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Autore: velocity girl    14/04/2011    12 recensioni
In queste due settimane ha avuto tempo per pensarci - sì, lo ha finalmente fatto - e a considerare ogni passaggio della loro storia, cercando di capire come sono arrivati a questo punto, perché hanno iniziato a percorrere questa strada e soprattutto quand'è che una delle tante amicizie che si è fatto sul set, di certo non la sola ad essere ambigua, è diventata così 'diversa'. La tensione fra di loro c'è sempre stata, ma di cosa si è nutrita per diventare così grande?
Prima RDJude che scrivo e mio ritorno su EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I palloncini svolazzano sul soffitto, vortici di colori non propriamente maturi, simili a nuvole plastificate. Ed in realtà sono pochi: sistemati lì - nel centro della sala - per festeggiare simbolicamente la fine delle riprese.
Robert li sta osservando da un po', in realtà perso in propri pensieri, e non si cura molto di ciò che sta succedendo tutto intorno.

Non si cura di Susan, al suo fianco, che discute tranquillamente con qualche suo collega - facendo il suo nome di tanto in tanto - o di Jude che, poco lontano, pare star litigando al telefono, non si cura di Guy che continua a distribuire sorrisi o di Eddie o di Jared o di Kelly. Non si cura di niente, al momento, si gode solo di non essere al centro dell'attenzione per una volta.
Ironicamente pensa che - se qualcuno gli avesse raccontato tutto questo due o tre anni fa - non avrebbe creduto nemmeno ad una parola, si sarebbe limitato a ridere, per tornare poi immediatamente serio.

Era sempre stato un tipo affettuoso, Robert, malgrado le apparenze. Il contatto fisico, per lui, era all'ordine del giorno, così come le ambiguità sul set o la complicità con gli altri attori.
La differenza, in questo caso, stava nel fatto che si era forse spinto troppo in là.

Che lui e Jude si erano spinti troppo in là.
Ed era evidente che stava pesando a tutti e due.



Ocean of Noise.



Durante le prime interviste nemmeno ci faceva caso. Veniva completamente spontaneo, si appoggiava a Jude per comodità e per voglia di giocare con i giornalisti, perché aveva capito che così avrebbe fatto parlare ancora un po' di sé, questa volta positivamente.
Jude aveva preso a fare lo stesso seguendo la sua scia. Così come aveva preso ad ammiccare fra le parole e a confessare presunti sentimenti che in realtà non esistevano. Lui non faceva altro che ripetere quanto lo adorasse, quanto ci tenesse a lui, quanto fosse meraviglioso lavorare insieme, che stava imparando tantissimo a vederlo recitare sul set, blablabla.
Reggeva il gioco, calcandolo con le parole.

E le parole - come i gesti - hanno un proprio valore.

Ci potevano scherzare sopra ma, in ogni caso, erano cose dette che tornavano e ritornavano, si ripresentavano nelle maniere più differenti. A forza di risentirle alla televisione o in altre interviste, avevano iniziato a crederci persino loro.
I personaggi ed i rispettivi ruoli avevano fatto il resto. Era stato tutto così intenso che, per interi minuti, persino Susan ci aveva creduto.

«Siete carini.» Aveva detto una sera, quando erano soli, il solito sorriso vivace e l'aria serena.
«Sì.» Si era limitato a rispondere, chiaramente a disagio. Con lei amava parlare di quasi tutto, ma il lavoro non era la sua prima scelta: preferiva tenere questo tipo di questioni fuori dalla loro stanza, almeno quando poteva.
In questo caso aveva anche da coprire che la situazione stava prendendo a sfuggire di mano.
«E siete credibili,» continuò lei, per niente turbata da quel silenzio, «assolutamente deliziosi.»
All'ennesimo sorriso della donna, cedette e prese quella curiosità per quello che era, senza secondi fini.

«C'è molto del nostro impegno...» disse, per poi sorridere in quella maniera tipica, quasi strafottente, quasi soddisfatto dei complimenti appena ricevuti.
Susan amava questa sua caratteristica, così come adorava il suo strano senso dell'umorismo, e lasciò correre la questione dimenticandola nel suo abbraccio.

E lasciò correre altre sette, nove, dieci, tredici volte. Lasciò correre ogni ammiccamento ed ogni giornalista fin troppo malizioso.
Si fidò del marito e prese quelle dichiarazioni per quello che erano: pubblicità.
Si fidò di lui anche quando lui stesso aveva smesso di farlo.

Perché poi arrivarono anche le occhiatine, le uscite a tre con Guy, le fotografie ed i set fotografici. Il tour.
Quando si confondevano.

E quando, alla fine, furono chiamati per fare il Secondo. Mossa che avevano comunque tenuto in conto da un primo momento, visto che Ritchie non faceva che parlarne, avendo sistemato anche il finale del primo per questo scopo, ma che presero comunque con gioia.
Perché adoravano lavorare insieme, impegnandosi al massimo, amavano quei ruoli ed amavano pubblicizzare ogni piccola mossa.

Di nuovo pubblicità, insomma, ma di quella più affiatata che nessuno dei due aveva mai fatto per i rispettivi film.
E tra di loro - mentre realizzavano le scene - c'erano state occhiate delle più svariate e silenzi dei più profondi, tutti nascosti fra battute e scherzi - dei soliti, quando non era necessario parlare di sentimenti ed una parvenza di normalità tornava a manifestarsi.

Di film ne avevano fatti molti e da questi avevano imparato tanto, per questo motivo entrambi riuscivano a riconoscere che cosa stava succedendo.Quella era tensione e della più sessuale e subliminare, nuova e sconosciuta, al tempo stesso misteriosa.
Mai provata.
Si poggiava nei loro discorsi, si nascondeva nelle frasi, appariva chiara solo negli occhi e nei movimenti. Nata così lentamente che ancora non erano riusciti ad accorgersene, la scorgevano quasi per caso - e al tempo stesso la vedevano interamente - solo quando non erano più insieme, quando avevano tempo per pensarci.  

La trovavano intrigante.
E per questo anziché fermarsi la lasciarono crescere liberamente, indipendentemente da come veniva recepita - ovvero nella maniera giusta - dalla troupe e da un discorso stranamente paterno che Stephen aveva fatto, in confidenza, a Jude.
Erano cose che non sembravano importanti, fin quando non erano prese con serietà.

Fino a quando non si era introdotta anche nei loro sogni, nei loro desideri, nelle loro relazioni con gli altri. Fino a quando non era diventata, da subliminare, quasi totalitaria.

Fino alla fine delle riprese e alla relativa festicciola informale, questa.

Adesso.
Sei Febbraio, sera.

In mezzo a tante altre persone - cast artistico e tecnico al completo - e fingendo di ignorare il bisogno di appiccicarsi e discutere fra loro, ignorando gli altri, nella loro soffocante confidenza. Fingendo comunque di essere solo amici, niente di troppo ambiguo, recitando le rispettive parti.
Con Robert nella parte di Robert, intento ad osservare i pochi palloncini sul soffitto, la testa probabilmente persa a pensare a tutte queste cose, e Jude nella parte di Jude, poco distante e completamente immerso in quella che sembra una spiacevole conversazione telefonica.

«Sì, Sienna,» sta borbottando, «ho capito quanto ci tieni, lo so.»
«Lo sai, ma non mi ascolti... è solo una festa, Ju, perché ti lamenti? Tu le adori e questa è intima, ci sono solo pochi amici, puoi persino fare uno di quei party cosi che ti riescono tan...»
«Sì, le adoro,» la ferma lui.
E sta mentendo, la bugia brucia sulla lingua per quanto è intensa. Dovrebbe specificare che le amava, così come un tempo amava anche lei, ma che al momento ognuna delle due cose - e sghignazza fra sé nel paragonare Sienna ad un oggetto - è finita per ripetersi fin troppe volte.
Routine, di quella che ti rende completamente insofferente.
«Solo che... Ben non vuole.»

Ben è il suo adorabile manager ed è praticamente un Santo. Lo adora, seriamente, perché è sempre stato al suo fianco, anche dopo la rottura con Sadie, ed ha continuato a coprire e giustificare le sue colpe con una professionalità che nessuno si sarebbe mai aspettato da un ex-modello. Ben sa fare il suo lavoro e, come se non bastasse, è diventato anche un amico pronto a salvarlo da ogni sciocchezza.

