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Autore: Loryblackwolf    13/04/2011    3 recensioni
"Quello era il loro tempo. Che si trattasse di vittoria o sconfitta non sarebbe importato, poiché avrebbero lottato. La principessa di un popolo dimenticato e un mercenario del deserto, legati dal mutevole intreccio teso da divinità in perenne lotta. Che la loro guerra li travolgesse o li elevasse, in quel giorno di pioggia seppero che sarebbe dipeso dal filo di una sola spada, e dal cuore di una sola donna."
Questa storia è ambientata dopo la fine di Prince of Persia e dopo Epilogue.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 2: Bagliore



Mehdi era solito starsene seduto accanto alla finestra di pomeriggio, tra un lavoro e l'altro, a godersi il viavai di gente indaffarata che scorreva lungo la strada polverosa prima del calar del sole, con una bella tazza di tè bollente in mano. Quel giorno i clienti erano stati tristemente pochi nonostante la pioggia avesse finalmente deciso di concedere una pausa alla città, e la sua degustazione della bevanda si era protratta fino a sera. Con noia sfacciata stava seduto sul tavolo, ondeggiando piano la tazza piena a metà di tè alla menta freddo da lungo tempo. Era un uomo alto e sottile, dai corti capelli e una barbetta nera ben curata, adorna da anellini d'argento riccamente cesellati, e grandi occhi scuri. Il suo piccolo negozio di antiquariato era una vera e propria Mecca per i collezionisti, un luogo dove era possibile trovare oggetti e reperti antichi quanto la Persia stessa, dai delicati vasi di ceramica alle più belle spade da parata. Non c'era nessun altro luogo in città dove la qualità si sposava così bene col prezzo. O questo, almeno, era ciò che lui raccontava ad ogni dannatissimo cliente che si accingeva a varcare la soglia della sua bottega.
Posò la tazza su un tavolino e andò sbuffando verso uno degli espositori accanto al bancone, per assicurarsi che lo strato di polvere sul vetro fosse abbastanza sottile da non rivelare le poche volte in cui l'aveva aperto, per mostrare una strana varietà di forchette di bronzo. Era sufficientemente pulito, come tutti gli oggetti esposti su tavoli e credenze, un'esplosione di colori e materiali effettivamente piuttosto piacevole, ma non abbastanza da attirare tanti clienti quanti invece ne accaparrava il vetraio lì di fronte, tutto preso dai suoi orripilanti bicchieri colorati. Mehdi sbuffò ancora, con il pensiero già rivolto al curry che si sarebbe preparato una volta chiuso il negozio, quando udì il tintinnare della tenda di perline che adornava la porta d'ingresso. Con un'abilità maturata in anni di duro lavoro e patteggiamenti d'ogni tipo, il mercante sfoderò il suo miglior sorriso di repertorio e si voltò verso le due persone appena entrate, sollevando le mani in un ampio gesto di benvenuto.
«Ah, siate i benvenuti nella mia umile bottega, signori. Non siate timidi, guardatevi attorno e gustate l'odore di terre lontane e di rare meraviglie! Posso consigliarvi uno splendido incensiere? La vostra casa non sembrerà più la stessa, dopo che l'avrete esposto». Modulò la propria voce con l'attenzione di un attore professionista, assumendo un atteggiamento rilassato e amichevole che tante volte gli avevano procurato qualche piccolo introito in più. Indicò loro la sala con un gesto morbido della mano, arretrando di qualche passo per concedere loro lo spazio necessario per guardarsi attorno, e ne approfittò per osservarli meglio. Un buon mercante deve saper riconoscere il tipo di cliente, per piazzare una buona vendita. Constatò con delusione che non dovevano essere quei rari mercanti d'alto rango che di tanto in tanto passeggiavano per le vie della città in cerca di cimeli per abbellire le loro regge, ma semplici viaggiatori, sporchi per giunta. La donna doveva essere piuttosto bella, per quel poco che riusciva a vedere oltre le pieghe del cappuccio che teneva calato sul volto, avvolta in una sorta di burqa improvvisato di tela azzurra. Lui era ridotto persino peggio, agghindato con una veste di pelle bruna proveniente da chissà quale terra, logora e ricoperta di polvere e sabbia. E quale pessimo gusto, indossare due fasce di colore diverso come tagelmust! Accostare delle tonalità così accese di rosso e blu dovrebbe essere una mania riservata unicamente a quei caproni fin troppo ricchi affinché qualcuno possa fargli notare quanto sono ridicoli. Ma dopo tutto, erano clienti.
Lei si guardò attorno con una certa curiosità, mentre lui rivolse solamente una svogliata occhiata alle spade ornamentali, col volto coperto da un lembo di fascia rossa. Dopo essersi dato una veloce occhiata attorno ed essersi assicurato che non ci fosse nessun altro nel locale, si volse e diede un delicato colpetto alla porta d'ingresso, così da farla chiudere senza emettere alcun rumore. E Mehdi notò con orrore ciò che prima non aveva neppure scorto, per via dell'angolazione della luce e del fianco mostrato dall'uomo sull'ingresso. Notò la lunga shamshir che gli pendeva infoderata al fianco, dall'elsa abbellita da una gemma trasparente. Se la sua espressione era passata dal sorriso allo sgomento nel notare quell'arma del tutto unica, allora il suo volto si fece di ghiaccio quando vide il guanto artigliato che portava alla mano sinistra, un cimelio che aveva visto indosso ad una sola persona in tutta la sua vita...
«Mehdi, mio caro e vecchio amico. Quanto tempo è passato? Tre anni? Non sei cambiato affatto.» disse l'uomo, mentre abbassava la fascia per mostrare il volto, con un sorriso fin troppo amichevole. Lei rimase impassibile, osservando in silenzio la scena mentre il mercante indietreggiava balbettando disordinatamente, indicando il suo compagno con l'indice alzato, quasi fosse un fantasma appena spuntato dall'inferno.
«T-tu non dovresti essere qui... l-l'ho vista quella frana, e tutte le guardie che ti stavano dietro.» gocce di sudore freddo iniziarono ad imperlargli la fronte, mentre urtava con la schiena contro il bancone cercando di mantenere le distanze dal viaggiatore. Lui ridacchiò con fare ostentato e persino derisorio, sollevando le mani e mostrandone i palmi in segno di pace. Anche se il luccichio del metallo del guanto rendeva il suo gesto ben poco rassicurante.

