Era un assolato pomeriggio
d’inizio estate, quando il treno si fermò nella piccola stazione di Carmody.
Passava soltanto due treni al
giorno e quello era il secondo. Il capostazione uscì dal piccolo ufficio
controllando l’ora.
Non era necessario visto la scarsità
di treni che passavano di lì, ma lui era sempre stato un tipo preciso, nessun
macchinista si stupiva più vedendolo tirar fuori il suo orologio e scrutarlo
per qualche istante prima di annuire soddisfatto.
“Stazione
di Carmody!” disse a voce alta portando i gradini mobili per far scendere
eventuali persone.
Ne scesero quattro persone: un
attempato signore di mezz’età vestito con un elegante abito grigio, una donna
con un abito alquanto stropicciato con un bambino riluttante, forse entrambi
avevano risentito del viaggio al quale erano poco avvezzi ed un giovane di
circa ventiquattro anni vestito con un semplice paio di pantaloni di panno neri
ed una camicia bianca ed una borsa capiente stretta in mano.
Il capostazione osservò quel
giovane, guardarsi intorno incerto, mentre un lieve sorriso gli incurvava gli
angoli della bocca.
Il ragazzo s’avvicinò ad una
panchina, posta proprio vicino all’ufficio dell’uomo e appoggiò con calma la
valigia a terra.
“Attende qualcuno? Sa… con questo
caldo non è consigliabile stare troppo al sole…” spiegò lui sbirciandolo
curioso.
“No, non attendo nessuno… Nessuno
sa del mio ritorno…” rispose lui alzando le spalle, mentre il sorriso di prima
s’incupiva di una profonda tristezza.
“Vuole entrare? Sa… per via del
caldo…” ripetè l’anziano guardingo.
Solitamente non invitava nessuno
ad entrare nel suo ufficio, che era un po’ il suo regno, ma quel giovane dagli
occhi così tristi… beh, lo incuriosiva.
Soltanto in un’altra occasione
aveva invitato qualcuno ad entrare… Chissà magari poteva convincerlo
raccontandogliela… meditò l’uomo.
“Sa… una decina d’anni fa è scesa
una ragazzina dal suo stesso treno…” iniziò lui con voce lenta, sembrava
incerto sui fatti che stava narrando.
“Non era particolarmente bella…”
continuò quasi a voler spiegare una cosa non tanto ovvia, come se solo le
bambine belle potessero fermarsi a Carmody.
Il giovane lo fissava attento: il
capostazione si scusò mentalmente con la donna che sicuramente quella bambina a
quest’ora era diventata.
Il viso curioso del giovane lo
spinse a continuare a narrare quel ricordo tanto vivido che ancora faceva
sorridere l’anziano “Deve sapere che fu l’unica persona a scendere da quel
treno… Doveva vederla… Pelle e ossa… Un vestito liso e di un orribile color
beige… Una manciata di lentiggini ed una chioma rosso fuoco…” la descrisse lui
chiudendo gli occhi, quasi a voler ricordare meglio quella bambina.
“Il treno ripartì subito dopo e
non le nascondo la mia sorpresa quando mi accorsi che nessuno era venuto a
prenderla…” raccontò ancora lui osservando i binari ora deserti.
“Le chiesi se voleva entrare… Che
ci saremo potuti fare compagnia a vicenda…” continuò lui “Ma lei rifiutò con
molto garbo… Mi ringraziò addirittura… Mi disse, testuali parole, qui posso
far volar meglio la mia fantasia ” disse lui con voce stridula, volendo
imitare quella della protagonista del racconto.
Il giovane sorrise ed osservò
l’uomo che gli stava parlando.
Forse non l’avrebbe mai ammesso,
ma era stato colpito da quella bambina… Quella bambina che altri non era se non
Anna Shirley…
“Meglio che mi metta in marcia…”
disse il giovane alzandosi.
“Non si ferma?” domandò stupito
il capostazione.
“Ho un po’ di strada da fare…
Magari la prossima volta…” promise lui, afferrando la borsa che aveva lasciato
ai suoi piedi durante l’intero racconto.
“Ho sentito dire che a giorni
dovrebbe arrivare il nuovo dottore…” rivelò Rachel Lynde.
“Era ora… Non possiamo dipendere
sempre dal dottore di Carmody…” protestò Marilla sorseggiando il suo the e
sbirciando la pendola.
Non voleva che Rachel si
offendesse, ma Anna era in ritardo e lei era sempre preoccupata quando la
ragazza tardava.
Aveva ormai ventidue anni, certo,
non era più una bambina, ma era più forte di lei.
“Marilla? Ma mi ascolti?!”
domandò l’altra osservandola con attenzione.
“Certo Rachel… Cosa vai a
pensare…” borbottò lei piccata per essersi fatta scoprire.
“Non è che sei preoccupata per
Anna?” buttò lì la matrona sorbendo un po’ di the e tenendo d’occhio l’amica.
“No… E’ a scuola… Perché dovrei
essere preoccupata?!” rispose lei con noncuranza.
“Forse perché non è a scuola…”
rivelò l’altra sospirando rassegnata.
“E dove dovrebbe essere?!”
protestò stupita. Anna le diceva sempre tutto. Perché stavolta non l’aveva
fatto?! si domandò lei arrabbiata con la ragazza che da quasi undici anni
allietava la sua vita.
