4°
classificata: E penso a te- Pocahontas Effie
Inizio facendoti i complimenti. A mio parere non è affatto facile entrare
nell'ottica di una società quale quella descritta da Jane Austen. Ma tu ci sei
riuscita benissimo! Solitamente io leggo Darcy/ Elizabeth, la coppia più
“usata” di questo romanzo. Non mi ero mai soffermata a leggere di Jane e
Charles. E, beh, mi hai stupito. I pensieri della maggiore delle Bennet sono
resi in modo davvero reale. Da questa one-shot si evince perfettamente il carattere
di Jane: atta a vedere sempre il bene delle persone, delicata e raffinata,
proprio come si addice ad una perfetta donna di quel periodo. Lo stile è
fluido, la storia scorre bene, e non l'ho mai trovata noiosa. Il lessico è
abbastanza ricercato, ma non sono un'accozzata di parole altisonanti messe
insieme. A mio parere potevi usare meglio la citazione, incentrando
maggiormente la storia su quella frase. Non ho riscontrato gravi errori
grammaticali, se non qualche ripetizione di troppo, ma cose di minore importanza.
La storia comunque risulta una lettura piacevole, brava!
Grammatica: 18/20
Stile e lessico: 18/20
IC personaggio: (o descrizione in caso di originale) 19/20
Originalità: 12/15
Utilizzo della Citazione: 10/15
Giudizio personale: 8/10
Per un totale di 85/100 punti.
E Penso A Te*
“E’
proprio quello che dovrebbe essere un giovane” disse; “intelligente, con un
buon carattere, allegro.
Non ho
mai incontrato nessuno con modi così avvincenti, semplici e pieni di
educazione.”**
Forse mia sorella ha sempre avuto ragione.
Forse sono sempre stata troppo buona.
Non ho mai pensato male di nessuno, forse perché nessuno mi
ha mai ferita.
Nessuno prima di voi.
Avrei dovuto sapere che non potevate essere perfetto, perché
nessuno lo è.
Avrei dovuto accorgermi che non potevate essere così
perfetto come tutti vi dipingevano.
Ma ciò che mi trattiene dal pensare male di voi, anche ora
che i nostri rapporti si sono interrotti, è il fatto che mia sorella – la
quale, al contrario di me, non pensa bene di nessuno – non lo abbia mai fatto.
Lizzie non ha mai trovato nulla da criticare in voi: ha
trovato difetti nelle vostre sorelle, nel vostro mondo, nei vostri amici,
persino nel signor Darcy, ma in voi… mai.
Quando vi ho conosciuto, non ho pensato che mi avreste
potuta ferire. Nulla in voi faceva presagire una simile eventualità: eravate
così solare, così allegro, e i vostri occhi erano così sinceri, mentre… oh, non
voglio pensarci.
Voglio smettere di pensare a quel ballo che sancì l’inizio
dei nostri rapporti, voglio smettere di pensare a tutte le occasioni di
incontro che ne sono seguite.
La verità è che credo di essermi innamorata di voi, Charles.
Credo di avervi amato dal momento in cui vi ho visto entrare
in quella sala da ballo, ancora prima di avere la conferma che foste proprio
voi il famoso signor Bingley di cui tutti parlavano.
Ho amato la vostra figura sottile – quasi fragile, se
paragonata alla statuaria sagoma del signor Darcy.
Ho amato il vostro sorriso gioviale, così sincero e puro. Ho
amato ancor di più i vostri occhi, così chiari e luminosi, mentre vi
presentavate agli ospiti.
Poi vi presentaste anche a noi, e mentre la mia povera madre
si perdeva in congetture e progetti di matrimonio, voi sfioraste la mia mano in
un saluto educato. Fu in quell’attimo che persi ogni controllo, pur restando
quieta e posata all’apparenza. Fu in quell’attimo, quando i vostri occhi
incontrarono per un attimo i miei, che l’amore mi infiammò il cuore.
Ricordo i vostri occhi meglio di quanto ricordi le lezioni
di etichetta e le raccomandazioni di mia madre circa la necessità di accasarsi
con un uomo ricco e a modo. “Uno come il signor Bingley, tanto per fare un
esempio” era solita ripetere.
In tutta sincerità, trovo difficile pensare a voi come ad un
uomo ricco e a modo. Per me siete e resterete soltanto Charles. E, ne sono
certa, i vostri occhi mi perseguiteranno per sempre.
A volte i vostri occhi si affacciano ai miei sogni,
costringendomi a notti agitate che disturbano la mia quiete e quella di mia
sorella, la quale divide la stanza con me.
