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Autore: Memento    06/04/2011    4 recensioni
Una verità nata da un dubbio non è mai una verità completa. (Zoro/Nami/Rufy) --- AVVISO ALL'INTERNO ---
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Sono tornata con uno strano triangolo Zoro/Nami/Rufy nel POV del Capitano, perciò la colpa dei commenti a sproposito è sua. Tratto la ciurma pre Red Line, ignorando le aggiunte (e alcune avventure) successive. Rufy non è certo un filosofo, ma la storia è comunque seria, volendo restare IC. Ci sono ambiguità, scene Lemon, Angst e tanto Zoro. Il primo paragrafo è un po' ermetico, ma si tratta del fulcro di tutto quindi doveva esserci. Passato quello è tutto in discesa ;). Anche se sembra ovvio, sottolineo che i sentimenti e le convinzioni dei personaggi non rispecchiano necessariamente i miei, e la visione che hanno di alcuni eventi e di altri caratteri è soggettiva e frammentata. In Rufy tale distorsione sarà palese, in Zoro di meno. Nami tenderà ad essere filtrata dalle loro personalità. Sta a voi farvi un'opinione dell'immane casino che mi accingo a raccontare, poracci.
Credo che questa storia sarà abbastanza lunga, ho qualche capitolo già scritto da rivedere e ne prevedo almeno un'altra decina. Dato che sono pigra ed impegnata (e senza ADSL, argh!), i miei aggiornamenti non saranno molto rapidi. Però sono le recensioni il mio vero carburante XD. E' stata una gran fatica, quindi siate gentili e commentate, non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!


****

This door you might not open, and you did;
So enter now, and see for what slight thing
You are betrayed... Here is no treasure hid.
~ Edna St. Vincent Millay


THE GLASS HOUSE

Prologue
Beginnings




Pensandoci col senno di poi, dovette ammettere che tutto era accaduto per un peccato d'innocenza.

Un peccato è la contaminazione d'oscurità dove prima c'era quiete, chiarore e vuoto. E' una tentazione soddisfatta che implica, in cambio, colpevolezza; ma la responsabilità infetta chi, il più delle volte, ne è ignorante per un tempo così lungo d'abituarsi a credere di esser vittima di situazioni degenerate.

Un peccato, talvolta, può considerarsi come il commettimento di un errore. L'essere costretti a voltare le spalle alla moralità, il cedere di fronte a circostanze troppo controverse per uscirne indenni, tanto che il male diventa l'ineluttabile soluzione, sono alcune delle mille giustificazioni rivendicate per passare da carnefici a martiri. I pochi onesti sanno anche che più di circoscrivere il male si cerca di promuoverne la sua necessità, perchè è impossibile, nonostante i tentativi, negare che un male – pur commesso per caso – esista e prolifichi non più nel buio; piuttosto, vogliono convincere a preferirlo a qualunque alternativa il passato abbia offerto loro.

L'assenza della scelta non è assoluzione, né condanna; è un limbo che permette alzare il capo, perchè un errore non presuppone alcuna accusa diretta, ma solo l'accorgersi, attraverso occhi che sono ancora specchi di purezza, di essere inciampati mentre si camminava, e aver continuato, dopo, a strisciare contro la terra fangosa per un bel pezzo.

Ma anche se il cielo si fosse spaccato in due, indicandogli il corso del destino, o se quello si fosse presentato a lui con la sfumatura di un presagio, vagheggiando riguardo alla catastrofe verso cui andava incontro, la colpa – se doveva essercene una da appuntare sul petto – doveva dividersi tra il peccatore e, soprattutto, il male stesso. Perchè ne esistevano alcuni tipi che non solo erano mortali, ma pure mortalmente invitanti.

Se proprio doveva esserci qualcosa contro cui accanirsi, c'era la curiosità.

E alla fine del viaggio, a cose compiute, dopo aver sporcato tutto ciò che c'era da sporcare, qual era il verdetto?

Innocente era chi ignorava che presto sarebbe diventato vittima anch'egli; la purezza era l'attimo di intoccabile sospensione prima di sbattere contro il suolo polveroso. Perchè era inevitabile cadere, e meglio farlo prima che poi: più si resisteva e più il dolore aumentava. Il processo era inarrestabile quanto crudele, perchè dopotutto il mondo andava così. E se si desiderava continuare a vivere bisognava accettarlo, anche se poi ti rendevi conto che, in fondo, di vivere non ne valeva forse la pena. La tua ostinazione era uno sforzo sprecato, un affannarsi in un'impossibile caccia al tesoro, in cui l'unica retribuzione che ti spettava, alla fine del gioco, era rendersi conto della sua colossale, totale inutilità. Il forziere era vuoto, era sempre stato vuoto, dissero gli adulti al piccolo bambino stupido.

Ed infatti non c'era davvero niente, eppure qualcosa se lo era ritrovato tra le mani, anche se non era niente. Che strano, a ripensarci. Ma lui era stato tanto ingenuo una volta, e nessuno gli aveva spiegato seriamente cosa fosse una delusone, cosa provenisse dall'assenza, che anche il silenzio risuonava… e cupamente. Perché aveva sempre preferito rivolgersi verso qualcosa di bello, di luminoso, e come un animale selvatico avvertiva che se avesse guardato nel fondo della cassa nera, magari non avrebbe visto nulla, ma poi avrebbe sentito tutto lo stesso.

Ma lui era anche stupido, e aveva continuato a guardare fino a farsi sanguinare gli occhi.

In fondo alla cassa nera, al posto della felicità auspicata, c'era qualcos'altro, che dopotutto non esisteva e forse te lo inventavi da te, ma non lo volevi, e anche se desideravi liberartene non riuscivi ad abbandonarlo; ti era entrato dentro senza bisogno d'invito, insinuante e pericoloso come l'infezione in una ferita da taglio mal curata. Era qualcosa di minuscolo, allo stato fetale, tanto insignificante da poterlo trascurare per lungo, lungo tempo; fino a quando, almeno, non si fosse sufficientemente ingigantito. Ritrovavi in te un dubbio, il più crudele, il più devastante, il principio di un'altra fine. Era il fendente prima del colpo mortale, quello che ti faceva vacillare, abbandonate le difese, da cui ricevevi la certezza che quello sarebbe stato l'ultimo respiro a colmarti i polmoni. E tu alzavi le mani, mentre, umiliato e arreso, ti lasciavi avvelenare, senza più resistenze, senza mai lottare. Finché, lentamente, l'oscurità non strisciava sù fino al cuore, all'anima, sussurrandoti ciò che infondo già intuivi.

