Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nyappy    07/04/2011    2 recensioni
Era fuggita, soffocata da una donna che non riusciva a chiamare madre, delusa da un padre assente, mentre annegava in quella mancanza d'aspettative che la circondava ormai da troppo tempo.
Com'erano piacevoli i deboli raggi del sole che filtravano attraverso le fronde del Perthshire, così lontano da casa, così vicino a lei.

Therese è debole, Therese è oppressa, Therese non ha la forza di sollevare il capo. E si abbandona alla natura, sola in un bosco aspro eppure accogliente, una fiala di laudanio nascosta nella gonna.
Therese decide di farla finita.
[ Ambientata nell'Inghilterra vittoriana, tentativo di scrittura Preraffaellita ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Therese aveva sempre un'aria pensosa, e quando i suoi grandi occhi scuri incontravano il cielo sembrava quasi non appartenere a questo mondo.
Sua sorella le diceva sempre che somigliava a quegli esserini inquieti che vagavano tra gli umani in cerca di pace, e forse era proprio così. Amava passeggiare per giardini e campi fioriti, sdraiarsi nascosta dai tronchi
ricoperti di edera ed affondare la testa nei bei ricci, incurante della terra che le sporcava l'abito semplice, riposando le mani su soffici cuscini di muschio.

Accompagnando suo padre in uno dei suoi sporadici incontri con altri artisti aveva scorto di sfuggita un acquerello, opera di Mister Ruskin, ed aveva solo un nome che rimandava a quel ritaglio boschivo immortalato con tale incisività: Crossmouth.
Era fuggita, soffocata da una donna che non riusciva a chiamare madre, delusa da un padre assente, mentre annegava in quella mancanza d'aspettative che la circondava ormai da troppo tempo.
Com'erano piacevoli i deboli raggi del sole che filtravano attraverso le fronde del Perthshire, così lontano da casa, così vicino a lei.
Rocce aspre, felci scure e sottili tronchi grigi già preda dei licheni, che accarezzò con le dita affusolate prima di sedersi, appoggiata al legno solenne. La superficie liscia premeva contro la sua schiena, la posizione era scomoda, eppure...
Therese si sentiva tranquilla, accolta.
Quei colori, il profumo del sottobosco, il lontano scroscio di un fiumiciattolo, l'aria fumosa: affittare quella carrozza per giungere lì era stata una delle sue idee più fortunate.
Deliziata da quella tranquillità cessò di essere Therese e si trasformò in un filo d'erba, una felce, una venatura nella roccia. I suoi occhi si chiusero lentamente, lasciando che immagini, suoni e sensazioni si mescolassero nella sua mente
e le mani le scivolarono a terra, sfiorando il contenuto della tasca segreta cucita nella gonna.

