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Autore: Elfa    15/04/2011    4 recensioni
I pensieri di Legolas dopo aver lasciato la Terra di Mezzo, i suoi ricordi, i suoi dubbi, affidati al vento e alle onde.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Volare

Volare

 

-accompagnamento musicale: Carnival of Rust dei Poets of the fall-

 

http://www.youtube.com/watch?v=zRVrQsdWDds

 

 

Musica, discorsi, racconti. E una luna piena che illuminava una radura addobbata da fiori e lanterne. Dei musici attaccarono una melodia, con liuti, flauti ed arpe. I miei occhi per un attimo si posarono a guardare la danza di un’elfa dai capelli biondi. La sua chioma libera si muoveva ad ogni suo movimento, scintillando alla luce degli astri e delle lampade come se fossero fili di argento liquido o oro pallido.

Poteva essere una festa meravigliosa, eppure tutto, i suoni, gli odori, mi giungevano come da distanze infinite, i movimenti erano lenti ed esasperati come se i festeggiamenti si stessero tenendo sott’acqua.

Mi sentivo soffocare. Il diadema sulla mia testa premeva come se fosse fatta di ferro, invece che di leggerissimo mithril e il mantello sembrava serrarsi attorno al mio collo come un cappio. Che cosa stavo facendo lì?

Osservai gli altri presenti. Erano volti che conoscevo, amici, gente che rispettavo… oppure, le loro parole mi sembravano vuote, i loro sorrisi privi di significato. Che cosa stavano facendo, loro? Perché eravamo ancora vivi, tutti quanti? A quel punto, che scopo aveva anche solo continuare a respirare?

“Legolas?” Sbattei le palpebre, come a cercare di riprendermi, abbassando lo sguardo a cercare il proprietario della voce. Gimli mi stava strattonando il mantello, il naso rosso e un’espressione vagamente euforica sul volto, agitando un bicchiere vuoto. Rise forte, il nano, riscuotendo in parte quel torpore in cui mi ero lasciato sprofondare. “Credevo di impazzire senza birra, qui… avresti dovuto dirmi che tuo padre aveva un nettare del genere!” E giù un’altra risata sguaiata, battendomi una sonora pacca sulla schiena, che per un momento mi fece sbilanciare.

Guardai il nano, perplesso, prima di capire. Il vino rosso degli elfi di Bosco Atro. Quanto poteva essersene portato dietro mio padre? E quanto se ne era scolato il nano?

“Quanto ne hai bevuto?” Domandai, dubbioso, inarcando un sopracciglio, vedendo il nano guardare sconsolato il fondo del bicchiere vuoto, passandoci dentro un dito, cercando di carpire inesistenti gocce superstiti. Gimli brontolò qualcosa di indefinito, prima di rispondermi.

“Un po’…” Fu l’evasiva risposta, prima che, con un sorriso enorme, non mi arpionasse il braccio, cercando di trascinarmi da qualche parte. “Dai, Principino! Gara di bevute!” Ghignò, totalmente incurante, lui, del luogo e della situazione in cui ci trovavamo, ma io puntai i piedi.

“Stasera no, Gimli.” Risposi, ritraendo il braccio e guadagnandomi un’occhiata dubbiosa da parte del mio amico. Gimli tacque, fissandomi, voltandosi per un momento a guardare la festa, prima di tornare su di me.

“Va tutto bene, Orecchie a Punta?” Chiese, serio, senza scherno in quel nomignolo, che ormai mi affibbiava più per abitudine che per altro. Sorrisi, scuotendo il capo, senza rispondere. Non avevo voglia di farlo preoccupare, ma di partecipare alla festa non se ne parlava. Non avrei dovuto nemmeno trovarmi lì. Sospirai, stanco.

“Io… devo andare.” Aggiunsi, semplicemente, senza guardare il nano, gli occhi fissi in un punto imprecisato della radura, restando immobile per alcuni secondi, prima di voltarmi, allontanandomi dalla radura e inoltrandomi nel bosco a grandi passi.

Avevo bisogno di silenzio. Di camminare e di pensare, senza nessuno intorno. Gimli mi seguì per un po’, ma lo distanziai con facilità, nel bosco. Sospirai.