Nel momento in cui aveva smesso di cercare, ecco, era morto. O forse era morto ciò in cui aveva amato credere, ma dopotutto, qual era la differenza?

Era tutto molto semplice: l'esistenza di un altro tipo di realtà – quella in cui fosti ospite nella tua adolescenza, la materna bianca speranza che ti aveva salvato tanti anni fa e poi accudito nella tua crescita – il mondo giusto e buono che ti aveva accompagnato testardamente fedele fino ad allora… era stato solo una piacevolissima illusione. Una falsità, una beffa. Così come gli ideali belli e luminosi con cui vi eravate affettuosamente nutriti a vicenda.

Lui quel mondo non lo vedeva nemmeno più, in ogni caso, perchè aveva continuato a camminare, e sapeva che i bambini smettevano di crescere davvero solo da cadaveri.

Il vero peccato, e la vera colpa, c'era sempre stata, accoccolata nella sua tana buia come un predatore dormiente, ma in attesa di un'occasione, di una crepa, di una ferita. Era intrinseca, diffusa in nuclei di atomi indissolubili nell'animo umano. Era nella natura del suo essere, fin dal primo vagito, e non è naturale assecondare le proprie tendenze? A quali leggi avrebbe dovuto obbedire se non a quelle a cui era in grado di rispondere?

Era inutile il solo principio, la sola intenzione di voler riordinare tutti gli infiniti scorci di influenze, bagliori rivelatori di cambiamenti, tratti di strada che si sarebbe diramata in vie tortuose e bivi e vicoli ciechi e riunire tra le mani tutti i pensieri che lo avevano accompagnato balenandoli appresso in quell'involuzione di proseguimento, e tutte le possibilità che si presentavano da un dilemma all'altro mentre ciò di cui si ha bisogno è semplicemente trovare il percorso del ritorno, o quello di fuga. Tracciare una linea per legare l'indefinibile in un unico groviglio inventandosi da sé l'ordine, l'etica e la giustizia, tentando di spiegare il perchè di quello, la ragione di quell'altro in una foresta di materialità condannata a dissemblarsi in tutt'altro, a dissolvere legami apparentemente eterni nel caos per rimpiazzarli con ancora una nuova traballante struttura, immemore della precedente e ignara della sua prossima sorte, era la speranza dei primi che si persero.

La vita era disordine, era casualità implosa in continue pulsazioni che impattavano tra loro e figliavano operose come api, e persino lui, che aveva ritenuto giusto pretendere di essere padrone del suo mondo, era giunto all'unica sconfitta che racchiudeva in sé anche certezza: non c'era, e non ci sarebbe stata mai, alcuna forma di controllo.


****


C'era stato un inizio, ma non riusciva o non voleva rintracciarlo.

C'era stato, però, un principio di consapevolezza, forse un battere di palpebre disabituato alla luce del sole. Forse, il sorprendersi per la prima volta a brancolare nell'oscurità. Era semplicemente successo di rendersene finalmente conto, ed ancora era indeciso se essere grato a quell'acume improvviso o meno. Il velo non era stato sollevato grazie alla comparsa di una qualche verità, piuttosto al verificarsi della mancanza di essa; e da quel dubbio sfaccettato da rassicurazioni e stordimento, aveva fissato lui l'inizio delle proprie scoperte.

Era successo durante il suo compleanno.

A sette mesi dalla rocambolesca partenza dal suo villaggio natale, dopo aver riunito sotto la bandiera dell'amicizia persone eccentriche quanto lui ed essere ormai famigerato in buona parte della Rotta Maggiore, Monkey D. Rufy aveva compiuto diciotto anni, trascorsi in una perpetua risata.

Se il tempo indicava al suo corpo di aver varcato la soglia della maturità, la mente scrollava le spalle alla novità, interdetta e perplessa. Di cambiamenti, nella sua vita, ce n'erano stati abbastanza da riempirne esaustivamente un libro – o un diario di navigazione, conoscendo Nami. Eppure, quello che gli era parso un traguardo importante era giunto e passato senza lasciare tracce in lui. In un certo senso apprezzava di essere rimasto lo stesso Rufy di sempre, anche se era punto da una lieve amarezza per la mancata straordinarietà dell'avvenimento in confronto… ad altro.

Quando se ne tornò a letto, a sera tardi, trascorsa la tempesta e tutto il resto di cui era stato malauguratamente partecipe, rimuginò che, dopotutto, il suo turbamento era dovuto alla festa mai verificatasi. O forse dal fatto che nel giorno in cui i sospirati cambiamenti sarebbero dovuti arrivare, qualcuno avesse deciso di realizzare il suo desiderio inondandolo, sì di sorprese, ma di quelle che non si era minimamente anticipato.

Ora sapeva che non è possibile prevedere mai niente dalla vita, ma, tre mesi fa, ne era ancora beatamente ignorante.

Quella sarebbe stata la sua rovina.

****


Si era svegliato ancora colmo di sonno, troppo presto per i suoi canoni. Dall'oblò socchiuso, mentre rotolava fuori dal letto matrimoniale nella cabina del Capitano, filtrava solo un oscurità tanto impenetrabile da rendere i mobili un'ammasso di ombre squadrate. Normalmente, se mai occasione si fosse presentata di svegliarsi attorno all'alba, si sarebbe semplicemente girato su un fianco riprendendo a riposare. Quel giorno, invece, aveva un piano.

Con una sorta di riserbo, meditava di usare indisturbato il bagno adibito ai maschi, prima che venisse occupato in massa.

