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Autore: Atlantislux    17/04/2011    3 recensioni
Sparpagliate storie ambientate nell’universo alternativo di "Irreparabile" e "Nova".
File 04 - Dovevo parlare con Cecilia. Bisognava assolutamente aggiornare il software di quei pazzi scellerati.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
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Note

Come anticipato nell’epilogo di “Nova”, ecco la collezione di one-shot che sviluppano qualche passaggio o espandono il background dei personaggi protagonisti di “Irreparabile” e “Nova”. Per ragioni di coerenza narrativa non sono riuscita ad infilarle nelle storie principali, però mi sembrava un peccato tenerle segregate nel mio hard disk :)
Rispetto alla linea temporale principale –gli eventi di “Irreparabile” e “Nova” coprono gli anni dal ‘71 C.E. all’83- queste storie non seguono una cronologia lineare, per cui fate attenzione alle date che scriverò sopra ogni one-shot.
Ultima cosa sul titolo: di solito disdegno i titoli in inglese, ma “After Phase” è l’episodio conclusivo di Gundam Seed, per cui ho pensato ci stesse bene.
Un grazie infine alla mia fedele beta Shainareth <3

Buona lettura!



___________________________





Non aveva mai odiato nessuno nei suoi primi quindici anni di vita. Ma tutto stava per cambiare.


S21NX


Nassau, 15 novembre, C.E. 71


L'ultima cosa che il Coordinator rammentava dell'incidente era la voce del suo migliore amico che urlava il suo nome, un istante prima che il mobile suit che pilotava esplodesse.
Riemergendo dal coma il Coordinator aveva scoperto due cose, entrambe sorprendenti: una, che non era affatto morto; due, che si trovava in un centro di ricerca della Federazione Atlantica, il nemico numero uno del suo paese. I federali gli avevano assegnato un codice: S21NX, e così lo chiamavano tutti là dentro, 'numero Ventuno', perché si era rifiutato di rivelare il suo vero nome e il suo grado. Lo voleva ricordare pronunciato dal suo amico e da sua madre, non dai soldati della Federazione.
I suoi carcerieri gli avevano detto che non avrebbe potuto rifiutare i particolari trattamenti che gli stavano somministrando e che, una volta guarito, sarebbe passato al servizio della Federazione. Anche nella confusione del momento il Coordinator aveva tentato di protestare, pur sapendo non ci sarebbe stato modo per sfuggire al suo destino. Non quando quel centro di ricerca era l'unico luogo al mondo dove ricevere le cure che lo stavano mantenendo in vita.

Non era l'unico soldato di ZAFT prigioniero, e il giovane Coordinator aveva valutato con loro l'idea di suicidarsi; un paio di suoi compagni non avevano esitato, fallendo miseramente, perché non era nei piani dei federali lasciar perire i loro soggetti di ricerca. Lui, invece, aveva velocemente scartato l'idea. Non si considerava un eroe fino a quel punto e, oltretutto, morire una volta era stato abbastanza traumatico da fargli desiderare di posporre il momento più a lungo possibile.
Per indebolire ancora di più la sua già patetica risoluzione, i federali gli avevano mostrato immagini di quello che era rimasto del suo corpo dopo l'esplosione che aveva distrutto il suo mobile suit. Il Coordinator si era sentito male, e aveva realizzato esattamente quanto del suo vecchio corpo non fosse più suo. E che ogni volta che varcava la porta della sala operatoria qualcosa di danneggiato dentro di lui –ma umano- gli veniva tolto per essere rimpiazzato con altro.
Infine, gli avevano messo sotto il naso una foto scattata nel cimitero degli eroi su Aprilius One. Mostrava file di identiche lapidi, e il Coordinator era certo che tra quelle ce ne fosse anche una con il suo nome scritto sopra. Aveva fermamente rifiutato di mettersi a piangere davanti ai nemici della sua patria, anche se aveva distintamente sentito il cuore spezzarsi. Quella lapide era il segno tangibile che era morto agli occhi del mondo, e che tutte le sue speranze di vedere la fine di quella guerra disgraziata erano svanite, insieme al sogno di conquistare un futuro di pace per la sua famiglia. Non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori, e il pensiero di loro, che piangevano davanti alla sua tomba, lo torturava tutti i giorni.
Al Coordinator erano rimasti solo i ricordi di una vita breve ma felice. Reminiscenze di momenti spensierati che stavano diventando incubi, e che lo assalivano tutte le notti, fusi nell'istante della sua brutale morte.
Erano passati mesi ma, nonostante fosse assistito da un team di psicologi, nemmeno con il loro aiuto era riuscito a venire a patti con quello che gli era successo. Anzi, gli avevano detto che l'incidente si era così fissato nei suoi pattern mentali che guarire completamente sarebbe stato impossibile. E quella era la cosa che lo spaventava di più, insieme al non sapere cosa la Federazione Atlantica avrebbe fatto di lui.

