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Autore: BaronessSamedi    15/04/2011    2 recensioni
Piccolissima storia senza senso, nata da un ricordo semplice, ma che mi ha fatto pensare a molte cose.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo trovato lavoro in una fabbrica fuori Cagliari, nulla di speciale, giusto un’occupazione qualsiasi che mi consentiva di pagare l’affitto. La fabbrica era poco distante dallo spoglio e caotico quartiere residenziale dove abitavo, da solo, da circa tre mesi, e anche questa era una comodità da tenere in considerazione. La città si era espansa disordinatamente, in maniera tentacolare, fino a quando il centro storico non era rimasto come arroccato attorno al porto e tutto intorno era proliferato una specie di hinterland, anonimo e abbastanza squallido e degradato. Casermoni, qualche fabbrichetta uguale a quella in. cui lavoravo, pensiline dell’autobus e altri casermoni.
Sembrava di stare a Milano, più che in Sardegna.
Non potendo permettermi una sottospecie di macchina, il mio principale mezzo di locomozione era costituito dalla metropolitana di superficie che collegava il centro di Cagliari alle sue mille propaggini periferico-residenziali sbucate dal nulla in tempi relativamente recenti.
Era su quel tram che vedevo ogni giorno la ragazza dai capelli rossi.
Patrizia, si chiamava. L’avevo sentita presentarsi mentre parlava al cellulare, chiamando un’amica per darle un appuntamento per la serata.
Ma per me era sempre stata, e sempre resterà, la ragazza del tram.
Perché io a quell’appuntamento con lei e la sua amica non ci sarei mai andato, e se lei mi ci avesse invitato, per qualche motivo pazzo, assurdo e imprevedibile, avrei rifiutato. In nessun contesto avrei potuto immaginare una relazione tra noi, non sognavo un futuro con lei, non so nemmeno se ne fossi innamorato. Non esisteva un noi, al di fuori della cornice confortevole e futuristica della metro di superficie di Cagliari, con l’aria condizionata funzionante e le poltroncine in plastica e le carrozze pulite, che nessuno sciaguratissimo artista di strada aveva ancora avuto la malaugurata idea di imbrattare con le sue stramaledette creazioni.
Aveva i capelli castano-rossicci e i lineamenti delicati, Patrizia. L’orecchino solo all’orecchio sinistro, un vezzo quasi maschile. Mi piaceva come vestiva. Con classe, ma sempre con un tocco di stranezza, un dettaglio originale o stravagante. Probabilmente lavorava in un front-office, doveva essere accattivante ed impeccabile.
La vidi, per circa tre settimane, mattina e sera.
E una mattina, semplicemente, sparì.
Non ci fu nessun segnale, non ebbi presentimenti, niente di strano o allarmante era accaduto nei giorni immediatamente precedenti o successivi.
Ma lei non era più nella mia vita, dopo averla a malapena sfiorata.
In fabbrica si accorsero che avevo la testa tra le nuvole e iniziarono a prendermi per il culo, specialmente Agostino. Non la smetteva un secondo di rompermi i coglioni. “Allora, Davide, sei andato a chiedere al controllore i dati dei passeggeri?”. E ancora: “Ma che ci fai ancora qui? Su, muoviti, corri alla fermata, che perdi il tram, non la vedi e domani mattina mi arrivi al lavoro incazzato come un cinghiale…”
Ci sono volti, persone, colori e particolari che, ogni mattina al risveglio, sappiamo che vedremo, e nel riconoscerli proviamo un senso di rassicurazione, quasi di gratitudine per il fatto che anche oggi sono lì ad aspettarci, non ci hanno tradito, hanno fatto in modo che la nostra giornata fosse esattamente quella che avevamo programmato. E ci sentiamo inquieti se per caso non li vediamo, ci sembra quasi un cattivo presagio, un monito che le cose cambiano per un nonnulla, fosse anche un semplice cambiamento del turno di lavoro o un trasloco in un altro quartiere.
Non la rividi mai più. Ma ancora oggi mi capita di pensare a lei mentre vado al lavoro, e mi sorprendo a cercare il suo volto tra quelli delle persone in attesa sulla banchina.
   
 
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