Era un proposito solo in parte intenzionale, perchè ignorava effettivamente l'ora esatta. Il cielo era un'unica nebulosa di tenebra, e sarebbe rimasta così anche in seguito; le prime gocce di pioggia turbinavano nell'aria elettrica mentre camminava silenziosamente per il corridoio. Salutandolo, prima ritirarsi nella sua camera per la notte, Nami aveva accennato ad una tempesta furiosa in procinto di scatenarsi appena fuori dall'Arcipelago. Rufy aveva perciò già abbandonato ogni flebile speranza che il clima gli accordasse un miglioramento come regalo, ed era risoluto a mantenere il suo buon umore anche tra lampi e fulmini.

Il bagno era l'unica stanza, escludendo quella di Nami, provvista di uno specchio. Trascorse quella breve mezz'ora di pace esaminandosi il volto nella penombra, sfiorando la pelle imberbe delle guance nella ricerca di qualche solco, di elementi estranei.

Si studiò metodicamente e con attenzione, con il cuore che sobbalzava nel petto a strani intervalli.

Ricordava chiaramente un pomeriggio estivo nel villaggio di Fusha. Shank aveva riso mentre lui si strozzava con un goccio di Rum; gli aveva scompigliato i capelli prendendolo in giro fino alle lacrime prima di aggiungere che, tra qualche anno, sarebbe diventato un uomo simile a lui.

Ma nello specchio vide soltanto un volto conosciuto, dai tratti delicatamente perfetti, tanto da sembrare androgini, ed infantile.

Infine decise che perseverare sarebbe stato stupido, e diede le spalle al suo riflesso per entrare nella doccia.

****


"Cosa fai, lattante?" lo aveva salutato cavernosamente Rolonoa Zoro.

Si erano incrociati a metà strada.

La camera del Capitano era l'ultima del secondo piano, e per raggiungerla avrebbe dovuto superare quella della ciurma, da dove proveniva il russare fragoroso di Usop. Rufy stava tornando indietro il più cautamente possibile, indeciso se risentirsi da ciò che aveva appena visto, quando dei passi strascicati e smodatamente pesanti avevano annunciato la sua presenza.

Zoro lo accolse con addosso i soliti abiti, alquanto stropicciati, meno la panciera verde a cui legava le spade. Aveva uno sguardo opaco, quasi vitreo, e continuava a grattarsi i capelli corti come se fosse perplesso del perchè mai si reggesse in piedi. Perplessità condivisa da Rufy.

Invece di uscire dalla stanza dei ragazzi, come si sarebbe aspettato, era emerso dalle scale. Ciò significava che probabilmente Rufy non era stato l'unico ad alzarsi presto. Lo stupì, considerato chi si trovava di fronte. Zoro lontano dalla sua amaca prima delle nove equivaleva per molti, specialmente per Usop, al segnale dell'Apocalisse incombente. Poi considerò la possibilità che avesse aiutato i suoi compagni ad organizzare in gran segreto una festa in suo onore: questa vanità prevalse sulla sua debole logica.

Una cosa lo aveva infastidito più di quanto gli costasse ammettere, di cui Zoro era inconsapevole. Aveva scelto di chiamarlo con quel ridicolo epiteto proprio nel momento in cui era maggiormente vulnerabile a quel genere di insulti. Rufy ormai era abituato agli elaborati commenti riservatigli da lui, Sanji e tutti quanti, ma siccome quest'ultimo racchiudeva un fondo di verità, lo offese.

"Ciao… stavo in giro," rispose pacatamente, studiandosi i sandali infradito.

"A quest'ora? E' un miracolo se ti svegli prima delle nove."

Rufy resistette all'impulso di sbuffare. Poteva dire lo stesso di lui. Specialmente se si trattava di uno che restava sdraiato stile mummia tutta la giornata per poi apparire come un fantasma a cena, bere, battibeccare con Nami e sparire di nuovo nell'oltretomba. Non diede voce ai suoi pensieri: avrebbe evitato ad ogni costo un litigio. Gli altri si sarebbero svegliati, avrebbero fatto domande e lui era assolutamente restio a confessare i suoi motivi, soprattutto del loro scarso esito; si sarebbe vergognato da morire perfino parlandone a Shank.

"Dovevo andare in bagno." mormorò scrollando le spalle.

Le labbra di Zoro si curvarono nel familiare sogghigno asimmetrico. "Incontinente?"

Rufy annuì vigorosamente, grato per l'occasione di sviare il discorso, ignorando totalmente il significato della parola.

Zoro distorse la faccia in una smorfia disgustata.

Oops. Nuovo sbaglio. A quanto pare si stava comportando in modo più imbarazzante del solito. A pranzo Sanji ed altre persone intelligenti non gli avrebbero dato tregua. Rufy si preparò ad incassare altro sarcasmo.

"Dov'è il tuo cappello?" fu tutto quello che Zoro disse, lasciando andare la questione, percependo il suo disagio. Senza aspettare risposta si diresse pigramente verso il piano superiore. Rufy gli trotterellò dietro, abbandonando senza rimpianti il blando proposito di tornarsene sotto le coperte. Dubitava che avrebbe ripreso subito sonno, e comunque lo aveva già perdonato.

"Posso andare a prenderlo dopo. Come mai tu sei in piedi?" chiese nuovamente gioviale.

Lui gli rispose senza voltarsi, con un borbottio sbrigativo. "Non riuscivo a dormire."

Rufy corrugò la fronte, disorientato. Si ricordò di Zoro, stravaccato catalettico sul ponte durante la traversata per l'Isola del Cielo. Provò a conciliare quell'immagine con ciò che gli aveva riferito, restando scettico. L'entità della cosa era troppo assurda perfino per lui, specialmente se contava di conoscerlo meglio di ogni altro. Zoro era famoso per riuscire nell'impresa di appisolarsi in mezzo al caos di una battaglia, o durante una sfuriata di Nami, e quelle recavano più danni di uno scontro piratesco; figuriamoci in una fresca nottata di tarda estate.

"Quando questo sarà vero," esclamò dispettosamente, "allora Sanji mollerà Nami per Usop."