"Ti stai annoiando? Ti accendo la televisione, va bene?"

La voce della dottoressa Jesek lo strappò dai sui pensieri, e il Coordinator alzò gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto incollati a terra.

Ci misero un secondo di troppo a mettere a fuoco la giovane donna di fronte a lui, e fu abbastanza per provocargli un capogiro. Quegli impianti ottici avevano ancora bisogno di essere settati, ma lui non riusciva a lamentarsene troppo. Non quando quelli che Madre Natura gli aveva dato erano finiti spappolati sulla visiera del suo casco da pilota.

"Come vuoi" le rispose remissivamente, chiudendo le palpebre prima di spostare la sua attenzione sul televisore che aveva cominciato a trasmettere.

Con meno fretta fissò lo schermo, dove stavano passando le immagini di un notiziario. Sembrava piuttosto noioso, ma andava bene pur di non dover guardare quello che la scienziata davanti a lui stava facendo.

Il suo braccio destro era disteso su un tavolo da lavoro, e la dottoressa Jesek aveva rimosso la pelle sintetica, mettendo a nudo la struttura sottostante. Lei aveva cercato di interessarlo all'operazione, ma il Coordinator aveva declinato la lezione non voluta –e l'entusiasmo della giovane– con il sorriso meno condiscendente che era riuscito a produrre.

Dalla smorfia dispiaciuta che Cecilia Jesek aveva fatto aveva capito di averla delusa, ma non si sentiva particolarmente in colpa. Essendo lui stesso figlio di uno scienziato riconosceva il genio di Cecilia, la sua intelligenza molto al di là dei limiti dei Natural, e le era grato per tutto quello che stava facendo per lui. Tuttavia, non riusciva a considerare affascinanti quelle cose che gli avevano installato addosso. Da un punto di vista scientifico quella serie di circuiti integrati e muscoli artificiali erano miracoli, ma per lui erano anomalie che non avrebbero dovuto trovarsi dove stavano.

Perso nei suoi pensieri chiuse gli occhi, incapace di seguire quello che l'annunciatore stava dicendo quando, improvvisamente, udì una voce che conosceva molto bene. Il Coordinator fissò la televisione con rinnovato interesse.

La ragazza che adesso stava parlando possedeva la rifinita bellezza così comune tra i Coordinator della sua generazione, e portava i capelli, lunghi e rosati, legati in una particolare treccia attorno al capo. Era Lacus, la figlia del precedente Presidente di PLANT, Siegel Clyne.
Il Coordinator la guardò, sopraffatto da un'ondata di nostalgia, studiandone i lineamenti che stavano perdendo le morbide rotondità dell'adolescenza per sbocciare in quelli di un'affascinante donna. Lacus, la diva che aveva posto fine alla guerra comandando personalmente la sua flotta, stava appuntando medaglie sul petto degli ufficiali della nave chiamata Archangel, risolutiva per far cessare le ostilità. Il giornalista stava intanto spiegando che onorarli pubblicamente –anche se la nave apparteneva formalmente all'Alleanza Terrestre- era un altro segno di riappacificazione tra la Terra e PLANT.
Il Coordinator non sapeva che pensare di quello spettacolo. Se da un lato era ovviamente felice che finalmente fossero in pace, quella scena lo inquietava per qualche ragione. Guardava le facce di quegli uomini e di quelle donne e non poteva credere che fossero quelli che lui stesso aveva cercato di uccidere per così tanti mesi. Sembravano tutti così giovani, non molto più grandi di lui e dei suoi compagni.

Il Coordinator sbatté le palpebre. Lacus Clyne adesso stava premiando un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età. Aveva i capelli scuri, arruffati, e grandi occhi gonfi di calma gioia. L'annunciatore lo presentò come Kira Yamato, il pilota del mobile suit chiamato Strike, che aveva scortato l'Archangel da Heliopolis fino alla Terra, salvandola da sicura distruzione.

Alla sola menzione di quell'unità maledetta una dolorosissima morsa chiuse lo stomaco del Coordinator, facendolo quasi piegare in due dal dolore. Nemmeno riuscì a chiedersi come fosse possibile una cosa del genere con uno stomaco sintetico, la sua attenzione completamente conquistata dal video.

