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Autore: Shari Deschain    12/04/2011    12 recensioni
Si sveglia all'improvviso, alle prime luci dell'alba, e si ritrova steso sul divano del salotto, con gli occhi spalancati e i battiti del cuore così violenti da creare quasi una cupa eco all'interno del suo petto.
La prima cosa che lo colpisce è l'odore.
Forte, pregnante, metallico.
(Delizioso)
C'è sangue al piano di sopra. Molto, molto sangue.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Katherine Pierce, Stefan Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Warning: Spoiler generali per la seconda stagione, Fluff, H/C
Wordcount: 4476 (FDP)
Disclaimer: TVD è di L.J. Smith e di quegli adorabili stronzi di Julie e Kevin. Se mi pagassero per fare questo, sarei la donna con il lavoro più bello del mondo dopo la Dobrev.
N/A: Scritta per il mio bellissimo team orgiastico angelico del COW-T @ maridichallenge per la missione #4 – Alba.
─ Robe non mie: il titolo, che è un raffazzonamento del proverbio “The darkest hour is just before the dawn”, e la frase “L'ora più buia è quella che precede l'arrivo del sole”, che è una citazione di Coelho. Che poi sono quasi la stessa cosa, ma whatever, diamo a Cesare eccetera.
─ Io non lo so, okay? Questa doveva essere una cosetta di 500 parole *piange* è degenerata per colpa di Stefan e delle sue seghe mentali, e anche di Katherine e Caroline che si sono messe in mezzo senza che nessuno le avesse interpellate.




The hour before the dawn





Si sveglia all'improvviso, alle prime luci dell'alba, e si ritrova steso sul divano del salotto, con gli occhi spalancati e i battiti del cuore così violenti da creare quasi una cupa eco all'interno del suo petto.
La prima cosa che lo colpisce è l'odore.
Forte, pregnante, metallico.
(Delizioso)
C'è sangue al piano di sopra. Molto, molto sangue.
No, pensa Stefan, mettendosi a sedere di scatto.
No, no, no, no.
Si alza e comincia a muoversi senza nemmeno rendersene conto, almeno fino a quando non si scopre ai piedi delle scale. Lentamente, con gli abiti incollati addosso dal sudore e le gambe irrigidite dal terrore, il vampiro inizia a salire: ogni scalino è uno scricchiolio secco, come un proiettile di legno conficcato nel cuore.
Ti prego.
Ti prego, no.

Ma sono preghiere a vuoto, Stefan lo sa benissimo. Prima di tutto perché non ha nessun dio da pregare, e anche se ce lo avesse dubita seriamente che sarebbe disposto ad ascoltarlo, e in secondo luogo perché la sensazione di morte è più forte di qualsiasi possibile speranza.
Ma in fondo ciò che prova in quel momento, mentre sale con stremante lentezza quelle scale che potrebbe oltrepassare in meno di mezzo secondo se solo lo volesse, non è neanche propriamente una sensazione, perché il concetto stesso di sensazione implica un dubbio.
Stefan, invece, sa che c'è troppo, davvero troppo sangue.
E sa anche a chi appartiene quel sangue.
Nonostante i suoi passi pesanti, gli scalini finiscono troppo in fretta.
La porta di camera sua non è quasi mai chiusa. Se vivi con un vampiro rinunci automaticamente alla privacy, soprattutto poi se quel vampiro è tuo fratello, e se quel fratello è Damon.
Anche questa volta, superato l'ultimo scalino ed arrivato sulla soglia della propria stanza, Stefan si trova davanti la porta semiaperta, che però lascia intravedere solo un interno scuro, malamente illuminato dai deboli raggi del sole nascente.
L'odore di sangue è fortissimo.
(Invitante, quasi)
Sempre meno consapevole delle proprie azioni, Stefan fa qualche passo in avanti, apre la porta con una spallata incerta, e osserva la stanza buia con gli occhi spalancati dalla paura.