«Dice che al momento non posso farmi vedere a questo genere di cose, anche se piccole, per... per la mia reputazione.» Continua quindi, sicuro di aver le spalle coperte e al tempo stesso così poco interessato che nemmeno si preoccupa di coprire la cavolata che sta dicendo.
«Ah,» mormora delusa lei, «vuoi davvero che ci vada da sola?»
«Puoi chiamare le tue amiche, ne hai tantissime.»
«Vero, vedo se posso contattarne qualcuna, ma» e calcola particolarmente quella parola, con un'enfasi che ama usare quando è irritata, «questa me la paghi Jude Law, tu e il tuo amato Ben.»
«Ti amo.» Ride lui ridacchiando, dimenticando che non è affatto vero, oramai abituato a chiudere ogni conversazione con lei in questa maniera.

E non fa in tempo a girarsi, che subito Robert domanda: «Ben non vuole?»
Si gira con lo stesso sorriso sulle labbra, rendendosi conto che forse l'altro attore ha ascoltato tutto il pezzo finale della telefonata, «In realtà no, lui non c'entra niente.»

«Sì, immaginavo.»
C'è del carisma persino in queste poche parole, è tutto lì, tangibile intorno a lui. Jude ne è ammaliato mentre si avvicina e comincia, «Stavo...», per poi fermarsi, chiedendosi se è giusto o meno, se deve fermarsi prima di azzardare troppo, convincendosi pensando che Robert è il rimedio alla monotonia dalla quale sta scappando: pare essere la cura, «...Stavo pensando di lasciarla. Civilmente questa volta. E credo che ci stia pensando anche lei.»
L'americano si rende conto della proporzione di quel discorso, lo sa, capisce quanto siano pericolose quelle parole. Per questo tiene dentro di sé ogni possibile risposta ammiccante che vorrebbe dire, quasi sperando di non star equivocando.
«Quindi sì, a breve tornerò ad essere libero. Disponibile.»

Ghigna l'altro, in quel suo modo così differente e quasi inquietante, per poi avvicinarsi e sussurrargli all'orecchio: «Così potrò tornare a divertirmi!»; Robert smette immediatamente di preoccuparsi, si lascia guidare dall'istinto, allunga un braccio dietro la sua schiena e - ridendo - sussurra: «Io ancora no, invece.»

E dovrebbe farlo, dovrebbe fermarsi e ragionare su ciò che ha detto, su quello che sta facendo, mentre è lì in mezzo alla folla, poco lontano da sua moglie che ama e che amerà sempre ma che, questa volta, non è fra le sue braccia.

Non fa in tempo a considerare questo terrorizzante passaggio che qualcuno richiama l'attenzione, per proporre il brindisi, per fare un discorso, per discutere quando niente ha davvero importanza se non Jude che continua ad essere lì, stretto ed assicurato al suo fianco.

*


Una settimana dopo la fine delle riprese è già fin troppo chiaro che sarà un dramma. Jude sa che avrà altre occasioni per stare con Robert, che mancano ancora tante cose da fare, che il film uscirà fra più di undici mesi e che - generalmente - non deve assolutamente preoccuparsi.
Ma è comunque ansioso.
Ed è una sensazione che ha provato molte volte, in verità, ma adesso sembra più intensa, come se fosse annidata sotto la pelle. Presente nelle sue vene, nei suoi organi e nella sua testa: è uno strano tipo di nervosismo.

Con Sienna è arrivato ad essere intrattabile: non la sopporta, non riesce più a far nemmeno finta di interessarsi alle feste di lei e alle uscite di lei e ai gossip di lei e a lei, lei, lei lei lei. Fare l'amore è diventato imbarazzante per entrambi, si sente nei gemiti che c'è qualcosa che non funziona, baciarla sembra come prendersi in giro, tenersi per mano è una menzogna.
Così lentamente hanno iniziato ad eliminare tutti questi atteggiamenti da coppietta, diventando amici prima ancora di rompere il fidanzamento.  

Quando finalmente smettono di uscire insieme, ricominciano ad andare d'accordo.
La loro relazione termina nell'assoluta tranquillità, quando guardandosi negli occhi capiscono che pensano la stessa cosa.

Ma il nervosismo che lo sta distruggendo non si placa per questo, non ne risente nemmeno.

Ben non fa che trovare nuovi ingaggi, tra l'animazione che non ha ancora sperimentato e la sua mai abbastanza amata fantascienza, eppure non basta a tenerlo distratto dal suo cervello e dal filo che i suoi pensieri stanno seguendo. Nei vari set non si trova bene come quando stava realizzando i due Sherlock Holmes, nei vari set non ci sono le stesse persone affascinanti e carismatiche, con un senso dell'umorismo perfetto, nei vari set non c'è Robert con le sue battute a sfondo sessuale e le sue stranezze tutte particolari.
E a Jude tutto questo manca, come gli sono mancate poche cose nella vita.

Ed è colmo di questa irritazione, una forma complessa di frenesia, che apre la porta del suo appartamento quando sente il campanello suonare. Potrebbe essere chiunque - un paparazzo, un giornalista, un fan, o un qualsiasi altro - ma la verità è che non gli interessa anzi, quasi ci spera, dal momento che potrebbe litigarci e che come prospettiva non suona nemmeno troppo sbagliata.
Invece lì sulla soglia c'è Robert, con il più smagliante dei sorrisi. C'è lui con i suoi pantaloni colorati -strappati a chissà quale vecchia tuta - e la maglia abbinata male, una borsetta orribile portata a tracolla.

Istintivamente, da persona con del buon gusto, storce il naso. Ci mette qualche microsecondo per rendersi conto che se sta male, ed ha aperto la porta con l'idea di fare una carneficina, è proprio colpa sua.
«Rob...» Riesce a dire, con un tono di voce forse troppo sorpreso, forse troppo perplesso.
«Ero di passaggio.» Giustifica tranquillamente, continuando a sorridere a rimanere fermo sulla soglia. A Jude non va di chiedere com'è possibile che sia di passaggio a Londra, è ancora troppo preso dal fatto che è lì.

«Ma sì, certo. Entra. Posso offrirti qualcosa? Il tè ti piace, vero?» Non vuole suonare come un cliché, si ritiene una persona decisamente più interessante, ma è praticamente l'unica cosa che ha in casa e sa per certo che all'altro piace.
«Perfetto...» Risponde infatti, mentre si guarda intorno. Osserva qualsiasi cosa riesce a vedere, nel tipico atteggiamento di chi sta studiando un posto e chi ci vive, come ci vive.
Ma non può aspettare molto: c'è un motivo se si trova lì, non può attendere ancora per comunicarlo, deve parlare.

«Credo che il tuo manager non ti abbia ancora informato...»
«Di cosa?»
«Eppure a quest'ora lo dovrebbe sapere...»
«Che cosa?» Lo interrompe ancora Jude, il cuore che ha preso a palpitare sinistramente quando ha intercettato nella sua esitazione la possibilità di fare un altro sequel per Sherlock Holmes, o un altro film qualsiasi insieme, o un telefilm, una fiction, un...

«Oscar. Pare che tu sia stato chiamato a presentare una categoria insieme a me.»

A realizzare questo ci mette più tempo, forse troppo. L'Academy non lo ha mai considerato troppo, anzi, è sempre stato piuttosto snobbato per quanto riguarda premi, riconoscimenti e cose del genere. Perché chiamarlo adesso? Non ha lavorato nemmeno moltissimo...
Poggia il pentolino con l'acqua sul bancone che ha di fronte, fissando Robert - ovvero la stessa persona che, presentando i Grammy, ha fatto un numero quasi surreale di ascolti - e capendo in ogni singola sfumatura che se divideranno il palco in un'occasione così importante, è per merito suo e della parola che ha messo.
Oh.