Lacus Clyne stava ora premiando altre persone. Alcune, con sua somma sorpresa, non gli erano sconosciute. Sul podio c'erano Yzak Joule e Dearka Elthmann, i suoi ex-compagni d'arme, fieramente ritti di fronte alla figlia di Clyne; poi la telecamera allargò il campo per inquadrare, qualche passo dietro Lacus, una ragazza bionda che popolava spesso gli ultimi notiziari: Cagalli Yula Athha, la Principessa di Orb. Insieme alla figlia di Clyne aveva giocato un ampio ruolo per mettere fine alla guerra del San Valentino di Sangue, per cui la sua presenza alla cerimonia era probabilmente dovuta, ma chi il Coordinator non si sarebbe mai aspettato di vedere lì fu Athrun Zala.
Il giovane era ai piedi del palco, confuso tra lo staff ed in abiti civili, ma inconfondibile agli occhi del Coordinator, che focalizzò i suoi impianti ottici su di lui, mentre tutto il resto sembrò svanire.

'Athrun Zala.'

Stranamente, nessuno dei partecipanti all'evento sembrava riconoscerlo. Marciavano giù dal palco senza degnarlo di uno sguardo, compresi Yzak e Dearka.

La telecamera ingrandì nuovamente il campo per mostrare la folla, ma il Coordinator tenne gli occhi su Athrun. Così non gli sfuggì quando Kira Yamato cinse il giovane dai capelli blu in un abbraccio.

'Il pilota dello Strike che getta le braccia al collo al pilota dell'Aegis' notò il Coordinator. Per un momento non successe nulla, e la vertigine che gli annebbiò la vista sembrò irrilevante. Poi una fredda, devastante sensazione di vuoto sbocciò nel suo petto. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi su quello che aveva appena visto.

'Kira Yamato e Athrun Zala. Insieme.'

Sembravano anche conoscersi molto bene. Il gesto mostrava rispetto e affetto, e un senso di assoluta confidenza che era quasi fraterna. Ma il Coordinator sapeva che avevano combattuto sulle opposte barricate per mesi, durante la guerra, quindi quando avevano avuto il tempo di sviluppare una così calda familiarità? L'Athrun Zala che lui conosceva, serio e introverso, non sarebbe potuto diventare così improvvisamente l'amico intimo del suo nemico giurato. Il pilota dello Strike. Il mobile suit che avevano cercato per così tante volte di abbattere.

'Quello che ha ucciso Miguel e…'

Qualcosa di un vivido verde, posato sulla spalla destra di Kira, colse l'attenzione del Coordinator, che finalmente si accorse dell'uccellino meccanico lì appollaiato. Un giocattolo che lui aveva già visto da qualche altra parte… ci mise un attimo a ricordare dove: stagliato contro il cielo azzurro di Orb, mentre volava nelle mani di Athrun.

"Ahi… scusa… attento…"

Un mugolio soffocato attirò la sua attenzione e, stravolto, il ragazzo fissò il volto della dottoressa Jesek. Un'espressione sofferente le torceva le labbra, e la giovane scienziata aveva le lacrime agli occhi. Lui aggrottò le sopracciglia, seguendo il suo sguardo. Non ci poteva credere.
Con i sensori disattivati non si era accorto di avere stretto tra le dita quelle della dottoressa. Con la sinistra lei stava inutilmente cercando di liberarsi, ma senza riuscirci.

Il Coordinator rilasciò la presa immediatamente, guardandola addolorato portarsi la mano al petto. Era solo la sua immaginazione o si stava già coprendo di ematomi?
"Mi spiace" balbettò, ancora sconvolto da quello che aveva visto in televisione.

La scienziata scosse la testa, mentre un sorriso esitante, forzato, le appariva sulle labbra. "Non ti preoccupare, è stato un mio sbaglio. Non imparerò mai ad essere più cauta quando lavoro con te."

Il Coordinator si sentì un idiota. Gli sfuggiva la ragione per cui, tutte le volte che lui commetteva un errore –e succedeva spesso- la giovane insisteva per scusarsi, come se provasse nei suoi confronti qualche malsano senso di colpa. Ma lui era perfettamente consapevole che anche se era Cecilia la creatrice di quegli impianti, lei era una civile, non parte dello staff della Federazione Atlantica che stazionava al centro di ricerca. Oltretutto, l'aveva spesso vista discutere violentemente con i militari, e con i suoi stessi colleghi, per il modo crudele con cui umiliavano lui e i suoi compagni. La scienziata, uno scricciolo di donna apparentemente non molto più vecchia di lui, aveva fegato, doveva ammetterlo, ed era l'unica lì dentro che trattava lui e gli altri Coordinator come esseri umani, non solo come cavie; come poteva riuscire a farle sempre del male?

