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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    15/04/2011    3 recensioni
Il passato non va mai dimenticato, spesso è opportuno ritrovarlo. Gaia riassapora i ricordi della sua infanzia, tramite una serie di piccoli oggetti trovati in soffitta, ma in particolare un soffice peluche riporta alla mente immagini che non potranno mai essere dimenticate.
Immagini che hanno il profumo di ricordi lontani, ma sempre vivi nel cuore.
Terza Classificata al Contest "Multifandom e Originali - Un Segreto in Soffitta" di DarkRose, ma giudicata da iaia86@; e vincitrice del Premio Attinenza
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Profumo dei Ricordi

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Recarsi in soffitta era stato, almeno fino ai sette anni, un vero trauma per Gaia; ma ora che ne aveva venti di più sorrise al ricordo.
Il suo compito quel giorno era ritrovare tutti quegli oggetti che le potevano essere utili nella nuova vita che l’aspettava accanto all’uomo che amava, Andrea.
La soffitta era ubicata, ovviamente, nel sottotetto della casa dei suoi genitori, e la si poteva raggiungere percorrendo una serie di scalini in legno di mogano.
Li percorse con molta calma come se volesse assaporare meglio i colori, gli odori e le sensazioni che riportavano alla memoria il suo passato.
Un passato che non andava dimenticato, ma in certi momenti era giusto ritrovarlo.
Giunta davanti alla porta pose la mano sulla maniglia, ma proprio all’ultimo momento parve ripensarci. Fu pervasa ancora una volta da quel pizzico di emozione unita a paura che aveva tanto avuto da piccola ogni qual volta doveva recarsi in quel posto buio e colmo di “misteri”.
Contò mentalmente fino a tre e poi spalancò la porta e la oltrepassò. Si ritrovò subito a respirare l’aria di chiuso, ma ben presto fu colta da una sensazione indescrivibile. La tristezza e la serenità si mescolarono tra loro, amalgamandosi nel suo cuore.
La stanza era oscura e polverosa, semplice ripostiglio delle cose che non servivano, o almeno così si credeva, anche se Gaia era perfettamente consapevole che lì da qualche parte, in mezzo a quegli scatoloni di ogni dimensione, risiedevano oggetti importanti e utili alla sua nuova vita.
Un leggero fascio di luce proveniva dall’unica finestra, illuminando un poco quell’oscurità e lasciando intravedere il pulviscolo bianco che si librava nell’aria. Si avvicinò a quel punto, e andò ad aprirla meglio, facendo entrare una maggior luminosità in modo da avere una miglior visuale.
Quel mattino il cielo era piuttosto limpido; solo qualche piccola nuvola bianca era sospinta dal vento, avvicinandosi al sole, senza tuttavia sovrapporsi a esso.



« Lo vedi come si diverte il sole a giocare a nascondino? Ora è nascosto dietro le nuvole, e… aspetta qualche minuto e vedrai. »
Gaia e Leonardo, suo fratello, amavano passare le ore insieme a scrutare il cielo, e lui era sempre così fantasioso, la incantava con quelle sue storie.
Allora aveva solo quattro anni, ma rimase stupita quando vide che anche il sole amava giocare a nascondino, proprio come loro.
« Ecco, guarda ora… è tornato di nuovo fuori! È divertente, vero? »
Lei lasciò fuoriuscire un’esclamazione di forte stupore, e poi rise divertita.
« Oh sì! Che bello il sole che gioca! Come noi, vero fratellino? »
« Sì, proprio come noi. »
Si sorrisero a vicenda.