Mi piaceva quella pace, il silenzio, le ombre… ma ora anche gli alberi sembravano sul punto di afferrarmi e soffocarmi. Sensazione insolita, per un elfo…

Mi tolsi il diadema, lasciandolo cadere tra gli arbusti, continuando a camminare, per poi slacciare, senza tanti complimenti, anche il mantello, che lasciai cadere a terra senza curarmene.

A poco a poco, il bosco si diradò e il vento dell’oceano mi sbattè in faccia, colpendomi con l’odore salmastro delle onde, gettandomi indietro i capelli. Un gabbiano notturno strillò, lontano, da qualche parte. Potevo sentire il rumore delle onde che si infrangevano contro la scogliera.

Continuai a camminare, fino a raggiungere la torre di guardia, sulla cui sommità bruciava incessantemente un fuoco.

Un tempo guidava verso riva le navi a forma di cigno che arrivavano dalla terra di mezzo, quando le nuvole coprivano le stelle. Ora era lì solo a illuminare la via per quei pochi che uscivano brevemente in mare, senza allontanarsi dalla riva, o che si muovevano tra i porti di Aman.

Non c’erano più navi che arrivavano da oltre l’orizzonte, né che partivano per solcarlo. Non avrei saputo dire cosa fosse più triste.

Salii in silenzio la scala della torre, una scala esterna, che si attorcigliava intorno a quel bastione, priva di qualsiasi ringhiera o parapetto. Di tanto in tanto una folata di vento pareva volermi spingere contro la parete, ma meglio dell’alternativa: dal lato della torre che guardava il mare, la scogliera scendeva giù a picco e le onde crestate di bianco lambivano le rocce, che spuntavano dall’acqua come denti acuminati.

Arrivato in cima, il vento che veniva dal mare parve soffiare più forte, facendo tremare anche la luce del fuoco. Ora avevo il suo calore sulla nuca e il soffio del mare sulla faccia. Salii sul parapetto, restando in equilibrio, a braccia spalancate, gli occhi chiusi, restando solo ad ascoltare il respiro di Ulmo.

“Che… accidenti… combini… stupido… Or… Orecchie a punta?!” La voce di Gimli ancora una volta mi riscosse dai miei pensieri, facendomi voltare, ma senza scendere dal parapetto. Osservai il mio amico. Doveva aver fatto tutta la scalinata di corsa, almeno a giudicare dal suo fiatone, gli occhi leggermente fuori dalle orbite e l’espressione stravolta.

Tornai a guardare verso il mare, senza rispondergli. Non subito, e di sicuro non come voleva lui.

“Gimli… della guerra dell’anello quale è il ricordo più bello che hai?” Domandai, sempre guardando quella massa d’acqua in perenne movimento.

“Di che parli?” Mi chiese ancora, sempre col fiato corto, avvicinandosi cautamente a me e al parapetto. Sentii i suoi passi sulla pietra. “Legolas… scendi da lì…”

“Per me…” Continuai, come se non avessi ascoltato una parola di ciò che aveva detto.  “… è stata senz’altro la battaglia al Morannon.” Continuai, in un sussurro che pensai potesse essere spazzato via dal vento. Gimli si fermò e per un momento mi parve di sentire il suo sguardo dubbioso bruciarmi sulla nuca, più rovente del fuoco alle nostre spalle. “Non ho più provato nulla del genere.” Spiegai, a voce bassa. “Mentre combattevamo… con la morte ad un passo da noi… io ero…” Tacqui, senza riuscire a trovare le parole adatte a descrivere cosa avevo provato. “Sentivo l’aria che mi entrava nei polmoni per respirare, e il sangue che pompava nel cuore e nelle vene, ed ogni muscolo teso, che sembrava urlare.” Presi un respiro profondo, prima di continuare. “E nella mia testa continuavo a pensare che non volevo morire. Volevo vivere. Sentire il mio sangue scorrere e il cuore battere.” Ancora silenzio, ascoltando semplicemente il rumore del vento attorno alle orecchie. “Era come essere sull’orlo di un abisso ed essere diviso tra la repulsione e il desiderio di lanciarsi nel vuoto.” Terminai, come in un sussurro, parlando più a me stesso che non a Gimli.

“Vedi di non lanciarti giù da qui, elfo!” Sbottò il nano, alterato, forse preoccupato per me, in quel suo modo tutto suo, quel suo burbero, scostante affetto. Sorrisi appena.

