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Autore: PettyMoth    01/02/2006    12 recensioni
Un'altra Draco/Ginny. Un'agonia, per me e la mia mente ormai impostata fissa sullo slash. Però, una mia Draco/Ginny, che, anche se non dovrei dirlo, non mi dispiace più di tanto.

Mi dispiace, mamma.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi dite!
Un altro polpettone-shot deprimente! E dove sta la novità?
*sorriso smagliante* Ebbene sì, ebbene lo ammetto, ebbene è accaduto. Draco/Ginny. *trema*
Ora, in realtà.. E' colpa di Abigale, la mia Cam, dalla quale, dopo questa mia pubblicazione, dovrete aspettarvi una bella Draco/Harry.
Beh, insomma. Che aggiungere? I ringraziamenti alla mia Camreader che mi ha smantellato un minimo di tre volte questa "fic", e alla mia Goldy che mi ha ordinato di pubblicarla subito (e infatti la mia Cam non ha ancora letto il finale.. uhuhu!).
Basta così.
Buona lettura.
°

Interno. Penombra.

Mi dispiace, mamma.

Se ne sta seduta in un angolo. Con le ginocchia strette al petto, il capo tanto chino che il mento sfiora il collo.

Mi dispiace, mamma.

La lunga cascata di capelli rossi a tingersi dei riflessi di una candela. Sillaba piano quelle parole, sola nella stanza.

Mi dispiace, mamma. Mi dispiace per averti delusa. Di non aver terminato gli studi, di essere scappata di casa. Di non essere diventata la Ginny che volevi che io fossi.
Mi dispiace, mamma. Per aver detto di no all’uomo che mi venerava come una dea.
Mi dispiace, mamma. Per quella volta che hai passato la notte a lavorare per me, per cucirmi un vestito che ti avevo rinfacciato di non avermi comprato. Per tutte le volte che hai dovuto mentire per difendermi, non sono stata una figlia esemplare, mamma. Per tutte le volte che sei corsa da me, per tutti gli abbracci che mi hai dato, senza mai chiedere niente, mentre singhiozzavo stretta al tuo seno di madre.
Mi dispiace, mamma. Per tutte le lacrime che tu, mamma, hai pianto per quello che stavo facendo. Per tutte le volte che hai mandato giù tutto ciò che volevi rinfacciarmi. Per tutte le urla che hai urlato nella notte, mamma, mentre io mi buttavo via.
Mi dispiace, mamma. Perché non ti ho detto che io lo amavo, mamma, io lo amavo davvero. Perché io avrei dato la vita per lui, la vita, capisci mamma?, avrei dato la vita per lui.
Mi dispiace mamma. Per quella volta che ti ho trovato sulla soglia di casa mia, bagnata fino alle ossa, per me, mamma, eri venuta per me. Per quella volta che sei stata trattata come il più spregevole degli animali dall’uomo che amavo, mamma, tu che per me sei una dea. Per quella volta, ricordi mamma?, che mi hanno strappata dalle tue braccia, mentre cercavi di tenermi con te.
Mi dispiace, mamma.

Dondola appena, sfiorando con le spalle il tessuto scuro delle tende. Le candele consumano piano la loro cera.