«Suvvia, non mi sembra il caso di fare così. Va bene, non ci siamo separati in una situazione che definirei piacevole, ma non è questo il modo di accogliere un vecchio compagno d'armi, non trovi?»

Il mercante si irrigidì. Nessuna via di fuga si apriva davanti a lui, persino la donna si mosse affiancando il suo aguzzino, bloccandogli lo spiraglio di spazio che avrebbe potuto condurlo verso l'uscita. Prima che i due potessero avvicinarsi ancor di più, posò le mani sul bancone dietro di sé e fece perno per sferrare un poderoso calcio al tavolino che gli stava di fianco, facendo volare come schegge un intero set di minuscoli animali di pietra lucida verso i due che furono costretti ad indietreggiare per proteggersi il volto da quei proiettili improvvisati. Mahdi fu un lampo a voltarsi, a scavalcare il bancone con un salto e a fuggire via dalla finestra, lanciandosi in una fuga precipitosa mentre il viaggiatore, ben poco sorpreso, lo seguì in strada con la stessa velocità.

«Elika, braccalo!»

Prima ancora che lei uscisse dalla finestra, lui aveva già spiccato un balzo lungo la parete di una casa e vi aveva conficcato con forza gli artigli del guanto, sgretolando parte dei friabili mattoni per crearsi un appiglio sicuro. Con un'agilità impensabile si arrampicò fino al cornicione della casa e si issò sul tetto, dove si lanciò all'inseguimento del mercante. Elika non fu meno rapida, corse via in un fruscio di vesti e si dileguò tra la gente attonita.