“A battaglia finita, pur in mezzo a tutti i festeggiamenti, io pensai che non avrei mai più provato nulla del genere.” Abbassai lo sguardo sui miei piedi, e più in basso, dove le onde schiumavano contro gli scogli. “E la mia vita è stata così, da quel momento in poi… senza grandi gioie, né grandi dolori. Una linea piatta e noiosa.” Mi lasciai sfuggire una smorfia, rialzando il capo. “Venire ad Aman è stato un errore.” Confessai, dando voce a quel pensiero che da diverso tempo mi attanagliava il cervello, ma che non avevo mai avuto il coraggio di esprimere ad alta voce.

“Che ha questo posto che non va?” Mi chiese, Gimli, sentendo per la prima volta che mi stava ascoltando attentamente. Evidentemente avevo detto qualcosa che anche alle orecchie del nano doveva suonare assurdo.

Strinsi i denti, sentendo salirmi in cuore una rabbia irrazionale e mai provata. “Niente.” Sbottai, tornando a guardare il mio amico. “Non c’è macchia in Aman. Non c’è nessuna imperfezione.” Spiegai, lo sguardo che tornò altrove. “Dunque a che pro siamo qui? Siamo solo le belle statuine di questo gioco di maschere. Non abbiamo altro che uno scopo ornamentale.”

“Credo che questo sia vagamente blasfemo, ma posso capirlo.” Gimli deglutii, porgendomi la mano. “Ora però scendi da lì.” Mi pregò, quasi, per quanto il tono volesse sembrare un ordine, ma conoscevo abbastanza quel nano da cogliere le inflessioni nelle sue parole.

Ancora non gli risposi, gli occhi fissi davanti a me, nel buio. Li chiusi, restando in silenzio, immobile, lasciando che gli istanti passassero, dilatandosi all’infinito. Sentivo il sangue scorrere. E il cuore battere. E l’aria entrarmi nei polmoni. Allungai un piede nel vuoto. E saltai, riaprendo gli occhi, guardando l’acqua e gli scogli avvicinarsi. L’urlo di Gimli si confuse con l’ululato del vento che mi soffiava nelle orecchie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Colpii la superficie dell’acqua con tanta forza che mi mancò il respiro, mentre una moltitudine di piccole bolle mi ruotava intorno al corpo, frizzandomi addosso. Il sale mi bruciò gli occhi, che richiusi mentre le mie gambe toccarono la protuberanza di uno scoglio. Mi graffia, mentre risalivo in superficie. Un’onda mi schiaffò il volto, rispingendomi sotto. Tornai a galla, lottando contro la corrente, alla ricerca di aria.

“Legolas!” La voce accorata di Gimli, che mi giungeva anche da quella distanza, tra il rumore del vento e delle onde, mi fece alzare il capo. Presi fiato.

“Sto bene!” Gli urlai, di rimando, prima di scoppiare a ridere, gettando all’indietro il capo. Un’altra onda mi riempì la bocca di acqua salata. Sputai e tossì, ridendo ancora più forte. “Sto bene1” Ripetei, in una folle euforia, aggrappandomi ad uno degli scogli ed issando mici sopra, lottando contro la corrente. Mi stesi sullo scoglio, una risata a singhiozzo sulle labbra.

“Tu sei pazzo! Assolutamente pazzo!” Ancora le grida irate di Gimli mi arrivarono alle orecchie, mentre giacevo, fradicio ed esausto su quello scoglio. Un’altra breve risata. Ero vivo.

 

 

Salve a tutti.

Spero che vi sia piaciuta questa piccola one shot e che il personaggio di Legolas non risulti troppo OOC. Non mi riesce proprio di fare un Legolas canonico, nelle mie storie, quella frase “uno strano elfo vestito di verde e nero” ha sempre stuzzicato la mia fantasia. Perché strano? Che cosa è strano?

Forse un elfo “umano”, che sa andare oltre i pregiudizi, oltre le apparenze, fino a farsi domande che di certo non aiutano il quieto vivere

Voi come la vedete?

Spero che recensiate e mi facciate sapere cosa pensate della storia e del mio Las.

Ah, e per i lettore de “Gli Eredi dell’Ombra”, non temete, non ho dimenticato la mia vecchia storia, ma questo capitolo mi sta creando qualche difficoltà, ma spero di postarlo presto.

Ci sentiamo presto, Ragazzi. ^^

 

Elfa

  
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