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Autore: dardeile    11/04/2011    2 recensioni
Nella morte, Bellatrix Lestrange è l'opposto di ciò che è stata in vita. Perchè il morire, in effetti, è l'opposto del vivere.
{Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio,
ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità.(George Bernard
Shaw)}
[Quinta classificata al contest "L'ultimo pensiero" di Freddy16, che ringrazio!]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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REST

 

Se c’è qualcosa che ho imparato è che la morte è veloce, quando vieni colpito dall’Anatema che uccide. Un momento, un attimo, un lampo di luce verde: chiudi gli occhi e poi più nulla, il vuoto, il nero ti avvolge e non sei più. Non sei più perché è proprio l’esistenza che viene a mancare, non solo l’esserci, in un certo luogo e in un certo tempo: l’essere e basta.

Ma non è così. Non importa come, o per mano di chi, la morte è sempre una dilatazione temporale, un allungarsi dei secondi che improvvisamente diventano ore. Credo che la spiegazione sia semplice: Dio, il Fato o chiunque in questo mondo si occupi della nostra durata terrena, ci regala un ultimo istante. Un istante di assoluta chiarezza, in cui vedi finalmente ciò che hai fatto e ciò che gli altri hanno fatto intorno a te, senza limiti di alcun genere. Sei già fuori dal tuo corpo, ma non l’hai ancora abbandonato del tutto.

Improvvisamente diventi poco più che un respiro, un soffio d’aria, come un alito di vento; e finalmente riesci a pensare, perché tutto ciò che in vita ti schiaccia al suolo si solleva e ti lascia libera dal peso della mortalità.

Non è esattamente un istante, non è una vita, eppure è abbastanza per trovare esattamente quel minuscolo punto sulla retta spezzata che è stata la tua vita, in cui hai scritto la tua storia. Perché per tutti noi esiste quel punto: è un momento in cui, con una scelta, abbiamo definito per sempre il resto della nostra esistenza, persino la nostra morte.

Per me, Bellatrix Lestrange, è stato quando avevo venticinque anni e conobbi Tom Riddle. Fu in quel momento che la mia strada venne segnata, e in quel momento, da qualche parte, fu deciso che sarei morta così.

Non ho mai creduto nell’essere artefici del proprio destino, e non ci credo nemmeno ora che sono alla fine. Perché vedo un vortice attorno a me, meri istanti prima che la luce verde si schianti contro il mio petto, e so che era già stato deciso. So che non ho sbagliato, e so che tutto ciò che potevo fare l’ho fatto con una scrupolosità ammirabile. Il fatto che stia per morire non toglie che sia stata una grande guerriera, forse la più grande.

Dovrei essere furiosa, perché tra tutti i maghi relativamente dotati presenti nella stanza, è stata quell’inutile mamma chioccia ad avere la meglio su di me. Dovrei essere ripugnata dal fatto che una Weasley sia riuscita a giocarmi, a farsi beffa della mia magia pura, di una Black. E soprattutto dovrei essere devastata, perché quando il Signore Oscuro verrà portato in trionfo io non ci sarò.

Ma nessuno di questi sentimenti ha più posto nell’anima che va in frantumi di una donna arrivata all’ultimo respiro. Non c’è rabbia, non c’è furore, non c’è più nemmeno quella folle ossessione per il sangue, la famiglia, la discendenza. Solo una rassegnazione che non ho mai conosciuto nella mia vita, quasi accettazione di ciò che mi è stato imposto.

C’è stato tempo per il fuoco, per l’ardore, ora rido. Alcuni potranno credere che rido per follia, per delirio di onnipotenza, ma la verità è che rido perché quando vedo la luce verde che viaggia verso di me so già che non riuscirò a proteggermi. Rido perché so cosa sta per succedere.

La morte, in fondo, non è che l’ultimo sonno.

Verrà la vittoria per il mio Signore; io non ci sarò, ma il mio Signore avrà ciò che vuole, senza di me.

Poi la sento, come una scossa. La maledizione mi colpisce e tutto si ferma. La sala si ferma, le persone attorno a me si fermano, tutto è muto e freddo. Tranne un ultimo, agghiacciante urlo che riconosco, e che conferma ciò di cui la mia morte mi ha voluto dare l’ultima prova.

È l’ultimo dono che la vita ha voluto fare a me, la sua seguace più fedele.

È lui, colui per cui ho dato tutto, che grida. Ora posso: posso lasciare il mio corpo, lasciare questa stanza che oramai non può più trattenermi, sapendo che la mia morte ha avuto risonanza. Non per me, quanto per quell’uomo che mai l’ha dimostrato fino ad ora.

Non per me.

Per me, oramai non conta più nemmeno la morte.

Sono in pace.

Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio,
ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità.(George Bernard
Shaw).

  
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