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Autore: Alaire94    15/04/2011    2 recensioni
Prima classificata al contest "L'Obiettivo"
Sono arrivati gli ultimi attimi di vita per "Argustel Il Temibile",
zio di Christin e uno dei ladri più famosi della città e ora il giovane si ritrova solo e senza un quattrino. La sua disperazione lo porta alla Festa della Celebrazione, dove uno strano incontro gli offre la soluzione a tutti i suoi problemi... ma a quale costo?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 La Pietra del Potere






- Promettimi che avrai una vita migliore della mia – sussurrò lo zio, sollevando leggermente il capo dal cuscino. Sembrava così piccolo in quel letto dalle lenzuola bianche, non sembrava neppure lo stesso uomo che soltanto qualche settimana prima balzava da un palazzo all’altro con l’agilità di un gatto. Nei suoi occhi non vi era più nemmeno l’ombra della sua consueta vitalità: le rughe gli contornavano la bocca e segnavano la fronte, le orbite erano violacee e gli occhi vitrei. Pareva difficile in quel momento credere che fosse stato un tempo il ladro più famoso della città.
- Lo prometto, zio – risposi, continuando a stringergli la mano, forse con l’intento di trattenerlo dalle braccia della morte.
- Non fare i miei stessi errori, Chris… tieniti le tue ricchezze e la tua libertà… - continuò. La sua voce si fece sempre più flebile mentre pronunciava quelle parole, voleva dire qualcos’altro, lottò contro la forza che lo attirava all’aldilà.
Gli strinsi di più le mani: sapevo che quelli erano i suoi ultimi istanti.
- Tu… non… - cercò di dire lo zio, ma le parole gli morirono in gola. Spalancò gli occhi in un ultimo spasmo e la testa si accasciò sul cuscino.
Nonostante i suoi sforzi per tenersi aggrappato a quella vita che tanto aveva difeso, zio Argustel “Il Temibile”, come lo chiamavano ai tempi migliori, era morto.
Le lacrime mi scesero copiose lungo le guance, mentre uno strano vuoto mi attanagliò le viscere; con la morte dello zio ero rimasto solo e senza un quattrino.
Fino a qualche anno prima io e lo zio vivevamo in una bella villa nel pieno della campagna, dove nessuno poteva trovarci e dove vivevamo felici coi furti che lo zio compiva regolarmente. Poi, però, Argustel si ammalò e le sue imprese diventarono sempre più rare, le ricchezze vennero piano piano sperperate finché ci ritrovammo a vivere in un piccolo appartamento dei quartieri bassi.
Parevano così lontani i tempi in cui lo zio se ne stava davanti al camino, intagliando tocchi di legno e raccontando con tono entusiasta le sue avventure degli anni passati. Io ascoltavo mentre mi raccontava le sue tecniche di scasso, insegnandomi i trucchi del mestiere.
- Aspetta qualche anno e ti porterò con me – mi diceva orgoglioso, quando si accorgeva che ero un allievo degno di lui.
Lo fece qualche volta: ci recammo alla villa di un ricco signore, aspettammo dietro un albero che si allontanasse dalla sua abitazione e facemmo incursione attraverso la finestra dopo averla aperta. Avevamo già progettato tutto nei minimi particolari e fu facile raggiungere la stanza dei tesori.
Pochi sanno, infatti, che il furto vero e proprio non è che l’ultima parte del lavoro: prima dell’incursione è importante procurarsi piantine del luogo e avere un piano preciso, progettare passo per passo ogni operazione.
Io e lo zio Argustel ne passammo tante insieme! Era un uomo così vivace e divertente, pieno di senso dell’umorismo, mentre sul lavoro era furbo e agile, forse il migliore dei ladri. Qualche volta rischiò di essere arrestato dalla vigilanza, ma riuscì sempre a fuggire con qualche espediente.
Ora, però, Argustel era morto e nell’intento di donargli una degna sepoltura se ne sarebbero andati anche gli ultimi risparmi. Avrei dovuto cercare da solo una soluzione, avrei dovuto compiere da solo dei nuovi colpi con le nozioni imparate. Eppure le ultime frasi di Argustel mi riecheggiavano continuamente nella mente: prometti che avrai una vita migliore della mia, gli aveva detto.
Argustel infatti amava la sua professione, ma era continuamente in pericolo, viveva una vita limitata: non poteva mostrarsi troppo in pubblico per paura che potesse essere riconosciuto per i suoi misfatti. Nonostante mi avesse insegnato i segreti del mestiere, mi aveva pregato di non intraprendere la stessa strada.
Ma come avrei fatto, visto che non ero capace di fare nient’altro?
Nei giorni seguenti alla sepoltura dello zio cercai un lavoro, ma nessuno era disposto ad assumermi. A quanto pareva era rimasta soltanto un’unica soluzione, nonostante mi dispiacesse infrangere la promessa dello zio.
Stabilito ciò, però, avevo ancora un considerevole numero di preoccupazioni e domande che mi attanagliavano, almeno finché non trovai le giuste risposte in un giorno di metà ottobre, durante la Festa della Celebrazione.
 