Mehdi correva come un forsennato per le strade rese umidicce e scivolose dalla pioggia, spintonando i malcapitati che gli ostacolavano la fuga senza alcun ritegno pur di liberarsi la via. Le urla e gli allarmismi dei passanti lo innervosirono ancor di più, temendo di attirare l'attenzione dei suoi inseguitori di cui già avvertiva il fiato sul collo. Senza fermarsi a chiedersi il perché di tutto il loro interessamento, svoltò in una viuzza buia e stretta che correva lungo due caseggiati entrando di fatto nel quartiere malfamato del paese, un cumulo di case cadenti dove mendicanti e tagliaborse avevano eretto il loro dominio. Nessuno degli individui e delle donne vestite in abiti succinti che lo incrociarono gli degnarono più di uno sguardo, quando filò accanto a loro come un fulmine. Sorrise tra sé e sé, nel vedere quanto il silenzio dei veri padroni della città possa far comodo a chiunque debba disfarsi di una seccatura. Stava quasi per iniziare a considerarsi al sicuro, quando un lampo di stoffa blu gli si parò davanti sbucando all'improvviso da un angolo, bloccandogli la strada; frenò bruscamente rischiando di perdere l'equilibrio, sollevando una piccola nube di polvere con gli stivali.

«Non abbiamo intenzione di farti nulla. Devi solo ascoltarci. Aspetta!»

Il mercante non si fermò neppure ad ascoltare. Invertì la rotta e si lanciò a rotta di collo lungo le lugubri stradine del quartiere, ansimante come non mai. Sopra di lui, vide più di una volta un'ombra balzare da un tetto all'altro anticipando le sue mosse, senza riuscire a comprendere cosa fosse finchè non sboccò in una piazzetta quadrata rischiata a malapena da una piccola lampada ad olio, dove nuovamente quella donna diabolica gli fu addosso. Spazientita, Elika non volle perdere tempo in altri inutili tentativi di dialogo e gli sferrò un calcio alle caviglie, abbastanza forte da farlo ruzzolare a terra con un urlo, facendolo ritrovare supino con le spalle addossate al muro. Aveva già pronta una sequela apparentemente infinita di ingiurie da lanciare a quella sconosciuta dall'agilità apparentemente sovrumana, quando l'ombra che aveva visto sopra di sé si mostrò in tutta la sua chiarezza. Vide il ladro correre verso di lui sul tetto e balzare con la shamshir in pugno, che turbinò nell'aria descrivendo un arco illuminato d'arancione dalla luce della torcia, lo vide come se il tempo si fosse dilatato e avvertì il sibilo del metallo nell'aria mentre questo calava su di lui. La punta della spada si conficcò con un tonfo secco nell'acciottolato lurido della piazza a meno di un dito di distanza dal cavallo dei suoi pantaloni, sollevando uno spruzzo di polvere e stringendo il mercante in una morsa di puro e semplice terrore che lo paralizzò del tutto, come un coniglio tra le fauci del segugio. Tremante, incrociò gli occhi azzurri e penetranti dell'uomo e attese, sconfitto.

«Noi due dobbiamo parlare.»

 

Elika e il suo compagno sedettero al tavolo nella casa di Mehdi, mentre lui armeggiava con teiera e filtri per preparare il tè. Una volta compreso di non avere più scelta, il mercante aveva accettato di accoglierli e di ascoltarli, ritrovando finalmente la calma necessaria a gestire la situazione e possibilmente a salvarsi la pelle. Per tutto il tempo avvertì la tensione provocata dalla semplice presenza di quell'uomo, nonostante fosse seduto scompostamente sulla sedia con la schiena poggiata contro lo schienale e la caviglia posata sul ginocchio, con un sorriso rilassato.

«Lo dicevo io, non sei cambiato affatto, vecchia volpe. Rapido nel fuggire molto più che nell'arraffare cospicui bottini.» ridacchiò, posando la mano sinistra sul tavolo e tamburellando piano con gli artigli metallici, ostentando la vista di quell'arma in un modo che ad Elika parve fin troppo significativo. Con un sospiro stanco sollevò il cappuccio e lo lasciò ricadere lungo la schiena, mostrando i folti capelli castani pieni della polvere accumulata nel deserto. Volse lo sguardo verso il mercante, che nel frattempo aveva messo sul fuoco la teiera.

«Ci spiace d'esserti piombati addosso senza darci il tempo di spiegare. Non era nostra intenzione darti tanto fastidio, ma non possiamo permetterci di perdere tempo.»

