Capitolo 2
Disperazione
e Macchinazioni
Toc
toc.
«Vattene!» urlò la voce di Kim, da
dietro la porta. «Avevo detto a mamma di dirti che ero morta!»
«In realtà mi ha detto che sei partita
per Sinnoh, a caccia di Pachirisu.» la corresse Lee, senza poter trattenere un
sorriso. Kim era sempre stata fissata con quei piccoli pokémon elettrici, tanto
che uno dei suoi viaggi mentali preferiti (condiviso con chiunque fosse
abbastanza paziente o sordo da starla ancora ad ascoltare) era il suo futuro
viaggio verso la regione montuosa di Sinnoh per catturarne uno. La sua
testardaggine faceva quasi tenerezza.
«Era nelle mie intenzioni.»
borbottò Kim. «Ma poi ho pensato che tanto quel dannato stalker riuscirebbe a
trovarmi perfino lì. Deve avermi piazzato un GPS nel cappello.»
«È appunto di lui che volevo
parlarti.» sospirò Lee, tamburellando nuovamente le nocche sulla porta. «Mi fai
entrare?»
«NO! È tutta colpa tua, se sono in
questa situazione. Sarò arrabbiata con te, tipo, per sempre.»
Tipo,
per sempre. Altre parole che aveva sentito uscire dalle sue
labbra più di una volta – e che lei si era prontamente rimangiata cinque minuti
dopo. Niente di cui preoccuparsi.
«Avanti, non fare così.» disse il
ragazzo, con una smorfia. «Era l’unico modo di farci restituire Deerling, lo
sai.»
«Ecco, lo vedi? Mi stai dando in
pasto a quel maniaco e non te ne importa niente!»
«Guarda che ci vengo anch’io, con
te...»
«Come se volesse dire qualcosa!»
commentò Kim, stizzita. «Tu sei un ragazzo, non devi difendere la tua virtù o
altro...»
Lee roteò gli occhi. Quella ragazza
l’avrebbe fatto uscire matto, prima o poi. «Non ricominciare con la storia
della virtù. Nessuno ti farà niente, quindi fammi entrare. Abbiamo bisogno di
un piano.» Ovvio che ne avevano bisogno. N poteva anche aver promesso di
restituire Deerling, ma non c’era garanzia che non ne avrebbe approfittato
per... altro.
«Neanche per idea. Me lo troverò da
sola, un piano.»
Razza
di piccola, ingrata testarda! pensò Lee, pur avendo
il buon senso di non dirlo ad alta voce. In quel momento, solo due cose
potevano smuovere Kim: le lusinghe, oppure...
«Bene. Allora posso anche
restarmene a casa, tanto N ha detto che gli vai bene anche tu da sola. Con il
tuo piano geniale andrà tutto a meraviglia.»
...i
ricatti.
La porta si aprì in meno di un
nanosecondo. «Entra immediatamente, o tiro fuori Emolga.» ordinò Kim,
squadrandolo in modo alquanto tetro.
Farle cambiare idea non era mai
stato particolarmente difficile.
Entrarono nella camera, che era
ridotta in condizioni pietose: il letto era sfatto, l’armadio aperto, i vestiti
sembravano ricoprire ogni centimetro quadrato delle superfici piane e le tende
erano chiuse, avvolgendo il tutto nella penombra. La stessa Kim pareva
piuttosto sciupata, con i capelli sciolti e spettinati, un alone di grigio
sotto gli occhi e l’espressione funerea di chi fosse appena venuto a sapere di
un’improvvisa carenza di Pachirisu nel mondo.
«Hai fondato una setta satanica,
per caso?» chiese Lee, impressionato. Kim non era esattamente un tipo ordinato,
ma nemmeno le piaceva vivere nel caos; era sempre molto attenta ad avere a
portata di mano tutto quello che le potesse servire e cercava, nei limiti del
possibile, di non abbandonare calzini sporchi sotto il letto o vestiti freschi
di lavanderia fuori dai cassetti. Per questo, vedere tutta quella confusione
era sintomo di qualcosa di molto più grave di quello che si era aspettato.
«Uhm.» fece Kim, assente,
mettendosi a rovistare in un cumulo di camicette. «Potrei anche farlo. Chissà
che non esista un qualche patto col diavolo che mi permetta di liberarmi di N
una volta per tutte.» Tra i vestiti, trovò una pokéball e ne premette il
pulsante di apertura. Un piccolo Litwick uscì dalla sfera e iniziò a scivolare
in giro, per i fatti suoi, diffondendo un tenue bagliore violetto nella stanza.
Lee deglutì a vuoto. Se la
situazione avesse continuato a degenerare in quel modo, presto si sarebbe
trovato anche lui in una stanza buia, sommerso da una montagna di vestiti. O
peggio.
«Non ti sembra un po’... spettrale,
l’ambiente?»
Kim alzò le spalle e si lasciò
cadere sul letto, sollevando una piccola onda di vestiti. «Credevo che quel
maniaco se ne fosse andato per sempre. Credevo di poter riprendere a vivere una
vita felice, né troppo monotona né troppo spericolata, a caccia di pokémon un
giorno e sulla spiaggia a prendere il sole l’altro. E invece...» sospirò e
rotolò su un fianco, mordendosi un labbro. «E invece è tornato a tormentarmi.»
Lee alzò un sopracciglio, dubbioso.
Eccola che ricominciava a fare la melodrammatica, come sempre. «Lo so, essere
perseguitati da N non è esattamente piacevole.» tentò di rassicurarla. «Ci sono
passato anch’io. Ma non mi sembra il caso di buttarsi giù così, no? Perché non
incominciamo ad aprire la finestra e...»
