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Autore: Gundam Girl    31/01/2006    2 recensioni
Su Callisto, Julia cerca di dimenticare Spike e il suo passato. Un sassofonista le fa capire con la sua musica che non riuscirà mai a farlo...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Julia
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Un’altra oneshot dell’autrice di Begin e Kites without strings…l’ho trovata carina e ho pensato di tradurla 

Un’altra oneshot dell’autrice di Begin e Kites without strings…l’ho trovata carina e ho pensato di tradurla J

Over And Over

Autrice: Gundam Girl

Tradotta da Lyla

 

Callisto era sempre così freddo. La neve cadeva solo una volta a settimana a causa del regolatore del tempo, ma la temperatura non raggiungeva mai i trenta gradi. Julia mantenne le mani coperte e sepolte nelle profondità delle tasche della sua giacca.

Nonostante lo sforzo fatto per scegliere un guardaroba insignificante per sè prima di venire su questa luna, poteva ancora sentire dozzine di occhi maschili che la guardavano dalle strade intorno a lei.

Ed era qui da tre settimane, ora. Prima, un’attenzione simile l’aveva sconvolta, forse persino allarmata. Qui, i suoi occhi color zaffiro e i capelli color del sole contrastavano incredibilmente con i grigi e neri di un mondo nascosto. Era così diverso da Marte, dove poteva camminare nel mezzo della strada e passare veramente inosservata. Qui, con una popolazione così piccola e per il 99,9% maschile, Julia si sentiva come se ogni suo minimo movimento fosse osservato.

Poteva solo sperare che nessuno di quegli occhi appartenesse a un agente del sindacato. Si sarebbe trovata nei guai, se lo fossero stati.

Tremando, Julia si disse di smetterla di pensare a occhi. Gli unici che voleva rivedere, non erano nemmeno dello stesso colore. Così andò avanti per la sua strada, tra le ventate gelide, su un marciapiede.

Entrando nello stesso bar dove si fermava ogni sera, rimase in piedi tremando per un momento, riscaldandosi, e si guardò intorno. Non c’era nessun cappotto o impermeabile nero, come al solito. Con un pò di sollievo, si diresse verso il solito sgabello, quello nell’angolo sinistro del bancone. I clienti abituali si erano abituati a vederla lì, e il locale era sempre aperto quando lei ci andava per il suo drink delle nove.

"Buonasera, signorina Julia," disse il barman, sorridendole. Julia poteva quasi leggere i suoi pensieri: era ancora un guardone – proprio come ieri. "Vuole il solito?"

"Sì, per favore," disse tranquillamente. Le sue dita tamburellavano sul legno sfregiato per l’età, e i suoi occhi osservavano il palco vivamente illuminato poco lontano dal bancone. "Qual’è l’intrattenimento di stasera, Bill?"

Bill sorrise, le rughe che si formavano agli angoli della sua bocca mentre asciugava un bicchiere con un panno pulito. Avevano detto a Julia che aveva perso l’anulare della mano destra durante una sparatoria, in un incidente. "Bè, non è Georgette."

Julia fece una smorfia, ricordando la voce stridente del cantante che voleva "diventare una stella prima che la sua taglia venisse tolta." Gli sorrise di rimando. "Suppongo che sia vantaggioso, per le mie orecchie." Quando Bill fece scivolare un piccolo bicchiere di brandy nella sua mano in attesa, ne bevve il primo sorso, e il calore cominciò a farsi strada nei suoi piedi.

"Sì, stasera suona Glen. Le piacerà, credo. Sassofono. Ha cominciato questa mattina."

"Swing?"

"Jazz, tesoro. Il ragazzo lo adora."

Julia si morse il labbro. Anche Spike amava ascoltare il jazz. "Vedremo, se mi piacerà davvero," disse. "Ci sono dei jazzisti a Tharsis. Alcuni di loro hanno talento come—" S’interruppe. Non poteva dare informazioni su di sè, nemmeno a Bill, un indifeso barman con nove dita che avrebbe probabilmente continuato a vivere facendone tranquillamente a meno.