Il sorriso di suo fratello era indelebile nella sua mente. Era sempre stato così allegro e solare e, sin dalla più tenera età, lei voleva essere esattamente come lui. Effettivamente, si ritrovò a sorridere divertita al pensiero che non era mai stata troppo femminile, ma piuttosto un bel maschiaccio, sempre pronta a sfidare eventuali pericoli.
Tornò presto alla realtà e iniziò a valutare quale scatolone aprire per primo.
Alcuni erano più logori, altri più nuovi.
Su alcuni vi era indicato cosa custodissero, altri erano perfettamente anonimi.
Gaia aveva tempo, quindi iniziò a fare tutto con estrema cura e senza fretta alcuna.
Aprì il primo scatolone, litigando un poco con lo scotch marrone che difficilmente si staccava, ma poi ne estrasse una serie di libri. Vi erano fiabe e favole, ma anche altri generi; in particolare spiccavano quelli di puro fantasy. Lo adoravano letteralmente. Sia lei, che Leonardo.
Passavano intere serate a leggere insieme ai loro genitori alcune pagine di quei libri, e poi cercavano di ripetere tutto ciò che essi rivelavano, nei loro giochi pomeridiani.



« Gaia, insomma, vieni qui e indossa questo vestitino da fatina. La festa è tra un’ora, se non ti sbrighi resti a casa! » strillò sua madre, in un giorno di carnevale.
« Ma io voglio vestirmi da pirata come Leo! » strillò a sua volta Gaia, scalciando per non farsi mettere quell’odioso abitino verde, con pizzi, fiorellini e soprattutto a gonna, cosa che un maschiaccio come lei proprio non poteva sopportare.
« Su, non fare la sciocca ora. Tu sei una bambina, e Leonardo è un maschietto. Non potete vestirvi uguale. »
Tuttavia, Gaia non volle sentire ragioni. Continuò a scalciare, mentre i grandi occhi castani si riempirono di lacrime.
Fu ancora una volta Leonardo a sbloccare la situazione.
« Se vuoi essere come me, non devi piangere. È da femminucce. »
Gaia tirò su con il naso, cercando di bloccare le lacrime.
« Se ti metti quel vestito, ti faccio un regalo. » così dicendo estrasse dalla tasca una benda scura, come quella che lui aveva all’occhio destro. A quella visione lei gli rivolse un sorriso gioioso e non fece più resistenza.
Quella sera era una fatina un po’ particolare con quella benda all’occhio destro, ma almeno era felice.



Si ritrovò a ridere all’ennesimo ricordo che scaturì da quella visione dei libri.
Donò a essi ancora uno sguardo e poi richiuse lo scatolone, dando attenzione ad altri.
Uno scatolone un poco più piccolo attirò la sua attenzione. Lo prese subito tra le mani, e lo aprì con maggior facilità. Nel vedere cosa racchiudeva il suo cuore ebbe un balzo: c’erano diverse foto relative a vari momenti della sua infanzia, tutte sparpagliate e non ancora messe all’interno di album.
C’erano foto di lei appena nata, poi pian piano più grande, ma in particolare una foto la bloccò: lei si trovava al fianco del suo amato fratello, e sorrideva tutta felice, come se avesse compiuto il gesto più bello della sua vita. Suo fratello, disteso sul suo letto, sorrideva; ma era un sorriso stanco...
La cosa buffa erano i capelli di Gaia. Sembravano come essere stati tagliati da una mano inesperta.
E fu proprio quello che accadde quel giorno…



« Gaia fai la brava a casa con la nonna, io e la mamma andiamo a prendere Leonardo, sei contenta?»
Le disse un giorno, all’età di sette anni, suo padre. Il pensiero che finalmente suo fratello tornasse a casa, dopo giorni e giorni all’ospedale, la rallegrò. Annuì con vigore, e dopo aver ricevuto un bacio da entrambi i genitori, le balzò subito alla mente un’idea.
Corse in bagno e cercò tra i vari oggetti delle forbici particolari che sua mamma usava per tagliarle la frangia. Le prese nella mano destra e, cercando di far attenzione a non ferirsi, iniziò a tagliare ciocche su ciocche dei suoi lunghi e deliziosi capelli castani.
Sua nonna si trovava in sala e non si accorse minimamente di quel suo strambo – almeno all’apparenza – gesto.
Ben presto tornarono i suoi genitori e fu lei a correre rapida alla porta, come una saetta.
Alla vista dei suoi capelli ridotti in quel modo – solo qualche ciocca sparsa era sfuggita al suo gesto – i genitori la guardarono sotto shock. Sua madre portò una mano alle labbra spalancate, suo padre non riuscì a dire una sola parola.
Il fratello, che allora aveva appena dodici anni, la guardò perplesso.
Nessuno riusciva a capire il suo gesto, fino a quando la piccola fissò i suoi occhi su Leonardo e ruppe il silenzio dicendo:
« Così almeno ora sono come te. »