Mehdi sbuffò roteando gli occhi verso il cielo, esasperato dalla situazione. Poco gli importava del tono educato di quella donna e della sua voce melodiosa ed avvolgente, il suo unico desiderio era di liberarsi di loro il più velocemente possibile.

«Stammi bene a sentire, ragazzina, l'unico che non ha tempo da perdere sono io. Quindi ditemi cosa diavolo volete e... » mentre parlava si volse verso di loro, e finalmente scorse il volto di Elika. Ammutolì immediatamente, studiandone i lineamenti con fare incredulo, al punto da ignorare il moto di stizza del suo ex compare. Non era sorpreso dal fatto che Medhi fosse rimasto tanto basito nel vedere Elika mostrare il volto e i capelli con tale disinvoltura, per di più davanti ad un uomo sconosciuto, andando contro le antiche tradizioni persiane. Le uniche donne che osavano mostrare a quel modo il proprio capo erano le intrattenitrici di professione. Avrebbe dovuto farle notare che non si trovavano più nel suo regno, e lo sguardo prolungato che il mercante le rivolse lo fece innervosire ancor di più. Lei distolse lo sguardo, accantonando la tensione venutasi a creare.

«Sembrate conoscervi da molto, in ogni caso. Eravate commilitoni, o qualcosa del genere?» chiese con noncuranza, mentre Mehdi ne approfittava per volgersi e tornare a preparare i filtri per il tè, con movimenti veloci e nervosi.

«Abbiamo visitato un paio di templi e qualche antica tomba, in passato. Custodivano un po' troppo oro rispetto alle poveri genti che vi pregavano, ci siamo sentiti in dovere di... far giustizia» ridacchiò lui, incurante del sospiro rassegnato del falso mercante. «L'ultima volta ci stavano addosso. Tutto perché il mio buon vecchio amico ha cercato di sottrarmi qualcosa che ovviamente spettava a me.» sottolineò l'ultima frase ticchettando fastidiosamente con gli artigli sul tavolo, lanciando un'occhiata di sbieco a Mehdii, con tanto di sorriso beffardo.

«Dopo l'inferno che ho passato per riuscire a disattivare tutte quelle trappole, era ovvio che il pezzo migliore finisse in mano mia.» grugnì lui, irritato. «L'aver passato a fil di spada un paio di guardie conta molto meno, senza di me non avresti passato neppure l'ingresso».

Elika socchiuse gli occhi posando il mento sottile contro il dorso della sua mano, e sorrise con spenta ironia, scuotendo piano il capo. Non sembrava affatto sorpresa.

«E così hai tentato di rubargli quel guanto. Mi sorprende che non ti abbia ucciso.»

«Bè... io ci ho provato.»

«Due volte!» asserì Mehdi, sollevando due dita senza voltarsi per sottolineare la gravità del fatto.

«... ma come ti ho detto, il mio buon amico è bravissimo a fuggire.» terminò lui, con un sorriso feroce. Mehdi Immerse due piccoli filtri di tela colmi di foglie secche e profumate nell'acqua bollente, e posò la teiera sul tavolo, davanti ai suoi ospiti. Poi si sedette anche lui, e non si curò di impedire alla propria sedia di stridere fastidiosamente contro il pavimento, seppur apparisse in parte più calmo rispetto all'inizio della conversazione. Continuava a gettare discrete occhiate ad Elika, con un'espressione meditabonda sul volto affilato. Sospirò nuovamente, prendendo a giocherellare con gli anellini che stringevano la sua lunga barbetta. «Allora. Che cosa volete?»

Elika lanciò un breve sguardo al suo compagno mentre allungava le mani verso una delle tazze che Mehdi aveva dato loro in precedenza, un muto invito a parlare. E un ammonimento alla discrezione, mai troppa per preservare la già fragile situazione nella quale si muovevano. Lui non diede neppure segno d'aver notato il suo messaggio, e si sedette con maggior compostezza sulla sedia, con le braccia posate sul tavolo. Abbassò la voce, ma non cancellò dal suo atteggiamento quel che di arrogante che faceva apparire il tutto poco importante.