Mi dispiace, mamma. Per tutte le volte che ho desiderato che i suoi occhi si posassero di me. Per tutte le volte che ho sognato quelle mani, mamma, ho sognato quelle mani sul mio corpo. Per la prima volta che le sue labbra hanno sfiorato il mio collo. Per tutti i baci che ci siamo rubati a vicenda, negli angoli bui di corridoi disabitati.
Mi dispiace, mamma. Di non avertelo detto quando avrei dovuto, non avresti capito, mamma. Di non essere diventata la Ginny che volevi che io fossi.
Mi dispiace, mamma. Per tutte le volte che ha passato le mani nei miei capelli. Per tutti i miei sospiri che morivano tra i suoi baci. Per i brividi che mi provocavano quegli occhi di ghiaccio.
Mi dispiace, mamma. Perché aveva capito cos’è che ero. Perché solo lui poteva sapere, mamma, solo lui. Perché sapeva che quella volta, non puoi non ricordare mamma, tutte le volte che Tom Ridde si era servito di me io sapevo esattamente cosa facevo. Perché non ho detto che non era vero, non era vero mamma, che io non ricordavo. Perché sentivo che non era tutto sbagliato, mamma, sapevo che non era sbagliato mentre assecondavo i suoi voleri.
Mi dispiace, mamma. Per quella volta che mi guardò e mi disse «Puoi mentire a loro, non a me.». Per tutte le volte che lo avrebbe ripetuto.
Mi dispiace, mamma. Per quella volta durante le vacanze di Natale nel dormitorio Serpeverde. Per quella volta in quel dormitorio, per i nostri corpi che erano un solo movimento, una sola volontà e un solo desiderio. Per i miei polsi stretti tra le sue dita, per i miei polsi bloccati sulla mia testa. Per i gemiti che mi strappava, mamma, per quelli che i suoi baci mi portavano via.
Mi dispiace, mamma. Per quel silenzio che scendeva dopo. Noi non lo sapevamo, ma quello era sesso, era amore, desiderio, passione. Ma quelli eravamo noi, eravamo Ginevra Weasley e Draco Malfoy. Ma quelli eravamo noi, uno accanto all’altra, uno sopra l’altra, uno dentro l’altra.
Mi dispiace, mamma.

Sono lacrime quelle che scendono sulle gote della ragazza, mentre continua quel meaculpa, nonostante non ci sia nessuno, accanto a lei.

Mi dispiace, mamma. Per le notti passate a guardarlo dormire. Perché lo amavo, mamma, come non pensavo di essere capace di amare. Per il sorriso che gli strappavo ogni volta che camminavo nella sua stanza a piedi nudi, indossando nient’altro che il suo maglione scuro.
Mi dispiace, mamma. Per il desiderio che era desiderio di lui, desiderio di essere sua, desiderio di essere lui.
Mi dispiace, mamma. Per il male che lento si insinuava in me. Per il veleno che scivolava nelle mie vene. Per quella notte che ho detto di sì. Perché quella notte, quella notte, mamma, è stata la notte che ho scelto lui, che ho scelto il suo mondo, che ho capito qual era la via che avrei seguito. Perché non sarei potuta tornare indietro, mamma, e lo sapevo. Perché ho scelto volontariamente di rinnegare tutti i valori che tu, mamma, che tu e papà, e voi tutti, i valori che voi tutti mi avevate insegnato.
Mi dispiace, mamma. Perché ho capito che il bene non esiste, che è solo una facciata. Perché ho accettato la sua visione delle cose, perché ho capito che il male non è una scelta, mamma, il male è dentro ognuno di noi. E’ la verità, il male è dentro ognuno di noi, mamma, homo homini lupus.
Mi dispiace, mamma. Perché non ho scelto la via più facile. Perché ho deciso di seguire lui, di essere al suo fianco, noi, io contro coloro che erano stati miei amici. Perché non ho potuto fare a meno di distruggere desideri e sentimenti e promesse e aspirazioni e me stessa, mamma, distruggere la me stessa che voi tutti conoscevate.
Mi dispiace, mamma. Di non essere diventata la Ginny che volevi che io fossi.
Mi dispiace, mamma.

E qualcosa cambia.
Viene scossa da brividi più forti, singhiozza rumorosamente, e quindi sembra pietrificarsi. Solo il sibilo del suo respiro spezza quella parvenza di nulla che regna nella stanza.
Poi, d’improvviso, una molla scatta. E le mani della ragazza abbandonano il viso, lasciando intravedere impronte d’ombra sulla pelle di latte. I palmi poggiano a terra, ed è rabbia e dolore che urlano le labbra.
Urla, Ginny.
Urla, gli occhi sbarrati che probabilmente non vedono realmente ciò che giace in terra, innanzi a lei.