Al ricordo una lacrima le sfuggì, scivolando verso terra. Finché si trattava di ricordi allegri, era facile gestirli, ma altri erano davvero difficili da vivere di nuovo. Facevano male al cuore.
Lasciò la scatola con le foto, non volendo vederne altre, e si buttò sull’ennesimo scatolone, questa volta di grandi dimensioni.
Dopo pochi minuti finalmente lo aprì, ed esso si rivelò essere come la sacca sempre portata da babbo natale: era strapiena di giocattoli di tutte le forme e dimensioni.
C’erano macchinine, bambole varie – molte delle quali in pessime condizioni -, lego, costruzioni varie e via dicendo.
Stava quasi per richiuderlo, quando le saltò all’occhio qualcosa di importante.
In mezzo a tutto quel caos comparve qualcosa di totalmente bianco. Qualcosa di soffice e peloso. Qualcosa che il suo cuore riconobbe anche prima dei suoi occhi.
Per un attimo fu combattuta tra chiudere lo scatolone e non lasciar affiorare i ricordi o prenderlo tra le braccia; ma, qualche istante dopo, allungò la mano tremante verso quel fagottino che la guardava con immensi occhi azzurri e vitrei, e lo prese tra le mani…


Gaia trascorreva ore e ore ad ascoltare le storie fantastiche narrate dal fratello. Si differenziavano di soli cinque anni ma erano molto legati.
Spesso bisticciavano come succedeva a ogni fratello e sorella che si rispetti, ma ci mettevano poco tempo a fare la pace.
Leonardo era per lei l’esempio da seguire: un ragazzo forte e coraggioso, con una fantasia incredibile, e molto colto. Sapeva così tante cose che lei neanche immaginava!  Lo ammirava anche nel suo essere capace di inventare ogni giorno un gioco diverso che la faceva sempre divertire un mondo. Alcuni erano difficili e richiedevano tutto il suo coraggio, come salire su un albero come le scimmie, o correre velocissima con la bicicletta, cose che per la sua tenera età non erano poi così semplici.
Cercava sempre di non piangere, perché era cosa da femminucce, anche se a volte le ginocchia sbucciate facevano così male che era difficile trattenere le lacrime; per cui piangeva, ma senza farsi vedere da lui.
Odiava indossare abitini o gonnelline perché voleva essere esattamente come lui. Un perfetto maschio, cosa che faceva scuotere il capo a sua madre, che nonostante ciò non glielo impediva troppo.
Tuttavia, quando raggiunse i sei anni, suo fratello era sempre più stanco e non poteva darle troppa attenzione. Già i primi sintomi di quella strana malattia che lei non poteva comprendere si fecero sentire anni prima, ma a quell’età divennero sempre più forti e sensibili, tanto da costringerlo ad andare più volte dal medico o riposare quanto più tempo possibile.
Gaia, in un primo momento, gli girava sempre intorno volendo convincerlo a giocare, ma quando capì che non poteva esagerare si limitava a stargli vicina.
Leonardo, nonostante la stanchezza e la debolezza fisica, continuò a sorriderle e raccontarle storie. In fin dei conti, questo poteva farlo.
In quel periodo iniziò ad elaborare favole oscure e troppe paurose per la piccina.
« Vuoi davvero dimostrare di essere coraggiosa, Gaia? » le chiese. Lei annuì con vigore.
« Allora ti racconto una storia speciale, ma molto paurosa! Devi sapere che in questa casa vive un essere molto, molto cattivo, capace di fare del male ai bambini.»
« A me no, io sono brava e coraggiosa! » lo interruppe Gaia, con uno strillo acuto, sebbene dal modo in cui si agitava sulla sedia accanto al letto sul quale giaceva il fratello, si notasse un pizzico di paura.
Il fratello sorrise, ma poi si fece subito serio. La sua voce si fece più roca, forse per enfatizzare il terrore che voleva scaturire in lei.
« Allora non avrai paura di certo ad andare in soffitta! Il mostro di cui parlo ama le soffitte delle case dove ci sono bambini, come qui, ed è lì che ora si trova. »
Leonardo fece una piccola pausa, interrotto da un colpo di tosse, e poi riprese.
« È un mostro grandissimo, nero, e quasi impossibile da vedere. Di notte si confonde con le ombre e si avvicina silenzioso alle stanze dove i bambini dormono tranquilli. »
La piccola continuò a muovere le gambine e bloccò le manine tremanti sotto le cosce, in modo tale da non mostrarsi troppo paurosa, anche se ciò era visibile dal suo viso contratto e dai suoi occhi spalancati.
« Questo mostro mangia i capelli ai bambini e pian piano glieli toglie tutti. Succhia via dal loro corpo il colore, rendendoli bianchissimi; estrae avidamente le loro energie, rendendoli stanchi. E infine, ruba loro i sorrisi. Non ha paura di niente e di nessuno. Si diverte a fare male ai bambini, ed è difficile da combattere… »
« A-anche con le spade? » chiese balbettando la bambina che ora non riusciva proprio più a reprimere lo spavento e guardava con più curiosità il fratello.
« Sì. Non può essere sconfitto facilmente. Io stesso l’ho incontrato, e mi ha battuto. »
Il sorriso sul volto del ragazzino pian piano si spense. Gaia lo guardò turbata; non comprendeva il motivo per cui ora il suo adorato fratello non sorridesse più, ma poi si alzò decisa sulla sedia.
« Io lo batto! Io! » Si diede un colpetto sul petto, e sorrise raggiante al fratello, il quale non riuscì a non ridere.

