« Come fai a raccogliere le fila di una
vecchia vita? Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire
che non si può tornare indietro? Ci sono cose che il tempo non può accomodare,
ferite talmente profonde che lasciano un segno. »
»
Giaceva
lì a petto nudo, illuminato solamente dai raggi pallidi di una Luna ormai
stanca. L’alba, aveva sperato di non rivederla quella sera, come se niente
potesse risollevarlo dal sapere di aver sbagliato. Capelli stropicciati, occhi
rigidi dal freddo invernale e parole abbandonate sulle labbra per tentare di
inventare scuse. Dormiva, in quella strana posizione fetale che si assume
quando si sognano cose che escono dall’ordinario, che ci aiutano a vivere.
Draco Malfoy si rigirò sul prato di erba gelata, il petto
nudo libero a sopportare l’azione del vento gelido mentre nello sfondo
un’Hogwarts oramai spezzata pareva difendere le proprie mura con stelle filanti
verdi e rosse.
« Draco, svegliati. » una voce, alle sue spalle l’aveva
fatto rabbrividire ed aprire gli occhi grigi. Tutto ma non quello, non adesso
lo scontro finale. Non ora decidere come doveva andare a finire quella storia «
Alzati. » autoritaria, la voce, si fece sentire di nuovo, Draco si rigirò sulla
schiena guardando ora verso dove prima mostrava le spalle forti e ben scolpite
di uomo, una sagoma sottile stava in penombra su una porta semiaperta. In
silenzio. Non c’era più Hogwarts, davanti a lui, con le sue pareti calde. «
Dove sono? » domandò, voltando gli occhi versi il cielo: grigio, sembrava mandare
bagliori in lontananza, lì aveva visto la sua Scuola combattere ancora per
sopravvivere, la stessa scuola che lui aveva aiutato a distruggere.
« A Londra, Draco. » la voce si raddolcì, l’autorevolezza
caduta dalle braccia che vedeva ora pendere sui fianchi della figura: la
immaginava donna, con fianchi stretti e lunghe gambe di seta. Oh, com’era
bella. Malfoy sospirò, lasciando che le proprie guance si gonfiassero, che
l’odore dell’erba prendesse il sopravvento: quello non cambia mai, da nessuna
parte. L’erba è sempre la stessa, sempre con il suo profumo confortevole e
dolce, sempre con le sue mille mani pronte a toccarti. « A dire il vero a circa
cinquanta chilometri da Londra, ma non penso che a te interessi, vero? »
Era stato proprio quello a renderlo consapevole di chi si
trovasse davanti, il piglio ironico e forse cinico, le labbra dolci ma
taglienti come i coltelli più affilati. Così, solo a quel punto, fece forza
sulle braccia per sollevarsi in piedi. Oh, sì era Bella. La sua mente ripeteva
quel commento con una velocità impressionante, ripetendolo in svariate maniere
e confondendolo con i pensieri che gli
premevano le tempie e stringevano lo stomaco. Calò il silenzio, mentre
finalmente prendeva a muoversi verso la porta, i muscoli irrigiditi dal freddo
che facevano risaltare ancora di più la forma snella eppure virile, i pantaloni
neri incollati a gambe sottili ed agili. Nella destra ancora stretta la
bacchetta magica che vibrava delicatamente sotto la presa fredda.
« Skèpsis? » Ora
era lui a concederle la propria voce roca dal freddo e stranamente incolore;
quel soprannome provocò una strana reazione in lei: la vide irrigidire la
schiena e sollevare il mento, in quella penombra dalla quale si apprestava ad
uscire raggiungendo la soglia della porta ora totalmente, quasi lo attendesse.
La immaginò abbassare lo sguardo per controllare i battiti del cuore ed invece
no: la donna sollevò la bacchetta puntandogliela contro.
« No, Panta Rei caro mio. Panta Rei. » un colpo fermo e
delicato, non la vide accennare nessun gesto ma anzi, rivoltare il volto verso
l’interno. Draco si ritrovò a sollevare automaticamente la bacchetta puntandola
verso di Lei che ora sembrava più che il nemico che non qualcuno di cui
fidarsi. « Non scorre niente, Skèpsis, nemmeno tu. » sorrise, stringendo la
lingua fra i denti, la osservò abbassare la bacchetta ormai tanto vicini da
potersi guardare negli occhi.