"Io apprezzo i musicisti in gamba. Portano clienti, e se la canzone è triste, la gente prende un drink o due."

"Hm." Mentre si portava nuovamente il bicchiere alle labbra, gli occhi di Julia si spostarono sul palco proprio quando vi salì un uomo alto con i capelli quasi viola. Ci furono alcuni fischi, ma lui sembrò non notarli, scegliendo invece di dare tutta la sua attenzione al sassofono scintillante nelle sue mani. Julia guardò interessata, mentre lui si sedeva su uno sgabello simile a quello su cui lei era seduta in questo momento.

Julia si voltò. Non era tanto interessante. Ma dovette ammettere, dopo avergli lanciato un’altra occhiata, che aveva davvero degli occhi meravigliosi. Erano più blu dei suoi, un pò più grandi, ma ugualmente intensi. Sembrava anche che lui sapesse molto di più di quanto sapessero normalmente i giovani. Serrò la mascella. Se ne rammaricava proprio come lei?

"Ne vuole un altro?" chiese Bill.

Julia gli porse il bicchiere vuoto, solo per riceverlo nuovamente, riempito di brandy che brillava alla luce fioca del bar. Allora il musicista cominciò a suonare. E il sangue le si gelò nelle vene.

La melodia era tranquillizzante, ma non la confortava minimamente. Il cuore cominciò a batterle più velocemente, e le sue dita si strinsero intorno al bicchiere. Perchè stava…come poteva…

La mano di Julia si intorpidì per la freddezza del vetro, ma lei non se ne accorse. Non poteva nemmeno vedere il ghiaccio che vi si scioglieva dentro. L’unico senso che funzionava in quel momento, era il suo udito, mentre ascoltava quell’accattivante melodia che stava gelando ogni piccola parte del suo corpo.

Quando finì, le lacrime sgorgarono dai suoi occhi, e chinò la testa lasciando che i capelli le nascondessero. Spike!

Una volta che le lacrime furono scomparse, sollevò di nuovo la testa e guardò verso il palco. L’uomo con il sassofono stava ricambiando il suo sguardo, gli occhi che perforavano i suoi come una lama.

Si stavano ponendo la stessa domanda: Chi sei?

Ma almeno Julia poteva ottenere risposte. "Bill." In un attimo, Bill le fu di fronte, pronto a fare qualsiasi cosa lei gli avesse chiesto. "L’uomo sul palco. Qual è il suo nome? Cosa ci fa, qui?"

"Oh, lui." Le spalle di Bill si abbassarono. Sapeva che l’unica donna su Callisto gli avrebbe chiesto di quel ragazzo affascinante. "E’ Glen. Ha un nome molto lungo, quindi non glielo dirò. Non me lo ricordo. E per quanto riguarda quello che sta facendo qui, bè, quello se lo chiedono tutti."

Julia annuì. Cercò nella sua tasca e mise alcuni woolong sul bancone, alzandosi.

"Grazie per il drink, Bill."

"Non c’è di che, signorina Julia."

Uscì fuori dal locale, ma il vento gelido non impedì alla canzone che Glen aveva suonato di lasciare i suoi pensieri. Aveva sentito quella melodia per l’ultima volta prima che Vicious andasse in guerra – dal carillon che gli aveva regalato. E lui le aveva detto di averlo perso su Titan.

Si fermò, quando vide Glen che si appoggiava contro il muro esterno di un negozio davanti a lei. Aveva una gamba sollevata, i capelli blu indaco che gli scendevano fino alla vita. Nella sua bocca c’era una sigaretta.

Alto com’era, le ricordava Spike. Non abbastanza da essere scambiato per lui, naturalmente, ma la sua posizione era insopportabilmente familiare. Julia sentì che il naso le bruciava, ma questa volta trattenne le lacrime. Non era debole. Non era debole, senza Spike.

"Ehi," disse prima che lei potesse passare oltre. Si tolse la sigaretta dalle labbra, in modo da poterle sorridere. Il suo sorriso era dolce, non impudente e accattivante come quello di Spike. "Ti è piaciuta, la musica?"

Gli occhi di Julia si restrinsero. "Dove l’hai sentita?"