    Da quella sera Gaia tentò più volte di recarsi in soffitta, ma ogni suo tentativo fu vano.
La prima volta le bastò guardare la porta per sobbalzare, come se temesse che il mostro nero le fosse vicino; subito sgattaiolò via.
I tentativi seguenti non furono migliori: un giorno riuscì a salire qualche gradino, ma bastò il rumore di una porta che sbatteva al piano inferiore a farla tornare sui suoi passi; un’altra volta portò con sé una spada di legno con cui giocava spesso con il fratello, ma fu vista da sua madre che le disse di tornare sotto.
Una mattina si ritrovò dinanzi alla porta, ma non appena posò la manina sulla maniglia, sentì come un sibilo che la fece gridare, mentre il suo cuore pulsava così tanto che sembrava volerle scoppiare nel petto.
Era difficile, troppo difficile affrontare il mostro.
Ma ogni volta che vedeva suo fratello ridotto in quel modo e peggiorare sempre di più, la rabbia l’invadeva. Voleva affrontarlo: seppur piccola era anche molto coraggiosa. O almeno lei sperava di esserlo.
Tuttavia anche ulteriori tentativi non ebbero un buon esito e così ci rinunciò. Per mesi trascorse il tempo in giardino a giocare in solitudine o, quando poteva, accanto al letto di Leonardo, ascoltando storie più tranquille, sempre sui pirati, le fate, le sirene e altri esseri magici e fantastici che entrambi adoravano.
Suo fratello sorrideva, ma più passavano i mesi e sempre più si stancava presto, cosa che la costringeva a lasciarlo in pace.
In quei momenti di solitudine, Gaia girava per la casa cercando un modo per divertirsi.
Quel luogo in cui fino a quel momento si avvertiva una grande allegria, ora sembrava più cupo del solito.
Sua madre aveva sempre gli occhi lucidi, piangendo a lungo. Più di una volta, nonostante lo facesse di nascosto, Gaia l’aveva notata. Ma non sapeva proprio che fare per lei. Probabilmente sua madre non era coraggiosa.
Suo padre, che fino a quel momento, si dilettava a leggerle altre storie, ora quasi la ignorava, immerso in altri mille pensieri e compiti.
E lei?
Semplicemente tentava di vivere e non perdere il sorriso. No. Il mostro non avrebbe rubato qualcosa anche a lei. Mai.