All'inizio non vede molto, solo i profili familiari dei mobili e del letto, e qualche macchia più scura sparsa sul pavimento. Nemmeno i suoi sensi ipersviluppati riescono a decifrare quel confuso mosaico di sfumature grigionere.
Ma l'alba è veloce e spietata, e in quelli che a lui sembrano pochi istanti, le ombre cedono progressivamente il posto ai colori e alle forme, sollevando il sipario della paura cieca sull'orrore macchiato di sangue della realtà.
Incapace di distogliere lo sguardo, Stefan fissa i corpi dilaniati che giacciono nel mezzo del suo letto e si dice che dovrebbe fare qualcosa. Qualcosa tipo urlare, o andare a cercare il figlio di puttana che ha fatto questo, o impazzire di rabbia e dolore, o correre da Elena e Damon nella speranza di scoprirli in qualche modo ancora vivi.
(Ma c'è troppo sangue)
La verità è che non può fare niente. Il suo corpo non collabora, i suoi pensieri neanche.
Non può essere, si dice. Non loro. Tutto, ma non loro.
Perché? E chi?
Chi, dannazione, chi?
Klaus,
si dice ad un tratto.
È stato Klaus. O Elijah. O forse Katherine...
Ma in quel momento il sole sorge completamente e tende i suoi raggi fino a lui, accarezzandolo senza calore. Spinto dall'istinto, Stefan abbassa lo sguardo sulle proprie mani, e le trova piene di sangue.
E c'è sangue anche sulle sue braccia, sopra e sotto i suoi piedi nudi, e non è affatto sudore quello che gli tiene i vestiti incollati alla pelle, ma è sangue anche quello. Il suo corpo è ricoperto di sangue.
C'è sangue sul suo volto, sulle sue labbra, nella sua bocca e sotto la sua lingua.
Il loro sangue.
«No!», urla inutilmente Stefan.
«No, no, no, no!», continua a ripetere, ma la sua voce si affievolisce pian piano davanti all'evidenza di ciò che ha fatto.


Si sveglia all'improvviso, nel pieno della notte, e si ritrova intrappolato tra le lenzuola del letto, con l'eco del proprio grido ancora nelle orecchie e la gola bruciante come se avesse realmente urlato per ore e ore. Ma se lo avesse fatto per davvero Damon (e probabilmente anche Katherine) sarebbero già lì, allarmati e con un paletto per mano.
In un angolo della sua mente si congratula vagamente con sé stesso per essersi risparmiato la figuraccia di dover spiegare a suo fratello che no, niente nemici che vogliono farsi una collana con i nostri canini; era solo un incubo.
Damon l'avrebbe prima ammazzato di botte e poi preso per il culo a vita.
Cautamente Stefan si porta le mani al volto, si tasta la bocca, le guance, il collo, e li trova bagnati, sì, ma solo di sudore. Non c'è sangue né su di lui né intorno a lui, ed il debolissimo odore che il suo olfatto riesce a cogliere è senza dubbio quello che proviene dalle scorte di Damon giù in cantina.
Anche il vago retrogusto che ancora sente sulla lingua è sicuramente dovuto ai due sorsi che, come al solito, ha bevuto prima di andare a letto.
Era solo un incubo. Davvero. Non ha ucciso nessuno.
Però il cuore continua a battere forte, e l'adrenalina non dà segno di voler scemare. Seduto nel mezzo del suo letto, Stefan rimane a fissare il buio, senza sapere cosa fare, senza riuscire a controllare quel terrore che ancora gli attanaglia le viscere.
È stato solo un incubo, si ripete, guardando l'orologio fermo sulle cinque meno un quarto del mattino.
Nient'altro che un incubo.
Può capitare di avere degli incubi. Soprattutto considerando quello che sta succedendo, con gli Originali, la maledizione, e le loro vite che ormai non valgono più di un soldo bucato.
Niente di strano, davvero.