«Un tetto dove nasconderci da occhi indiscreti per qualche giorno, innanzi tutto. So che voi della Gilda vi occupate anche di certi affari... una casa vuota a vostra disposizione fa sempre comodo, quando c'è da nascondersi. Poi, ci servono delle informazioni. Abbiamo ragione di pensare che una certa etnia si sia diffusa per la Persia da qualche anno a questa parte, ci interessa sapere dove può essersi stabilita, in quali città. Si fanno chiamare Ahura. Ne sai niente?»

Mehdi stette in silenzio per un po', con lo sguardo fisso nel vuoto e le dita ancora strette attorno alla sua lunga e sottile barba. Poi scosse il capo, laconico.

«Una casa dove nascondervi posso affidarvela subito, purché si tratti di qualche giorno. Di questi Ahura non so nulla, posso tentare una ricerca. Ma vedi di non approfittarne troppo, la Gilda non ha ancora smesso di tenerti d'occhio, Arad. Faresti meglio ad assecondarla.»

Elika non si fece sfuggire il nome pronunciato da Mehdi con tanta noncuranza, e abbassò un poco l'orlo della tazza da cui stava bevendo per scorgere un'espressione parecchio irritata sul volto del suo compagno.

«Non ho il tempo per dedicarmi alle vostre stupide leggi. Ne riparleremo quando avremo terminato i nostri affari, e solo se saranno disposti a rassegnarsi. Io lavoro da solo.» Si alzò senza neppure toccare il proprio tè, con fare sbrigativo. «Portaci in questa casa. Sono stanco, non abbiamo avuto un attimo di tregua da quando siamo arrivati in città. E vedi di darti una mossa con questa ricerca, non ho intenzione di restare in questa fogna per più del tempo dovuto.»

 

Definire “casa” quel bugigattolo buio che Mehdi aveva rifilato loro sarebbe stato quasi un insulto. Nient'altro che un paio di stanze ricoperte da mesi e mesi di polvere, al primo piano di un vecchio stabile nel bel mezzo del quartiere povero con una porta tanto gonfia per l'umidità della pioggia da non riuscire quasi a chiudersi. Ma tutti convennero sul fatto che mantenesse un anonimato assolutamente perfetto. Mehdi lasciò loro una manciata di pagnotte e se ne andò sotto la pioggia che aveva appena ricominciato a cadere, riempiendo le strade con una fanghiglia spessa e fastidiosa che molto avrebbe impiegato per venir lavata via. Ma era proprio questo il bello della stagione delle piogge: aveva il potere di purificare la sozzura delle città e dei loro bassifondi, portando tra le vie un odore di pulito che ben poco avrebbe impiegato per venir soffocato dalla sabbia del deserto e dalla calura diurna. Per quanto sferzante fosse, neppure la tempesta riusciva a rendere accoglienti certi luoghi. Una bellezza che tende a deludere, pensò il ladro affacciato all'unica finestra che dava sui tetti più bassi. La notte era ormai inoltrata e non si udivano altro che le voci lontane di uomini ubriachi e risate sconce, una colonna sonora a cui lui si era da lungo tempo abituato, e lasciò la finestra per volgersi verso Elika seduta sul letto – l'unico letto della casa – intenta a sbocconcellare un po' di pane illuminata dalla luce di un mozzicone di candela.

«Arad, giusto?» chiese lei, e lui strinse i denti in un sorriso insofferente. Senza risponderle si avvicinò al letto, e vi si sedette per prenderle il braccio destro tra le mani, ancora avvolto dal vecchio lembo di stoffa utilizzato come medicazione di fortuna. Si era tolto entrambi i guanti e le sciarpe, così che i capelli scuri gli ricadessero lungo il volto, scarmigliati e ribelli. Era la prima volta che lo vedeva senza quegli ornamenti, e scoprì quanto fossero ruvidi i palmi e le dita delle sue mani, rese callose dall'uso intenso della spada. Ma erano calde, e così delicate che non sentì quasi nulla quando la fasciatura fu tolta. Osservava intensamente ogni suo movimento, scrutandone l'espressione vagamente contrita in quello che forse era il primo momento di tranquillità che avessero mai vissuto fianco a fianco, senza l'impellenza estrema a mettersi in salvo o di lanciarsi a testa bassa contro un nemico troppo grande. «E' il tuo vero nome?» Insistette, con un tono che rivelava un certo sarcasmo, come se non si aspettasse una risposta concreta. Pareva facessero a gara a chi dei due aveva più segreti da custodire, questo era stato evidente fin dal loro primo incontro, e quando lui aveva aggirato la sua curiosità circa il suo nome. Con tutte le parole che si erano scambiati durante il loro viaggio, era sempre riuscito ad eludere la questione limitandosi a riempire il silenzio con argomenti spesso poco adatti alla situazione. Ed era riuscito a mantenere la mente di lei, oltre che la sua, sgombra dalla consapevolezza di avere il fiato di un dio sul collo. Lontano dalla pazzia, insomma.