    Un giorno, passando di fronte alla porta della stanza di Leonardo, sentì diverse voci, una delle quali era differente da quella dei membri della sua famiglia. Cercò di sbirciare dal rivolo di luce proveniente dalla porta socchiusa, e notò la presenza di un uomo che sembrava visitare con strani strumenti suo fratello. Chi era? Che cosa gli stava facendo? L’uomo era vestito tutto di nero e la cosa la preoccupò. Stava per sospingere la porta per entrare, quando sia l’uomo sia i suoi genitori uscirono, costringendola quindi ad arretrare.
Gli adulti non sembrarono badare a lei, ma lei li osservò molto attentamente. L’uomo scuro disse qualcosa di non comprensibile ai suoi genitori, che ebbero reazioni sconcertanti. Sua madre sprofondò il viso sul petto di suo padre, che cercò di essere forte, seppur il suo sguardo palesasse l’enorme tristezza che il suo cuore avvertiva.
Quando il dottore se ne andò, rivolse solo un lieve sorriso alla piccola, la quale ben presto tornò a guardare i suoi genitori.
« Chi era? L’uomo nero? Ha fatto del male a Leo? Io gli faccio male! »
Sembrava furibonda, ma suo padre stringendo ancora a sé la madre, le disse:
« No, piccola mia. Era il medico, lui vuole guarire Leonardo. Non devi fargli male, come lui non ne ha fatto a tuo fratello. »
La piccola non sembrò credere molto a quella risposta, poi tentò di avanzare di qualche passo verso la porta, ma sua madre la ostacolò e disse:
« Non puoi entrare ora, Gaia. Tuo fratello deve dormire e non puoi vederlo. Non appena starà meglio, tornerai a trovarlo. »
Gaia si mordicchiò le labbra. Sembrava arrabbiata e delusa. I suoi occhi castani indugiarono sulla porta ancora socchiusa, ma poi decise di seguire quanto detto dai suoi genitori. Alla fine, l’avrebbero fermata comunque.
Quella notte pensò a lungo e non trovò molto facile addormentarsi.
Il suo pensiero fisso era la soffitta e il mostro che la infestava.
Doveva combatterlo e sconfiggerlo, così forse avrebbe aiutato Leonardo e lui sarebbe tornato a giocare con lei e a inventare storie fantastiche, e poi avrebbe anche potuto dimostrargli tutto il suo coraggio.
Prima che Morfeo l’accogliesse tra le braccia, la piccola giurò a se stessa che l’indomani avrebbe affrontato il mostro.