«Stavo pensando che dovremmo abbinare i vestiti. Tipo coordinarci, visto che...» e continua imperterrito l'altro, decisamente preso da quanto sta dicendo. Jude annuisce distrattamente - nella sua testa l'idea che preferirebbe non vestirsi affatto piuttosto che lasciare la questione nelle mani di quei tali che si occupano dell'immagine di Downey Jr con il loro pessimo gusto e la loro chiara incompetenza.

Ma nemmeno questo ha importanza. Sì, apparire è una delle cose più importanti nel mondo che vivono - e detta così sembra una realtà diversa e lo è, per molti versi - ma perde di senso quando c'è Robert che ti ha raccomandato, forse voluto.
C'è la probabilità che quelle farfalle così sbagliate non stiano dando problemi solo nel suo stomaco.
Il nervosismo viene meno.

Con fare seduttore - che gli riesce spontaneo quanto improvviso - si avvicina all'altro, che nel frattempo non si è nemmeno seduto perché troppo preso dal monologo emozionato che sta tenendo, e con un tono di voce piuttosto basso - così tipico dei loro ultimi flirt - mormora: «Quindi devo ringraziare te?»

«Ma certo Judesie.» Risponde con lo stesso tono, dopo alcuni secondi di incertezza nei quali si è chiaramente chiesto se stare al gioco o meno - lasciando che sia questo "meno" a vincere.
«E che cosa dovrei fare per farmi perdonare?»
Se non fosse semplicemente assurdo, Robert si sentirebbe tentato. Ma da cosa? Scherzano su queste linee da quasi due anni, ormai, non può essere diventata una proposta seria all'ultimo secondo. O no? Dove si stanno trascinando con tutta questa fretta?
Non ci ha pensato fino ad adesso. Non ha voluto, così come non ha intenzione di farlo adesso: «Non so, che cosa proponi di interessante?»

Proponimi il mondo e di spegnere il cervello.

Jude lo fissa, arriccia le labbra, imita un qualche personaggio che ha interpretato in un film, «Ci stavo pensando. Ma non so, che cosa riterresti interessante?»
L'altro lo guarda di rimando - ed il suo sguardo è quasi più intenso - mentre socchiude le labbra; pensa febbrile che quella è, senza alcun dubbio, una proposta indecente e che no, no, no: è troppo. Sono amici, si sono trovati benissimo sul set, c'è stata un'intesa immediata ed una relazione fittizia, ma solo di fronte alle telecamere.

Una finta relazione che spinge entrambi a chiamarsi nel cuore della notte, secondo i fusi orari più diversi, che li porta a raccontarsi a vicenda, a parlare solo di questo con...
Ferma di nuovo ogni cosa, quando vede l'altro avvicinarsi ancora un po' di più, rendendosi conto che questo non è il momento per far esplodere ogni pensiero e sentimento che ha represso negli ultimi mesi.

Ha una scelta da fare:
Scappare o abbandonarsi.
E, delle due, la seconda almeno suona intrigante.

Quindi lascia che le loro labbra si sfiorino finalmente, in un breve contatto che non sa di niente.
Soprattutto per via dei sensi di colpa.
«Susan,» interrompe infatti, «Susan. La amo.» Ripete ancora e non a se stesso.
Non che Jude abbia bisogno di saperlo, «Sì,» risponde infatti, perché sa che lo fa: tutti si sono accorti che lo fa, è impossibile non rendersene conto dal modo in cui la stringe a sé praticamente in ogni occasione.
Tuttavia questo non li ferma, anche se dovrebbe: si baciano di nuovo, questa volta con un po' di decisione in più - eppure dolcemente.

«Va bene,» dice allora l'Inglese. Va bene quando si rende conto che non possono osare oltre, «Ti chiamerò poco prima degli Oscar. Sappi che non porterò nessuna con me, sai, io sono quello libero.»

Robert si allontana, incassa in silenzio, non nasconde che è sollevato da quel brusco ritorno alla realtà. Per quanto si sta prendendo in giro, convincendosi che è buttarsi nella svolta che vuole, sa che si tratta di uno sbaglio e che bloccarlo è meglio che attuarlo. Certo, non si sarebbe mai aspettato che Jude sarebbe arrivato prima a questa decisione - del resto è lui quello innamorato di una donna meravigliosa, la stessa che ha giustamente sposato.

«Sì, certo, penserò io ai vestiti allora,» riesce a dire, sperando di non suonare improvvisamente scortese, «per il tè sarà un'altra volta, va bene?»
Ma anche no.

Quasi fugge da quell'appartamento, mentre una vocina dentro di sé - quella che lo tormenta nei giorni più scuri - blatera sul fatto che è la sua mai abbandonata insicurezza a volere che un uomo bello come Jude sia innamorato di lui.
Che è quella piccola parte ferita a desiderare qualcosa che chiaramente non può esserci.

*


«Ho già portato il farfallino in troppe occasioni, tipo l'anno scorso, quindi dovrò cambiare ma...»
Robert ha questa caratteristica di perdersi nei suoi discorsi quando progetta di abbinare i suoi vestiti con quelli delle altre persone, sono anni che perseguita Susan proprio per questo motivo. Se lei continua a sopportarlo nonostante questo è solo perché lo adora.
Così Rob si è perso nel suo discorso, mentre quello che dovrebbe ascoltarlo sta chiaramente pensando a tutt'altro.

Ben aveva chiamato Jude qualche ora dopo il "piccolo incidente".
Aveva deciso di fingersi sorpreso, per poi accettare in fretta, senza menzionare che sapeva perché avevano scelto proprio lui e quindi ricadere in tutte le paranoie che si stava facendo da prima. Ed era la seconda volta che non ascoltava quale categoria avrebbero dovuto presentare insieme.
In generale, non si era minimamente informato sui film in gara e sui vari candidati.
Non che non gli interessasse - sapeva fare il suo lavoro - ma la mente si distraeva: dentro di sé stava valutando degli aspetti completamente diversi della questione, non aveva particolarmente voglia di concentrarsi su altro.


È pensando a questi altri aspetti che si è reso conto di essere infatuato. Decisamente, senza speranza, rapito dal carisma di un americano fin troppo talentuoso.
Nella sua testa continua a pensarci e ripensarci, forse facendosi del male, sicuramente tormentandosi inutilmente, fino a far passare altre due settimane e ritrovarsi nella stessa stanza con un Robert fin troppo preso dal discutere su come dovrebbero vestirsi.

Fra di loro non ne hanno parlato, con altri nemmeno, quei lievi sfiorarsi di labbra sono ancora lì, repressi ed inespressi, mentre si sforzano di ignorarli. Di far finta che quei tentati baci non ci siano mai stati e che rientrino a pieno merito nella categoria del gioco.
Non si direbbe, ma ci riescono benissimo: il trucco è nel parlare di altro.

«Camicia bianca,» dice quindi, «con sopra cravatte bianche.»
«Esatto. Originale, no?» Sembra persino soddisfatto di sé mentre risponde.
«Ma le scarpe saranno nere, vero? Come i vestiti...»
«Ovvio.»

Peccato che non lo sia - considera Jude alzando un sopracciglio. Conoscendo Robert, è strano che non abbia proposto qualcosa di viola o di rosso.
O ci tiene davvero o sta tentando di fare buona impressione.
O forse ha capito che non accetterà mai di salire sul palco completamente scoordinato.

Quale che sia la risposta, c'è che Robert ha seriamente pensato a questo, sembra tenerci tanto quanto tiene a presentare la loro categoria - qualsiasi essa sia - insieme. E, va bene, bianco su bianco non si può assolutamente vedere, ma non ha nulla da perdere, considerando che si presenterà da solo alla cerimonia.
Senza nessuno, più o meno.

Ed è così amaro che per qualche minuto pensa di rinunciare.
Ma questo atteggiamento non sarebbe da Jude che, anzi, ha sempre avuto il problema opposto: quello di non riuscire a farsi sfuggire le occasioni del genere. Non è capace, quando vede un qualcosa di fin troppo vantaggioso perde ogni vena riflessiva.
Diventa magicamente istintivo.

«D'accordo. Facciamo come vuoi.»
«Bene!» Esclama visibilmente felice l'altro, «E dovremmo anche arrivare prima...»
«Prima? E perché?»
«Per il Red Carpet.»
«Susan non viene?» Chiede, confuso.
«Sì, viene, ma dovresti accompagnarci anche tu vis-»
«No.» Sbotta.