Bella, come sei bella, bambolina. Un altro pensiero sotto
pelle a scuoterlo per un momento. Occhi grandi e dorati lo stavano a guardare
con violenza spudorata, quasi on vedessero quel viso da anni o forse da più
tempo, lunghi capelli rossi e ricci che ricadevano su spalle ossute strette da
un dolcevita verde smeraldo: ed il resto non lo stava nemmeno a guardare, gli
bastava osservarne gli occhi per capire.
« Tua madre ti ha detto tutto, vero? »
Lei annuì con veemenza, stritolando la bacchetta ora bassa
« Mi manda gufi molto spesso, sai com’è crede che io possa tornare. » scosse la
testa con un sospiro che si congelò non appena fuori dalla portata delle labbra
« E’ incredibilmente sciocca. »
Erano vicini, troppo vicini, così tanto che lei si scostò
dandogli le spalle e rientrando in casa con il passo leggero di chi cerca di
non svegliare nessuno, in una casa vuota.
« No, è folle ma spaventosamente forte e soprattutto non
ha paura di niente. » la seguì all’interno, pronunciando quelle parole con
calma mentre riponeva la bacchetta nella tasca laterale dei pantaloni. La sentì
ridere con delicatezza, non più la risata bambina che conosceva ma qualcosa di
estremamente adulto a cui doveva solamente abituarsi.
Una volta arrivati all’interno sentì il ghiaccio sul petto
sciogliersi per lasciare spazio al tepore del camino che divampava a qualche
metro da loro. Non si voltò a guardarla ma si diresse direttamente verso il
fuoco. Lei, invece, sembrava dirigersi verso la cucina che si apriva proprio
nella stanza affianco a quella. La sentì lavorare fra pentolini e canticchiare
sottovoce « I wish I had an angel for one moment of love I wish I had
your angel, your Virgin ma.. » per un momento sentì un tremito sulla pelle
fredda. La voce di lei si spense congelandosi. « Mia madre è una persona
estremamente intelligente. » sbucava ora dalla porta con in mano due tazze
fumanti. Cioccolata, ne poteva sentire il profumo tiepido anche da lì, a
qualche metro da lei. « ..ma si è lasciata plagiare, ha bruciato la propria
vita ad Azkaban rinchiudendo me in una prigione ancor peggiore. Non mi ha vista
crescere, e non mi vedrà ora. »
Afferrando la cioccolata, probabilmente erano state quelle
parole a gettarlo nello sconforto. Quelle parole a ricordargli cosa lo
aspettava. Ho ucciso. Ho ucciso. Sono un.. « no, non sei un assassino. »
l’aveva preceduto con una chiarezza incomprensibile. Sollevò gli occhi a guardarla
in silenzio. Lei scoppiò in una risata osservando i suoi occhi diventati rossi
e la carnagione grigiastra quasi avesse faticato troppo in quell’ultimo periodo
o non avesse visto abbastanza il sole. O forse scoppiò a ridere vedendo una
lacrima nell’angolo delle sue labbra, irrigidita dal gelo esterno. « Non penso
che tu sia un assassino, Draco. Hai solamente fatto ciò che hai ritenuto più
giusto, nonostante sia estremamente sbagliato. »
« ..perché? Io avrei potuto scegliere, lui era lì ad
implorarmi di andare con Lui. Ed io.. »
La ragazza pose una mano sulla sua tazza di cioccolata
intrappolando il fumo dentro la porcellana colorata. Gonfiò le guance assumendo
un’espressione estremamente seria mentre s’accomodava al suo fianco, quasi
volesse tranquillizzarlo.
