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Autore: LaU_U    15/04/2011    2 recensioni
«È semplice: sali sulla casa del vecchio Adirion e raggiungi il tetto. Stacchi il galletto segnavento e poi scendi.»
Fu l’altro a concludere la frase:
«Poi torni all’orso, ti arrampichi e lo leghi sulla sua testa. Siamo d’accordo?»
Il ragazzino era concentrato. Annuì.
«Voi procuratemi una corda.»

Un giovane mezzelfo e delle sfide casalinghe.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo testo è di un annetto emmezzo fa. Avevamo fatto un tentativo di giocare a D&D, ma abbiamo continuato per poche sedute. I nostri pg sono bloccati in una zona paludosa poco distanti da una strega o qualcosa del genere.
Avevo scritto questo per carcare di caratterizzare il mio personaggio, un allegro mezzelfo ranger di vent'anni che vive in una bella cittadina di mezz'elfi con la sua famiglia (non tutti gli avventurieri devono per forza avere genitori ammazzati e sorelle violentate). I fratelli li ho ispirati un po' ai gemelli Weasley di Harry Potter, dei giocherelloni che parlano e pensano insieme. Ho messo i colori per le battute per facilitare la distinzione delle voci (per facilitare me, lo ammetto). La vicenda (come in realtà leggerete) si svolge quando Dryaw era solo un bambino.
Buona lettura!


 

La giornata si preparava ad iniziare e si poteva a stento scorgere l’alone del sole apparire da dietro il profilo degli alberi che circondavano il villaggio. La vita di Grey Oaks non sarebbe cominciata prima di una o due ore, ma qualcuno ne stava già occupando le strade con le impronte e il suono dei propri passi. A causa di qualche ignoto rumore, Dryaw si era svegliato prima del sole e dopo un po’ non era più riuscito a stare fermo nel suo giaciglio, circondato da tutti i suoi fratelli e sorelle. Aveva indossato una maglia ed era uscito di casa sfidando l’umidità dell’alba.
Percorrendo il sentiero principale, aveva raggiunto il piazzale del paese e si era fermato davanti alla grossa statua di legno che ne occupava il centro. Un uomo con quella luce ne avrebbe potuto scorgere solamente i contorni, ma i suoi occhi non provenivano dal ramo umano della famiglia. Dryaw si mise ad osservare il volto dell’orso rizzato in piedi, le sue zampe con gli artigli, la pelliccia intagliata con cura da Erig, l’abile falegname di Grey Oaks. Quella scultura era sempre piaciuta al giovane Dryaw. Quante volte era sparito dalla custodia della sorella per andare ad ammirarla, sognando di lottare e sconfiggere il gigantesco animale, che le sue fantasie riuscivano a rendere animato.
 