In una parola: agghiacciato.
La prospettiva che Robert sta proponendo lo è, di certo: una di quelle follie che mediamente non dovrebbero nemmeno essere considerate per quanto sbagliate. Oltre che umiliante per Jude.

«Ma presentiamo insieme, lavoriamo insieme, non ci dovrebbe stare nessun problema.»
«Ci siamo spinti troppo...» Tenta di dire, dando alle proprie parole un tono più possibile autoritario. Non è troppo bravo in questo, motivo per il quale i suoi figli tendono sempre a fare ciò che vogliono, ed anche ora pare fallire nel suo intento perché non suona troppo convinto; il punto è che potrebbe star sognando tutto, si sente come se stesse regalando importanza ad una piccola questione che non ne ha.
Ed è spaventato da questo.

«È un nuovo livello, sì, lo avevamo annunciato...»
«Vestito come te, insieme a te, a presentare con te... Robert, tu lo hai capito che non sono il tuo fidanzato, vero?!» Improvvisamente è furioso: come se il nervoso nel giro di pochi attimi si fosse trasformato in rabbia incontenibile. Tutti questi pensieri gli stanno logorando il fegato e privando del sonno, ora li sente tutti sopra la lingua, pesanti quanto violenti. Lo stanno trasformando in una persona che non è.
Fa per pensare che somiglia terribilmente a Sadie nel periodo del loro divorzio, quando si costringe a fermarsi per riprendere il suo sfogo - per non dare tempo all'altro di rispondere, magari giustificandosi.
«Susan! Tu ami Susan, io non sono buono nemmeno per commettere uno sbaglio!»

«Calmati.»
«No! No, no! Io capisco che per tutto questo tempo non hai fatto che scherzare, perché ho fatto anch'io lo stesso, e capisco che ci siamo trovati e che la nostra intesa è qualcosa di raro. Ma non è...»
«Giusto.» Conclude frettolosamente Robert, colto sul vivo; non sa se era questo che intendeva dire l'altro, ma non gli interessa: purtroppo ha ragione.

Non è giusto.
E in queste due settimane ha avuto tempo per pensarci - sì, lo ha finalmente fatto - e a considerare ogni passaggio della loro storia, cercando di capire come sono arrivati a questo punto, perché hanno iniziato a percorrere questa strada e soprattutto quand'è che una delle tante amicizie che si è fatto sul set, di certo non la sola ad essere ambigua, è diventata così diversa. La tensione fra di loro c'è sempre stata, ma di cosa si è nutrita per diventare così grande?
Ed ora come mai si rende conto che se Jude non lo avesse bloccato, cacciandolo di propria iniziativa, lui non sarebbe stato capace di fermarsi.

Egoisticamente desidera Jude, vuole i suoi sentimenti, come diceva quella voce dentro la sua testa.
Ma continua ad amare Susan e su questo non ha dubbi. Gli basta osservarla per convincersene di nuovo, anche in quei momenti di dubbio - che non sono rari, ma dei quali si pente subito.

È diventato un uomo diviso a metà:
Da una parte sente Susan, ovvero l'Amore, la moglie e la salvatrice, colei con la quale vuole spendere il resto della sua vita. Quella persona che riesce a dare un colore alle sue giornate.
Dall'altra sente Jude ed è completamente diverso.
Jude.
Lo sbaglio istintivo con le tante indecifrabili sensazioni mai provate, nuove, che porta con sé: desiderio, fisicità, voglia.

Di quella che - se è fortunato - dura fino a quando non la si è soddisfatta. Che scompare perché non è nata per durare, dal principio, ma che al momento in cui la si prova ha la forza di sovrastare qualsiasi altro sentimento, compreso il totale e sicuramente più vero amore per Susan.

È quindi separato nei suoi desideri, con una sola possibilità di compattarsi: portarli entrambi alla cerimonia.
I due lati di sé - quelli che sente più di tutto - di fronte gli occhi del mondo.

«Non verrò al Red Carpet,» lo ferma Jude, riprendendolo dai suoi pensieri; pare essersi calmato e, forse per la prima volta in tutta la sua esistenza, è riuscito ad ottenere un tono di voce fermo, duro, convincente.

«Come vuoi.» acconsente stancamente Robert, rendendosi conto che fin quando c'è l'altro ad interrompere i suoi colpi di testa, può stare tranquillo: il suo matrimonio non è minacciato.

«E dobbiamo smetterla.»
«Tu non vuoi smettere, Judesie.»

La parolina magica: è la seconda volta che la usa - che lo chiama così - per provocarlo. Ed anche questo soprannome era nato come scherzo.
Chi vuole prendere in giro?
Non ci sarà mai niente di troppo serio fra di loro, se non un enorme paranoia.

«Si, lo voglio,» non lo vuole, «perché tu hai Susan ed ami lei, mentre io ho solo te. Ti amerò, Robert, ti amerò perché ne ho passate troppe e non posso permettermi altro.»

E lui vorrebbe rispondere che sicuramente ne ha passate di più, ma non ci riesce. Rimane in silenzio.

Accetta.
Per adesso, almeno.

*


«Quindi Jude arriva più tardi?» Chiede Susan, quasi più interessata al suo riflesso, mentre indossa gli orecchini. Li ha scelti quella stessa mattina e sono della linea che Angelina Jolie ha disegnato, promettendo di dare il ricavato in beneficienza.
In effetti ci teneva ad averli, le piacciono molto; si osserva allo specchio e sorride soddisfatta.

Non impazzisce per questo genere di serate, si sente sempre un po' a disagio quando si parla di cerimonie, delle volte preferirebbe sorridere timida piuttosto che parlare con i giornalisti e, anche se dopo tutti questi anni di lavoro si sarebbe dovuta abituare, continua a sentirsi un po' agitata.
Semplicemente preferisce avere a che fare con furiosi registi troppo esigenti, primedonne disperate ed egomaniaci di vario tipo che incontra sul set ogni giorno, piuttosto che con gli intervistatori.

«No, lo vuole saltare. Dice che si annoia...»
«È perché non ha una fidanzata da portare con sé.» Scherza lei.
«Sì, lo so.»
«Però è strano, vero? Potrebbe trovare molto facilmente chi vuole...»
«Verissimo.» Risponde lui, mentre sente i sensi di colpa prendere il sopravvento. Ha una sola frase nella testa: è sbagliato, è sbagliato.
E pensare che non hanno fatto assolutamente nulla, a parte un lieve bacio, e già si sente un infedele. Come se la stesse davvero tradendo.

È perché lo sta pensando.

Susan si alza dalla sedia, radiosa perché felice, sistema un po' il vestito per assicurarsi che non ci siano brutte pieghe. L'acconciatura è venuta bene, le piace, i gioielli sono tutti al loro posto. Il trucco è molto leggero.
Una volta finito di sistemarsi, si volta per osservare il marito intento nel sistemarsi la cravatta; sa che non ce n'è bisogno - lui ha imparato da tempo a farlo - ma le viene spontaneo di avvicinarsi per offrire il proprio aiuto, «La cravatta?» Chiede intanto, «avevo capito che avevi chiesto un farfallino.»
«Lo avrà Jude, infatti!»
«Gli hai lasciato il farfallino? Significa che lo ami proprio, devo mica diventare gelosa?»

Sta per inorridire, come se i sensi di colpa non bastassero, ma la risata di lei lo interrompe: con il passare degli anni si è fatta un po' contagiare dal suo strano senso dell'umorismo, non c'è da sorprendersi. La cosa buffa è che questa volta è stato proprio lui a cascarci. La accompagna sghignazzando, ma per nulla sereno nonostante si trattava di uno scherzo.

La abbraccia, come per purificare la sua anima, perché in passato ha capito che è Susan a scacciare i suoi demoni, a liberarlo dai problemi più intensi. La stringe forte, fortissimo, perché più che tradirla ha quasi paura di perderla; la tiene fra le sue braccia con egoismo, lo stesso egoismo con il quale sta trattando anche Jude, e chiude gli occhi.