Zoro gli lanciò un'occhiata da sopra le spalle.

"Giusto?" gli sorrise Rufy, dopo una pausa.

Zoro iniziò a salire, con lui appresso. "Forse."

Rufy non replicò nel tentativo di avviare una qualche conversazione. Distratto, aveva udito solo lontanamente la sua risposta concisa. Nella sua mente aveva trovato posto un'altra stranezza.

Zoro era sempre sincero, a costo di rischiare la vita o di essere massacrato da rosse a cui piaceva il sangue. Considerava il mentire come meschino, al di sotto di lui. Sdegnava apertamente le persone senza scrupoli, e forse questo era collegato ai suoi frequenti litigi con Nami. A causa del suo senso dell'onore e di rigidi principi morali su qualcosa di molto importante – Rufy sapeva solo che erano rigidi – il dire la verità era una sua costante. Ciò contribuiva a rafforzare il loro legame, perchè Rufy era stato spesso definito con delicatezza da Makino come un tipo limpido, e quando aveva chiesto spiegazioni ad Ace questo gli aveva risposto: "Idiota!", e pensava che, in fondo, tra individui socialmente inetti c'era empatia. Tra i suoi compagni ce n'erano solo due che poteva affermare di comprendere davvero: Zoro ed Usop. Non lo aveva mai preoccupato la sua incompatibilità con Sanji o Nami, né probabilmente loro ci facevano caso. Di questo, tuttavia, poteva solo affidarsi alla sua scarsa perspicacia. Se poteva indovinare qualcosa su qualcuno, si trattava di qualcuno almeno un poco somigliante a lui. E ciò di cui al momento era sicuro, realizzò con una vaga sorpresa, era che Zoro aveva deciso di calpestare l'onore per mentirgli.

Al tempo, però, non costituì un gran fastidio, a parte farlo sentire senza terra sotto i piedi per un attimo, e di mettergli il broncio. Aveva altro di cui preoccuparsi, specialmente se si trattava di un'omissione insignificante, così abbandonò la questione facilmente.

Non immaginava neppure quanto, nei mesi a venire, se ne sarebbe pentito.

"Senti, è il mio compleanno." suggerì con falsissima indifferenza, senza più riuscire a trattenersi. Erano arrivati al primo piano, che si costituiva in un lungo corridoio conducente alla sala comandi, alla cucina, ed infine al ponte esterno. Rufy aveva raggiunto Zoro, e camminavano affiancati.

Zoro alzò un sopracciglio.

"Ah," fece. Seguì un breve silenzio, durante il quale Rufy attese impaziente.

"E allora?"

Rufy spalancò la bocca, completamente spiazzato.

Gli aveva ricordato almeno un centinaio di volte delLa Data imminente nel corso del loro soggiorno nell'Arcipelago di Latua, consapevole della sua tendenza amnesiaca. Rufy considerava in generale i compleanni come avvenimenti importanti, perchè includevano torte, occasionalmente regali o, in mancanza di essi, era almeno educato fare gli auguri. Usop gli aveva descritto pomposamente le responsabilità dovute al passaggio alla maggiore età, qualcosa oscuramente legato alle donne ed all'alcol, e Usop era già diciottenne, perciò aveva ampie conoscenze in merito. Probabilmente Rufy l'avrebbe trovato uno splendido discorso, se lo avesse ascoltato per intero. Non gli risultava chiaro neppure ciò di cui si ricordava, specialmente la parte con le api, le cicogne ed i cavoli. Ma Rufy era un tipo limpido, così aveva scrollato le spalle prestando fiducia al suo entusiasmo. Aveva anche iniziato a gettare indizi sul voler fare le cose in grande, specialmente riguardo a cucinare diciotto torte perchè era indeciso sulle creme per la farcitura. Nonostante la maggior parte delle sue richieste fossero state ignorate, come di regola quando apriva bocca, almeno era sicuro di aver reso indelebile La Data nella memoria della ciurma.

Sapeva anche che il gruppo si divideva fondamentalmente tra gli amanti del divertimento, e i pazzi che preferivano ad una serata di canti, balli o ad un'avventura, restarsene a leggere, a fumare o a sonnecchiare.

Così, Rufy non pretendeva certo miracoli.

Ma le parole di Zoro furono sentite ugualmente come un schiaffo in faccia.

All'improvviso si sentiva stupido per averlo seguito tutto contento. Anche se, onestamente, l'emozione che gli aveva fatto battere forte il cuore era lontana dall'esserlo. Che Zoro se ne fosse dimenticato o no, si trattava in ogni caso di un giorno importante per lui, e Zoro era il suo migliore amico, nonostante le evidenti differenze di carattere, le sue rudi attitudini. Era stato egoista ad aspettarsi un minimo di entusiasmo?

Rufy soffocò quell'ipotesi sul nascere.

Del resto, almeno Zoro avrebbe dovuto capirlo, perchè capiva sempre tutto quello riguardante Rufy, perfino meglio di se stesso. Aveva gestito magistralmente quell'orribile situazione con Usop, ad esempio. Talvolta Rufy pensava che avesse addirittura prevenuto lo sciogliersi della ciurma. Le sue parole a sangue freddo, rivolte ai propri doveri e a quelli di ciascuno di loro avevano contribuito a mantenerlo lucido, con un sorriso forzato sul volto. Il litigio c'era stato comunque, finito col suo labbro inferiore sanguinante e tre dita slogate nella mano di Usop, ma dopo quello sfogo si erano fatti coraggio ed erano scesi dalla Going Merry, insieme. Da quella tragedia sventata aveva stimato Zoro anche maggiormente di quanto già faceva. Si era abituato a considerarlo semi onnisciente nei suoi confronti, e Rufy era stato davvero felice per l'arrivo di questa giornata, e Zoro lo aveva ignorato ed ora mortificato.

