseggiarlo con un sorriso malizioso. «Questa sera tu ti sei divertito. Ora tocca a me.»
Succhiò lo zucchero sul bordo del calice prima di fare scontrare i due bicchieri in un brindisi a se stessa. Damon corrugò la fronte.
«Tranquillo, Andie non dovrà fare un servizio anche sulle vittime dell’ex di ritorno del suo fidanzato squilibrato.» finse di rassicurarlo.
Con la coda dell’occhio il vampiro notò il biondo di Katherine alzarsi dal tavolo e prendere un pacchetto di sigarette dal giaccone abbandonato sulla sedia.
Anche lei dovette notarlo, perché finì il drink con un sorriso lascivo, e si alzò lanciandogli un’occhiata complice.
Damon sentì qualcosa stringerli un doppio nodo a gola e stomaco. Cercò di non guardarla uscire dal locale ancheggiando, e portò gli occhi fissi sul colore ambrato del suo Jack Daniels.
Ne bevve un sorso, lentamente. Poi un altro.
Il fastidio lo stava strangolando alla gola, inasprendo il gusto forte del whiskey. Colpa della bottiglia: decise che doveva essere una partita meno buona delle altre.
Rimase solo un terzo del liquore nel bicchiere.
Iniziò a battere la punta del piede sul pavimento, ma non a tempo di musica. Nervoso, incattivito.
Con uno sbuffo tirò fuori da una tasca dei pantaloni una banconota da venti dollari e la lasciò sul banco sotto il bicchiere, dopo aver scolato in un sorso il whiskey rimanente.
Uscì dal club chiudendo la porta rumorosamente, arrivando a non sbatterla solo perché avrebbe rischiato di romperla.
L’odore della sigaretta accesa e spenta dopo poco e il rumore concitato dei fiati affannati lo condussero sul lato esterno del locale, nascosto dall’ombra.
Katherine era lì.
Il ragazzo che aveva abbrancato era appoggiato di schiena al muro, e le sue mani vagavano sui fianchi e le natiche della vampira, arrischiandosi persino sotto la canottiera aderente di cotone e toccandone la pelle liscia. Aveva la guancia appoggiata alla testa di lei, e respirava il profumo dei suoi capelli.
Damon incrociò le braccia e rimase a guardare Katherine passare le braccia attorno al collo di quello sconosciuto e baciargli il collo con studiata voracità, in modo da distrarlo e prenderlo di sprovvista nel momento in cui lo mordeva e gli tappava la bocca con la mano, facendogli battere il cranio contro la parete.
Katherine scostò il viso dal collo della sua preda quel tanto che bastava per leccargli il sangue che stava colando dalla ferita in rivoli sottili. Il ragazzo tentò di divincolarsi, ma la vampira mugolò annoiata guardandolo negli occhi.
«Stai fermo.»
Quello si immobilizzò, e Katherine tornò pacificamente a berne il sangue caldo fino a quando lo sentì accasciarsi sotto la sua presa. A quel punto lo mollò, lasciando che si sforzasse di tenersi in piedi, e si allontanò di mezzo passo da lui. Raccolse con i polpastrelli il sangue prima che raggiungesse gli orli della maglietta bianca del ragazzo.
Passò la lingua sulle dita sorniona, leccandosi sensualmente anche le labbra, ripulendole.
«Vai, ora. Non è successo nulla, e dimenticati di avermi vista.» gli comandò.
Il giovane annuì con occhi persi nel vuoto e se ne andò barcollando.
Katherine sgranchì il collo piegando la testa prima da un lato e poi dall’altro, allungando il collo, e solo allora si degnò di girarsi verso Damon.
Attorcigliò una ciocca di capelli su un dito ed inclinò il capo «Ti sei goduto lo spettacolo?»
«Ottima performance, indubbiamente, ma sa di già visto.» criticò freddamente.
«Sapresti fare di meglio?» lo provocò, lasciando la ciocca e facendo scivolare una mano sul fianco, quasi carezzando il tessuto dei jeans, prima di poggiarla.
Nel tempo in cui chiuse e riaprì gli occhi si ritrovò sbattuta contro il muro e la testa urtò la parete. Aprì la bocca, stupefatta, per riprendere fiato, e vide Damon davanti a lei imprigionarla con il suo corpo. La guardò negli occhi per un breve istante prima di baciarla.
Le mani prima poggiate al cemento ruvido del muro, per intrappolarla, scesero una sul collo per tenerle il volto vicino, e l’altra sulla curva della schiena, scivolando prima a dita aperte lungo il fianco magro.
Sentirono il sapore pungente del sangue mescolarsi a quello degli alcolici nelle loro bocche, e le lingue sfiorarsi roventi, cercarsi con impazienza mentre anche i corpi aderivano frenetici. Katherine affondò le dita tra i capelli di Damon, tirandolo a sé, avvicinando le anche al bacino del vampiro proteso in avanti.
Inarcò la schiena per offrire il petto alle mani bollenti di Damon, che stavano cercando la sua pelle e i suoi seni sotto lo spazio intimo della giacca in pelle, sotto anche alla stoffa fastidiosa della canottiera.
Ma a quel punto lui si fermò come folgorato, abbandonando la morbidezza tumida delle sue labbra e il calore delle sue forme.
Le scostò i capelli dal viso con entrambe le mani e si avvicinò al suo orecchio, sussurrando.
«Non dimenticherò questo. Non dimentico mai nulla.»
Le sembrò una minaccia. Se non fosse stato Damon si sarebbe inquietata, e non avrebbe colto quel tono emotivo di fondo che il vampiro non riusciva mai a soffocare completamente con lei. Era quello che lo tradiva sempre.
Damon infilò una mano nella tasca della giacca di Katherine e le prese le chiavi dell’Audi.
Dopo aver fatto un passo indietro per lasciarla libera, si allontanò raggiungendo l’auto.
«Questa volta guido io.»









_____________________

E' stato un parto. Ma sono riuscita a finirla.
LOL.
Si ringrazia Lizzie_Siddal per l'idea fulminante di citare Il Piacere di Gabriele D'Annunzio *ora hai capito come ti ho quotata?* e le ore di spagnolo ed economia aziendale per avermi concesso di finire questa cosa.
   
 
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