Poco dopo lei lo bacia.
E a lui tornano in mente altre labbra e quanto queste fossero invitanti; la brutalità di questo pensiero lo accoltella dritto al cuore, lo lascia sanguinare.
Si separa frettolosamente da quel contatto, nei suoi occhi si può leggere chiaramente perplessità, nervosismo, colpa.

Ma deve riprendersi, sente il bisogno di fingere in tutte le vene, è il suo corpo che vuole camuffare le sensazioni sbagliate che sta provando: tutto di lui vuole far finta di nulla.
E Robert, con Susan, ama parlare di qualsiasi cosa.

Amava parlare di qualsiasi cosa.

«Dai, Sue,» ride dopo qualche secondo di silenzio, imitazione perfetta di un emozione positiva, «dobbiamo fare in fretta ed ho un dubbio non da poco: porto gli occhiali sì o no?»

La donna coglie qualcosa che non va nelle sue parole, ma decide di non darci peso. Susan ha questo difetto: non dare peso alle giuste cose.
Ed è per questo che finiscono di prepararsi in fretta, lasciandosi distratte per la naturale emozione, arrivando infine alla cerimonia con altri pensieri per la testa.

Si concentrano sulle foto, gli altri ospiti, i discorsi, le televisioni, i canali privati, quelli cibernetici. Dimenticano che, fino ad un'oretta prima, c'era questo problema fra di loro, scordano che Robert le stava mentendo.

Il tempo fugge in un attimo, quando arriva il momento di andare dietro le quinte.

*


Jude arriva in ritardo, ombra misteriosa in una notte fin troppo popolata, illuminata fino all'estremo; indossa ciò che Robert gli ha quasi imposto di portare, anche se non ama particolarmente quel tipo di cravatte. Visto che si tratta comunque di distruggere la propria dignità, tanto vale farlo con classe.
Distruggerla del tutto.

Entra quindi nel camerino predisposto al trucco, quello dove gli attori vanno a sistemarsi per apparire decentemente sotto i riflettori del palco, ed è lì che trova il suo co-presentatore - che, prima di vederlo arrivare, non si era nemmeno accorto della sua presenza in sala, quasi agitato al pensiero che non si sarebbe presentato.

Il perché tanta gente dubitasse della sua professionalità gli è ancora ignoto.

Rimane lì sulla soglia, la faccia di chi è stato condannato a morte o di chi deve andare ad un funerale. Come se la fine del suo orgoglio fosse davvero una cosa così importante, per la quale vale la pena di rattristirsi.

«Ti serve un po' di buon'umore.» Constata Robert ed imprime in quella semplice frase, e nel sorriso che la accompagna, tutto il fascino di cui è capace.
A dir la verità è un atteggiamento diretto alla truccatrice, visto che ha paura che il cerone possa macchiare tutto il bianco che indossano.

«Mh,» sbotta l'altro, ancora indeciso se sedersi o meno.

«Ragazze,» chiede alle due esperte, «potete lasciarci soli per qualche secondo? Poco tempo, lo promettiamo, dobbiamo solo rivedere qualche cosa per lo spettacolo.»

Le due fanno come chiesto senza nemmeno aspettarsi un Grazie, ridacchiando fra di loro; sono abituate ad avere a che fare con ogni tipo di star ed ogni tipo di capriccio, ma l'emozione di lavorare per loro rimane nonostante questo.

Rimasti soli, Robert si alza, «Hai il farfallino stor-»
«No, non ti azzardare ad avvicinarti!»
«Judesie...»
«Robert.»

La tua parolina magica non funziona più.

«Oh, e va bene! Sistemalo da solo. Basta che lo fai...» e lo guarda. È felice, il suo umore si scontra apertamente con quello dell'inglese, ma la sua gioia è più contagiosa, «Sono contento. Ho anche scritto un paio di battute, sai, per far venire meglio lo spettacolo. Ti va di leggerle?»
«Hai scritto un copione?»
«Non proprio un copione, delle linee guida. Per fare ridere un po'.»

«Rob, hai intenzione di stordirli con il tuo naturale carisma?» Ghigna Jude, ben sapendo che questo suo modo di fare viene recepito come strano, eppure decisamente troppo abituato per smettere, «Sai che tutti penseranno male, se ti vedono così impegnato?»
«Che pensino pure male, non hanno mica tutti i tort-»
«Non ci posso credere!»
«Lo so! La devo smettere ma, mi spiace, non ci riesco: è spontaneo, non ti so parlare altrimenti.»
«Ed io non ti so rispondere senza sembrare un disperatissimo innamorato.»
«Questo mi piace.»

Sì, decisamente. È probabilmente per questo che lo stuzzica.

«Lo so.»

Non si guardano più, hanno entrambi abbassato gli occhi, per non fissarsi in questo momento. Si rendono conto che le cose possono solo degenerare, quando dovrebbero andare d'accordo ed abbracciarsi e presentare questa maledetta categoria - effetti speciali, si ripete Jude - insieme.
Con il solito metodo, dimostrando affiatamento.

Ma per fare questo, si deve fare un passo indietro.

«Non ti amo davvero.» Dice Jude, alzando improvvisamente gli occhi.
«No, certo, me ne rendo conto.» Risponde l'altro, il tono di voce non tenta nemmeno di dissuadere l'amarezza. Come se la cosa lo deludesse oltre ogni sua volontà.
O volontariamente, per quel che conta, che è la stessa cosa.

«Le battute...» cambia discorso, «puoi seguirle o no, non importa,» e gli porge un paio di foglietti bianchi.
L'altro li prende, «Sì, grazie,» dice distratto, senza nemmeno preoccuparsi di leggerli; conosce Robert e dubita fortemente che seguiranno quelle tracce.

Come se non si sentisse abbastanza comandato, fra l'altro.

Solo che è inutile inacidirsi ancora di più.
«Sei troppo emozionato,» dice con un tono più tranquillo. Fingendosi tranquillo.
«Sì. E lo saresti anche tu, se non fossi troppo preso dal fare la primadonna.»

Per non dire ragazzina.
...Quanto è vero.

Sta per replicare, comunque, in un improvviso moto di dignità personale (la stessa che ha dimenticato di avere), quando l'altro riprende come se niente fosse: «Guarda che mi piace questo atteggiamento, basta che lo perdi quando andiamo in scena, ma poi puoi riprenderlo se ci in-»

Il momento in cui saranno in scena.
Le truccatrici saranno lì fra poco, il momento in cui saranno in scena, non c'è molto tempo, manca poco, pochissimo, la coordinazione, le battute, i vestiti troppo simili, il momento.
In cui.

Il momento in cui, rapito dai suoi vorticantissimi ragionamenti, si avvicina e lo bacia per una terza volta. Veloce, istintivo, quasi replicando quello che è successo l'ultima volta a casa sua meno di un mese fa; eppure con qualche pensiero in più, visto che questa volta hanno avuto fin troppi giorni per ragionarci sopra - non hanno fatto altro che ragionarci sopra.

Robert non si scansa, né lo asseconda. Non fa niente.
Si limita a lasciarsi baciare, cullato dalla comoda idea che è sempre Jude a fare il primo passo e sempre il primo a tirarsi indietro. Fin quando è così può permettersi di agire, di lasciarsi andare, perché ha completamente dimenticato tutti i motivi per cui non dovrebbe.
Tutte le persone.
Cancellate dalla propria testa.

Quando sente la sua lingua sulle labbra, né troppo timida né troppo maliziosa, si permette di rilassarsi ancora, di stringerlo a sé in un abbraccio forzato, assecondando questa lieve trasgressione come solo un tempo avrebbe fatto - i tempi che pensava finiti quando è riuscito ad andare avanti.

Jude crea dipendenza, ne è certo, ma non ha ancora avuto modo di condizionare il suo organismo.
Né lo avrà.

Lo capisce quando lo sente fermarsi, senza lasciare la sua stretta. Non lo sta guardando negli occhi, è concentrato solo sulla sua bocca e solo su quella.

In questo attimo, Jude non ha paranoie.
Non le sente, sono scomparse, ed ora riesce a capire pochissime cose: una è la voglia di andare avanti, proseguire - la sente interamente nel cervello, la sente mentre batte sulle tempie.
La seconda cosa che intende - perché è scivolata dentro le ossa - è il bisogno di correre a casa sua.

