Nascita

Non ricordo con esattezza il giorno della mia nascita. So per certo che era d'estate, nei giorni in cui il mondo degli spiriti e quello degli uomini si sovrappongono per brevi attimi. Ci fu un taglio netto di forbici, poi delle mani giovani accarezzarono l'intreccio di cotone che formava la mia esistenza fisica. Erano piccole mani di ragazza, sincere, abituate a lavorare. Mentre un ago penetrava attraverso le mie fibre incidendovi segni sconosciuti, venni travolto da un'ondata abbagliante di cose che non ero in grado di capire. Accanto a me c'erano altri hachimaki. I loro spiriti fluttuavano placidamente, aloni pallidi soddisfatti del loro essere. Provai a chiedere aiuto, ma nessuno provava il mio smarrimento e il mio dolore. Ero ancora impaurito quando le mani si giunsero in preghiera, imprigionandomi nei loro palmi morbidi. Fu in quel buio e umido tepore che ricevetti il senso della mia esistenza. Un soffio d'aria gelida tagliò il bozzolo che mi proteggeva, esponendomi alla luce grigia e ovattata dell'alba del Paese delle Nevi. Il silenzio scivolato nella notte dalle cime dei monti velava ancora la neve candida e io provavo lo stordimento di chi è stato sorpreso dal mattino. L'Inverno sovrano del regno mi imperava di dormire, ma io resistevo e proseguivo per la mia strada. Non ero l'unico che gli disobbediva. Scorsi delle orme sul manto immacolato e le seguii con trepidazione. Infine lui apparve.

Gli hachimaki non vedono le stesse cose degli esseri umani ma, con l'esperienza, possono imparare ad attingere da ciò che è impresso nei loro animi. Io ero un hachimaki giovane e ciò che vidi fu uno spirito di una purezza che eguagliava la neve, intento ad allenarsi per la battaglia. Era magnifico mentre ripeteva i passi della danza da lui stesso creata! La neve si scioglieva, i petali di ciliegio sbocciavano, la tempesta li strappava, la pioggia cadeva, il cielo d'estate si apriva e io continuavo a contemplare lui senza mai stancarmi. La gioia di incontrarlo era tale che non mi avvidi della tristezza profonda che era strisciata alle mie spalle, che mi avvolse a tradimento riportandomi nell'oscurità. Era la stessa oscurità in cui io ero nato, ma in quel momento sentivo di non poterla più sopportare. Urlai a chi mi poteva ascoltare “Non voglio rimanere qui dentro!” Allora le piccole mani si schiusero lentamente e venni illuminato dalla luce della Luna piena. Poiché nel frattempo avevo imparato a riconoscere la bellezza, mi sentii risplendere d'argento. Non temevo il confronto con le stelle che mi fissavano dall'alto del firmamento. Io e Hikaru avremmo combattuto un nemico la cui forza si estendeva fino all'orizzonte della volta celeste. E avremmo vinto.

Note dell'autrice

La storia è stata scritta per il concorso “La memoria delle cose” indetto da NonnaPapera.

http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9581009&p

Il protagonista non è un oggetto qualsiasi. Vive le emozioni dell'universo di Captain Tsubasa, dove su sconfinati campi di calcio si sfidano le leggi della fisica e dove le ragazzine innamorate trascorrono la notte a pregare. Non fateci caso, quindi, se dice cose un po' strane.

Hikaru significa “Colui che risplende”. E' il nome vero di Capitan Matsuyama, ma nella versione giapponese nessuno lo pronuncia mai. Mi sono permessa di investire l'hachimaki del solenne compito di infrangere questa regola.

Grazie a chi ha letto e grazie a chi continuerà a leggere ^_^

Kourin