E perché Cecilia insisteva a dire che era sempre colpa sua, quando non era per niente vero?

"Ti fa molto male?" le chiese.

"No."

"Mi dispiace, sono sempre così maldestro."

"Non è colpa tua. Ti devi ancora abituare agli impianti, che probabilmente necessitano di un aggiornamento. Ma piano piano andrà meglio, te lo detto, non ti devi preoccupare."
Quella Cecilia era incredibile, pensò il Coordinator. Si stava ancora tormentando più per lui che per lei.
"Veramente al momento è la tua mano che mi sembra necessiti di un aiuto. Devi farti vedere da un dottore" la esortò, cercando di dare alla sua voce la durezza necessaria. Ma lei scosse la testa, muovendo con difficoltà le dita.

"Lascia perdere, ti ho detto. Il dolore sta già passando."

Che mentisse, al Coordinator era chiaro guardando la smorfia che le torceva ancora le labbra. Si sentiva estremamente in colpa per quello che era successo, anche se in parte era grato al piccolo incidente per aver distolto la sua attenzione da quello che aveva visto sullo schermo. Genuinamente impensierito per Cecilia, voleva che andasse a farsi medicare; e, tuttavia, temeva il momento in cui sarebbe rimasto solo con i propri pensieri. Respirò profondamente, cercando di non soccombere al panico e alle lacrime, e fissò la scienziata. Tanto per avere qualcos'altro da guardare che non quell'immondo spettacolo in televisione.

Abituato alla bellezza senza difetti dei Coordinator, 'numero Ventuno' non trovava nulla di attrattivo nel volto di quella Natural. E considerato quello che i suoi colleghi le dicevano dietro le spalle, lui sapeva che anche per i loro standard la dottoressa Jesek era considerata piuttosto brutta. Al Coordinator non erano mai piaciute le ragazze troppo formose, ma lei era fin troppo scarna, quasi emaciata, con gambe lunghe e magre e le spalle ossute di un'adolescente. L'unica attrattiva della scienziata erano i capelli folti, ricci e scuri, che sembravano dotati di vita propria, e lo sguardo, che brillava di un'intelligenza acuta.
Anche le labbra carnose, quasi fuori posto in quel viso smunto, non erano male, e adesso Cecilia le stava stirando in un sorriso impacciato.

"Non guardarmi così. Ti stai preoccupando troppo, ti dico."

Il Coordinator scosse la testa, silenziosamente, le parole con cui voleva di nuovo scusarsi soffocate in gola. L'unica consolazione che aveva, era che in quel momento il suo volto e i suoi occhi dovevano essere imperturbabili come quelli di una bambola. Perché anche se l'avevano sottoposto a dolorose operazioni di chirurgia plastica e ricostruttiva, gli avevano detto che era stato impossibile ricostruire interamente la sua struttura nervosa facciale. Apparentemente, con il tempo e grazie all'aiuto di medicinali rigenerativi, la situazione sarebbe migliorata, ma al Coordinator non importava minimamente di apparire distaccato. Non riusciva nemmeno a considerare l'idea di spiegare alla scienziata che l'aveva salvato perché si sentiva come un giocattolo rotto, gettato via perché inutilizzabile.
D'impulso, il Coordinator prese delicatamente la mano dolorante della dottoressa Jesek, avvertendo da parte di lei solo una leggera resistenza.

"Fa vedere" le sussurrò.

Lei lo lasciò fare.

Le passò le dita sulle sue, delicatamente, e non gli sembrò ci fossero fratture, ma dovette ricordare a se stesso di stare più attento con lei. Perché era una crudele ironia che la mente geniale che Cecilia possedeva, brillante come quella di un Coordinator, era pur sempre ospitata in un fragile, inadeguato corpo Natural. Poi, brutalmente se lo ricordò. Il suo corpo perfetto, geneticamente migliorato, non l'aveva salvato dall'essere orribilmente mutilato in battaglia, e tutto per un singolo atto di eroismo. Probabilmente un inutile atto di eroismo, ricordò a se stesso il Coordinator, dopo quello che aveva visto sullo schermo.
Malgrado tutti i suoi sforzi, i pensieri di 'numero Ventuno' franarono di nuovo nel suo incubo personale.