    Il giorno seguente non rimosse quella sua intenzione, neanche quando, ormai al primo scalino della scala che conduceva alla soffitta, la paura l’invase di nuovo con prepotenza.
Strinse più forte la spada di legno nella sua mano destra e, dopo aver fatto un profondo respiro, iniziò ad avanzare molto lentamente ma spinta da una grande determinazione.
Un passo dopo l’altro, infine, si ritrovò all’ultimo scalino, proprio dinanzi alla porta di legno che nascondeva la soffitta, e con essa, il mostro.
Posò la mano libera sulla maniglia e ancora una volta si ritrovò bloccata.
Le parole di suo fratello risuonarono alle sue orecchie, come una vocina perfida che non volesse permetterle di andare avanti.
Ma poi, il viso di Leonardo comparve nei suoi pensieri: lo ricordò come era allegro e vivace quando il mostro non lo aveva ferito e, ferma su questa immagine, spalancò la porta e avanzò di un passo o due all’interno del luogo, scuro e polveroso.
Il suo cuore prese a battere ancora più forte, squarciando il silenzio presente. In quell’oscurità solo una flebile luce le permetteva di avanzare con meno difficoltà.
I suoi passi sembrarono sempre più pesanti, come se una forza sconosciuta volesse farla bloccare.
Aveva davvero tanta paura e, ancora una volta, pensò di scappare, ma per Leo avrebbe fatto questo e altro nonostante fosse ancora così piccola.
Non voleva subire la stessa cosa del fratello, non voleva che le rubasse il colorito roseo, i suoi capelli castani – che dopo la sua pazzia erano ricresciuti e le sfioravano appena le spalle – e il suo adorabile, allegro sorriso.
« Vieni mostro! Vieni fuori. Io ti uccido! » esclamò, con una vocina acuta ma anche traballante.
Ma nessuno si fece vivo.
Era difficile vederlo bene in quell’oscurità, essendo anche lui nero, ma doveva trovarlo.
Mosse ancora qualche passo, fino a quando qualcosa la spinse a fermarsi di colpo e, prima che potesse liberare un grido, si portò entrambe le mani alle labbra, facendo così cadere la spada a terra.
Dinanzi a lei, nell’oscurità, brillavano due occhi chiarissimi che la fissavano con intensità.
In un primo momento le sembrarono veri, reali, forse una sensazione scaturita dalla paura immensa che provava.
Il suo corpo iniziò a tremare, come una flebile foglia sospinta da venti contrari, e non riuscì a dire o fare altro, se non fissare quegli occhi ancora per alcuni istanti.
Dopo qualche istante portò le mani agli occhi, come a voler sfuggire da quell’immagine ma, non appena tornò a guardare, notò che quegli occhi non erano scomparsi, ma continuavano a fissarla ancora.
La piccola cercò di ritrovare il suo coraggio. Pensò a Leonardo. Pensò alle sue storie. Pensò a come fare.
Si abbassò a terra, tentando di tastare il pavimento al fine di ritrovare la spada di legno, e una volta trovata, la strinse di nuovo con entrambe le mani e avanzò di qualche passo.
« Mostro cattivo! Io ti cieco! » gridò ancora, come se per lei fosse un gioco e, una volta abbastanza vicina a quegli occhi, li colpì con un affondo non preciso di spada.
Eppure, ancora una volta non si avvertì nulla. Il mostro non urlò.
Che avesse sbagliato?
Ma almeno gli occhi non la fissavano più. Forse era riuscito a scappare!
Gaia si guardò intorno, sempre tenendo salda la presa sulla spada, e poi tornò al punto in cui aveva scorto quello sguardo inquietante. Si fece di nuovo coraggio e avanzò ancora di qualche passo.
Il presunto mostro sembrava essere scomparso, ma al suo posto, proprio in un angolo della stanza sfiorato dalla luce, intravide un delizioso fagottino bianco, peloso e soffice. Si abbassò, cauta, per guardarlo meglio e ritrovò il sorriso: quello che prese tra le braccia era un adorabile peluche a forma di tigrotto completamente bianco, con due adorabili e grandi occhi azzurri che la guardarono intensamente, ma non li trovò affatto inquietanti.
Sul collo era legato un nastrino blu, che tratteneva un foglietto bianco.
La piccola non sapeva ancora leggere bene e quindi decise di scendere subito sotto a cercare la mamma, o il suo papà, o magari Leonardo per farsi dire cosa c’era scritto.
Corse velocemente lungo le scale, rischiando di cadere più volte, e tutta allegra si avviò verso la stanza di suo fratello, gridando:
« Leo! Leo ho ucciso il mostro e lui mi ha dato un regalo! Leo guarda! »
Era così eccitata da non avvertire il silenzio della casa, rotto solo da singhiozzi dovuti al pianto.
Giunse all’improvviso all’interno della stanza del fratello e, solo lì, finalmente si fermò col fiatone. Guardò i suoi genitori: sua madre era seduta su una sedia accanto al letto di Leonardo e suo padre era dietro di lei, cercando di confortarla con le mani sulle spalle, seppur anche lui, come sua moglie, piangesse.
Ma le sue erano lacrime silenziose…
La piccola cercò di riprendere fiato e si avvicinò pian piano al fratello che sembrava ancora addormentato.
Suo padre sembrò voler prendere parola, ma fu sua madre a bloccarlo, come se questa volta volesse consentirle di restare.
Una volta vicina al volto del fratello, ritrovò la voce, ma usò un tono più basso, seppur fosse sempre eccitato.
« Leo? Leo guarda qui. Ho ucciso il mostro che ti ha fatto male e ho trovato il tesoro. È un peluche stupendo. Una tigre come quelle dei libri! Però è tutta bianca. Ha anche un nastrino sì, qui sul collo, e c’è anche un bigliettino, lo leggiamo insieme? »
Da Leo però non ottenne nessuna risposta. Il ragazzino sembrava ancora addormentato.
La piccola pensò che forse non l’avesse sentita.
Posò la mano sinistra su quella del fratello, sfiorandola un poco.
« Leo? Guarda, dai! Basta dormire, ora guarirai. Il mostro è morto! »
Ancora silenzio, rotto solo dalle lacrime della madre.
La piccola non capiva. Perché il fratello non le rispondeva? Perché non si svegliava?
Riprese a scuoterlo un poco più forte, tanto che il padre fu costretto a fermarla ma, proprio in quel momento, Leonardo sembrò dare dei segni di risposta.
Mosse prima la mano destra, poi pian piano contrasse i muscoli del viso, fino a che i suoi occhi stanchi non si aprirono, cercando di focalizzare la stanza e le persone intorno a sé.
Scrutò i suoi genitori e sembrò volere dire qualcosa, ma pur muovendo le labbra, non emise alcun suono.
Poi soffermò lo sguardo sulla piccola che stringeva ancora tra le braccia il tigrotto di peluche.
« Leo! Hai visto? Il tesoro! » trillò ancora lei, ritrovando l’emozione.
Lui socchiuse gli occhi per un attimo e poi li riaprì.
« Sei stata bravissima…» sussurrò flebilmente.
Gaia arrossì sensibilmente, e poi aggiunse:
« Ora che il mostro non c’è più, tu guarirai e tornerai a giocare con me vero? »
Gli occhi del ragazzo si fecero più tristi, mentre lacrime calde ne venivano fuori, scivolando sul cuscino candido come il suo viso.
Non disse una parola, ma cercò di sfiorare la manina di Gaia, la quale gli rivolse un caldo sorriso.
« I-il biglietto… » sussurrò ancora, Leonardo, e quella fu la sua ultima parola.
Guardò di nuovo la sua famiglia e rivolse loro il più adorabile dei sorrisi. Un sorriso che nascondeva delle parole che tanto avrebbe voluto proferire.
“Vi voglio bene…”