«Chi può dirlo, principessa... chi può dirlo. Comunque tu hai una tempra d'acciaio, la ferita si sta richiudendo da sola». Era vero. Lo squarcio irregolare causato dall'artigliata del Corrotto stava guarendo, una striscia bruna di sangue secco ne chiudeva le asperità. Forse le sarebbe rimasta una cicatrice per un bel po' di tempo, e lui storse le labbra al sol pensiero di vedere sulla sua pelle un segno tanto orribile. Le lasciò il braccio, e si dedicò ad un grosso pezzo del pane che avrebbe costituito probabilmente anche la loro colazione. Ma lei non aveva ancora finito.

«Di quale Gilda stava parlando, quel Mehdi? Da come ne ha parlato sembra qualcosa di molto grosso... che, come tante altre cose grosse, tu devi aver fatto infuriare.» tirò svogliatamente un altro morso alla sua forma di pane, fissando con occhio critico la ferita sul suo braccio. Inutile dire che si riferisse ad Ormazd, forse persino ad Ahriman. Era certa che la sua abitudine a considerarsi qualcosa di molto simile al dio di sé stesso l'avrebbe condotto ad un mare di guai, se già aveva gettato il mondo nelle tenebre senza stare a pensarci troppo.

Per riportare in vita me.

Il collegamento a quel pensiero le venne del tutto spontaneo, e sbriciolò tra le dita quel poco di pane che ancora le restava in mano pur di allontanarlo. Rifuggiva ciò che implicava quel dato di fatto come avrebbe fatto con una mano sulle fiamme, relegandolo in un angolo della sua mente e seppellendolo sotto orde di pensieri più immediati. Così come aveva fatto durante tutto il loro viaggio nel regno degli Ahura, dove nient'altro contava oltre al risanamento dei Suoli Fertili. Scosse le briciole che erano rimaste sul palmo, pensando a quanto fosse stato facile, solo pochi giorni prima, muoversi per tappe stabilite. Ora stavano andando allo sbaraglio.

«Oh, nulla di importante.» rispose lui con la bocca ancora piena di pane, strappandola dalle sue elucubrazioni. «Nel mio settore capita spesso che qualcuno riesca ad avere più successo degli altri. Da un branco di pezzenti quali erano, quelli della Gilda dei Ladri sono divenuti l'organizzazione malavitosa più grande di tutta la Persia. Ho collaborato con loro un paio di volte, niente di più.» Elika inarcò un sopracciglio, senza smettere di punzecchiarlo con lo sguardo, tutt'altro che soddisfatta dalla sua spiegazione. Lui tentò di ignorarla, ma non trovò alcuna via di fuga dal discorso ormai iniziato. «Insomma, mi hanno proposto di entrare tra le loro fila.»

«E tu hai rifiutato.» concluse lei, lasciando cadere a terra le ultime briciole rimaste tra le sue mani. «Strano, credevo facesse comodo far parte di un gruppo quando si tratta di vivere al di sopra delle leggi.»

«E stare a sentirmi dire dove e come agire, con chi muovermi, come comportarmi per poi dover cedere la maggior parte del ricavato che io ho guadagnato? Spiacente principessa, sono un libero professionista e tale resterò.» replicò lui, inghiottendo con boria l'ultimo boccone di pane rimastogli, orgoglioso fino al midollo. Lei scosse il capo, in parte divertita e in parte rassegnata, e si alzò per avvicinarsi al tavolo dove ancora la piccola candela bruciava, spandendo la sua luce oleosa lungo le pareti della stanza. La sollevò, proteggendo la fiammella col palmo della mano.