«No!» Kim tuffò la testa in un
cuscino, ottenendo come effetto collaterale di ritrovarsi coperta di calzini.
«Sento che, quando in questa stanza entrerà un raggio di luce, accadrà qualcosa
di terribile. Non voglio.»
Ancora con quei capricci assurdi.
Era ora di finirla. Lee si avvicinò comunque alla finestra e ne tirò le tende,
deciso a tirare fuori l’amica da quella malsana depressione. «Avanti, non
succederà nulla. È solo un po’ di so-».
Un Archeops gli sorrise dall’altra
parte del vetro.
«Ma che caz-...!» Il ragazzo
indietreggiò e quasi cadde per la sorpresa, Kim urlò e il pokémon sbatté la
testa contro la finestra, nel tentativo di aprirla. Dopo un paio di testate che
non produssero risultati, l’Archeops decise di andarci di zampe, ottenendo
finalmente di trasformare la finestra in una miriade di schegge di vetro
volanti. Dopodiché, soddisfatto del suo operato, si appollaiò sul davanzale.
Kim, abbracciata stretta al suo
cuscino, rivolse a Lee uno sguardo spaventato. «È l’Archeops di N.» disse, con
un filo di voce.
«...già.» concordò Lee, cercando
ancora di riprendersi dallo shock di trovarsi a venti centimetri di distanza da
un pokémon nemico – di quel nemico,
in particolare – che, nelle giuste condizioni, l’avrebbe volentieri
sgranocchiato. «Ha qualcosa in bocca.» notò poi, stupito.
Come se quelle parole l’avessero
chiamato, l’Archeops allungò il collo verso di lui, porgendogli ciò che
trasportava. Non vedendo alternative, il ragazzo lo prese in mano.
Era una busta. Una busta verde,
sigillata con un cuoricino a mo’ di ceralacca. Già quello bastò a dargli i
brividi.
Avendo compiuto la sua missione,
l’Archeops spiegò le ali e, infischiandosene bellamente di aver appena fatto a
pezzi una finestra e spaventato a morte gli oggetti dell’amore del suo padrone,
se ne volò via.
Senza dire una parola, Lee andò a
sedersi sul letto accanto a Kim, facendosi spazio tra gonne e pantaloncini.
Esaminò la busta centimetro per centimetro, ma sembrava non esserci scritto
nulla; né il mittente, né il destinatario.
Intanto, Kim non sembrava
intenzionata a lasciar andare il suo cuscino. «E se facessimo finta di non
averla mai ricevuta...?» propose, esitante.
Lee alzò le spalle, ancora senza
distogliere lo sguardo dalla busta misteriosa. «In ogni caso, sarà meglio
sapere cosa c’è scritto.»
«Uhm.»
In realtà, anche Lee non sapeva se
aprire veramente la busta o no. Era stato facile, tutto sommato, fare quella
promessa a N, ma averci a che fare lo metteva come sempre a disagio. Le sue
dita indugiarono sul sigillo a forma di cuore.
Kim gli prese la busta dalle mani.
«Lascia fare a me.» disse piano, accompagnandosi con il primo, debole sorriso
della giornata. «So che rapporto hai con i cuoricini rosa.» lo prese in giro,
nonostante continuasse ad essere la più spaventata dei due.
Prima che lui potesse ribattere,
Kim strappò il sigillo della busta e ne tirò fuori un sottile cartoncino verde
prato, scritto in caratteri sottili e raffinati.
Passerò a prendervi oggi, appena avrò completato i preparativi per
il nostro ap-pun-ta-men-to ♥
Fatevi trovare pronti, mi raccomando!
Sempre vostro,
N.
Seguiva uno scarabocchio di una
faccina sorridente, che probabilmente doveva rappresentare N stesso.
Kim e Lee rabbrividirono.
«Io muoio.» piagnucolò Kim. «Non ce
la posso fare.»
«Invece puoi.» disse Lee, anche se
il suo tono non era deciso quanto avrebbe voluto. «Hai detto che l’avresti
ucciso, no? Concentrati su quello che provavi in quel momento.»
«Nausea e un fortissimo mal di
testa...?»
«No! Intendevo il sentimento!»
Kim parve pensarci su per qualche
istante e illuminarsi, ma poi scosse la testa. «Ero appena stata colpita da
un’Energipalla. Non ero in me.»
«Eri più che in te. Puoi farcela.» ribadì Lee, mettendole una mano sulla
spalla. «E poi...»
Kim alzò un sopracciglio. «E poi,
cosa?»
Lee sospirò, con un che di
rassegnato. «E poi, ammettilo: senza quel Deerling non sopravviveremo a lungo.
I soldi che ci ha promesso il Laboratorio di Ricerca in cambio sono tutto
quello su cui possiamo contare per il prossimo mese. E tu non puoi rimanere da
tua madre per sempre.»
Kim parve ancora più scoraggiata.
«Lo so.» si lamentò. «Scommetto che, quando sei arrivato, mamma aveva già la
faccia da “Portala-via-tu-o-la-butto-fuori-io”.»
«Precisamente.» annuì Lee. «E
nemmeno io ci tengo a morire di fame. Preferirei qualcosa di più eroico, tipo
morire per salvare il mondo o...»
L’amica gli lanciò un’occhiataccia.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Però, anche se Nardo sembra aver avuto una
pessima influenza su di te, hai ragione. Dobbiamo riavere Deerling indietro ad
ogni costo.»
«E quindi ci serve un piano.»
«E quindi, ci serve un piano.»