Therese fuggiva spesso, e quando tornava a casa spettinata e con gli abiti da lavare l'unica che le rivolgeva la parola era la sorella, che dopo averla rimproverata dolcemente ordinava alla cameriera di preparare un bagno caldo -perché lei non poteva più farlo.
La sua gola non produceva più suono, la sua voce le era estranea, si era dimenticata come cantare.
Hortense lòe accarezzava spesso la testa, impegnata nella sua rituale cantilena: -E' pericoloso per una signorina, non è conveniente, ci hai fatto preoccupare...-
No. Solo lei era preoccupata, solo la sua adorata sorella, l'unica in grado di capire i suoi sguardi ed i suoi gesti.
Therese ricordò suo malgrado: immagini sconnesse, mugolii, una grande mano che la colpiva in viso e la faceva finire a terra, in lacrime.
Sua madre che la fissava prima di essere nascosta da un altro corpo, piccole mani che cercavano di afferrare l'aria, e quel dolore ancora così vivo da farla rabbrividire.
-Mia figlia?-, anche la voce incredula del padre era sbiadita, coperta dallo scroscio delle acque poco distanti. Non voleva credere, il vecchio artista, che la figlia fosse diventata muta, rotta, la sua bambina che amava cantare.
Per sua madre era tutto un capriccio, una fissazione temporanea. Ma da quel giorno, poco meno di un lustro prima, Therese non aveva più parlato.
Poggiò quasi inconsciamente la mano sul piccolo contenitore vitreo, protetto dalla stoffa.
Sussultò quando quell'armonia venne nuovamente spezzata, deglutì per cancellare il ricordo dell'acqua bollente che la soffocava, la porcellana che cozzava violentemente contro i suoi denti, il viso sul quale le lacrime scivolavano assieme a schizzi brucianti.
Questa era sua madre, il metodo con cui sperava almeno di farla urlare, i capelli sfatti e la tazza vuota in mano.
Ma quelle di Therese erano grida mute, braccia troppo deboli che cercavano di lottare, il corpicino che si divincolava, i capelli aggrovigliati sulla mano della madre e Hortense, seminascosta dalla porta, gli occhi sbarrati dal terrore.
Era stata lei ad avvicinarsi alla figurina scossa sul pavimento, a farla sollevare e pulirle il viso arrossato.
-Povera Therese...-, ripeteva piangendo.
Nuovamente la fialetta si presentò con prepotenza sotto le sue dita. Non aveva cercato quel luogo a caso, nascosto tra i fitti alberi di una Scozia troppo lontana da casa.
-Sposarti? Sei una vergogna!-, la voce della madre risuonava dura, come a ricordarle la sconfitta subita anni prima. Lei non voleva una figlia del genere.
-Chi mai vorrebbe una stupida ragazzina muta?-
Senza dote. Therese era senza dote, eppure fronteggiava la donna con aria di sfida, il capo comunque basso. Non riusciva ad alzarlo, non ce la faceva a superare in altezza la madre.
Sì, voleva sposarsi. Chi non avrebbe amato Julien Melville, la sua splendida voce ed il suo viso che la turbava ogni volta?
Se solo fosse riuscita a farsi guardare... ma non era in grado di suonare bene il piano, i suoi paesaggi erano dipinti troppo scolasticamente, i suoi abiti dimessi come quelli di una serva. Le faceva male vedere Julien discorrere con i suoi amici
d'arte, sorridere ad una bella giovane che non era lei, incurante della discreta presenza di Therese. Possibile che il suo animo così sensibile non si fosse accorto del sorriso che gli dedicava, a lui solo?
Era così sbagliato non parlare? Doveva esserlo, per forza. Doveva esserlo...
-Non ti preoccupare, non lo pensa davvero.-, Hortense cercava sempre di risollevarle il morale, mentendole.
Grazie, scrisse Therese su un pezzetto di carta che recava sempre con sé. Aveva nascosto lo sguardo triste, sentendosi sporca: non era giusto prendersela con la sorella, non era giusto accusarla di giustificare sempre la madre. No?
Estrasse la droga dalla tasca e l'osservò in controluce. Dicevano fosse aspra, eppure infondesse una tale pace, un tale benessere... aveva già imbevuto la mente di ogni più piccolo dettaglio, rocce, erba, foglie, eppure non trovava sollievo.
Il laudanio gli riportava alla mente nuovi, dolorosi ricordi, e sembrava ripetergli il reale motivo della sua visita, perché avesse fatto tornare la carrozza in città, perché quello fosse il suo abito migliore, perché sulla scrivania della sorella si trovasse una lettera d'addio.
Cara Hortense, iniziava in modo tradizionale.
Ma il resto era una lunga, ininterrotta confessione. Perché almeno Hortense non si ribellava, perché non lo faceva ora? Doveva scappare, fuggire di lì. Fuggire da un padre troppo preso da pennelli e oli per pensare alle figlie, scappare da una
madre ipocrita. Non aveva mai raccontato ad anima viva i suoi frammenti di ricordi, ed erano uscite righe confuse, che non aveva la forza di correggere.
Doveva dire addio a Julien, che non l'aveva mai degnata di uno sguardo eppure era stato una delle poche cose che l'aveva sollevata.
Addio, sorella cara. Una fine brusca, una macchia d'inchiostro, una firma netta e pulita. Era stata brava, non aveva versato nemmeno una lacrima. Odiava piangere e far vedere quanto fosse debole. Lo era, non c'era bisogno di enfatizzarlo.
Non era stata Therese a vincere la madre, ne era stata sconfitta. Esatto, era debole, una ragazza troppo giovane che aveva paura di diventare una donna.
Con la sinistra strinse febbrilmente il tappeto di muschio prima di stappare la fiala.
Pensarci avrebbe peggiorato le cose, esitare le avrebbe fatto gettare la droga lontano. Erano mesi che progettava la sua fine.
-Ingrata! Malata!-, queste le parole della donna che l'aveva lasciata tremare a terra, che non osava toccarla se non per farle male. Non avrebbe fatto soffrire nessuno, ed era vero.
Anche Hortense si sarebbe potuta schierare dalla parte della madre e ricevere tutto il suo amore senza preoccuparsi di una sorella rotta.
Si concentrò sull'odore acre del laudanio, i suoi occhi vagavano sull'etichetta che ne recitava le proprietà curative, avvicinò la boccetta alle labbra e ingurgitò il liquido in un sorso.