Eppure Stefan non riesce nemmeno a pensare di tornare a letto: ha una folle paura di riaddormentarsi e di svegliarsi di nuovo, all'alba, solo per trovarsi coperto del sangue delle persone che ama.
Sa che è una paura stupida e irrazionale, e che è assolutamente impossibile che si concretizzi. Ma è comunque una paura violenta e terribile, abbastanza forte da buttarlo giù dal letto e fargli infilare in tutta fretta una felpa e un paio di scarpe.

Scende le scale velocemente, senza guardarle, pretendendo anche di non sentire gli scricchiolii degli scalini: quel maledetto incubo è ancora impresso a fuoco nella sua mente, e non ha alcuna intenzione di renderlo più vivido del necessario.
Oltrepassa anche il salone senza degnare di uno sguardo il divano, e sta quasi per raggiungere la porta, quando un istinto indefinito gli suggerisce di voltarsi indietro.
Katherine è lì davanti a lui, in piedi accanto al tavolino degli alcolici, con un bicchiere colmo di liquido ambrato stretto nella mano pallida, e lo fissa con quel suo caratteristico sguardo malizioso.
Non deve essere sveglia da molto: i capelli sciolti e scompigliati le incorniciano il volto imbronciato dal sonno, scendendo poi ad accarezzarle le spalle e la schiena; addosso, come pigiama, ha quella che Stefan riconosce come una delle proprie felpe più vecchie, che le lascia scoperte le spalle e buona parte della scollatura e arriva a malapena a coprirle le gambe nude. Stefan non scorge traccia di altri indumenti, e decide subito di non approfondire oltre la ricerca.
«Dove stai andando?», domanda piano Katherine, con il suo solito tono di pacata indifferenza.
«A caccia», risponde Stefan svelto, sia perché è la prima scusa che gli viene in mente e sia perché, a conti fatti, è anche la più credibile.
In realtà, nonostante la fame che lo accompagna praticamente sempre, come un costante rumore di sottofondo, al momento il solo pensare al sangue lo disgusta.
E in qualche modo il suo volto deve tradire questa repulsione, perché Katherine alza leggermente le sopracciglia e gli rivolge lo sguardo più scettico del suo repertorio.
«Ma davvero?», chiede, sorridendo appena e avvicinandosi di qualche passo.
A Stefan sembra un sinuoso felino ─ una tigre o una pantera, non riesce proprio a decidere quale dei due ─, che a zanne snudate si accosta lentamente alla sua preda.
Eppure non c'è niente di pericoloso nello sguardo di Katherine, né nei suoi movimenti. Il suo volto, di solito così indecifrabile, non mostra niente più di blanda curiosità e forse addirittura un pizzico di dolcezza.
La sensazione di pericolo dipende solo dal fatto che, bé, è Katherine.
«Perché non ci prendiamo qualcosa da bere? Tuo fratello ha nascosto dell'ottimo brandy giù in cantina», continua lei, suadente come sempre, ma in qualche modo anche amichevole, come ben più raramente ha cercato di essere nei suoi confronti.
E Stefan ha una gran voglia di accettare, un po' perché la voglia di alcool gli sta bruciando la gola, e un po' perché qualsiasi cosa, in questo momento, è meglio che tornare a letto, dove i suoi incubi lo stanno ancora pazientemente aspettando.
Ma poi la guarda negli occhi ─ quegli occhi così simili a quelli di Elena, nonostante siano lo specchio di un'anima ben differente da quella della ragazza, tanto che ogni volta gli fanno pensare a Katherine come al negativo di una fotografia ─ e capisce che sarebbe una stupidaggine imperdonabile.
Già una volta Katherine si è infiltrata tra le fessure del suo cuore lasciate scoperte dalla paura e dalla solitudine, e Stefan non glielo lascerà fare di nuovo.
Non questa volta, e nemmeno un'altra. Mai più. È una promessa che ha fatto silenziosamente a sé stesso e anche a suo fratello, e non la infrangerà, non importa quanto grande il proprio sconforto possa essere.
