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Autore: Lexi Niger    05/04/2011    3 recensioni
Merlino bussò discretamente alla porta del suo signore la mattina di quel giorno importante. Entrando trovò la stanza illuminata dal sole che filtrava dalle finestre, da cui le tende scure e pesanti erano state spostate.
Artù era in piedi, i capelli arruffati e il viso segnato da scure occhiaie e una pallidezza che lo rendeva ancora più etereo se accostata ai capelli biondi.
Notando l’ingresso del servitore arrestò il suo incedere lungo il perimetro della camera, che aveva già percorso più volte senza trovare alcun giovamento.
< Nervoso? > domandò cautamente il moro.
Artù sollevò lo sguardo su di lui, fulminandolo.
< Affatto > tagliò corto.
Un re non aveva la possibilità di essere nervoso, era qualcosa che doveva apprendere in fretta.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ho scritto questa one-shot sull'onda dell'entusiasmo suscitatomi dalle nuove puntate in italiano della terza serie. Devo dire che amo alla follia questa serie, questa storia è dedicata all'importanza per Artù del supporto di due persone care, Merlino e Ginevra. Non detengo alcun diritto sui personaggi nè la storia è scritta a scopo di lucro.

L’eredità di un padre


Il re era morto. La sera prima aveva discusso con i più fidati cavalieri sulla difesa dei confini settentrionali del regno, la mattina dopo era immobile nel suo letto, l’espressione rilassata di chi ha trovato la pace nel sonno eterno. Fu un duro colpo per l’intera corte, impreparata a perdere da un giorno all’altro il proprio sovrano, che godeva di ottima salute considerata la non più giovane età. Artù lo venne a sapere mentre si stava apprestando a lasciare le sue stanze per assistere all’usuale allenamento delle nuove reclute dell’esercito. Merlino, accanto a lui, potè vedere il suo viso incredulo, prima che il principe lasciasse cadere a terra la spada che non aveva ancora sistemato nella cintura per correre a perdifiato dal padre. Al suo ingresso nella camera tutti coloro che stavano porgendo l’ultimo saluto al re scivolarono silenziosamente fuori, offrendo al giovane la solitudine di cui aveva bisogno. Lacrime di profondo sconforto iniziarono a bagnare le guance di Artù mentre quest’ultimo abbracciava Uther, mormorando frasi sconnesse sul perché il destino avesse voluto privarlo dell’ultima persona con la quale aveva un legame, la sua unica famiglia.
Il principe rimase l’intero giorno accanto al letto del re, non toccò cibo dal vassoio che il suo servitore gli aveva diligentemente portato all’ora di pranzo né fece caso alle persone che discretamente entravano per dire addio al sovrano. Il suo sguardo era vacuo, fisso in un punto imprecisato, gli occhi lucidi anche se incapaci di versare ulteriori lacrime, dopotutto era stato suo padre ad insegnargli la resistenza al dolore e alla sofferenza senza mostrare la propria debolezza. Faticosamente Merlino riuscì a staccarlo dalla sedia su cui era rimasto durante quelle interminabili ore, convincendolo a coricarsi quel tanto che bastava per poter reggersi in piedi l’indomani, quando si sarebbero tenuti i funerali ufficiali.
Fu una cerimonia lunga, estremamente pomposa, a cui parteciparono tutti i membri della corte e gli alleati più fidati del re, che avevano avuto notizia della sua morte da un messo inviato loro appena era stato possibile. Il popolo si era aggiunto silenziosamente, chi con una candela chi con un mazzo di fiori da posare davanti all’imponente cripta che da secoli custodiva i corpi della dinastia dei Pendragon. Alcuni avevano disertato, mostrando coerenza con la disapprovazione che nutrivano nei confronti degli atteggiamenti più duri e irrazionali di Uther. Nonostante il lutto che aveva colpito l’intera Camelot e che intristiva i volti dei presenti, nel loro cuore sorgeva luminosa la speranza di una nuova era, guidata dalla saggezza e dalla lungimiranza del principe Artù. Del re Artù.