“A Carmody… A comprare la stoffa
per il vestito… Tra due settimane c’è la festa di fine anno e Anna e Diana
andranno a White Sand a festeggiare insieme a Ruby, Jane e Josie…” le spiegò
Rachel fissando Marilla come se stentasse a riconoscerla.
“E’ vero… me ne ero completamente
dimenticata… e me l’ha detto stamattina prima di andare a scuola!” si ricordò
improvvisamente la donna, mentre la rabbia lasciava il posto al sollievo.
“L’avevo detto io che avevi altro
per la testa…” ribattè Rachel.
Rachel Lynde viveva ormai al
Tetto Verde da quasi cinque anni: tanto era infatti passato dacchè Matthew
Cuthbert e Thomas Lynde erano scomparsi. Rachel, oberata dalle ipoteche e non
potendo lavorare l’enorme terra che il marito aveva accumulato durante gli anni
aveva venduto, pensando di andare a vivere a Carmody, vicino ad uno dei suoi
figli.
Solo Anna e Marilla erano
riuscite a farla desistere dal suo proposito: entrambe sapevano che la donna
amava profondamente Avonlea ed avrebbe sofferto molto a separarsi dalla suo
amato paese, di cui conosceva tutto e soprattutto tutti.
Così la matrona si era installata
al Tetto Verde tenendo compagnia all'amica di sempre e curando amorevolmente Anna.
Già, Anna che nonostante i vari
studi aveva deciso d’insegnare ad Avonlea nonostante le varie cattedre che le
erano state offerte.
Quella stessa donna che undici
anni fa Marilla aveva accolto in casa sua e poi nel suo cuore.
Da cinque anni però aveva notato
una profonda tristezza nei limpidi occhi grigi della ragazza. Lei non ne aveva
fatto parola con nessuno, attendendo il suo sfogo, ma lei non aveva ceduto.
Un pensiero le balenò nella
mente: la sua tristezza era iniziata quando…
“Sei sicura che questa stoffa mi
starà bene?” domandò Anna alla sua amica del cuore Diana Barry.
“Più che sicura… Sarai bellissima
e poi… ti ricordo che molti vorrebbero avere l’onore di invitarti al ballo…”
disse semiseria lei.
“L’unico carino l’hai già preso
tu…” disse Anna allusiva.
Diana arrossì vistosamente, ma
non protestò, dopotutto lei e Fred Wright erano ormai fidanzati da qualche anno
e l’anno prossimo si sarebbero sposati.
“James Hamilton è deciso ad
occupare tutto il tuo carnet di ballo…” la informò Diana appena riuscì a
contenere il rossore.
“Non è decisamente il mio tipo…” le
fece notare la rossa sbirciando altre stoffe, accanto a quella che le aveva
suggerito l’amica.
“E chi sarebbe il tuo tipo?
Gilbert Blyte?” domandò l’amica pentendosi immediatamente.
“No… decisamente non è il mio
tipo!” ribattè Anna, afferrando l’organza verdolina che Diana le aveva
consigliato.
“Anna!” la seguì Diana afferrando
l’organza blu e seguendo la sua amica dalla commessa.
“Quant’è?” domandò distrattamente
quest’ultima, dando i soldi alla signora Paterson, ed uscendo dal negozio.
“Per fortuna che siamo venute con
il mio calesse…” disse Diana salendo a sua volta e sbirciando l’amica.
“Va bene! Scusami!” disse dopo
aver fatto partire il cavallo.
“Ti perdono sempre… Lo sai che
lui è un argomento tabù!” protestò la rossa non osando guardare l’amica.
“Lo dici sempre dopo che mi sono
già scusata però…” brontolò Diana, sorridendo di sollievo.
“Lo sai che arriverà a giorni il
nuovo dottore?” disse Anna per rompere il silenzio che aveva avvolto il
calessino da qualche minuto.
“Sì… era ora, non era possibile
continuare così!” le dette manforte l’amica.
“Chissà com’è il nuovo dottore?
Magari è carino…” disse meditabonda Diana.
“Io vorrei che fosse competente…
Magari sui trent’anni… Deve dare fiducia con il suo aspetto…” dichiarò Anna.
Stavano procedendo da qualche
minuto, quando videro una figura intenta a camminare.
“Un po’ tardi per una
passeggiata…” disse Diana sbirciando l’uomo.
“Se consideri che Avonlea è il
centro più vicino ed è a cinque chilometri da qui…” le fece notare Anna.
Lo affiancarono dopo qualche
attimo.
“Vuole un passaggio? Noi andiamo
ad Avonlea…” disse Anna sorridendo, guardando l’amica che le stava affianco.
“Anch’io vado lì… Anna…” disse
lui fissando la ragazza.
“Come fa a conoscere il mio
nome!?” chiese la rossa voltandosi verso l’uomo ed osservandolo meglio.
“Non può essere…” disse solo,
mentre impallidiva visibilmente riconoscendolo.
Ciao! Eccomi qua con una nuova ficcy su Anna &
C. Ovviamente vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate…
Un ringraziamento particolare va a Nisi Corvonero.
Al prossimo chappy!!
Kirby