«Hai così tanta paura dei legami.»

Lui raggelò. Le parole di lei non volevano essere un'accusa, non aveva udito traccia di derisione o di biasimo nella sua voce, ma quella semplice frase ebbe su di lui lo stesso effetto di una stilettata in pieno petto. Non aveva mai neppure cercato di nascondere la sua attitudine a vivere in solitudine, alla frequenza con cui lasciava città e conoscenze per dedicarsi a nuovi orizzonti e nuove esperienze, lasciandosi dietro nient'altro che vaghe tracce del suo passaggio. Di come fino ad allora avesse vissuto muovendosi sulla sola superficie, senza mai neppure affacciarsi verso gli abissi più caldi e profondi, pieni di vita. Ed era stato fiero della sua vita, fiero dell'indipendenza che aveva così faticosamente creato e difeso. Eppure quella verità pronunciata da Elika riuscì a fargli sentire una scossa di paura nel profondo, mentre osservava le sue spalle esili sullo sfondo buio di quella casa, una paura dalle radici molto più spesse di quanto non avesse mai neppure immaginato. Perché questo lo escludeva da qualsiasi legame con lei. Quando aveva posato sul suo petto quel seme di luce, oltre al mondo intero forse aveva distrutto anche qualcosa che probabilmente non sarebbe mai riuscito a ricomporre e riconquistare, neppure continuando a combattere al suo fianco nelle Tenebre.

Sorrise, amaro.

Non m'importa se non ti fidi di me, odiami pure. Purché tu viva.

Elika osservò per qualche istante la debole fiammella della candela, scaldandosi le mani con quel flebile bagliore che tingeva il suo volto delicato con riflessi d'oro spento. Poteva quasi sentire l'oscurità di Ahriman minacciare anche quella piccola fonte di luce, facendola apparire scialba e morente. Sospirò, tornando a posarla sul tavolo. «Domani dovremo fare un giro della città, fare delle ricerche per conto nostro. Non possiamo affidarci unicamente a Mehdi.» disse, e le sue parole si persero in un silenzio fin troppo lungo. Si volse, dubbiosa. «Arad?»

Non ottenne nessuna risposta, perché su quell'unico letto non c'era nessuno. Si guardò attorno nella casa vuota, e il suo sguardo indugiò sulla finestra ancora aperta che dava sui tetti delle case circostanti. Corse a quella finestra, per osservare la città immersa in un buio fin troppo profondo dove solo il suono ovattato della pioggia sembrava regnare, dove nulla si muoveva, dove nulla splendeva. A nulla servì la sua attesa, seppe fin da subito che quella notte l'avrebbe passata da sola, senza la sua presenza. Tornò a passi lenti al tavolo al centro della camera, dove il blu e il rosso delle sue sciarpe contrastavano col grigio opaco del guanto artigliato, usurato dalla sabbia e dalla polvere. Ne sfiorò la superficie metallica con le dita, passando i polpastrelli lungo il filo delle lame che lasciarono sulla sua pelle un sottilissimo segno bianco. Nonostante tutte le volte in cui l'aveva presa per mano, o l'aveva aiutata a risalire un pendio, o l'aveva portata via tenendola tra le sue braccia, lui non l'aveva mai neppure graffiata con quegli artigli.

Quella notte, il bagliore della piccola candela perdurò fino all'alba.


 


 

Rieccomi con un altro capitolo della mia storia! Ebbene sì, signori e signore. Ho osato il non osabile: ho dato un nome al Principe!! Chiedo scusa per questo agli amanti del gioco, ma temo di non essere abbastanza brava da riuscire a scrivere una storia utilizzando sempre gli stessi aggettivi per riferirmi al personaggio, specie quando ci sono dialoghi con più personaggi come in questo caso. Non me la sentivo di chiamarlo “Principe”, proprio perché in questo gioco questa definizione è più simbolica che reale. Ma ci lavorerò su.

Che altro dire, spero vi piaccia. Se c'è qualcosa che vi incuriosisce o che non vi piace, oppure trovate qualche errore grammaticale o di punteggiatura, fatemelo sapere!! ^__^ Spero in tante critiche, sono l'unico modo che ho per migliorare.

 

LoryBlackWolf

 

 

 

   
 
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