L’incoronazione fu fissata a distanza di due giorni, per offrire al giovane un intervallo sufficiente di tempo per riprendersi dal proprio dolore e avere la mente libera per prendere le prime decisioni da sovrano, decisioni che risultavano essere già decisive visti i focolai che si stavano allargando al Nord, dove la popolazione era insorta a causa di una carestia inaspettata e devastante che aveva già mietuto numerose vittime, soprattutto tra bambini e anziani. Bisognava intervenire alla svelta, Uther aveva già avviato un progetto di intervento dell’esercito per sedare i ribelli, ma Artù avrebbe potuto rivederlo e, perché no, cambiarlo radicalmente.
Merlino bussò discretamente alla porta del suo signore la mattina di quel giorno importante. Entrando trovò la stanza illuminata dal sole che filtrava dalle finestre, da cui le tende scure e pesanti erano state spostate. Artù era in piedi, i capelli arruffati e il viso segnato da scure occhiaie e una pallidezza che lo rendeva ancora più etereo se accostata ai capelli biondi. Notando l’ingresso del servitore arrestò il suo incedere lungo il perimetro della camera, che aveva già percorso più volte senza trovare alcun giovamento.
< Nervoso? > domandò cautamente il moro.
Artù sollevò lo sguardo su di lui, fulminandolo.
< Affatto > tagliò corto.
Un re non aveva la possibilità di essere nervoso, era qualcosa che doveva apprendere in fretta.
Merlino comprese che l’umore del principe era più tempestoso che mai e decise di non spingersi oltre.
In silenzio recuperò le preziose vesti che Artù avrebbe indossato in quella solenne occasione, portandole al suo signore affinchè potesse iniziare a cambiarsi. Nel frattempo recuperò gli stivali, diede loro un ulteriore lucidata e li appoggiò sul pavimento ai piedi di una sedia su cui il principe si sarebbe seduto per indossarli. Spazzolò attentamente il morbido pelo di volpe che adornava il mantello rosso con l’effige del drago del futuro re e lo stese sul letto in modo che non si sciupasse. Artù riemerse da dietro il paravento indossando una camicia granata di fine lino, nelle mani una cintura ingarbugliata che non era riuscito a districare.
< Pensaci tu > ordinò al servo gettandogliela addosso.
Merlino incassò e senza ribattere si mise all’opera e in pochi secondi riuscì nell’obiettivo.
Si avvicinò al principe e passandogliela intorno al muscoloso addome la chiuse, sollevando gli occhi per ispezionare l’espressione del principe.
< Sarete un buon re, il migliore che Camelot abbia mai avuto > tentò di rassicurarlo anche se Artù non avrebbe mai chiesto apertamente il suo conforto.
< Come puoi esserne sicuro? Né tu né io possiamo conoscere il futuro > sentenziò Artù.
Mentre si inginocchiava davanti a lui per infilargli il primo stivale, Merlino gli rispose sinceramente:
< Abbiamo trascorso molto tempo insieme, conosco i vostri sentimenti a riguardo, so che attuerete dei cambiamenti che gioveranno al regno e lo renderanno prospero >.
Il viso di Artù si irrigidì, le labbra tese e sottili.
< Di quali cambiamenti stai blaterando? > chiese, con un tono brusco che spiazzò completamente l’altro.
Merlino rimase qualche secondo interdetto, domandosi se avesse solo immaginato le conversazioni che in passato avevano avuto su come la gestione di Camelot potesse essere migliorata.
< Sarete amico del popolo > buttò lì il primo pensiero che gli balenò per la testa, sapendo che si trattava per certo di qualcosa a cui Artù non sarebbe mai venuto meno.
< Un re non può esserlo > negò il principe, < i suoi doveri lo chiamano a scelte che necessariamente saranno in disaccordo con quanto il popolo vorrebbe >.
Il moro rimase ammutolito, incredulo di fronte a quelle parole che sembravano provenire da Uther.
< Ma voi avete sempre detto.. >. Non riuscì a concludere la frase perché fu interrotto da Artù, che sbattè un pugno sul tavolo facendolo sussultare.
< Non importa ciò che posso aver detto in passato, ero stupido, vanesio, non comprendevo le responsabilità che si posano sulle spalle di un sovrano >.
Merlino non credeva alle sue orecchie, ma decise di non provocare la collera del principe oltre, insistendo su questo argomento. Si apprestò ad infilare l’altro stivale quando Artù inaspettatamente volle continuare.
< Che altro pensavi? >.
