CAPITOLO
1
Mentre ascoltavo
“The End” a tutto volume qualcuno aprì
bruscamente la
porta della mia camera e disse ad alta voce «Liz, sbrigati!
Non c’è tempo da
perdere!».
La voce di mia
madre mi ricordò
quello che già sapevo: dovevo essere all’Hotel fra
poco meno di mezz’ora e
attaccare il mio turno in cucina.
Guardai
l’orologio mentre a
malincuore toglievo il cd “The poison” dallo
stereo; accidenti erano quasi le
sette di sera.
Sfrecciai come
un fulmine dalla mia
camera al piano di sotto afferrando al volo la mia borsa nera sul
divano e
infilandomi in fretta e furia le New Rock.
Mia madre
ricomparve dalla rampa
delle scale con uno sguardo di rimprovero «E’ un
miracolo che non ti abbiano
ancora licenziata».
«Si certo» risposi
prontamente senza
preoccuparmi di nascondere il tono scocciato e uscii di prima che
potesse
replicare di nuovo.
Presi la mia
bici rossa fiammante
imprecando perché non avevo ancora la patente e finalmente
mi diressi a lavoro
sotto un cielo grigio e nuvoloso.
Arrivai per le
sette e mezza,
esattamente con mezz’ora di ritardo. Attraversai la sala
ristorante e notai
alcuni dei miei colleghi che risero fra loro guardando nella mia
direzione ma
li ignorai con successo.
«Ciao Liz» mi disse Lucy,
la cameriera più
“anziana” dello staff.
«Sei sempre
puntuale eh»
commentò Richard, l’altro cameriere che in quel
momento era
intento a lucidare boccali e calici.
«Salve a tutti» risposi
frettolosamente poi entrai
in cucina e trovai Sharon, lo chef mia coetanea, che li dentro era la
persona
migliore per quel che mi riguardava; lei no che non mi trattava mai
come la figlia
del proprietario dell’Hotel.
Alzò
gli occhi su di me e indugiò per
un secondo, «Liz, ma che ti
prende? Anche oggi sei in ritardo! Dai che se
ti becca il capo che sei ancora cosi ci ammazza a tutt’e due».
Si era rivolta a
me mettendosi le
mani sui fianchi lasciando perdere le patate che stava sbucciando.
«Ciao Sharon» le dissi
stampandole un bacio sulla
guancia, nonostante la sua espressione severa aggiunsi allegramente «Vado subito a
cambiarmi». Finalmente
sorrise ma poi vedendo
che mi ero messa ad assaggiare le sue verdure tornò seria «Ti vuoi muovere?», aveva preso il
coltello e lo puntava
verso di me con fare da assassina.
«Vado, vado e non
ti arrabbiare!» risposi e
scappai nel bagno poco
prima che Antonio, il nostro antipatico capo, apparve
nell’enorme cucina per
chiedere di me.
«Lizbeth
dov’è?» chiese del
tutto ironico guardandosi
intorno.
«Non si trova da
nessuna parte, tu ne sai qualcosa?» si era rivolto
a Sharon guardandola in faccia questa volta.
Lei, senza
smettere di concentrarsi
sul proprio lavoro, rispose «E’
sempre stata qui con me ad aiutarmi,
ma ora è andata un attimo…» non
riuscì a finire la frase perché
io, che avevo assistito alla scena senza che se ne fossero accorti,
apparvi davanti
a loro nella mia uniforme.
«Cercavi me forse?» domandai con un
sorrisetto al mio
capo.
Antonio
abbassò lo sguardo e mentre
uscì dalla porta fui quasi sicura di aver sentito che
sibilasse un “No” a
bassissima voce.
«Ahah mamma mia
fa tanto lo sbruffone ma poi come gli dai il
fatto suo scappa!» per la prima
volta da quando avevo
“attaccato” il mio turno vidi Sharon ridere a
crepapelle.
«Io non ho fatto
niente!” dissi ridendo anche io come una
matta quando Antonio tornò in cucina «C’è
gente che aspetta da mangiare
vedete di sbrigarvi sennò ci metto un attimo a cacciarvi
fuori di qui» aveva detto per
poi scomparire di nuovo.
“Ma
vattene a quel paese” pensai fra
me e me, «Che bastardo»
sussurrò Sharon e stavolta ci
mettemmo seriamente al lavoro.
Quando
finalmente, verso mezzanotte,
avevo finito di sparecchiare e riapparecchiare i tavoli per la
colazione del
giorno dopo e stavo pensando che fortunatamente il giorno dopo fosse
stato un
sabato, Lucrezia e Monica, le ragazze addette al front office (italiane
come
Antonio) mi chiamarono a “vedere un po’
qua” non seppi cosa.
Mi avvicinai al
bancone e loro mi
sorrisero e si lanciarono un’occhiatina.
«Una cosa veloce
eh, che sono molto
stanca» dissi
sbadigliando.
«Non ci crederai
mai!» urlò
Monica.
«Liz! Corri!» mi prese per un
braccio invitandomi
ad accelerare il passo, ma ottenne l’esatto effetto contrario.
«Calmati e che
sarà mai! Che c’è? Non dirmi che qui
arriva il
presidente degli stati uniti!» protestai,
avevo veramente sonno e
non vedevo l’ora di andarmene a casa, ascoltare un
po’ di metal e
addormentarmi.
Lucrezia, che
era seduta dietro al
monitor del pc rise, poi lei e Monica si guardarono ancora una volta.
«Veramente…
non proprio»
abbozzò quest’ultima.
Io non volevo
neppure guardare lo schermo,
infatti feci per andarmene «Va bene, a
domani allora» dissi
distrattamente, ma Lucrezia intervenne «Il presidente
degli stati uniti no» disse seria, «Ma i Bullet For
my Valentine… Si!”
concluse Monica.
Rimasi di
ghiaccio, stavo ancora
dando loro le spalle nell’intento di sgattaiolare via.
Poi,
improvvisamente, iniziai a
ridere.
Una risata
nervosa, piena di rabbia,
incredulità ma anche di desiderio.
«Non sono mai
venuti qui a Saint Helens!» mormorai
nervosamente, non volevo che si prendessero gioco
di me soltanto perché erano a conoscenza del mio punto
debole.
«Perché
vi divertite a farmi questo?» alzai la voce
di qualche ottava, stavolta mi ero girata.
«Ma
Liz…»
sussurrò Monica «Vieni a vedere
tu stessa, il loro manager ha prenotato qui un
breve soggiorno prima che inizi il loro prossimo tour…» non la lasciai
finire e mi avvicinai per leggere cosa ci
fosse scritto sul dannato monitor.
Per poco non
svenni quando scoprii
che Jay, Matt Moose e Padge sarebbero arrivati nel nostro Hotel il
giorno
seguente.