Prendere un aereo qualsiasi diretto in Inghilterra, il primo nel cuore della notte, all'ultimo secondo.
Tornare nel suo quartiere, nel suo appartamento; chiudersi dentro e lasciarsi morire.

Ci penserebbe davvero se non fosse per i suoi amati figli che non vuole lasciare orfani.
Ci penserebbe davvero se non fosse per le labbra di Robert, ancora così vicine.

E vorrebbe dirgli: C'è tua moglie lì fuori.
E Robert probabilmente risponderebbe: Ma oramai penso a te anche quando sto con lei.
Eppure non dice niente, non sente niente.

Per questo lo bacia di nuovo, accompagnando questo gesto con la passione dei sensi, tentando di annullarsi in favore di quel contatto - una maniera molto più dolce di scomparire.
Affogare in quelle sensazioni.

Ma si rende conto che non funziona. E l'unica cosa che riesce ad abbandonare è il suo corpo, l'unica che annulla è la vicinanza, ad affogare solo le sue illusioni.

Percorre tutto il camerino con la fretta che vorrebbe mettere per scappare a Londra. Si allontana il più possibile mentre si rende conto che se continua così l'altro lo prenderà per pazzo: non è possibile che non faccia altro che cambiare idea, che sia così indeciso.

Robert ha riaperto gli occhi - ma lentamente, come per impedire alla realtà di colpirlo interamente - e sembra un po' confuso, anche se non sorpreso. Non ha l'aria di chi sta pensando cattiverie.
Ha solo il fiatone, come lui del resto.

«Serve che ti dica...» Inizia; non sa se scusarsi o meno, non sa che dire, non sa se questa volta dovranno ignorare la cosa. Da questo punto di vista è fortunato che Robert non abbia ancora preso a considerarlo come un pazzo, visto che dentro di sé tiene il doppio delle angosce e delle insicurezze.

«No, lo so.»
«Bene,» annuisce per niente convinto. Non va bene affatto.

E tuttavia l'altro sorride, di nuovo felice, come se si sentisse soddisfatto per aver appena realizzato un sogno che covava da tempo.
«Dovremmo richiamarle,» spiega, come se non fosse successo nulla, «perché tra pochissimo...»

Ah, già. Si stava dimenticando di questo "piccolo" particolare.
Improvvisamente non gli appare nemmeno tanto strano che l'Americano sia così contento: è la notte degli Oscar, hanno una categoria da presentare, sta andando tutto più o meno come aveva malamente organizzato, ha due accompagnatori - come desiderava - e sono entrambi suoi amanti.

Amanti, pensa amaro mentre finalmente si siede al suo posto, pronto per il trucco, una ragazza velocissima in piedi di fianco a lui.

Non basta un bacio poco approfondito per trasformarti in un amante.

*

Ci sono riusciti: sono saliti su quel benedetto palco, hanno fatto lo spettacolino - e non ha ancora capito quanto hanno seguito il copione di Robert e quanto no; da parte sua si è limitato a fare l'antipatico, perché aveva bisogno di dire cattiverie e gli è venuto naturale sputare nervoso qualche battuta a sfondo sessuale (tra l'altro veritiera) - e non si è nemmeno preso la briga di sistemare quel maledetto farfallino.
Sì, per pura ripicca.

E se prima Robert era felice, adesso è euforico: sta chiaramente toccando il cielo con un dito. Lo ha anche stretto in un abbraccio - normale, di quelli che un tempo li tenevano sempre legati, di quelli che li legano quando non riescono a stare senza.

Si sono scambiati qualche parole restando così, vicinissimi. Jude lo ammette: l'emozione degli ultimi istanti, la gioia della riuscita, ha eliminato molte delle sue ansie; si dice che potrebbero provarci, che non hanno nulla da perdere, che non lo saprà nessuno, che stanno bene, si divertono...

L'arrivo di Susan porta con sé troppe consapevolezze.
Ovvero si rende conto che è lui a non avere niente da perdere, non l'altro, che già sta baciando sua moglie.

Baciando.
Nausea.
Baciando.
Gelosia.

«Ciao Jude,» saluta lei, contenta quasi quanto il marito.
Gelosia, nausea, «Ciao Susan,» dolore dolore dolore dolore,  «stai benissimo.»

Non è stupido - nonostante qualcuno lo pensi - quindi sa perfettamente che la tecnica migliore per arrivare più o meno indenne alla fine di una serata del genere è far finta di nulla.
Ignorare.
Ed è quello che fa: ignora qualsiasi cosa, si concentra solo sulla serata in sé. Del resto, viene incredibilmente facile sorridere quando si ha delle telecamere davanti, quando la tua immagine viene ripresa, sistemata, rimontata ed infine riproposta - venduta - a chiunque.
Il resto diventa fin troppo pallido in confronto a questo, pretesto troppo debole per lavorare male.

Jude lo sa.
Per questo sorride. Stringendo Susan, stringendo Robert, stringendo tutte le persone che conosce e riconosce - tutte rincontrate nel corso di quella serata. Segue tutti quanti, come guidato dalla corrente, senza sforzarsi per apparire troppo carismatico - sarebbe controproducente, in questo momento - ma accontentandosi di non sembrare patetico.

Non pare particolarmente turbato, nonostante tutto. Nemmeno quando, dopo un'intervista forse un po' lunghetta - perché decisamente non sanno farne di brevi, adorano parlare -, è Susan stessa a richiamarli.
Ad interrompe il momento.
«Andiamo ragazzi,» dice vivace.
Come se fossero entrambi suoi, dimostrazione forse passiva che ha capito. Che non vuole essere messa da parte, che le va persino bene, che...

«Andiamo.» Ripete Robert, parlando velocemente vicino al suo orecchio. Jude aveva sentito perfettamente la prima volta, ma a questa decide di annuire.
Queste piccolezze non possono distruggerlo: si rende conto che non sono giuste e, finché gli parla così, può sopportare ancora.

E difatti resiste fin quando gli echi nella sua testa - gli stessi che reprime da ore - non si fanno troppo forti. Se ne va, mentre sembra di nuovo un'ombra nella notte.
Mentre è notte fonda, li sta abbandonando, e torna a sparire.

Sparire.
Dalla serata, dalla cerimonia, dalla mente di Robert. Lui che, non appena rimasto solo con la moglie, torna ad essere lo stesso marito devoto che era nel pomeriggio.
Ed è con lei che se ne va, ancora rincorso dai complimenti su quanto sono stati divertenti - e che peccato che il suo film non ha vinto alcun premio.

Ma continua a sorridere soddisfatto, anche quando sono svestiti nella loro camera d'albergo, non ha più voglia di rimuginare: ha bisogno di lasciare tutto alle spalle.

Sente la propria felicità sulla pelle. Ed è così raro, per lui, che quasi si commuove; la sente scorrere nelle vene assieme al sangue, porta al cervello nuove verità: sta bene.
In questo istante, sta bene con lo spazio intorno.

Con Susan, in particolare.
La ama, lo sente nel corpo. Così come sente che lei non ha proprio nulla da temere, che per quanto sia passionale e forte ciò che prova per Jude - e che lo spinge verso di lui - sa ancora rimanere fermo dov'è. Riconoscere il giusto.

E, per consacrare tutto questo, fa l'amore con lei.
La ama come l'amava nei giorni delle prime vittorie insieme - poco tempo dopo il matrimonio - e lo fa per mille motivi consistenti che gli vorticano nella mente.

La ama perché il suo personale Pericolo è scomparso nelle ombre.

E si stupisce nel constatare che non c'è più nessuna difficoltà in questo, non deve nemmeno impegnarsi; sta tutto nel trasporto con cui si muove, frutto dell'abitudine e dell'affetto.
Sta tutto nel tenere gli occhi aperti, fissare bene chi ha con sé.

*


Quando si sveglia è tardi - anzi tardissimo, praticamente sera a giudicare dalla luce che filtra nella stanza dalla finestra - e sua moglie non c'è, sicuramente scappata via per non rischiare di svegliarlo - ha spesso di queste dolci premure nei suoi confronti, in una sorta di istinto materno.