Mi dispiace, mamma! Per ogni singolo passo che mi ha portato in questa stanza, per il sorriso che è morto sulle labbra quando l’ho visto lì, in quell’angolo, seduto sulla sua poltrona. Per ogni singolo passo che mi ha avvicinata a lui, mentre ti guardava seduta su quella sedia, mentre lo guardavi con quello sguardo spento che non è il tuo. Mentre lo guardavi mamma, e io capivo che non eri tu quella donna, quelli erano i tuoi occhi, le tue labbra, le tue mani e i tuoi capelli rossi, ma quella non eri tu, mamma.
Mi dispiace, mamma! Per quell’istante in cui ho capito cosa ti aveva fatto, e cosa stava facendo, e cosa aveva intenzione di fare. Per la sua mano che ha lasciato il bracciolo della poltrona, e quelle dita che ho visto tendersi verso di me, con una dolcezza che, io so, mamma, non ritroverò mai più, la dolcezza che c’era in quel gesto in quel momento non la ritroverò mai più, mentre ti guardava e sorrideva e mi tendeva la mano.
Mi dispiace, mamma! Per le mie dita che hanno stretto le sue, mentre ti guardavo e capivo, e capivo cosa avrei dovuto dirti, mamma, tutte le parole che avrei dovuto dirti nel momento in cui avrei lasciato la sua mano, mamma, tutte quelle parole che erano solo una parola, solo una parola, una parola sola, solo una, solo una.
Mi dispiace, mamma! Perché ho dovuto lasciare quelle mani, e muovermi come se non fossi io, trascinata da una forza che non era la mia, verso il tavolino, perché invece della sua mano le mie dita hanno stretto quella lama, si sono strette attorno all’impugnatura.
Mi dispiace, mamma! Per le lacrime, per ogni singola lacrima che ho pianto dentro, mentre la mano libera si tendeva verso di te, e ti tiravo a me, per il momento in cui ti ho sentito così debole, in quel momento ti ho sentito cedere, ti ho sentito assecondare i miei desideri e ti ho visto alzarti in piedi, e seguirmi verso il centro della stanza, come una bambina, mamma, come una bambina, come se tu fossi la figlia, e io la mamma, e la verità era una, mamma.

Le urla sono un pianto disperato, mentre la luce rossa dell’alba comincia a filtrare tra le tende.
Solo ora, solo in questo momento, quelle ombre sul viso di Ginny si rivelano per quello che sono in realtà. Le proprie mani hanno stampato quei disegni, trasferendo il sangue che le bagnava.
Ciò che giace in terra, innanzi a lei, è sua madre.
Il cadavere di sua madre.


Mi dispiace, mamma! Per quella prima pugnalata, e la seconda, e la terza, mentre tu mi guardavi, mamma, mi guardavi, e io lo so che erano vere, erano vere quelle lacrime, lo so, anche se lui dice di no, io lo so, mamma, che tu piangevi per me, mamma, per quello che sono diventata, mentre affondavo quel pugnale, una due e tre volte, una due e tre pugnalate, mentre vedevo la tua carne lacerarsi, e il sangue –