Quindi distoglie con fatica lo sguardo dall'espressione accondiscendente della vampira e intanto porta indietro la mano a cercare la maniglia della porta.
«Bevilo pure», replica infine, sforzandosi di mantenere un tono leggero. «Tanto le bottiglie migliori Damon le tiene nascoste nel suo armadio»
Fa in tempo a vedere il sorriso di Katherine indurirsi appena, poi si volta verso la porta ed esce, lasciandosela alle spalle.


Pochi minuti dopo Stefan cammina lentamente per le strade silenziose di Mystic Falls, misurando attentamente la cadenza dei propri passi e tenendosi quanto più possibile lontano dalla luce dei lampioni.
Vorrebbe andare da Elena, stringerla tra le braccia e trovare conforto nel suo respiro e nei suoi baci, ma sarebbe davvero assurdo svegliarla a quest'ora della notte, con il rischio di spaventarla da morire, per un così futile motivo come un incubo.
Stefan ha ancora qualche residuo di dignità, dopotutto.
Così si accontenta di fermarsi nel suo giardino, ben nascosto tra le ombre degli alberi, e di osservare in silenzio quella casa che ormai conosce bene quasi quanto la propria.
Tra le sue mura, sprofondati in un placido sonno, Elena e la sua famiglia stanno dormendo tranquillamente, ignorando, per una volta, i mostri che vivono lì fuori.
Ignorando lui, anche.
Ma non importa. Per quella notte forse è meglio così.
Prima ancora di pensare di andarsene si ritrova di nuovo in strada, già ben lontano dalla casa di Elena. Per un po' vaga senza una direzione precisa, semplicemente lasciandosi guidare dal proprio corpo, che così come la sua mente, cerca in quella passeggiata estemporanea una distrazione che non può trovare altrimenti.
Non ha intenzione di tornare a casa, ma non sa dove altro andare. Stefan si morde nervosamente l'interno della guancia, indeciso su cosa fare: è vero che in fondo manca solo poco più di un'ora all'alba, ma è vero anche che l'ora più buia è proprio quella che precede l'arrivo del sole.
Non trovando di meglio, Stefan continua semplicemente a camminare per le strade ordinate della città, lasciando divagare la mente su qualsiasi cosa attragga la sua attenzione, siano le foglie che si muovono piano nella brezza leggera o il muoversi furtivo di un gatto, e dopo qualche minuto si accorge che il suo sguardo continua a tornare su una luce ancora piuttosto lontana, che però non sembra provenire dai lampioni stradali.
Leggermente incuriosito, e disperatamente in cerca di diversivi, il vampiro si dirige verso di essa, cercando di immaginare chi e perché sia già (o ancora) sveglio alle cinque e mezza del mattino.
Quando scopre che la fonte di luce è una finestra, e la finestra è quella di Caroline, si stupisce molto meno di quanto dovrebbe.
In realtà si stupisce di più nel sentire le proprie labbra piegarsi in un sorriso.


La prima volta che sente un leggero bussare, Caroline lo confonde con l'assolo di batteria che sta ascoltando, quindi non ci dà peso. La seconda e più lunga serie di colpi contro il vetro, però, la fanno sobbalzare di scatto.
Con gli occhi leggermente spalancati, Caroline si toglie le cuffie e si guarda intorno, più tesa di quanto vorrebbe. Un'ombra fuori dalla sua finestra si muove appena, attirando subito il suo sguardo.
Non c'è modo che sia un essere umano: la finestra è troppo in alto, e fuori non c'è nessun appiglio. Caroline ricorda che in passato Damon l'aveva usata spesso come sua entrata personale, ma è impossibile che sia lui.
Meglio per lui, che non sia lui, si dice, già immaginandosi un paio di modi cruenti per farlo fuori.
In fondo gli dispiacerebbe fare di Stefan un figlio unico, anche se forse per il vampiro si rivelerebbe essere un grandissimo favore.