L’aria era umida e il freddo che preannunciava l’arrivo dell’inverno era pungente, soprattutto per me che avevo addosso soltanto un leggero mantello logoro.
Camminavo velocemente per le vie del mio quartiere, sfregandomi le braccia nel tentativo di infondere un po’ di calore alle mie membra. Mi guardavo attorno attentamente: da quelle parti uscire di casa poteva riservare qualche pericolo.
Per fortuna, però, la via era desolata; vi erano soltanto le pareti sporche ricoperte di macchie di bruciato o schizzi di sangue e l’immondizia disseminata qua e là con la quale i ratti facevano un grande banchetto.
Voltai l’angolo. Un vecchietto a lato della strada, coi capelli rossi e unti appiccicati alla testa, si sfregava gli occhi. Quando si accorse del mio passaggio porse svogliatamente una ciotola per l’elemosina, ma io scossi la testa: non avevo nemmeno il denaro per me stesso, certamente non ne avevo da donare ad altri.
Procedetti per la mia strada, diretto alla piazza principale: forse con la festa in corso avrei potuto trovare qualche buon affare.
Attraversai un ponte di legno insieme a un piccolo topo curioso che zampettava al fianco della ringhiera, per poi accorgermi di un gruppo di persone in sosta vicino a un pozzo in arenaria. Erano dei membri della vigilanza e stavano conversando e sghignazzando ad alta voce. Mi tirai furtivamente il cappuccio sulla testa per essere certo che non mi riconoscessero e procedetti con finta tranquillità.
I vigilanti non mi notarono, troppo impegnati nella loro discussione.
Presto mi ritrovai nei quartieri borghesi; piccole villette circondate dallo steccato con gli scuri color lillà e i tetti spioventi, i giardini ben curati e gli scacciapensieri alle finestre. Quelle casette, così piccole e ben tenute, ostentavano la felicità e la ricchezza di chi vi abitava, tanto che per l’invidia digrignai i denti.
Cercando di non guardare ciò che mi circondava, continuai a camminare, finché non cominciai a scorgere un agglomerato di gente: finalmente ero giunto al luogo dove si teneva la Festa della Celebrazione.
Raggiunsi la folla e alzandomi in punta di piedi riuscii a intravedere la piazza; sulla destra vi era la Casa di Giustizia, la sede del Governo, e davanti ad essa la statua del fondatore, in origine austera e imperiosa con la Pietra del Potere stretta nella mano, ora agitava in aria soltanto il moncherino del polso.
Davanti a me, invece, si innalzava il tempio in tutta la sua imponenza; le colonne lisce e bianche sembravano quasi proteggere la porta d’entrata costruita in vetro colorato, mentre gli angeli con un sorriso beato sui loro visi paffuti stendevano premurosamente ai fianchi dell’entrata alcuni drappi scolpiti nel marmo.
Nel frattempo, proprio in mezzo alla folla, un gruppo di uomini forti portavano verso la porta un letto dove una figura distesa, non certamente umana, aveva le mani unite sul petto strette attorno a un oggetto che non riuscivo ad identificare; emanava una luce soffusa e brillava dei colori dell’arcobaleno, tanto che ne rimasi estasiato.
- Bella, vero? – irruppe una voce alle mie spalle, spaventandomi a morte.
- Sì, molto anche se non so cosa sia – risposi senza voltarmi per paura che colui che aveva parlato potesse riconoscermi.
- E’ la Pietra del Potere… strano che tuo zio non te ne abbia parlato: escogitava da anni un piano per rubarla – commentò la voce.