Il suo sguardo divenne curioso, e si allontanò dal muro. Aprì la bocca, ma lei tirò fuori la sua .44 e gliela puntò al cuore.

"Dove hai sentito quella melodia?" gli chiese di nuovo, i capelli dorati che brillavano come i suoi occhi duri, mentre le sue labbra si incurvavano per lo sdegno. "Dimmelo, e ti lascerò vivere per suonarne un’altra."

Glen non sembrò affatto spaventato; la presa sulla sigaretta era ancora leggera. "Me l’ha data un tipo che conoscevo. Era nel suo piccolo carillon, e me l’ha dato quando gli ho chiesto della melodia."

Il volto di Julia aveva perso ogni traccia di colore, e il suo pallore contrastava con il bavero della sua giacca color ebano come un’anima pura che fronteggiava la morte.

"Non è vero." Le dita le si strinsero sul grilletto, mentre la sua voce assumeva un tono disperato. "Quello che stai dicendo non è vero!"

"Lo è, lo giuro su Dio. Se Dio significa qualcosa per te." Glen inclinò la testa al suo indirizzo, come se si stesse chiedendo perchè lei sembrasse così sconvolta. "Ero nella guerra su Titan, e un soldato fece qualcosa per un altro soldato. E’ stato un raro atto di cameratismo, niente di più." C’era una bugia dietro i suoi occhi, ma Julia non poteva notarlo, nel suo stato.

L’unica persona, e Julia lo sapeva, che avrebbe potuto dargli il carillon, era la stessa da cui stava cercando duramente di allontanarsi. Se c’era un collegamento…Ma avrebbe potuto anche non esserci, naturalmente. Quei carillon erano stati prodotti in massa quando lei ne aveva comprato uno per Vicious, ed erano andati a ruba. Probabilmente molte ragazze ne avevano dato uno ai loro innamorati prima che andassero in guerra.

Si diceva tutto questo nella speranza di calmare il suo cuore.

"Ti è piaciuta?"

"Che cosa?" I suoi occhi lo misero nuovamente a fuoco e lo vide lì in piedi, di nuovo sorridente.

"Quella musica. A me sì, e molto." Glen fece un passo avanti, e stese la mano. "Sono Glencia Mars Elijah Duo Eckner." Fremette leggermente, probabilmente perchè il nome era ridicolo. "Ma preferisco essere chiamato Glen."

Julia si rese conto con un sussulto di aver abbassato la mano che teneva la pistola.

"Io…" L’osservò, osservò la linea della mascella, il modo in cui la bocca era incurvata in un modo amichevole e come i suoi occhi sembrassero brillare con lo stesso bagliore di tristezza che vedeva quando lei si guardava allo specchio. E seppe che erano uguali – avevano lo stesso spirito, o qualche altro tipo di legame.

Sorprendentemente, sorrise in modo genuino per la prima volta da quando aveva lasciato Spike su Marte.

La sua mano sottile scivolò in quella di lui. "Julia."

Sollevò un sopracciglio, ma annuì quando lei non aggiunse un cognome. "E’ un nome incantevole."

"E’…comune," ammise lei.

"E’ comunque un bel nome." Le loro mani si allontanarono, e lui indietreggiò sollevando la custodia del suo sassofono. "Hai intenzione di rimanere qui a lungo?"

La preoccupazione la avvolse nuovamente. "Credo di sì."

"Bene. Se andrai da Bill, ti vedrò lì." Glen spinse la mano libera nella tasca della sua giacca.

"D’accordo. Fammi un favore," lei si sentì dire prima di sapere cosa stesse facendo.

Lui sorrideva paziente e con continua curiosità.

"Suona quella melodia per me." Esalò nervosamente. "Mi fa pensare a qualcuno che dovrei cercare di dimenticare, ma ne ho bisogno, Glen."

Glen la guardò con espressione perplessa per un momento, quindi annuì lentamente. "Lo farò." Si voltò di nuovo. "Julia."

Julia lo guardò andarsene, il cuore dolorante per qualcosa che avrebbe potuto non avere mai più.

  
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