Con sua grandissima sorpresa, però, è proprio il minore dei fratelli Salvatore quello che se ne sta accovacciato fuori dalla sua finestra e le sorride da dietro le tende.
«Stefan!», urla Caroline, affrettandosi a sbloccare le imposte, e l'altro vampiro gli fa immediatamente segno di abbassare la voce.
In effetti lo sceriffo Forbes la prenderebbe piuttosto male se mai dovesse scoprirlo lì, in camera della figlia, a quell'ora della notte.
«Cosa ci fai qui?», chiede Caroline in un sussurro, mentre lui fa passare le lunghe gambe oltre il davanzale della finestra ed entra nella sua stanza.
«Ho visto la luce accesa e ho pensato di passare a salutarti», replica Stefan con semplicità, come se fosse del tutto naturale arrampicarsi nel bel mezzo della notte nelle camere altrui, solo per fare un saluto.
«È successo qualcosa, vero? A Elena? O a Bonnie?», strilla Caroline, dimenticandosi di nuovo che sua madre potrebbe piombare da un momento all'altro in camera sua con la pistola spianata.
«Shh!», sussurra Stefan, provando a calmarla. «Caroline, non è─»
«Oddio, è Damon, vero? Ho appena immaginato di ucciderlo brutalmente, ma non volevo─»
«Caroline, sul serio, non è successo... aspetta, stavi immaginando di─?»
«Non volevo! Stefan, te lo giuro, io...»
La risata di lui la prende in contropiede.
È una di quelle belle risate profonde, piene di divertimento, che fanno luccicare gli occhi di allegria. È raro vedere Stefan ridere in questo modo, e Caroline rimane a fissarlo sorpresa e ancora più confusa di prima.
«Non è successo nulla, Caroline, davvero», ripete Stefan, ancora ridendo. «Stanno tutti benissimo, compreso Damon, ma se vuoi pensarci tu ad ucciderlo brutalmente hai la mia benedizione», aggiunge divertito.
«Ma allora... cosa ci fai qui?», chiede Caroline, guardandolo con gli occhi sempre più spalancati.
Stefan apre la bocca per rispondere, poi ci ripensa, ed invece si limita a sorriderle.
«Sono andato a caccia, e facevo una passeggiata prima di andare a casa. Tutto qui», replica infine. «Cosa ci fai tu ancora sveglia, invece?»
Caroline scuote appena le spalle.
«Non riuscivo a dormire», risponde onestamente. «Sei stato a caccia, hai detto?», domanda dopo un attimo, accigliandosi. «Ma non puz─ cioè, non sento odore di coniglio»
«Stai dicendo che di solito puzzo di coniglio?», chiede delicatamente Stefan, quasi più offeso che imbarazzato per essere stato così facilmente scoperto.
«Solo dopo che sei andato a caccia», ribatte prontamente Caroline, scrutandolo con le sopracciglia alzate.
Se potesse farlo, Stefan arrossirebbe.
«In effetti non sono esattamente andato a caccia, questa notte», ammette, senza guardarla negli occhi. «Ho solo... bé, neanche io riuscivo a dormire», riesce a dire alla fine.
Caroline continua a fissarlo con educata incredulità.
«Anche tu hai mangiato due chili di gelato prima di andare a letto?», domanda ironicamente, e per tutta risposta Stefan sorride e china la testa verso il basso.
«No, non mi piace il gelato», replica, continuando a fissare la moquette. «Ho fatto un sogno», aggiunge velocemente, come sforzandosi a farlo. «Non era molto piacevole. E non mi andava di restare a casa»
«Capisco», replica Caroline, anche se non capisce affatto.
Ora che si è calmata, ed è sicura di non poter uccidere la gente con il pensiero, riesce finalmente a notare qualcosa di strano in Stefan. Più strano del fatto che sia piombato in camera sua alle cinque del mattino, sì. Intanto è leggermente sudato, e i vampiri sudano raramente. E poi c'è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che somiglia molto alla paura. Ma ha appena detto che non è successo niente, e Caroline sa che non sta mentendo.