Il mio cuore prese a battere nel petto più velocemente: costui, chiunque fosse, sapeva chi ero e non ero sicuro che ciò potesse essere un bene per me.
Girai la testa lentamente. – Come fate a conoscere mio zio? –
Ora potevo vedere in faccia l’interlocutore; era un uomo sulla sessantina dal volto squadrato e il mento sporgente ricoperto da un pizzetto lungo e brizzolato che aveva legato in una stramba treccina. Cercai di capire le sue intenzioni, ma la sua espressione era imperscrutabile;  impossibile immaginare i suoi pensieri.
Un sorriso increspò le labbra carnose dell’uomo. – Eravamo amici di vecchia data –
Annuii, sebbene mi paresse strano che Argustel non me ne avesse mai parlato.
- Ma chi siete? – chiesi, ancora diffidente.
Mi porse la mano con un gesto sicuro. – Piacere, Nitiyo Mortensen –
- Christin Arku – mi presentai, afferrando la mano tesa dell’uomo.
- Che volete da me, signore? – domandai, schietto. Forse il tono parve un po’ aggressivo, ma non era mia intenzione offendere nessuno. Per fortuna Nitiyo non sembrò neanche accorgersene.
- Sei un giovane diretto, a quanto vedo… - commentò con un altro sorriso, ma subito si fece serio. – Ad ogni modo volevo proporti un affare… allettante – disse.
La mia diffidenza a quelle parole si mutò in curiosità. – Di che si tratta? –
 Nitiyo allora mi afferrò un braccio bruscamente e mi fece segno di seguirlo in un vicolo distante dalla folla.
Si schiarì la voce e poi rispose alla mia domanda: - ammetto che potrebbe essere molto pericoloso e ti capisco se non accetterai la mia proposta, ma penso che con gli appunti di tuo zio tu possa farcela… ti chiedo di rubare per me la Pietra del Potere. Essendo un’operazione delicata ovviamente ci sarà un lauto compenso – spiegò.
I miei occhi si illuminarono: che avessi finalmente trovato una soluzione ai miei problemi?
- Quanto “lauto” esattamente? – domandai, interessato.
- Direi… 300 000 denari? – propose Nitiyo sollevando indeciso un sopracciglio.
Sorrisi. Il compito che mi chiedeva di svolgere era certamente pericoloso e oltremodo difficile, probabilmente in una situazione normale avrei rinunciato a una tale impresa che poteva essere al di sopra delle mie capacità, ma ora non potevo rifiutare anzi, avrei potuto osare anche qualche soldo in più.
- Beh, non credi che siano pochi vista la pericolosità? Io opterei per 500 000 denari – suggerii.
Nitiyo sospirò fortemente. – Va bene, in fondo sei tu che dovrai affrontare ogni pericolo… però voglio un lavoro a regola d’arte, o non vedrai un solo quattrino! – mi mise in guardia.
Deglutii amaramente: in quelle parole severe riuscii a cogliere una velata minaccia. Forse mi avrebbe ucciso in caso di disfatta.
Ero pronto ad affrontare un tale rischio? Sì, mi dissi. D’altronde non avevo nulla da perdere.
- È tutto chiaro? – domandò Nitiyo, notando che la mia espressione si era raggelata.
- Sì, tutto a posto –
- bene, allora ci vediamo tra tre mesi esatti qui – disse con noncuranza, sistemandosi la barba.
Sollevò la testa, mi rivolse un sorriso mentre mi assestava un’amichevole manata sulla spalla. – Penso che andremo d’accordo io e te, ragazzo… mi raccomando, stai attento a Medusa! – concluse prima di voltarsi e andarsene con passo cadenzato.
Pochi secondi dopo anche io camminavo lungo le vie della città pieno d’entusiasmo: non vedevo l’ora di avere fra le mani i 500 000 denari che mi spettavano.

 

   
 
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