Rufy si sforzava di pensare di non doverlo incolpare, di evitare di sentirsi così deluso. Zoro si interessava raramente a questo genere di cose, come Rufy derideva le sue tendenze da lupo solitario, e Zoro ignorava le parole di Shank e soprattutto non era Shank, ma nelle sue orecchie risuonava con chiarezza la voce tonante di Usop, quando cieco di rabbia e forse per questo onesto come mai era stato, aveva schernito le sue offerte per cercare una nuova barca, lo aveva afferrato per la camicia e urlatogli contro: "Per te ogni dannata cosa è solo un capriccio!".

Per puro orgoglio si mostrò quasi perfettamente tranquillo quando gli rispose.

"Ecco, di solito è considerata una bella cosa." spiegò dimessamente, evitando di dilungarsi, "Una cosa che va festeggiata, tipo." aggiunse, sperando di essere discretamente persuasivo.

"Per te ogni dannata cosa è un avvenimento. Non ti stufi mai?"

Prima che Rufy potesse oltraggiarsi come era suo diritto, Zoro continuò, "Comunque, quanti ne fai? Di anni, intendo."

"Oh. Ehm." Rufy ci mise un attimo per concentrarsi, "Diciotto! Ed è un numero molto, molto importante. Ma tu lo sai già, ovviamente." e fece un gesto con la mano per sottolineare l'ovvietà della questione.

Zoro, dall'alto dai suoi Venti, soffocò uno sbadiglio. Gettò uno dei suoi sguardi annoiati ed al contempo penetranti al suo corpo efebico, alla forma gracile delle spalle, agli occhi grandi dalle ciglia troppo lunghe e folte per sembrare virili. Disse: "Sei tale e quale a prima." con una finalità laconica nel suo tono.

Si ricordava di come quella frase servì a farlo vergognare.

Subito dopo la rabbia e l'indignazione, a malapena represse finora, si fecero strada in lui senza trovare più freni.

Zoro è un deficiente trespade!, strillò un coro Greco nella sua mente. Rufy provò una sorta di malefica soddisfazione nel pensarlo, nell'aver momentaneamente accantonato il dispiacere per qualcosa di più sicuro. Subito dopo lo squadrò di nascosto, allarmato che fosse davvero onnisciente e ce l'avesse a morte con lui.

Zoro lo stava ancora fissando, perse le ultime tracce di stanchezza: sembrava piuttosto sconcertato.

"Che ti prende?"

"Non leggere!" strillò Rufy per davvero. Si schiacciò le mani sulla fronte, nel tentativo di ripararsi da un eventuale attacco psichico.

Zoro batté le palpebre.

"Lo sai che sei totalmente pazzo, eh?" gli disse, scandendo ogni parola con cura.

Ogni tanto gli piacerebbe far capire alla sua ciurma che la sua ragione di vita non era essere insultato.

"Grazie," sibilò a denti stretti. Se lui era pazzo, allora Zoro era sadico, malvagio e bugiardo, e sarebbe stato perfettamente legittimo di tirargli un pugno, se non fosse stato troppo occupato a difendersi la testa. Gli fece una linguaccia per mostrare tutto il suo odio intramontabile.

Zoro scosse la testa, schifato, e riprese ad avanzare.

Rufy incrociò tetramente le braccia, quando decise di essere ad una distanza sicura da qualsiasi raggio intrusivo. Fu tentato di tornarsene a dormire per dimostrare quanto la sua indignazione fosse intensa, ma aveva fame, la cucina era proprio a qualche metro, e comunque Zoro era un indolente privo di tatto ancora allo stato selvatico, capace unicamente di travisare qualsiasi tipo di comunicazione avesse con altre forme di vita.

Poi si ricordò di quando aveva studiato il proprio riflesso, pallido alla luce tremolante della lanterna sopra lo specchio, e del disappunto provato mentre accarezzava la mascella e gli zigomi lisci come pesche. Aveva pensato che Shank fosse ancora troppo lontano. Ora, pensava che Zoro in fondo avesse ragione. Rufy era fisicamente uguale a ieri, lo stesso ragazzino magro di quando si erano incontrati. Si morse le labbra e si disse, nessuna sorpresa in arrivo.

Per la prima volta si accorse che per guardare lo spadaccino negli occhi doveva alzare il capo fino a farsi male al collo, particolare prima dato per scontato. Si chiese perché gli fosse venuto in mente ora. Evitò di indagare oltre. Decise di non sprecarsi oltre con qualcuno dal cervello perpetuamente in coma. Avrebbe mantenuto la propria dignità, invece di tenergli il muso proprio come un lattante. Zoro era troppo uomo per festeggiare? Perfetto, annuì a se stesso: lui la torta non l'avrebbe neppure vista.

Trovata la sua motivazione si affrettò a recuperare il terreno perduto in rimuginamenti, avanzando spedito a testa bassa per non incrociare per caso lo sguardo di Zoro ed essere vittima di nuove cattiverie. E per evitare di cedere alla tentazione di fratturargli la mascella, c'era anche quello.

Ma siccome era una di quelle occasioni in cui andava tutto storto, l'idea di camminare a testa bassa si rivelò rovinosa, perchè quando coprì la distanza tra lui e la cucina non si accorse che la porta era chiusa, così ci sbatté contro e vide le stelle per il dolore.

"Ahio,"

Quello era un generoso eufemismo.

Si massaggiò la fronte, che doveva aver assunto la colorazione del cielo al tramonto, quando udì la risata sommessa di Zoro. Si voltò di scatto.

Zoro era fermo in dietro di qualche metro, totalmente indifferente all'idea di entrare per secondo, le braccia conserte e l'aria divertita ancora leggermente perplessa, ma priva di malizia. Rufy forse avrebbe sotterrato l'ascia di guerra se non si fosse ricordato di un'altra situazione in cui si era ritrovato a coprisi la faccia in sua presenza.

Arrossì e abbassò velocemente la mano, aggrottando le sopracciglia.

"Credevo l'avessi lasciata aperta," disse cercando di giustificarsi, mangiandosi le parole nella rabbia.

"Sommo idiota, ti pare che sia entrato?" constatò l'ovvio lui. Allargò le braccia, come a sottolineare di trovarsi in mezzo al corridoio e si starci pure comodo, ridendo ancora un po' a sue spese.