Eppure ha visto raramente Stefan davvero spaventato, e solo in occasioni che giustificavano appieno qualsiasi forma di terrore, tipo il trovarsi faccia a faccia con un licantropo che poteva ucciderli con un solo morso. Quindi davvero non riesce a capire come un semplice incubo possa averlo spaventato tanto. Si chiede cosa mai possa sognare Stefan di così orribile, e scopre di non volerlo immaginare.
In fondo Stefan è uno dei suoi pochissimi punti fermi, ed è una cosa davvero ben poco piacevole vedere il proprio punto fermo traballare.
Accorgendosi che il silenzio comincia a farsi imbarazzante e che sono ancora entrambi in piedi davanti alla finestra, Caroline fa qualche passo indietro verso il letto, e con un cenno lo invita a seguirla.
Stefan le scocca un'occhiata esitante, e poi volge lo sguardo al di fuori della finestra, dove la notte ancora spadroneggia con le sue ombre scure.
«Forse dovrei andare», mormora il vampiro.
«No», replica dolcemente Caroline. «Resta ancora un po'»
Quando Stefan si limita ad annuire e a sedersi accanto a lei sul suo letto, Caroline capisce che c'è decisamente qualcosa che non va, anche se non saprebbe davvero dire cosa.
Non ha mai avuto molti amici maschi, perché raramente i ragazzi che si avvicinavano a lei come amici si accontentavano poi di rimanere tali. La mancanza di amicizie maschili non le è mai sembrata una pecca così grave, ma ora, con Stefan lì al suo fianco che sembra avere un bisogno disperato di conforto, non sa proprio come comportarsi.
«Perché non mi parli di questo sogno?», domanda dopo un po', con semplicità e gentilezza. Il tatto non è mai stato il suo forte, ma dopotutto ha sempre pensato che il modo migliore di affrontare i problemi sia andando dritti al punto.
Stefan si volta e la guarda con la stessa espressione esitante e imbarazzata di pochi attimi prima.
«Non è niente di che, Caroline», mormora piano.
«Sei spaventato»
«Non è vero»
«Sì, invece. E qualsiasi cosa sia, con me puoi parlarne, Stefan. Lo sai, vero?»
Stefan non risponde, e Caroline sente una leggera punta di esasperazione pungolare crudelmente i suoi buoni propositi.
«Sai, se vuoi essere mio amico devi permettere anche a me di essere tua amica»
«Ma tu sei una mia─»
«L'amicizia è quando ci si aiuta a vicenda, Stefan», lo interrompe bruscamente Caroline. «Tu mi hai aiutato con Tyler, con Matt, con Katherine, con tutta questa cosa di essere un vampiro, e...»
«E tu ci hai aiutato più volte quando eravamo in difficoltà, e hai salvato me e Damon da morte certa», aggiunge Stefan, guardandola dritta negli occhi.
«Sì, effettivamente quella volta sono stata eccezionale», gli concede Caroline, sollevando l'angolo della bocca in una smorfia di superiorità. «Adesso però lasciami fare l'amica in modo più semplice e normale, o pretendi davvero che debba salvarti ogni volta dalle grinfie di mia madre o di qualche altro cacciatore di vampiri?»
Stefan distoglie lo sguardo dal suo, e Caroline riconosce perfettamente una nuova sfumatura di tristezza nella linea di nuovo serrata delle sue labbra.
«No, non credo ce ne sia il bisogno», risponde lui un istante più tardi, quasi sottovoce. Il suo tono si abbassa ulteriormente, tanto che la frase che segue è in realtà poco più che un sussurro, che Caroline percepisce distintamente grazie al suo udito sovrannaturale, ma che le fa capire con esattezza quanto sforzo richieda da parte del vampiro per essere pronunciata.
«Posso restare qui, Caroline? Solo fino all'alba?», domanda Stefan, con una lievissima nota di esitazione nella voce.