I risvegli continuano ad essere traumatici, per lui, lo portano sempre a confondersi, a vivere quel momento incerto in cui non è sicuro né del passato né del presente. Ci sono delle mattine in cui non ricorda che è tutto passato, che è "guarito", che non si trova in prigione e che Susan non è un chissà quale detenuto fin troppo sottile.

Ridicolo come quei giorni suonino così lontani e così diversi dalla gioia che provava ieri notte. Assurdo che sia passato da luoghi sempre troppo freddi a sentire il proprio cuore biforcarsi.

Jude.

Allunga una mano per prendere il vecchio telefono dal comodino e, dopo aver controllato l'orario effettivo, scrive un messaggio conciso.

Deve chiarire le cose. Si è reso conto di che razza di oceano si stende fra di loro, distesa infinita di errori e complicazioni, fatta di paranoici silenzi. Fare qualche altro passo in quella direzione è una follia, oltre che sbagliato.
Nuotare è sconsigliato quando c'è il mare in tempesta.
E non può perdere la perfezione di quelle mattinate così pure, così pulite, né l'amore di una donna che per prima è riuscita a spogliarlo di tutti i suoi problemi e dalle mille etichette.
 
È persino disposto a tornare in Inghilterra, se questo significa chiudere il problema in modo positivo.

Ma l'altro risponde poco dopo, ed è ancora in città.

Perfetto.

Si alza si lava si veste con le prime cose che trova nella valigia, senza dare nemmeno un po' di importanza a cosa ha preso; non guarda mai le mode, nemmeno quando sono altre persone ad indossarle, e un paio di cose scoordinate non sono la fine del mondo.     Sicuramente non possono essere paragonate allo scopo della sua uscita.

Privo del tempo per fare colazione - nel messaggio non è specificato se Jude sta per partire o se, al contrario, anche lui si è appena svegliato - si limita ad uscire in strada, con il passo di chi sta correndo dalla propria Amata per svelarle chissà quale struggente sentimento.

Peccato che, in realtà, stia andando a fare l'esatto opposto con una persona che non è assolutamente la sua Amata.
Solo pensare a questo ridimensiona tutte le sue decisioni, lo costringe a fermarsi per un paio di secondi - gli attimi che impiega per ricordarsi che ha promesso a se stesso di non fare più il vigliacco - e a tremare leggermente.

Riprende a camminare decisamente più incerto.
E sa che non se lo può permettere, visto che non è nemmeno così difficile seguire un pensiero: lo si ha in mente, poi lo si realizza.
L'attrazione non dovrebbe mettersi in mezzo.
Eppure si sente come se stesse per amputarsi una gamba, avendo come arma le parole.

Niente giri, quindi, deve dire tutto ciò che pensa subito. Sintetizzarlo in poche frasi. Usare poche lettere.

Quando crede di aver trovato l'hotel, prende di nuovo il telefono in mano e scrive nervosamente:
Stanza?
La risposta arriva velocemente, con un messaggio contenente solo un numero.

Quindi sale, ansioso, arriva di fronte alla porta e bussa. Ha la sensazione di aver bruciato intere tappe in pochissimi secondi, che magari ha considerato male, ci sono vari tipi di amore e non vede come uno di questi possa sporcarne un altro, visto che sono tutti sentimenti nobili e...
Il flusso delle sue contraddizioni viene interrotto da Jude stesso.

«Ciao.» Lo accoglie. Non aggiunge altro, si limita a spostarsi di lato, cenno muto che significa: entra. Sembra nervoso anche lui, probabilmente ha capito che questa non è il tipo di chiacchierata che si può fare sulla soglia della porta.

«Ciao...» Si limita a rispondere Robert, incerto.

L'altro ha l'aspetto di chi non ha dormito affatto, le occhiaie rosse e gli occhi tristi. Non fa paura ma nel complesso nemmeno tenerezza.
Non ha l'aria di chi è distrutto, ma quella di chi ha smesso di ignorare per iniziare a capire; la persona che può reggere ogni cosa perché se l'aspetta.

Altro motivo per cui questa confessione, questa presa di decisione, non deve essere così difficile. Anche se di certo non riceverà alcun tipo di aiuto per dirla...

«Ieri sera è andata benissimo...» Comincia, senza sapere bene da dove cominciare - e tastando il terreno al tempo stesso.
«Non poteva andare meglio.»
«Esatto. Stavo pensando che...»
«Lo spettacolo è uscito come volevi?»
«No,» risponde istintivo, «cioè: sì. Non è di questo che volevo parlarti...»
«Strano,» scherza stranamente ironico - ma anche un po' amaro - l'altro, «molti parlano di noi come se fossimo una coppia.»
«È di questo che...»
«Ma noi non siamo una vera coppia.»

No.
Sì.
Sì, esatto. Non lo sono né lo saranno mai: era di questo che doveva parlare, no? Eppure non sta dicendo niente.

«E non lo siamo perché non funzionerebbe,» continua Jude, «ci sono troppe cose di mezzo: Susan, i nostri figli, i vecchi matrimoni, le ex fidanzate, fidanzamenti sciolti da poco, poi...» e continua a parlare con un tono di voce particolare, che è raro sentirgli.

Difficile dire quando un attore sta mentendo o quando no, difficile capire quando sta improvvisando. Jude ha l'aria di chi sta parlando spontaneamente, senza pensarci troppo, ma lo fa elencando cose che gli vorticano in testa dal giorno prima.
E Robert non lo sta ascoltando da quando ha ripreso il discorso.

Susan, ha colto solamente. Susan che ha così tante premure nei suoi confronti, lui che invece esce senza avvisarla per andare a sistemare quello che poteva diventare un tradimento.
Che diventerebbe un tradimento, se non fosse per il monologo che sta tenendo l'inglese.

«E stai pensando a lei.»
«Perché sono scappato qui non appena mi hai risposto,» si giustifica subito, i suoi occhi intenti a fissare un piccolo punto più chiaro nella moquette, «ero ancora nel letto e lei non c'era. Non sa che sono qui...»
«Oh.»

Oh: rivelazione dell'anima. Quando troppi pensieri si accavallano e nessuno riesce a diventare parola per primo, lì nasce "Oh", composta da due lettere dal suono trasparente.
Dette indossando un'espressione sorpresa.

«Volevo...» ne approfitta per dire qualcosa lui, finalmente, decidendo che ora può farcela, «Volevo,» mollarti, «parlarti.»

«Lo so.» Annuisce Jude, tranquillo, che sembra non aver colto la piccola pausa fra le poche cose che è riuscito a dire, «E mi va bene, ti ascolto.»

«Ieri sono stato felice.»

Inizia. E alza lo sguardo: ha come l'impressione di aver capito dove arrivare, che cosa vuole davvero e mai come ora è deciso ad ottenerla.
Una parte di lui si sente soddisfatta per aver ritrovato i testicoli.

«...Lo sono stato grazie a voi.»
«No.»
«Voi mi rendete felice, molto più dei complimenti che ho ricevuto o della serata in generale.»
«No, Robert, no. Non c'è spazio per m-»
«C'è, invece!»
«No che non c'è! E ti ho già detto di non tentare di illudermi o cose simili: ieri l'ho visto chiaramente,» no, non l'ha fatto: ieri era troppo preso dall'ignorare ogni cosa. Lo ha capito quando - mentre aspettava un taxi insieme a Justin - si è ritrovato a pensare a quanto era successo, per poi restare a rimuginarci tutto il resto della nottata fino a quel momento, «ma... ma, senti, non sono innamorato di te,» un po' lo è, invece, «quindi non iniziare a proporre cose strane. Non è un problema, non c'è niente fra di noi, basterà non rimanere insieme o a stretto contratto e tu sarai salvo.»

E dopo aver fatto questo discorso, Jude considera che vorrebbe una macchina del tempo, per tornare indietro ed usare questa improvvisa maturità e questa ancora più strana comprensione per sistemare molti dei suoi sbagli. Chissà quanti problemi potrebbe eliminare dalla sua storia.
Come il tradimento di Sienna. Ma lì il discorso era diverso: in quel periodo stava così bene che aveva la sensazione di poter fare tutto senza ricevere nessun tipo di punizione in cambio.