Sentì dei passi provenire dal sentiero che lui stesso aveva percorso. Che fossero dei goblin? Per un attimo Dryaw si irrigidì, pronto a dare l’allarme per l’intrusione di quegli esseri maledetti. Si voltò lentamente. Trasse un sospiro di sollievo. Erano solamente Yerawin e Ferawyr.
«Non ti sembra un po’ presto per andare a zonzo? Non credo che la mamma sarebbe contenta di saperti in giro da solo a quest’ora» disse una voce assonnata.
I due ragazzi continuarono a camminare fino a raggiungere la statua e poi, in sincronia, appoggiarono la schiena ad essa come se fossero sfiniti.
«Non potevi fare a meno di uscire prima dell’alba? Avrei voluto dormire ancora dopo la faticaccia di ieri.»
«Ma se non hai fatto nulla ieri. Sei stato tutto il tempo a spazzare le segatura mentre il lavoro duro ho dovuto farlo tutto io» replicò Yerawin.
Ferawyr aprì la bocca per replicare, ma lo sforzo gli dovette sembrare così ingente da rinunciare in cambio di un grosso sbadiglio.
Dryaw era dispiaciuto di aver infastidito i fratelli.
«Non volevo svegliarvi. Credevo non ve ne fosse accorti.»
«Troverai il modo di farti perdonare.»
La stanchezza d’un tratto sembrò sparire dal volto di Yerawin che diede una gomitata al fratello appoggiato accanto a lui, il quale rispose con uno sguardo scocciato e interrogativo.
«Magari…»
Lasciò la frase in sospeso, ottenendo l’attenzione degli altri due.
«…potresti fare quella cosa di cui stavamo parlando ieri
Drayw iniziò a pensare alle conversazioni del giorno precedente, ma non ci mise molto a realizzare a quale il fratello maggiore si riferisse. Fu Ferawyr a rispondere per primo.
«Già! Credo potrebbe essere una buona idea. E non c’è neanche una persona che può disturbarti adesso.»
«Ragazzi non so se è il caso…»
Il ragazzino ricordò l’ultima punizione ricevuta dalla madre dopo aver combinato l’ennesima marachella. Aveva dovuto abbattere una betulla e ricavarne abbastanza legna perché bastasse per tutto l’inverno. Non era stata un’esperienza piacevole.
«Non ti tirerai indietro?” risposero perfettamente all’unisono gli altri due. Dryaw non si tirava mai indietro dalle sfide che gli proponevamo quelli che avrebbero teoricamente dovuto dargli il buon esempio. Voleva farsi vedere all’altezza di stare con loro, che avevano cinque e sette anni più di lui e che, sul finire della loro adolescenza, apparivano molto più grandi di un piccolo mezzelfo tredicenne.
Sfoggiò uno sguardo impavido: «Ci sto. Ma non dovete tirar fuori nemmeno una parola con la mamma
«Come sempre
Avrebbero mantenuto la promessa, lui lo sapeva.
 
Dryaw trasse un paio di respiri inarcando le sopracciglia mentre si concentrava, piuttosto agitato. Poi si incamminò verso la casa del sindaco, che era a poche decine di metri da lì. I fratelli lo superarono ai due lati e si voltarono verso di lui continuando a camminare all’indietro.
«Ti ricordi? È semplice: sali sulla casa del vecchio Adirion e raggiungi il tetto. Stacchi il galletto segnavento e poi scendi.»
Fu l’altro a concludere la frase.
«Poi torni all’orso, ti arrampichi e lo leghi sulla sua testa. Siamo d’accordo?»
Il ragazzino era concentrato. Annuì.
«Voi procuratemi una corda.»
I fratelli si fermarono bloccando l’avanzata di Dryaw. Avevano un’aria stupita, come se lui avesse riferito qualcosa di straordinario. Si guardarono l’un l’altro e poi sorrisero in maniera complice. Yerawin alzò la sua maglia, mentre sia lui che il compare si misero a fissare il fratellino. Aveva una fune legata alla vita. Come mai portava quell’oggetto con sé?
«Ma… Avevate già deciso di farmi fare questa cosa! Non sono stato io a svegliare voi. Voi… voi avevate già svegliato me.»
Ora Dryaw aveva capito chi aveva prodotto i rumori che l’avevano destato.
«Non puoi accusarci di qualcosa per cui non hai prove» rispose Ferawyr con un sorriso beffardo.
«Noi eravamo assonnati, non ricordi?» gli fece eco Yerawin simulando uno sbadiglio proprio davanti alla faccia del piccolo raggirato.
Dryaw era incredulo, anche se una cosa del genere avrebbe dovuto aspettarsela da quei buontemponi dei suoi fratelli. Scuotendo la testa prese la corda che gli fu offerta e se la arrotolò addosso a tracolla, in modo che non lo intralciasse troppo.
 