Il ricordo faceva ancora male, pulsava nelle vene e raggiungeva, come un liquido acido, il cuore. Gaia si ritrovò a stringere più forte a sé il candido peluche, un poco impolverato dal tempo e dalla mancata pulizia. Non riusciva a comprendere come fosse finito lì, un peluche tanto importante. Allora era solo una bambina di sette anni che non poteva comprendere la morte, ma quando si fece più grande, probabilmente non riuscì a guardare più quel peluche senza provare sofferenza.
Suo fratello era morto di un male difficilmente curabile, a soli dodici anni.
Leonardo, il suo esempio.
Leonardo che le leggeva o inventava storie fantastiche.
Leonardo che giocava sempre con lei, la prendeva in giro, ma anche proteggeva.
Leonardo che era l’altra parte della sua vita.
Un fratello magnifico che purtroppo aveva perso nel fiore degli anni.
Il mostro nero l’aveva portato via con sé, mangiando i suoi capelli, succhiandogli il colore della pelle e il sorriso.
Ma, nel momento ultimo, lui aveva sorriso e vinto contro quel male, quel mostro orrendo.
Calde lacrime sgorgarono incessanti dai suoi occhi. Non riuscì a bloccarle.
Quella non era mancanza di coraggio.
Gaia avvertiva ancora, dopo anni, l’assenza del suo amato fratello dal quale molto aveva imparato.
Il giorno stesso, dopo la sua morte, i suoi genitori presero il foglietto. Tutti e tre, riuniti intorno al letto di quel piccolo angelo, ascoltarono le sue ultime parole:



Gaia, sorellina mia, non smettere mai di sorridere,
anche quando mostri cattivi tentano di rubarti tutto,
sorridi e vivi ogni istante la tua vita.
Perché è breve e non sai mai quando un mostro arriverà,
e ti batterà.
Ti voglio bene.