"Scusa, sai, mi ero dimenticato di quanto tu sia lento!" soffiò tentando di darsi un tono, arrabbiandosi ancora di più quando si senti le guance bruciare almeno quanto la fronte. Incassò la testa nelle spalle stringendo i pugni, rendendosi conto di aver voluto apparire minaccioso quando invece si palesava umiliato.

Zoro sospirò pesantemente, come se stesse invocando un'abbondante dose di pazienza. "D'accordo," borbottò, "Lasciamo perdere."

Era evidentemente stanco di quel battibecco. La mancanza di sonno lo aveva ridotto in pessima forma, pensò Rufy stizzosamente. Con Nami poteva andare avanti anche per due ore piene – contate dal cronometro di Usop – prima di finire sbalzato in mare con più di un arto spezzato.

Zoro ne aveva davvero abbastanza, sarà perchè era un animale notturno, ma non gli rivolse più la parola, mentre riprendeva ad attraversare il corridoio. Rufy non si schiodò dalla porta, ma nemmeno mosse un passo per entrarci, interdetto se voltargli le spalle definitivamente e far finta che fosse annegato nel sakè almeno fino a sera, oppure stare lì ad aspettarlo per entrare assieme. Rufy non seppe mai alle fine se lo avrebbe perdonato o no, perchè Zoro non entrò in cucina.

Gli giunse accanto e lo sorpassò, come se non fosse mai stata sua intenzione entrare sin dall'inizio. Rufy lo seguì allontanarsi nel corridoio semi illuminato, sorpreso. Si chiese se lo spadaccino fosse così stufo di lui da trovare la sua vicinanza insopportabile, o se il suo senso dell'orientamento lo avesse abbandonato del tutto. Aprì la bocca per chiederlo, e quello che ne uscì fu:

"Sai se Nami è già sveglia?"

Zoro si bloccò vicino all'ultima porta, e vi rimase immobile dandogli le spalle. Rufy si riscosse, mordendosi ancora il labbro inferiore, come faceva sempre quando era incerto.

Aveva parlato nonostante avesse di deciso di fare come se non esistesse, come prima aveva giurato. Rufy sapeva che Zoro prendeva queste genere di cose sul serio e seguiva ferreamente le proprie decisioni, ma Rufy era incapace di mantenersi arrabbiato tanto a lungo, o perlomeno, la sua spiccata – e sì, lo ammetteva, fastidiosa – curiosità vinceva sempre. Così gli capitava di aprire bocca troppo spesso, dipingendo ciò che aveva detto prima come privo di valore o inintenzionale. Come un capriccio.

Quando accadeva, le persone iniziavano a screditarlo fino a pretendere che le sue opinioni fossero prive di valore, o che addirittura gli fosse impossibile formulare un ragionamento corretto, arma segreta di Nami per avvantaggiarsi nelle loro dispute sul monopolio dei contanti.

Generalmente questo indisponeva Usop, provocava sbuffate di nuvole tossiche a Sanji, e andava bene per Nami perchè lei era una donna diabolica, ma si trattava di persone che per quanto gli volessero bene, per quanto fossero disposte ad seguirlo in folli avventure e combattere al suo fianco per folli ragioni, non avevano un grande opinione di lui. Sospettava che lo considerassero come una specie di animaletto carino, ma un po' scemo, che ti coccolava quando gli davi da mangiare ed era puntualmente volatile; il tipo che andrebbe a prendere cibo anche da chi intendeva scuoiarlo. Era un amico, era simpatico, e gli volevano bene, ma non era un loro pari.

Zoro, invece, lo rispettava.

Lo aveva sempre fatto, primo e unico tra la sua ciurma, e la loro amicizia era dovuta a quel sentimento; c'era un motivo se navigavano insieme. Il loro rapporto era basato su una fiducia reciproca che si spingeva oltre al mero conto su di te perché saremo uniti nelle difficoltà. Era più conto su di te perchè sai cosa fare della tua vita. Zoro non si appoggiava a lui, camminavano accanto nella stessa direzione. Certo, nutrire una fiducia tanto sconfinata in Rufy avrebbe scatenato l'ilarità Nami perchè – perchè lei probabilmente avrebbe detto che Rufy era ben lungi dal meritarsela. Rufy aveva spesso desiderato chiedere cosa una persona dovesse fare per meritarsi la sua approvazione, e dirle che se ancora adesso la pensava così era semplicemente perchè lei non si fidava di nessuno. Ma questo tipo di discussione metteva di cattivo umore tutte e due, così lui sorvolava nel tentativo di preservarsi da un mal di testa, o di averla spaccata in due.

I suoi compagni screditavano anche la profondità dei suoi sentimenti, la loro stessa natura. Forse Rufy dava loro ragione perchè di fronte a questo, invece di dimostrare il contrario, scrollava le spalle con un sorriso e li lasciava credere ciò che preferivano. Rufy trovava inutile tentare di convincere una persona quando si rifiutava di vedere, e comunque per lui era uguale, perchè indipendentemente da ciò che pensavano più o meno rumorosamente tutti quanti, Zoro lo rispettava comunque.

Rufy si rese conto di essersi comportato come con ciascun altro, superficialmente, quando considerava i loro litigi a sua volta come il gioco di bambini; qualcosa dopotutto senza importanza. Così aveva screditato l'unica persona che lo considerava suo pari.

E Zoro non avrebbe invocato il Cielo e dato per scontato il suo comportamento eccentrico. Non avrebbe detto niente, ma poteva capire, poteva sentire, che in quel momento Zoro disprezzava anche lui.

Fu doloroso.

Lo vide voltare lentamente il capo, i tratti rigidi, e puntare i suoi occhi scuri, taglienti, nei propri. Rufy si sentì indifeso; avrebbe voluto scappare in cucina e affogare il suo dispiacere in qualcosa ad alto contenuto di zuccheri, come era abituale a Nami dopo un massacro particolarmente sfiancante. Sfortunatamente quello sarebbe anche stato peggio, perchè oltre che un superficiale lo avrebbe reso un codardo, così si offerse al suo esame senza dire una parola, ed alzò lo sguardo.