Erano davanti alla casa del sindaco. Si riusciva a intravedere il galletto e sentirlo cigolare mosso dalla brezza. I tetti delle case di Grey Oaks erano scoscesi e giungevano fino al terreno. Con una buona dose di agilità era possibile raggiungerne la sommità senza usare scale. Dryaw appoggiò le mani alle tegole ed iniziò la sua arrampicata silenziosa. Si tenne sul finire del tetto così da poter aggrapparsi meglio con almeno una mano. Con dei piccoli passi andò sempre più in alto mentre poteva vedere i quattro occhi dei fratelli che lo fissavano divertiti e partecipi da terra. Un paio di volte il piede gli scivolò, ma la presa salda delle mani gli impedì di cadere. Riuscì ad arrivare in cima e si sedette a cavalcioni. Riprese fiato per qualche secondo e fece un saluto agli spettatori che lo controllavano qualche metro più in giù. Una parte della missione era compiuta.
Si trascinò fino a raggiungere il galletto segnavento. Era di metallo scuro, in buona parte arrugginito. Lo afferrò con entrambe le mani stringendo la morsa delle gambe sul tetto e iniziò a spingere e tirare per riuscire a staccarlo. Quella ferraglia sembrava non volersene proprio andare dalla sua posizione sopraelevata. In effetti Dryaw si accorse che la vista da là sopra era molto affascinante. Si poteva vedere gran parte del villaggio. Le punte dei tetti erano sfiorati dalla luce gialla dell’alba e le ombre erano lunghe sulle strade. Il sole stava quasi spuntando luminoso da dietro il bosco. Il mezzelfo continuò faticosamente a scuotere il gallo finché non riuscì a smollarlo e si staccò. Se non fosse stato così vecchio e rovinato, probabilmente non ce l’avrebbe mai fatta. Sollevò il trofeo e vide Ferawyr, il più giovane dei due, fare un salto di eccitazione. Scavalcò il tetto e cominciò la discesa, volgendo la pancia in basso. L’operazione era resa più difficile dalla mano occupata dal galletto, ma Dryaw riuscì ad arrivare a terra, non senza una buona dose di ansia.
 
Superò i fratelli con un atteggiamento fiero e senza dir loro niente raggiunse a passo veloce la statua dell’orso. Pochi minuti e avrebbe superato la sfida. Non era però sicuro che fosse una buona idea salire su quella scultura. Se l’avesse rotta? Era un simbolo del villaggio; stava lì da decenni. Sentì che i fratelli l’avevano raggiunto. Doveva farlo. Si aggrappò alle zampe anteriori dell’orso e spingendosi coi piedi si issò. Con agilità e sfruttando tutti gli appigli offerti dal mammifero di legno arrivò a mettersi in piedi sulle sue spalle. Tenendosi stretto con un braccio, utilizzò l’altro per srotolarsi di dosso la corda. Si sentiva in un equilibrio piuttosto precario. Fece un nodo sul bastoncino che reggeva il gallo  e poi lo appoggiò sulla zucca dell’animale. Passò la corda tra il galletto e la testa dell’orso varie volte, incrociandola in modo da stabilizzare la banderuola. Alla fine c’era riuscito. L’aveva fissata. Contento si regalò un grosso sorriso mentre guardava la sua creazione. Un’altra piccola avventura compiuta. Ora poteva scendere.
 
Stava per saltare giù quando sentì uno strillo rabbioso.
«Piccoli mascalzoni, cosa state combinando?»
Sapeva esattamente a chi apparteneva quel grido: all’unica persona che non doveva essere lì in quel momento. Nel voltarsi per guardare la madre, gli cedette l’appoggio di un piede e Dryaw volò a terra atterrando su un fianco; una caduta di un paio di metri. Mentre si stringeva il braccio dolorante sentì un’altra fitta più forte all’orecchio. La donna glielo stava premendo fra il pollice e l’indice cercando di far sollevare il figlio che si lamentava chiedendole invano di fermarsi.
«Come vi è venuta in mente una cosa simile? Vi sembra normale rompervi l’osso del collo per rovinare una statua del paese? Vi sembra normale uscire nel cuore della notte senza dire niente? Vi sembra normale arrampicarvi e rischiare la vita per una cosa così stupida? Vi sembra normale, eh? Vi sembra normale?»
Anche volendo (ma i tre ragazzi in quel momento desideravano solo sparire) non avrebbero trovato il tempo per rispondere alla serie di domande sputate dalla madre una dietro l’altra. Era furibonda.
«Ve la vedrete con vostro padre adesso. Avrete la punizione che vi meritate appena rimetterete piede in casa. Non ne uscirete per un mese.»
In realtà non era del padre che dovevano avere paura. Era lei quella che metteva in castigo e sculacciava più forte.
La donna trascinò i figli tenendoli, in maniera inspeigabile, tutti e tre per l’orecchio. Li tirò continuando a sgridarli. Anche quella punizione non se la sarebbero più scordata.

   
 
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