« Il nostro grande problema è che noi siamo chiusi dentro
questa storia fin dalla nascita, fin dal nostro primo respiro. Draco, noi non
abbiamo la possibilità di scegliere è la nostra unica ed eterna costrizione »
sospirò, lasciando andare la mano e liberando il fumo che s’intensificò
straordinariamente. « Noi ancor più di Harry Potter. »
Draco sembrò sciogliersi, andando a posare la testa contro
il muretto del camino. Inspirò il fumo caldo ed il sapore della cioccolata
prima di prenderne una sorsata che ne riscaldò il palato e le labbra, eppure a
quelle parole di lei aveva commentato con una smorfia.
« Vedi, se i suoi genitori non fossero morti lui sarebbe
stato un ragazzino come tutti gli altri. Noi no, noi comunque avremmo
ripercorso le orme dei nostri genitori. Noi comunque saremmo costretti a
diventare come loro. »
Artigliate lungo la schiena, era quello che sembravano le
sue parole e bruciavano il cuore.
Quindi sarebbe stato sempre così? Sarebbe diventato un
assassino senza via d’uscita?
La cosa che gli premeva più di tutto era questo.
La vide alzarsi con movimenti coordinati e delicati, d’una
dolcezza infinita, fra le mani la tazza completamente vuota.
« Mi lasci Skèpsis? » il respiro era diventato gravido
d’agitazione vedendola sollevarsi e guardandola ora lì, davanti a sé, pronta a
sparire lungo le scale.
« E’ ora che tu dorma. » rispose semplicemente, prendendo
dalle sue mani la tazza per andare a posarla – insieme all’altra – sul tavolo
della sala. « Vieni. »
Un ordine semplice ed efficace. Draco s’alzò portandosi in
piedi al suo fianco per seguirla ora ch’aveva preso a camminare in direzione
del corridoio; elegante ed attenta sembrava voltare di tanto in tanto il capo
indietro per controllare che la stesse seguendo o, forse, controllava che non
toccasse niente normalmente gelosa di tutto ciò che le apparteneva. Sospirò,
prendendo le scale che s’aprivano a destra ed avvertendo il respiro caldo di
lui dietro le spalle: cercava di affiancarla per poter vedere, per non sentirsi
solo anche in quella circostanza. Ad un tratto si fermò, andando ad aprire la
porta di una stanza sulla sinistra.
La porta si aprì su una camera da letto ordinaria, un
letto matrimoniale nel centro ben fatto quasi non fosse mai stato utilizzato ed
un armadio in un angolo, di quercia scura splendido nella penombra di una
candela ch’ora lei faceva accendere usando la bacchetta quasi fosse un
accendino ed indicandogli il letto con leggerezza.
« Quello è per te. »
« Per me? »
Annuì sfacciatamente tranquilla con le borse di sonno che
solo una giornata senza dormire poteva portare su quel viso giovane e fresco.
La seguì allontanarsi verso la porta e poi girarsi
nuovamente con un’espressione fredda ed insistente, stancante quasi. « Non
cercarmi, Draco. Non voglio nemmeno che tu possa pensare di venire a cercarmi.
»
Aveva buttato lì quella frase, prima di chiudere la porta
con la voce che ancora impattava contro il legno duro senza dare tregua ai
pensieri che nuovamente assalivano quel ragazzo adagiato sulla coperta alla
ricerca di calore.
Draco chiuse gli occhi, mormorando qualcosa a denti
stretti: cosa direbbe Rodolphus, se lo sapesse?
Nella
stanza di fianco, la donna si cambiava in silenzio, le labbra strette fra i
denti fermando il dolore del maglio che grattava contro la schiena sfilandolo.
Un’espressione criptica quando guardava nello specchio che aveva davanti,
sigillando i pensieri dentro la testa quasi temesse che il ragazzo nella camera
accanto riuscisse a leggerli come un libro aperto. Si voltò dando le spalle
allo specchio ma voltando il capo l’espressione cambiò mostrando la rabbia e la
violenza inaudita che in quella schiena brillava trasversale: sangue rappreso
vi sostava sopra, disegnato volgarmente; avete mai visto un corpo segnato dal
tempo? Avete mai visto cicatrici così profonde da non poter sparire mai?
Avete
mai visto una bambina frustata dall’uomo cattivo?