I vostri occhi sono come una maledizione, Charles. Una
maledizione dalla quale però non ho voglia di liberarmi. Né potrei riuscirci,
temo. Sono così radicati nella mia memoria da non poter essere cancellati in
alcun modo, nemmeno dalla vostra lontananza.
Chissà se un po’ vi manco, ora che siete lontano da
Netherfield. Chissà se pensate ancora a me, o all’imbarazzo nel quale vi
gettavano le mie sconsiderate sorelle minori – salvo soltanto Lizzie, presumo
lo abbiate capito. Chissà se ripensate ai bei momenti passati insieme… Sarebbe
una domanda molto sconveniente da rivolgervi di persona, ma nessuno potrà
biasimarmi, se mi domando tutto questo poco prima di dormire, sola nel buio
della mia stanza.
Tornereste a Netherfield, se io fossi tanto audace da
dichiararvi la purezza del mio sentimento?
Oh, vi prego, tornate sui vostri passi, tornate a
Netherfield. Tornate a Netherfield e io vi amerò, Charles. Vi amerò com’è
possibile amare soltanto un sogno spento dal primo sole del mattino. Vi amerò
con tutta me stessa, perché solo così è possibile amare davvero.
Tornate, vi prego, e liberatemi dalla maledizione dei vostri
grandi occhi chiari. Averli vicini, averli accanto ogni giorno, non sarebbe più
una maledizione, ma un dono del cielo.
Donatemi i vostri occhi, donatemi i vostri sorrisi. Chissà
poi se erano veri, i vostri sorrisi. Chissà se le vostre parole erano davvero
sincere. Chissà che non abbiate mentito voi, per tutto questo tempo…
Scuoto la testa, cercando di scacciare i cattivi
pensieri. Come posso anche solo sospettarvi di una simile malvagità nei miei
confronti? Come posso accusarvi senza alcuna prova? E quantunque vi foste
comportato in modo insincero nei miei riguardi, temo che nessuno potrebbe
biasimarvi. Quando decideste di trasferirvi a Netherfield, certamente non era
stato messo in conto l’incontro con una donna così ambiziosa da desiderare le
immediate nozze delle figlie non appena un ricco scapolo viene a stabilirsi nel
raggio di un miglio dalla casa padronale. Certamente non v’era ragione, da
parte mia, di aspettarmi da voi qualcosa di differente da una cordiale
frequentazione dettata dalle regole di buon vicinato. E non v’era certamente
ragione di supporre, da parte vostra, che mi sarei innamorata di voi. Temo
tuttavia, mio caro Charles, di non essere la prima né l’ultima giovane che
sottoporrete, seppur in modo involontario, a questo supplizio.
Forse sono stata una sventata, ad abbassare così rapidamente
le mie difese. Certamente lo sono stata, me ne rendo conto solo in questo
istante, soltanto ora che so di aver perduto la vostra cara amicizia.
Forse vi siete accorto della mia debolezza prima di me, e
forse è stato proprio questo ad indurvi a correre ai ripari e a spingervi a
lasciare Netherfield – pur non faticando a riconoscere che un eventuale
consiglio del signor Darcy, vostro caro amico e sicuramente uomo molto
carismatico, avrebbe potuto fare la differenza tra la partenza e la
prosecuzione del vostro soggiorno.
Sì, ne sono certa. Non posso che incolpare la mia ingenuità
per il vostro repentino allontanamento. E la mia ingenuità altri non deriva se
non dalla mia educazione e dalla mia provenienza. Sono nata in una famiglia
semplice, come ve ne sono tante sparse per le campagne inglesi, con un padre
forse troppo saggio e una madre sicuramente troppo ambiziosa, e certamente
troppe sorelle con troppi desideri ai quali badare. Le mie origini sono
certamente differenti dalle vostre, così come altrettanto certo è che sarebbe
stato difficile riuscire a conciliare i nostri modi di vivere e di pensare.
È con questi argomenti che tento di convincermi, ad ogni
nuova alba, a non pensarvi più. O almeno, a non pensarvi per più del necessario.
Eppure, nonostante la forza con cui mi spingo giù dal letto
ad ogni sorgere del sole, ad ogni tramonto il ricordo di voi torna prepotente a
farmi visita. Vi inserite nei miei sogni quasi con prepotenza, con una veemenza
che non vi appartiene e che non avrei mai immaginato di potervi attribuire.
Il ricordo di voi mi costringe a rivivere ogni momento, ogni
ballo, ogni giorno di sole e ogni lacrima versata a causa vostra. Il vostro
ricordo è molto crudele con me, Charles.
Non c’è notte in cui io non ripensi ai vostri occhi, celati
sotto un altro sogno oppure limpidi e puri, senza tentativi di camuffamento. È
questa perseveranza a sognare i vostri occhi a convincermi che vi amo,
nonostante il sentimento abbia ormai sbriciolato il mio cuore.