Non è una richiesta d'aiuto esplicita, ma è comunque il genere di cose che si possono chiedere solo ad un amico, e Caroline sorride, felice per quella piccola resa.
Alla sua mancata risposta Stefan comincia ad innervosirsi appena, e lei quasi giurerebbe di averlo visto arrossire se non fosse che è abbastanza certa che i vampiri non possano farlo.
Ancora senza rispondere, Caroline allunga una mano verso di lui, e la chiude con leggerezza sul suo polso. A quel contatto inaspettato Stefan si gira verso di lei, confuso dal significato del gesto e da quel silenzio prolungato.
«Certo che puoi restare», replica lentamente Caroline, una volta che i loro sguardi sono di nuovo concentrati l'uno sull'altro. «Tutto il tempo che serve», aggiunge piano.
Senza smettere di guardarla Stefan posa la sua mano su quella di lei, e le sorride di nuovo, molto più sinceramente di quanto non abbia fatto fino a quel momento.
«Grazie», mormora piano, e lei, semplicemente, annuisce.

«Raccontami di questo sogno», ripete Caroline dopo un po', per spezzare quel silenzio che sebbene non sia propriamente sgradevole, la mette comunque a disagio. «A scuola stiamo studiando Freud. Sono sicura che potrei interpretatelo benissimo»
«Oh, non ci vuole certo Freud per questo», ride Stefan. «A dire il vero è di una banalità quasi imbarazzante: un classico concentrato di stress e peggiori paure che diventano realtà»
Il suo sorriso vacilla un po' sulle ultime parole, e Caroline aggrotta la fronte. Per quanto tenti di sforzarsi, ci sono tante cose che non capisce di Stefan, tantissimi momenti in cui non riesce proprio ad immaginare cosa gli passi per la testa, e questo le dispiace, perché vorrebbe davvero essergli amica, ma lui non le semplifica certo le cose, con le sue frasi criptiche e le sue espressioni di granito.
«Quindi hai sognato un coniglio gigante mangiatore di vampiri?», chiede dopo qualche istante, quando capisce che l'altro non ha intenzione di continuare. Stefan continua a sorridere e scuote lentamente la testa.
«La tua ironia è troppo simile a quella di Damon», la rimprovera scherzosamente.
«Ehi!», protesta Caroline, affibbiandogli un ben poco scherzoso pugno nel fianco, che Stefan incassa con stoica imperturbabilità. «Se mi offendi ancora me ne vado», lo minaccia, scoccandogli un'occhiata che vorrebbe essere malevola.
Sorridono entrambi.
«Allora, se non è un coniglio mutante, qual è la tua peggiore paura?», chiede ancora lei, e di nuovo per un bel po' Stefan non risponde, tanto che Caroline pensa che dopotutto potrebbero non essere ancora così tanto amici da poter fare domande del genere.
Sta quasi per chiedergli scusa, quando lui riprende improvvisamente a parlare.
«In realtà sono fondamentalmente tre», sussurra piano, come se stesse parlando più a sé stesso che a lei. «Perdere Elena. Perdere mio fratello», si interrompe un istante e sospira pesantemente. «E tornare ad essere un mostro assetato di sangue», aggiunge, dopo una breve esitazione.
Ora Caroline non fatica affatto ad immaginare cosa possa aver sognato Stefan, e perché quell'incubo sia riuscito a scuoterlo tanto.
«Non succederà niente di tutto questo», mormora, pur sapendo di non avere alcuna sicurezza in proposito, se non quella datale dalla propria speranza.
«Tanto per cominciare tu non sei un mostro assetato di sangue─ e non importa quello che eri prima!», esclama, prima che lui possa interromperla. «Io ero una fan delle Spice Girls, ma poi mi è passata»
Stefan borbotta qualcosa di simile ad un “non è propriamente la stessa cosa”, ma lei non gli bada affatto.
«Proteggeremo Elena. È il nostro scopo, e siamo un grande team. Ce la faremo!», aggiunge, con convinzione.