E ciò che vide fu ancora diverso da quello che prevedeva.

Negli occhi di Zoro non c'era nemmeno un oncia di quel disgusto misto a vago disappunto rivolto ogni tanto a qualche avversario particolarmente meschino. Non era nemmeno lo sguardo annoiato di qualche minuto fa. Non era niente che gli avesse scorto prima d'ora. Fu quello che lo allarmò maggiormente, perchè dopo mesi – che sembravano anni – in cui gli era stato accanto, si scopriva incapace di leggerlo proprio come era incapace di leggere tutti gli altri. Probabilmente nei suoi tratti trapelò la paura che gli stava stringendo lo stomaco, nel pensare a quell'uomo di fronte a lui per la prima volta nei termini di un estraneo.

Sicuramente doveva aver compiuto qualche orribile stupidaggine per meritarsi quello sguardo lontano e spaventoso, e se solo Rufy fosse stato meno stupido avrebbe potuto chiarire l'equivoco. Se solo fosse stato capace di ricordarsi cosa lo aveva provocato, o di rendersene conto. Ancora prima di mettercisi realmente d'impegno la considerò una causa persa. Rufy si conosceva: non ne era in grado. Avrebbe dovuto aprire di nuovo bocca e chiederglielo. Questo avrebbe definitivamente affondato l'opinione di Zoro su di lui, ma almeno poi avrebbe potuto rimediare. E Rufy preferiva l'amicizia a qualunque ragione dell'orgoglio.

Zoro l'anticipò. Dopo un lungo momento di gelo, fu quello che interruppe il silenzio. Rufy gli sarebbe stato terribilmente grato, se solo quello che disse non contribuì a gettarlo in una confusione ancora più grave.

"Perchè lo vuoi sapere?" chiese soltanto.

Rufy fece mento locale. Più velocemente del solito, grazie alla sua preoccupazione, e realizzò che si stava riferendo a Nami.

"Così, davvero. Niente di particolare," si affrettò a rispondere, "Era solo per non annoiarsi a mangiare da solo."

Sempre che tutti quanti non fossero nascosti nel buio della cucina, pronti a saltare fuori da sotto al tavolo con una torta e varie esclamazioni di giubilo. Ora sembrava piuttosto improbabile. E non gli importava più di tanto.

"Sono ancora arrabbiato con te," esclamò senza pensare, poi si pentì di quanto brutale suonò. "Non me ne sono dimenticato." continuò alzando il mento, sperando che le sue parole sconclusionate giungessero a Zoro con una parvenza di significato. "E' solo che… io parlo tanto."

E un giorno avrebbe dovuto imparare a starsene zitto.

Zoro fece un gesto seccato con la mano nell'aria. "Si, lo so," gli rispose brusco. Sembrava ancora agitato, pericoloso.

Rufy voleva mettersi le mani nei capelli e iniziare a tirare da tutte le parti. Allora qual è il problema?, pensò all'apice della frustrazione.

"Ehm," ricominciò, "Ehm. Quindi facciamo pace?"

Zoro sbuffò. Anche quello era un brutto segno, ma almeno quell'esasperazione era familiare, quasi rassicurante.

"Sì, quello che è." sibilò sbrigativamente.

Rufy attese un paio di secondi, ma Zoro tornò silenzioso.

"… Okey." mormorò a voce bassa.

Solo una cosa gli era chiara: Zoro era palesemente disinteressato a qualunque parola rivoltagli dopo il suo sbaglio. Rufy iniziava a sentirsi i palmi delle mani sudare. Non sapeva più cos'altro fare o dire. E smise di cercare una risposta nel suo volto imperscrutabile. Abbassò gli occhi, e, come se si fosse trattato di una dichiarazione di resa, la tensione nelle spalle di Zoro scomparve.

Quel terribile momento passò, così, veloce come un brivido improvviso.

Rufy si disse che era sollevato. Quante storie, pensò. Si era alzato con tutti e due i piedi sbagliati fin dall'inizio, e da lì in poi le cose erano andate di male in peggio. Dopotutto, lui era stupido: quelle stranezze che lo avevano confuso ed indispettito ed impaurito poteva essersele tranquillamente immaginate. Magari Zoro era semplicemente irritato dal suo atteggiamento volatile, anzi, forse era stato addirittura Rufy a provocarlo, con le sue domande e il suo offendersi e poi insultarlo. Era lui ad essere colpevole per quel contrasto con il suo migliore amico ancora stordito dal sonno. Si era costruito mille fantasticherie perchè in fondo non c'era nient'altro: quello sarebbe stato un giorno come gli altri, proprio come temeva, ecco risolto il mistero, del resto era già da un paio di giorni che stava sulle spine, attendendo scalpitante che accadesse qualcosa, era tanto nervoso da dormire poco, era in uno stato di paranoia quasi cronica, quando in realtà, in realtà andava tutto bene.

Zoro non gli prestò più attenzione, né tornò verso di lui, ma riprese il suo tragitto. Rufy si guardò dal richiamarlo indietro, o dal respirare troppo forte. Appoggiò la mano umida sull'ottone della maniglia dietro di lui, ma, quando gli diede di nascosto un'ultima occhiata prima di aprire la porta, finalmente realizzò con una sorta di vago sgomento dove i suoi passi pesanti lo portavano: fuori. Ad un'allucinante ora mattiniera. Con una tempesta in arrivo.

Senza aver fatto colazione.

"Ma…" parlò. Non poteva farne a meno. "Ma… dove vai…?"

Zoro spalancò la porta con una spallata poderosa proprio mente una folata di vento fradicio gli si abbatteva contro.

"A dormire." disse, e sparì mentre quella si richiudeva con un cigolio di cardini sfiniti.

****

Alla fine il dolce lo aveva mangiato davvero.

Non si trattava della torta mille-piani sognata, e di cui dubitava la sua effettiva esistenza nella realtà. Seduto al tavolo, dondolando le gambe dallo sgabello mentre tuffava il cucchiaio in un enorme affogato al cioccolato con tanto di cigliegina, considerò che andava bene anche così.