Se c'era qualcosa che l'aveva salvato dalla crudeltà di perdere completamente la sanità mentale, in quelle prime settimane nelle mani dei federali, era stato il pensiero che l'agonia che stava patendo era per una buona ragione: aver salvato la vita della persona che gli era più cara dopo i suoi genitori. Il Coordinator era sicuro che stessero soffrendo, tanto quanto lui, perché lo amavano profondamente. Lui era il loro unico figlio, e non aveva mantenuto la promessa di tornare a casa sano e salvo. Ma era stata consolante l'idea di aver risparmiato la stessa cosa al padre di un compagno che ammirava. Di un amico che considerava il fratello maggiore che non aveva mai avuto. Peccato che adesso non fosse più sicuro che Athrun fosse stato davvero suo amico.

L'abbraccio tra i piloti dello Strike e dell'Aegis, una volta avversari, si ripeté di nuovo davanti agli occhi del Coordinator e, come in un domino, tutto andò a posto mentre cominciava a pensare che magari Athrun aveva sempre conosciuto Kira Yamato. Quello avrebbe spiegato tutto. La riluttanza di Athrun. Le paure di Athrun. Le sue insicurezze nell'abbattere lo Strike.

'Le bugie di Athrun.'

'Numero Ventuno' aveva sempre mostrato affetto verso il riservato figlio di Patrick Zala, al punto da essere al suo fianco sempre e comunque. Aveva giustificato il suo strano comportamento di fronte ai più aggressivi commilitoni, pagando il prezzo del loro biasimo e dei loro insulti. E, adesso, stava crudelmente realizzando che quello che aveva avuto in cambio erano solo bugie, che gli avevano tolto tutto ciò che gli era di più caro al mondo.
Mentre quegli stessi compagni stavano ricevendo medaglie dalle mani immacolate di Lacus Clyne, lui era prigioniero dei nemici di PLANT, condannato a vivere come una bambola meccanica. Dimenticato da tutti.

Improvvisamente gli venne voglia di piangere, ma trattenne le lacrime. Non poteva farlo, anche se si sentiva morire. Perché piangere era da bambini, e quel tempo era finito per sempre.

Realizzando che stava ancora trattenendo la mano della dottoressa Jesek, il Coordinator la lasciò scivolare via dalla sua presa.

"Va tutto bene" ripeté la donna, aggrottando le sopracciglia come se avesse capito che c'era qualcosa che in lui non andava nonostante l'apparenza tranquilla. "Il dolore è scomparso."

Il Coordinator annuì, più a se stesso, grato che quel giorno fosse stato assegnato a lei e non a qualcun altro. Sarebbe stato insopportabile più di quello che già era.

Comunque, adesso il puzzle era completo, e tutto quello che doveva fare era dimenticare di avere mai visto quelle scene. Aveva già troppe cose che turbavano le sue notti insonni. Gli importavano veramente, poi? Gli interessava che Athun fosse amico di quel Kira Yamato? Non sarebbe stato meglio dimenticare tutto?
'Sì, vi dimenticherò' si disse, con un'ombra di determinazione che però sentiva rafforzarsi di secondo in secondo. Dopotutto, chi erano quelli? Solo ricordi di una persona che non esisteva più, che era morta su un triste, anonimo isolotto così lontano da casa.
Lui, S21NX, il 'numero Ventuno', condivideva con quel pilota deceduto solo le memorie.

'Io sono diverso da lui' ripeté il Coordinator a se stesso, trovando il pensiero incredibilmente consolante. Anche se neppure quello poteva interamente cancellare il dolore che sentiva dentro, bruciante come le fiamme dell'esplosione che avevano divorato il suo corpo.

Non resistette alla tentazione, e girò di nuovo la testa verso la televisione; i suoi impianti ottici seguirono Athrun, Kira e i suoi ex-amici mentre sparivano nella folla.

'Numero Ventuno' aveva sempre cercato di essere un bravo figlio per i suoi genitori, un onesto e leale amico per i suoi compagni d'arme, un obbediente soldato per i suoi superiori e, addirittura, un onorevole e misericordioso antagonista per i nemici di PLANT. Aveva voluto così tanto crescere e diventare un uomo degno di stima. Per quello non aveva mai maledetto nessuno durante la sua intera, breve vita.

Ma non poté fermare il pensiero che gli sovvenne, tanto naturale quanto, mesi prima, erano state le note delle melodie che aveva amato suonare al pianoforte.

"Vi odio" mormorò il Coordinator, augurando, a loro e alle persone che amavano, lo stesso dolore che lui stava provando. Lo stesso strazio che stava tormentando i suoi genitori.

  
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