Stava così bene, sorrideva anche se sentiva la terra scuotersi sotto di lei. Il bosco non era più silenzioso, degli ansimi non le permettevano più di udire anche il ruscello vicino.
E poi apparve lui, avvolto da una veste grigia come i tronchi e dai capelli colore dei rami novelli. Chi era?
Le porse la mano e lei l'accettò con gratitudine, sollevandosi.
-Chi sei?-, gli chiese esitante, ma lui si limitò a sorriderle e incatenare gli occhi verdi a quelli scuri di Therese, che comprese.
E annuì.

Acquerello di Ruskin: Study of Rocks and Ferns, Crossmouth - All'inizio Therese era Raphael, e la storia una mia speculazione su un modello di Simeon Solomon. Essenzialmente, sarebbe diventato uno scritto troppo simile a Vernissage, e così ho stravolto completamente tutti gli elementi. Ho cercato di seguire la truth to nature di Ruskin, il teoretico del movimento Preraffaellita. Ecco, ho cercato di dipingere un quadro usando parole e frasi, adattando il movimento alla scrittura in modo fumoso. Ci sono riuscita? Per il laudano mi sono ispirata alla morte di Elizabeth Siddal, moglie di Rossetti. Ho cercato di rendere Therese una persona sconfitta, che alza la testa solo a metà, che rimane rinchiusa nella sua muta fortezza e incassa tutto, per poi crollare. E' la prima volta che scrivo di suicidio, il suicidio di una persona che nel corso della storia non parla mai, che si abbandona. La documentazione è stata piuttosto complessa -morte per oppiacei, caratteristiche del laudanio, movimento Preraffaellita, mutismo elettivo in seguito a shock infantile. Mi sono divertita un mondo a sistemare anche cronologicamente la storia per farla quadrare con il progetto precedente. Forse qualcosa su Solomon lo scriverò, prima o poi. La morte è per paralisi respiratoria dovuta all'overdose, comunque. Ho aggiunto l'ultima figura in omaggio all'Hesperus di Burne-Jones. Secondo voi chi è? Per me una personificazione di quel bosco che la comprende e accoglie, ignorando il suo mutismo e i suoi traumi. Ho eliminato le ultime due frasi di riflessione sul suicidio perché sono una mia personale considerazione, di solito vista male. Si conforma un po' agli ideali stoici dell'anticipo della fine.
Finisco tutta questa pappardella con una richiesta: vi sarei davvero grata se esprimeste la vostra opinione riguardo alla storia. Ho trattato bene questa tematica delicata? Therese vi è sembrata davvero sconfitta? Lo stile era abbastanza "Preraffaellita"?
Grazie :)
Nyappy
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Nyappy