Il servo fece finta di non udire, continuando diligentemente il suo compito e augurandosi che l’altro non proseguisse oltre in quella discussione accesa che sarebbe potuta degenerare.
< Che altro, Merlino! > ripetè scuotendolo per una spalla mentre questo si rialzava, rischiando seriamente di fargli perdere l’equilibrio.
Merlino esitò, poi decise che non si sarebbe fatto intimidire dall’asino reale che aveva momentaneamente di fronte.
< Pensavo che avreste cessato la persecuzione che Uther ha perpetrato per decenni contro coloro che praticano la magia >.
Contro quelli come me, avrebbe voluto aggiungere. In cuor suo aveva atteso con ansia il giorno in cui Artù si fosse dimostrato razionale accettando coloro che erano dotati di potere sovrannaturali.
< La magia è malvagia > rispose il principe, < hai visto con i tuoi occhi ciò che ha fatto Morgana e non è l’unico esempio che ti posso fornire >.
Se la magia fosse malvagia allora voi sareste morto già da molti anni, avrebbe voluto gridargli in faccia Merlino, troppo sconvolto dall’inaspettato cambiamento dei pensieri di Artù.
< Questo è ciò che credeva Uther > sottolineò, < non significa che debba essere necessariamente così >.
Il principe lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, un’espressione ostile ad adombrargli il volto.
< Il corpo di mio padre è ancora caldo e tu già gli rechi offesa! > gridò fuori di sé, afferrando la spada che il servo aveva lasciato sul tavolo.
< Io non intendevo.. > cercò di difendersi Merlino.
< Fuori di qui! > replicò l’altro, puntandogli l’arma alla gola.
Il servo sbarrò gli occhi, la bocca improvvisamente arida.
< Artù sono vostro amico, sapete.. > tentò di farlo ragionare.
< Fuori di qui! > ribadì il principe, < sono il tuo re, non il tuo amico >.
Merlino rimase ancora per un secondo a fissarlo, poi si girò e lasciò la stanza, gli occhi umidi di chi ha disperatamente voglia di piangere ma è costretto a trattenersi.
Non appena fu solo, il principe lasciò cadere la spada e si mise le mani nei capelli, vanificando il tempo perso in precedenza per sistemarli in modo proprio.
Frustrato, tirò un calcio al baldacchino, con il solo risultato di procurarsi un acuto dolore al piede che lo costrinse a saltellare su una gamba per qualche secondo. Spettacolo degno di un re, pensò infastidito.
Un timido bussare alla porta lo riscosse dall’incresciosa situazione e lo costrinse a ricomporsi.
< Avanti > disse, voltandosi verso l’inatteso ospite.
Il viso di Ginevra, incerto, fece capolino dall’ingresso, seguito dalla sua intera figura.
< Disturbo, Sire? > chiese, osservando il disordine che regnava intorno a lui e la sua espressione tesa.
< Entra pure > accordò lui, facendo cenno di avvicinarsi mentre si chinava a raccogliere la sua arma.
La ragazza si avvicinò, rimanendo a circa un metro da lui, le braccia stese lungo i fianchi.
< Volevo farvi le congratulazioni, Sua Maestà > spiegò, inchinandosi lievemente.
Artù si accostò a lei facendola immediatamente rialzare.
< Non devi usare titoli con me, lo sai > sottolineò per l’ennesima volta, < sono solo Artù >.
Il significato delle sue parole lo colpì nel profondo, dimostrandogli quanto stava mentendo nell’affermare che non avrebbe potuto essere amico del popolo. Il suo viso si adombrò.
< Qualcosa vi tormenta, Sire? > domandò Ginevra, sinceramente preoccupata.
Lui la guardò negli occhi, cercando quella sensazione di pace che sempre vi scorgeva e da cui traeva forza nelle situazioni di incertezza.
< Sarete un buon re, il migliore che Camelot abbia mai avuto > affermò con sicurezza per rassicurarlo, mentre una mano gli stringeva affettuosamente il braccio.
Artù proruppe in una risata amara, a tratti ironica.
< A cosa era dovuto? > chiese la giovane non appena lui tornò serio.
< Merlino ha usato le tue stesse parole > spiegò brevemente il principe.
< Perché lui come me, come l’intero popolo di Camelot, ha fiducia in voi > ribadì lei.