Mi dispiace, mamma! Per quel sangue, sulla lama, sulle mie dita, le mie mani, le mie braccia, sul mio viso, il sapore del sangue sulle labbra, il suo odore che mi entrava dentro, il tuo sangue dentro di me, mamma, lo sentivo, e lo sento, pulsarmi nelle vene, mamma, sento il tuo sangue dentro di me, quel sapore, quel sapore di morte, che è la tua morte, la tua morte per mano mia, e il tuo sangue, e il sangue ovunque, il tuo sangue sulle sue labbra, mentre mi baciava, mamma, il tuo sangue sulle sue labbra, sulle mie labbra, mentre mi baciava e mi stringeva e nei suoi occhi vedevo orgoglio, quell’orgoglio che io spesso confondo con l’amore, quando mi guarda come se fossi una bambola, una bambola così bella, mi guarda con quegli occhi grigi, pieni di orgoglio, con quegli stessi occhi mi guardava mentre mi stringeva, e tu eri già a terra in questa pozza di sangue nero, e anche tu mi guardavi, ma con uno sguardo vuoto, uno sguardo freddo che mai, mamma, mai mi hai rivolto, con quello sguardo vuoto, e mi ha fatto orrore, mamma, mamma, ti prego, mamma grida, mamma, rimproverami, mamma, piangi, mamma, mamma, mamma, non mi guardare con quegli occhi freddi, non mi guardare con quegli occhi vuoti, non mi guardare, non mi e mi ha fatto orrore, quei tuoi occhi, e il sangue, e lui l’ha capito, lui mi capisce, lui ti ha chiuso gli occhi e ora non mi guardi più, mamma, ora sono io che guardo te, e i tuoi occhi chiusi, e i tuoi capelli incrostati di questo sangue sul pavimento, sul tappeto, questo sangue sento sulle labbra, e brucia sul viso e pulsa nelle vene, nelle mie, le tue sono vuote, nelle mie vene pulsa questo sangue che fa male, fa male, e fa ancora più male perché ricorda quel brivido che ho provato al primo colpo, quando ho sentito il tuo sangue colare per la prima volta sulla mia mano, dal pugnale, quella sensazione calda, il tuo sangue su di me, e quel brivido, che non era paura e non era orrore, mamma, ho paura, non voglio pensare cosa fosse quel brivido, perché è lo stesso brivido che mi ha trasmesso lui, quando si è alzato, quando mi ha abbracciato e mi ha baciato, quello stesso brivido ho provato pugnalandoti, la prima volta, senza neanche riuscire a piangere, io, e tu che piangevi, ma in un modo freddo, doloroso, mi guardavi e piangevi in un modo doloroso, silenzioso, per quello che lui ti aveva fatto, cosa non so, cosa ti aveva fatto, ma piangevi in quel modo silenzioso, doloroso, mentre io affondavo per la seconda volta la lama, e tu piangevi, e i miei occhi erano asciutti, e c’era il tuo sangue sulle mie dita, sulle stesse dita che hai stretto ogni notte, finché hai potuto, ogni notte seduta sul bordo del mio letto, ogni notte a raccontarmi di come sarebbe stato il mio futuro, di come sarei diventata io, della mia vita, dei desideri, delle passioni, senza mai pensare a quelle tre coltellate, a quel pianto silenzioso che mi è entrato dentro come il sapore del tuo sangue, come il suo odore quando poi mi ha lasciata qui, in questa stanza, io e te da sole, e io sapevo perché, perché ci ha lasciate da sole, mi ha lasciata qui, il suo profumo in me, e tu nella tua pozza di sangue e lui fuori da quella maledetta porta, e io ho sentito che non ce la facevo più a sopportarlo, a sostenere il mio stesso peso, mamma, e ho lasciato che le ginocchia cedessero, e che crollassi in terra, e mi rannicchiassi qui in questo angolo, con le mani su questo viso, coperto del tuo sangue, del sangue che si allargava sul pavimento, ed ora è lì, ora che il sole sorge e lui non è al mio fianco, e io sono sola qui, con te, mamma, sono sola qui per dirti tutto ciò che c’era da dire, che mi dispiace di non essere diventata la Ginny che volevi che io fossi, che lo amo, lo amo in un modo doloroso, quanto doloroso era il tuo pianto, e che mi dispiace, per questa notte che ho passato qui con te, con i secondi e i minuti e le ore che ho lasciato scivolare via, ritardando quell’ultima ora –

Il cuore perde un battito.
Pausa.


Ritardando quell’ultimo minuto –

Pausa.
Si alza, il sole sta sorgendo.


Ritardando quell’ultimo secondo –

Guarda la porta.
Sulla soglia, lui.
Non ha la forza di sorridere, non ha neppure la forza di pensare, quando dita pallide si allungano verso l’interno della stanza, e verso lei.

In cui dovrò dirti –

La sua mano.
Quella porta.
Draco.
La sua mano, la sua mano, la sua mano
.

Addio.

La sua mano, stretta tra le proprie dita.
Quella porta che si chiude.
La folle speranza che quello che la luce rossa dell'alba riflette in quegli occhi grigi non sia solo orgoglio.
La folle speranza –
che sia –
amore.

  
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