Leonardo.



I suoi genitori ripresero a piangere, stringendo la piccola tra le loro braccia. Ma lei non disse una parola, né verso una lacrima.
Quelle parole le entrarono nel profondo e da quel momento le fece sue.
Iniziò a vivere realmente, a gustare ogni attimo della sua vita.
Fece tutto ciò che poteva per renderla migliore, per stare bene, e non smise mai di sorridere.
Neppure in quel momento in cui quel ricordo le aveva scaturito lacrime, riuscì a far svanire completamente il sorriso.
Il tigrotto Leo era ancora stretto tra le sue braccia, quando entrò suo marito per vedere se poteva essere d’aiuto.
Lei si asciugò le lacrime con la manica della giacca e gli corse incontro buttandosi tra le sue braccia, non abbandonando tuttavia ancora il peluche. Lui la strinse a sé, senza fare domande e lei…

…sorrise.



 




 

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Questa storia si è classificata Terza al Contest "Multifandom e Originali - Un Segreto in Soffitta" di DarkRose, ma giudicata gentilmente da iaia86@, che ringrazio infinitamente! :)

Prima di aggiungere altro voglio lasciare due piccole note:
1) Questa storia, come potete vedere, tratta di avvenimenti spiacevoli di cui non sono una grande esperta. Per tal motivo mi sono tenuta sul vago, senza entrare troppo nello specifico non avendo nozioni pertinenti e non volendo "offendere" nessuno.
2) Nell'ultimo messaggio forse può sembrare assurdo che un bambino di 12 anni possa scrivere tali parole, ma - e questo è un mio pensiero magari anche sbagliato - secondo me, quando succede qualcosa di grave, anche i bambini maturano di colpo. Poi non so.


Per il resto che dire, sono felicissima del posto e del giudizio che posto qui sotto, e anche del premio attinenza che ho vinto *__*
Grazie anche a Shurei per aver realizzato questi due bellissimi banner!

A presto e se vi va lasciate un messaggio :)

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Giudizio di iaia86@

Correttezza grammaticale: 7/10 punti.
Stile e lessico: 8/10 punti.
Caratterizzazione dei personaggi: 9.5/10 punti.
Originalità: 9/10 punti.
Attinenza: 10/10 punti.
Utilizzo dell'oggetto: 4.5/5 punti.
Apprezzamento personale: 4.5/5 punti.
Per un totale di: 52.5/60 punti.

Valutazione: Storia dai toni tristi e malinconici, che tiene il lettore incollato allo schermo e fa emozionare. All'inizio volevo assegnare alla storia il premio angst. Riferendomi a quello che scrivi nelle note, il tuo 'accennare appena' la gravità della situazione aiuta a rendere ancora più etereo il racconto, che unito all'ingenuità tipica dei bambini diventa ancora più triste. La pecca più grande della storia è la grammatica, dove in certi punti si nota una discordanza dei tempi verbali che sarebbe potuta essere evitata con l'utilizzo dei trapassati. Ci sono alcune virgole di troppo, che spezzano il filo delle frasi e ho riscontrato spesso un utilizzo improprio della congiunzione 'ma'. Ci sono varie ripetizioni ed alcune parole utilizzate impropriamente ('finché si trattava di ricordi allegri, era facile gestirli, ma altri erano davvero difficili da AVVERTIRE di nuovo'). I pronomi personali 'lei' e 'lui' vengono ripetuti spesso, sarebbe stato meglio intervallarli con dei sinonimi. La parola 'cieco' prevede la i (probabilmente è stato solo un errore di distrazione). La caratterizzazione di Gaia e Leonardo è precisa e approfondita, ci mostra il legame tra questi due bambini e la tenacia del loro rapporto. L'originalità della storia sta nell'espediente creato da Leonardo per mostrare i suoi sentimenti alla sorellina, senza oberarla del peso della conoscenza. Sei riuscita a legare la trama alla soffitta ed all'oggetto in modo tale da rendere sempre presenti tutti gli elementi in un gioco che gioco non è, ma che porta ad un finale dolce-amaro.

 

 

 

   
 
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