Tralasciando il tintinnio del metallo contro il vetro gelato del suo calice, e il fitto tamburellare della pioggia contro l'oblò alla sua sinistra, tutto era silenzioso. L'azzurro del cielo si poteva solo rimpiangere, esiliato com'era da una nebbia fosca e minacciosa, con timide reminescenze di luce che tagliavano a brevi intervalli l'onnipresente corazza di nubi. Sul frigo, l'orologio segnava le sette meno un quarto. Nessuno sano di mente avrebbe abbandonato il suo letto così presto ed in un mattino così brutto se non tentato da cioccolato e ciliegine. Eccetto Sanji, ovviamente, abituato da anni ad alzarsi con il sole come i galli, e Nami che funzionava al contrario. Personaggi del genere. Usop, che era il più saggio di tutti, si sarebbe svegliato solo a mezzogiorno, quando la burrasca avrebbe effettivamente colpito il loro tratto di rotta e ci sarebbe stato bisogno del suo aiuto al timone.

Sarebbe stata la prima e l'unica persona a fargli gli auguri.

Nami stava chinata sul tavolo, i capelli rossi schermavano parzialmente il suo profilo perfetto, concentrato. Continuava a dividere l'attenzione dallo spesso volume di più di mille pagine aperto accanto a Rufy e la mappa giallastra su cui disegnava, aggrottando le sopracciglia.

"E' strano, sai," Rufy parlò con la bocca colma di sciroppo all'amarena, riconciliato con il mondo. "Che Sanji mi abbia preparato questo senza protestare." indicò col cucchiaio il tripudio colorato che aveva davanti, come a sottolineare l'eccezionalità dell'avvenimento. "Voglio dire, si è anche impegnato. Di solito cose del genere le prepara solo per te."

Nami non diede segno di averlo sentito. Si strinse la giacca di pelle color carbone sul petto per ripararsi dal freddo, riprendendo il suo rito: guardare il libro, la carta, prendere appunti e disegnare scarabocchi.

"Forse è perchè oggi è il mio compleanno," ritentò, guardandola di sottecchi, senza trepidazione.

Nami tacque.

"Comunque, è da un po' di tempo che Sanji mi sembra diverso. Sta per i fatti suoi a fumare, cioè, lui fuma praticamente sempre, però evita anche di fare la guardia alle scorte di cibo…" prese assorto un'altra cucchiaiata di gelato. "Forse è un miglioramento."

Nami chiuse il tomo polveroso con uno scatto ed un tonfo: era il primo rumore forte che sentiva, e quasi sussultò. La guardò raccogliere con veloce metodicità i suoi strumenti. Si sollevò in piedi con le carte tra le braccia e lo fissò.

"Siamo a corto di inchiostro. Vado a cercarlo nella stiva." disse secca, voltandosi prima che avesse la prontezza di annuire.

La porta si chiuse dietro di lei con un cigolio.

****


Spesso gli capitava di pensare a quando l'inevitabile avesse preso forma, e quando ancora avrebbe potuto passarci accanto senza venirne toccato.

Se, per il volere della fortuna, avesse deciso di restarsene dov'era riesumando quell'affogato che non lo attirava più, se le parole combinate di Nami e Zoro, tanto incurantemente taglienti, non avessero contribuito a rafforzare quell'alienazione avvertita fin dallo sparire dell'Arcipelago sulla linea dell'orizzonte, se avesse semplicemente chiuso gli occhi di fronte a quello che ancora faticava a vedere, a quei gesti, a quei segnali nascosti che iniziavano a lusingarlo… o se semplicemente non si fosse mosso, spinto da tale curiosa stranezza, ora, forse, sarebbe stato ancora perfettamente felice.

Salvo.

Si era alzato, invece. Dopo un breve pattegiamento con la sua irritazione, uscì dalla cucina, senza sapere dove dirigersi, me se lo sapeva, e dopotutto lo sapeva, ormai era poco importante nasconderlo.

Ignorava quale fosse stato il suo tentativo di razionalizzare l'intenzione, ma forse si era detto che era una vera ingiustizia che La Data cadesse proprio nel momento in cui era più suscettibile agli improvvisi sbalzi d'umore di certe persone. Si ricordava di aver pensato che recentemente la situazione era stata diversa; anzi, il contrario. E lui vi si era abituato troppo in fretta.

Vagò per i corridori con la mente completamente vuota, giustificando la direzione presa dai suoi passi come puramente spontanea, che la forza propensa a sconvolgerlo era stata l'occasione. Adesso, avvertiva una fitta allo stomaco per aver sciupato tanti minuti preziosi a vaneggiare nel niente, perdendo irrimediabilmente alcuni particolari in seguito follemente vitali, mancando la possibilità di scoprire davvero l'inizio, per pudore dei suoi desideri. Ma quando l'eco dei suoi passi riecheggiò contro il legno nero della tromba delle scale, all'ultimo piano, poi all'ultima stanza incassata nell'oscurità della chiglia, il momento era già passato.







AVVISO: chi mi segue avrà sicuramente notato che è passato del tempo e non sono ancora andata avanti. Questo è perchè circa un mese fa il mio computer è stato infettato da un virus, e nel giro di tre giorni ho perso quasi tutti i miei dati. E' una cosa che al solo pensarci mi riempe d'odio e ho aspettato fino ad ora prima di renderlo noto perchè mi faceva troppo male scriverlo. Ora stò utilizzando un notebook che avanzava a mio zio (bless him), ma, purtroppo, tutti i capitoli che avevo scritto per questa storia (e per Before) non sono recuperabili. Non so se me la sento di continuare a scriverla dopo quello che è sucesso. Mi dispiace un sacco perchè l'amavo davvero, e perchè ho ricevuto delle bellissime recensioni. Comunque terrò il prologo sul sito, in attesa di decidere che cosa farne. Un saluto a tutti voi che ancora mi leggete, spero di tornare a scrivere per voi. Meme.

  
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