Il sogno più intenso è anche il più recente. Ieri notte,
complice la pioggia che batteva insistente sui vetri, non facevo che dibattermi
tra le coperte, suscitando in mia sorella un certo disappunto. A un tratto,
improvvisamente, è apparsa alla mia mente l’immagine di un’immensa prateria,
che non ho faticato a riconoscere come la prateria che circonda Longbourn. Era
così verde, così vera, che ancora mi chiedo se io l’abbia soltanto sognata.
Voi eravate nel mezzo della prateria, così rispondente al
vero che avrei voluto allungare la mano per conoscere la vera natura
dell’apparizione. Tuttavia, non mi fu necessario lo sforzo di una carezza, né
quello del pensiero, perché foste voi ad avvicinarvi, con un incedere sicuro e
fiero che non riconoscevo come vostro – per un istante, mi parve quasi di
vedere il signor Darcy venire verso di me, anziché voi.
Più vi accostavate a me, più grande si faceva in me il
desiderio di essere io a colmare la distanza. Non desideravo altro che corrervi
incontro e gridare a gran voce il mio sentimento. Più vi facevate vicino, più
il cuore batteva nel petto.
E foste voi, non io, a tentare il primo contatto. La vostra
mano sulla mia, così sicura da provocare un serio imbarazzo in me. Fu quella
stessa mano, la vostra, ad attirarmi vicino a voi, tra le vostre braccia. Fu la
vostra mano ad accarezzare la mia guancia, costringendomi ad alzare lo sguardo.
I vostri occhi, più luminosi che mai, erano fissi nei miei come mai prima. E un
istante più tardi, le vostre labbra furono sulle mie, senza una parola.
E così mi ritrovai stretta a voi, così come non avevo mai
nemmeno osato immaginare. Nella strana luce di un mattino di primavera, mi
ritrovai così vicina a voi da riuscire a distinguere ogni vostro battito.
Arrossisco ancora, ripensando all’audacia con la quale mi
aggrappai a voi in quella fantasia dettata dall’incoscienza del sogno. Si
trattava soltanto di un sogno, questo è vero, ma non avrei mai dovuto
permettere alle mie sciocche fantasie di ragazzina di prendere il sopravvento
sulla ragione. Non sarebbe mai dovuto accadere.
Nessuno è a conoscenza di questo sogno, nemmeno mia sorella.
Per quanto io sia certa della discrezione di Lizzie, e per quanto un suo
consiglio in proposito mi potrebbe essere d’aiuto per decidere come comportarmi
nei riguardi del vostro ricordo, non intendo farne parola con nessuno.
Sarebbe sufficiente lasciarsi sfuggire una parola con nostra
madre oppure con una delle nostre frivole sorelle, e in men che non si dica il
segreto sarebbe perduto.
No, questo segreto – questo desiderio, perché mio malgrado
lo è – non vedrà mai la luce. Lo custodirò gelosamente, così come custodisco
ogni vostro sorriso, ogni vostro sguardo. Custodisco allo stesso modo tutti gli
attimi di felicità vissuti grazie a voi.
Continuo a pregare per un vostro ritorno a Netherfield, e
nonostante il trascorrere del tempo affievolisca la speranza di rivedervi, una
parte di me continua a pensare che accadrà.
Ma in fondo, dovessimo anche non incontrarci più, io mi dico “E’ stato meglio lasciarci che
non esserci mai incontrati”***.
Spero di non aver fatto un disastro.
*Il titolo della one-shot, “E Penso A Te”,
mi è stato ispirato dall’omonima canzone di Lucio Battisti. La stavo ascoltando
nella versione incisa da Mina (tutta da ascoltare, per la cronaca), e mi si è
accesa la lampadina.
**La citazione è tratta dal quarto capitolo
di “Orgoglio e Pregiudizio”, di Jane Austen. Si tratta dell’impressione che
Jane Bennett ha avuto di Charles Bingley al ballo durante il quale si sono
conosciuti. Il capitolo prosegue con una conversazione tra Jane ed Elizabeth
circa l’eccessiva buona fede di Jane, ed è di lì che ho deciso di partire con
la mia riflessione – o la riflessione di Jane, che dir si voglia.
***La citazione è tratta dalla canzone
“Giugno ‘73” di Fabrizio De Andrè, ed è la citazione che avevo scelto dalla
lista fornita. L’ho evidenziata in grassetto per una maggiore “visibilità”
anche da parte della giudice del contest.
Credo di aver concluso con le spiegazioni,
e di poter anche chiudere qui.
Grazie a tutti,
Effie*