Artù annuì, non trovando alcun giovamento in quelle parole.
< Voi tutti vi affidate a me con la speranza che io disattenda i principi di mio padre > confidò mestamente.
Ginevra inarcò un sopracciglio, perplessa.
< Nessun re è tenuto ad agire esattamente come ha fatto il suo predecessore >.
Il giovane avrebbe voluto fosse così semplice come lo faceva sembrare lei.
< E’ l’eredità di mio padre, non posso insultarlo contraddicendo quello che ha scelto durante il suo intero regno > mormorò incupito, < sono suo figlio >.
La ragazza sollevò esitante le mani a circondargli il viso, cosicchè i suoi occhi fossero indiscutibilmente fissi nei suoi.
< Artù voi non state calpestando l’eredità di Uther, la state accogliendo per metterla a frutto come voi giudicate giusto. Non pensate che scegliere diversamente sia fargli un torto. Sarebbe piuttosto un torto a voi stesso, alla vostra capacità di giudizio in cui noi tutti confidiamo > sussurrò lei accoratamente.
Il principe, per la prima volta da quando aveva visto suo padre morto qualche giorno prima, sentì il peso che gravava sul suo cuore scuotersi e alleggerirsi. Ginevra aveva ragione, saggiamente gli aveva fatto notare come fosse stupido poter pensare di agire secondo i principi di qualcun altro, specialmente quando questi si ritengono non validi o, peggio ancora, errati.
< Grazie > rispose semplicemente, non riuscendo ad esprimere a parole quanto fosse importante per lui ciò che lei aveva appena detto.
Ginevra sorrise teneramente, osservando la tensione svanire dai lineamenti di Artù, donandole ancora una volta lo splendore sereno dei suoi occhi blu.
In silenzio recuperò il prezioso mantello che ancora giaceva sul letto e lo fece passare dietro le spalle del principe, legando i raffinati lembi sul davanti e sistemando il pelo che gli ornava il collo.
< Siete pronto, mio Signore > affermò inchinandosi.
Artù non riuscì a reprimere il suo impulso, la sollevò ancora una volta, abbracciandola stretta a sé e posando avidamente le proprie labbra sulle sue. Il tempo sembrò fermarsi, la cerimonia imminente sparire, i doveri incombenti così lontani e insignificanti, c’erano solo loro due, insieme così come era giusto che fosse, così come Uther, suo padre, non avrebbe mai permesso.
Fu faticoso dover staccarsi da lei, dover rinunciare ad un raro momento condiviso con la persona di cui più gli importava in tutto il regno. Ma la situazione avrebbe potuto essere diversa in futuro, se solo lui si fosse adoperato in tal senso.
< Sarò il re che tu meriti Ginevra, saprò cambiare ciò che è ingiusto > le promise, prima di liberarla dall’abbraccio e sentire un po’ del freddo che lei aveva alleviato.
La ragazza sorrise, accarezzando dolcemente la sua guancia.
< Sarete il re che Camelot merita di avere > replicò lei.
Dopo un ultimo inchino, che lui avrebbe voluto evitasse, si allontanò, chiudendosi la porta alle spalle.
Artù si schiarì velocemente la mente, ancora annebbiata dalla sua presenza, e afferrò la corona posata sul comodino per indossarla. Si guardò allo specchio, ammirando l’immagine di un giovane uomo chiamato a condurre un regno saggiamente, a decidere della vita di centinaia di persone, e comprese di poter essere il re che il suo popolo si aspettava.
Prima di lasciare le sue stanze indugiò ancora un attimo ripercorrendo gli eventi di quella mattina e rendendosi conto di quanto fosse stato sgarbato e prepotente con Merlino. Aveva sbagliato, nel giudicare l’intera situazione e soprattutto nel comportamento tenuto nei confronti del suo servo. O meglio, dell’amico più prezioso che avesse. Ma ora, apprestandosi a diventare re, giurò a se stesso di non incorrere più in certi errori di valutazione e per esserne certo decise, così su due piedi, che avrebbe nominato un nuovo consigliere. Probabilmente sarebbe stato il peggiore a memoria di Camelot, ma probabilmente anche il più fidato. Dopotutto poteva forse fare a me di quel mucchio di ossa buono a nulla di Merlino?!
  
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