«Questa è la tua anima da cheerleader che torna allo scoperto?», domanda Stefan.
«E per quanto riguarda Damon...», continua Caroline, ignorandolo ostinatamente. «Credi davvero che qualcuno riuscirà mai a farlo fuori? E se anche qualcuno ci riuscisse, pensi che l'inferno non ce lo rimanderebbe indietro?»
Stefan ridacchia appena.
«Figurati, ce lo ridarebbero insieme ad un bigliettino di accompagnamento: “Per favore, siete pregati di tenervelo: qui abbiamo già abbastanza guai”»
«Piantala!», esclama Stefan, ridendo.
Caroline gli rivolge un sorriso smagliante e si sdraia sul materasso, posando la testa sul cuscino. Mentre il silenzio torna a fare da padrone della stanza, il peso di un'intera nottata passata ad ascoltare musica e a deprimersi della sua vita comincia a farsi sentire, ed improvvisamente Caroline non desidera altro che mettersi a dormire, proprio lì e adesso, con Stefan ancora al suo fianco.
«Lo sai, vero, che era solo uno stupido sogno?», domanda cautamente dopo qualche istante, osservandolo da sotto in su.
Stefan sospira pesantemente e si sdraia accanto a lei, le loro teste così vicine da poter sentire il respiro dell'altro sulle guance.
«Sì, lo so. Ma immagino che avessi bisogno che qualcun altro me lo confermasse», replica Stefan.
Quelle parole fanno nascere sulle labbra di Caroline un sorriso spontaneo e sinceramente felice. Istintivamente si tira su quanto basta per chinarsi poi verso Stefan e stampargli un bacio sulla guancia. Stranamente lui non si ribella né si mostra affatto imbarazzato dal gesto, e mentre le prime avvisaglie del sonno le rubano uno sbadiglio, Caroline pensa che in fondo sì, sono davvero abbastanza amici.
In quel momento un primo raggio di sole riesce a filtrare al di sopra dell'orizzonte e ad attraversare con fulgente chiarezza la leggera barriera delle tende, fino a posarsi sulla spalla di Caroline, che ora fissa il soffitto con gli occhi sempre più socchiusi e assonnati.
Stefan alza lo sguardo verso la finestra, ed osserva il cielo farsi sempre più azzurro, mentre l'alba arriva finalmente a cacciare via la notte.
È una tipica alba estiva, luminosa e allegra, seguita dal canto degli uccelli e dal gracidare dei grilli. Rispetto al buio di meno di mezz'ora prima è un cambiamento così repentino da stordire, quasi.
Eppure, quando i suoi occhi tornano a posarsi su Caroline, Stefan capisce che se ora si sente un perfetto idiota per essersi lasciato spaventare così tanto da quell'incubo assurdo, i cui contorni precisi ormai già cominciano a svanire dalla sua memoria, non lo deve solo all'alba.
«Tra meno di due ore mia madre entrerà qui dentro e ti sparerà», gli annuncia Caroline, rannicchiandosi contro di lui e chiudendo gli occhi.
«Me ne andrò prima che arrivi», replica distrattamente Stefan, ora assorto ad osservare il modo in cui i raggi del sole risplendono giocosi sui capelli biondi della ragazza.
«Sarà meglio», mormora pianissimo Caroline, e dal suo tono l'altro capisce che sta praticamente già dormendo.
Come incantato, Stefan solleva appena una mano per accarezzarle gentilmente i capelli, e mentre l'abbraccio ancora tiepido del sole li avvolge entrambi, sente improvvisamente le sue palpebre farsi sempre più pesanti. Senza riuscire a trattenere uno sbadiglio, sprofonda un po' di più nel cuscino, poi chiude gli occhi e appoggia la propria fronte contro quella di Caroline.
L'ultimo suo pensiero razionale è un vago promemoria a sé stesso di svegliarsi in tempo per evitare di finire arrestato per molestie dallo sceriffo Forbes.


   
 
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