Senza rendersi conto delle conseguenze.

Al momento, invece, ora che è qui - senza nessuna possibilità di riscrivere ogni pezzo - a rinunciare ad una possibile felicità, sente che gli manca tutto quel candore infantile.

Ed è pazzesco come il candore infantile lo abbia portato al tradimento della propria fidanzata, mentre la mancanza di questo gli sta impendendo di rovinare un matrimonio fin troppo funzionante.
Senza di lui ad alterare una parte, almeno.

Quando il sesso era la sua priorità, il suo pensiero fisso, prima sopra tutto, lui era innocente. Che paradosso.
Ed il punto è che il sesso, con Robert, non lo ha proprio considerato. Probabilmente non saprebbe nemmeno da dove iniziare e dubita che una cosa del genere possa venire spontanea...

E se non ha ancora pensato ad una cosa del genere, che sarebbe il fondamento di ogni coppia, che cosa ha intenzione di fare? Che cosa ha in testa Robert? Non riesce a chiederglielo.

«Jude...» Lo richiama l'americano. Lo sta fissando da un bel po', nello sguardo tanta di quella tristezza che è difficile da capire, «Mi dispiace,» aggiunge quando è certo di aver ottenuto la sua attenzione, «forse è vero che non si può fare.»

Tutti questi forse, magari, può darsi, probabilmente! Non è possibile che in tutta questa storia non ci sia nemmeno una certezza, ha bisogno di un verbo.
Che nessuno dei due sa mettere.

«Dispiace anche a me.»
«Non so cosa fare, sai? Non so nemmeno che cosa sto facendo,» continua, «e più ci penso più complico le cose.»
«Ti posso capire.» Lo sta facendo anche lui, in effetti.
«Non so nemmeno come ci siamo arrivati!» E ha l'aria di chi sta per mettersi a piangere, prima di aggiungere risoluto: «Non voglio più pensarci.»

Jude sente che gli farebbe anche compagnia, in un complice pianto disperato e nella sua testa immagina brevemente la scena.
Che sì: è troppo patetica anche solo da pensare, non può essere presa in considerazione.
Preferisce limitarsi ad annuire: «Va bene.»

«Torniamo come eravamo un tempo, quando ci siamo conosciuti, agli inizi. Ok?»
«Sì, niente più pensieri. Solo istinto, qualche risata.»
«Esatto.»

Segue un attimo di silenzio imbarazzante. In realtà, nessuno dei due ricorda questi fantomatici inizi: da quel che ricordano, è sempre stato così, si sono sempre guardati cercati toccati fissati provati come se niente fosse.
E non possono essere amici senza tutto questo, equivarrebbe a perdere troppo.

Questa è una strada a senso unico.

«Jude? Magari puoi...» sorride tristemente, «puoi continuare con le tue incessanti dichiarazioni amorose. Ok? Mi mancherebbero.»
«Ma sì, certo.»

Non le sentirai mai più.

«E...»
«Grazie, Rob.» Lo interrompe, imitandogli il sorriso. «Dovrei ripartire... ho un bel po' di cose da fare, sai, fantascienza, sacchetti di plastica, cartoni animati...» Tenta di scherzare - senza riuscirci del tutto.
«Suona divertente.»
«Già.»

Si fissano. Questo non è un addio, si rivedranno ancora tantissime volte, avranno un tour piuttosto lungo da affrontare insieme, ma tuttavia questo suona come il peggiore - ed il più triste - degli addii.
Perché di certo non si rivedranno mai più in queste vesti o in condizioni simili; Robert non rivedrà mai il cuore di Jude riflesso nei suoi occhi.

E vorrebbe distruggere questo momento. O suggellarlo con un bacio. Lo sente proprio, il bisogno di abbandonarlo nella maniera più giusta...
Solo che non ci riesce, come non è riuscito a dire tante cose.

Si limita a salutarlo, malinconico, per poi scivolare fuori dalla porta, lungo le scale, dall'hotel.

E fuori è di nuovo buio. Mentre lui scorre nella notte ed è tornato ad essere un'ombra.
Mentre considera che l'oscurità è come l'oceano che, ora ne ha la conferma, si stende fra di loro; immenso, spietato, misterioso.
Totale.

Così totale che li fa diventare incolori quando si trovano a separarsi, quando si dicono un addio che lo è solo per finta.

Sagome nel buio.



*Fin*




Note:
Dunque.Questa è una follia e me ne rendo perfettamente conto da sola ma, visto che questa idea mi ha levato notti e notti di sonno, ho deciso che tanto valeva scriverla :D
Non vi mentirò: è una fic abbastanza importante per me, visto che non solo segna la mia entrata "ufficiale" nel fandom ed il mio ritorno su EFP - che sì, avevo abbandonato - ma inaugura anche (e finalmente) questo account ♥

E naturalmente ha delle dediche.
La prima è per Manu che mi ha sopportata in questi giorni (e soprattutto queste notti) e supportata fin dal primo momento, non abbandonandomi mai ai miei deliri (come invece avrebbe dovuto). Perché ha letto la fic a pezzetti, pur di vedermi andare avanti, ha calmato le mie ansie, smentito le paranoie, nutrita di complimenti.
Perché è sicuramente merito suo se sono qui a scrivere~ e per tutti i film che abbiamo visto insieme, anche i più strani che non abbiamo capito.

La seconda è per Barbara che, con la sua cura di insulti, è riuscita a farmi vedere un po' oltre la mia insicurezza, spingendomi a postare - ed aiutandomi in questo. E per la virgola nonsense, non dimentichiamo ♥
Perché ha speso del tempo per me ed è stata carinissima nel farlo.

La terza è per Vane che non solo fa il compleanno fra poco, ma è stata così gentile da ritrovarmi le date per nutrire il mio bisogno di precisione. E poi, lo ammetto, parte di tutto quello che ho scritto è frutto delle nostre discussioni/ragionamenti di tarda notte (il ché magari spiega perché sono così sclerati xD).

Quindi: questa fic è dedicata a queste tre meravigliose fanciulle che, per prime, hanno creduto in me. Ma voglio ringraziare CHIUNQUE si ritroverà a leggere queste note, e chi leggerà chi commenterà chi odierà chi amerà chi chi chi.
Un ringraziamento a tutti, insomma♥♥♥.


Detto questo:
La fic inizia il 6 Febbraio, giorno della fine delle riprese; Robert va a casa di Jude il 12, ovvero quando - accordato con Vane - sono stati annunciati i presentatori delle varie categorie (RDJ si sapeva già da un mesetto). Il restante è ambientato durante la notte degli Oscar ed il giorno seguente.
Per quanto riguarda gli Oscar: Susan non aveva solo gli orecchini della collezione della Jolie, ma anche un bracciale ed un anello. Jude in realtà non è "sparito nella notte", ma si è fatto platealmente vedere mentre aspettava con Justin Timberlake (ed un gruppetto di persone che non ho riconosciuto) un mezzo con il quale andarsene. In realtà non so di chi sia stata l'idea di coordinare i vestiti, ma suppongo di Robert perché è lui che abbina sempre tutto con Susan xD

Tra i mille nominati di questa fic, quello un po' importante è Ben Jackson, ovvero il manager di Jude, quello che è un ex modello. Sì, solo Jude poteva avere un manager che è anche un ex modello, ma sorvolando questo... sembra davvero adorarlo *_*
(E si vestono tipo uguali, una cosa incredibile...)
I film che Jude sta facendo sono Contagion (che credo sia anche un po' più d'azione, ma non ne sono sicura) e Rise of the Guardian.
(Ed il party trick esiste davvero xD)

Concludo dicendo che il titolo viene da una canzone degli Arcade Fire. Non lo amo particolarmente ma visto che il loro l'ultimo cd sta comandando la mia vita, non ho saputo fermarmi. E le lyrics stanno anche bene con la fic in sé.

Basta, ho già detto troppo. Aggiungo solo il diclaimer obbligatorio che proclama che purtroppo io non li conosco e che non voglio insinuare nulla e che ovviamente i fatti non si sono svolti così se non nella mia testa (: e generalmente non ci guadagno nulla nello scriverne.
Au revoir~
  
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