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Autore: crazyhorse    17/04/2011    2 recensioni
Due scienziati: lei disordinata e confusionaria ricercatrice sconosciuta di una taccagna università italiana,lui genio universalmente riconosciuto, ordinato e perfetto, nonché professore di una splendente università americana. Caos e perfezione s'incontrano e si mescolano con le paure e le emozioni dei protagonisti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TUTTA QUESTIONE DI ENTROPIA Una precisazione: i due protagonisti di questa storia sono due scienziati. Inutile dire che il 90% di quello che di scientifico ho scritto me lo sono inventato di sana pianta.

SWAN(1)

Le persone possono essere disordinate in modi differenti. C'è chi è disordinato nella propria mente, nei propri pensieri, nei propri desideri e in tutto quello che c'è dentro di loro, per cui queste persone non potranno mai avere ordine neanche nella propria vita, nel proprio lavoro o nella propria casa. Poi ci sono i disordinati cronici, quelle persone che fin dal momento in cui riescono a stringere fra le mani un sonaglietto da neonati a quando esalano l'ultimo respiro creano caos dal nulla in tutto quello che li circonda. Ci sono i finti ordinati, quelli che vogliono far credere a tutti, ma proprio a tutti, loro per primi, di essere persone efficienti, puntuali e che hanno tutto sotto controllo, ma se ti azzardi ad aprire un cassetto, che sia un cassetto di casa loro o un cassetto della loro mente, dentro potresti trovarci cose inimmaginabili. Infine ci sono quelli che negano il loro stato di disordinati. Questi ultimi sono i peggiori perchè sono convinti che il loro sia ordine e tutto il resto no.
La dottoressa Maria Luce Medici era un miscuglio di tutto questo, era una finta ordinata cronica ma lei non se ne sarebbe mai accorta. A dimostrazione di questo, chiunque le facesse notare che nel suo ufficio o in uno dei suoi armadi di casa non si sarebbe riusciti a trovare neanche il proverbiale pagliaio (attenzione non l'ago, ma prorpio l'intero pagliaio), lei rispondeva candidamente: -Non è vero, io trovo sempre tutto quello che mi serve!-. Insomma nella vita di Luce regnava il caos assoluto su tutto: casa, matrimonio, ufficio, famiglia, tutto. Cioè, quasi tutto, perchè nel suo lavoro era un genio.
La casa di Luce era un piccolo appartamento di meno di ottanta metri quadrati vicino all'aeroporto di Bologna che sembrava il posto più ordinato sulla faccia della terra. Non si sarebbe trovato un granello di polvere fuori posto neanche a cercarlo con la lente d'ingrandimento. Tuttavia sarebbe stato utile appendere su ogni anta o pensile di ogni mobile che arredava quell'appartamentino un cartello con la seguente scritta: "CHI APRE QUESTO SPORTELLO LO FA A PROPRIO RISCHIO E PERICOLO". In effetti per evitare la massa di roba ammonticchiata dentro ogni mobile senza un criterio particolare che avrebbe potuto crollare da un momento all'altro, bisognava essere dotati di riflessi felini o dello scatto di un centometrista. La sua macchina, un piccola utilitaria rossa, non era sporca, solo ci si poteva trovare di tutto: da una bottiglia di acqua minerale a un paio di scarpe, passando per un compendio di anatomia dei mammiferi. Il suo ufficio, cioè il suo stanzino più che altro, nel Dipartimento di Fisiologia Animale dell'Università, era un sistema caotico per definizione: riviste, libri, tesi di laurea e di dottorato, compiti da correggere, stampate di dati da analizzare e cd-rom ovunque, si susseguivano senza soluzione di continuità.
Però c'era un posto, il suo "Regno", come lo chiamava lei, dove invece tutto era in perfetto ordine. Quel posto era il suo laboratorio. In esso ogni spruzzetta per l'acqua pura era sempre piena e riposta sulle mensole di vetro sopra i piani di lavoro candidi, le petri per le colture cellulari erano impilate una sull'altra perfettamente e ogni pila differiva da quella accanto per i diversi terreni di coltura che potevano servire, i puntali delle pipette erano inseriti negli appositi espositori i quali erano poi ordinati per volumi crescenti, i reagenti erano stoccati nel ripostiglio in ordine alfabetico o in frigorifero seguendo lo stesso criterio, i piccoli recipienti trasparenti per effettuare le centrifughe o le PCR erano riposti in contenitori a fianco di ogni macchina. Quel laboratorio era l'orgoglio di Luce, in esso aveva svolto le ricerche per la tesi di dottorato, e dopo aveva portato a termine il suo primo progetto, quello che le era valso un premio che avrebbe ritirato durante un congresso organizzato dal CNR che si sarebbe svolto a Roma a metà aprile.
-Luce!! Dov'è la mia cravatta blu a righe?!-
Gianluca, il marito di Luce, aveva passato l'ultima mezz'ora di quella mattina a cercare la sua cravatta preferita, ma senza successo e adesso cominciava ad innervosirsi. Lei gli rispose in tutta fretta afferrando i vestiti dalla sedia di fianco al suo lato del letto e fiondandosi in bagno per cambiarsi:
-Al suo posto!!- rispose mentre pensava: "E' mai possibile che quell'uomo non riesca mai a trovare niente senza che io debba intervenire?!"
-E qual'è il suo posto?!- ora Gianluca era irritato: le sue cravatte non avevano mai avuto un "loro posto", come del resto quasi tutto in quella casa.
-Dov'è sempre stata!- Luce rispose dal bagno infilandosi un paio di jeans neri.
-Già...è proprio quello il problema!- sussurrò lui sconsolato aprendo per l'ennesima volta l'anta dell'armadio.
Mentre il marito ancora cercava, Luce uscì dal bagno con indosso il suo solito abbigliamento: jeans, camicia e felpa. Indossò al volo una giacca leggera, prese la borsa e raggiunse Gianluca in contemplazione davanti all'armadio.
-Vedi? E' al suo posto nell'armadio!- sentenziò velocemente mentre faceva scivolare la cravatta di lui da sotto una pila di lenzuola pulite.
-Ah, non sapevo che il posto delle mie cravatte fosse sotto le lenzuola!- ribattè Gianluca stizzito.
-Beh, almeno è stirata, no? Scappo sono in ritardo...lo sai che fra tre giorni parto vero?- disse frettolosamente mentre già si avviava verso la porta.
Nelle ultime due settimane Luce aveva deciso di ripetere al marito tutti i santi giorni quello che lei doveva e soprattutto voleva fare, ma che lui temeva: partire per Roma per il congresso del CNR. Il marito di Luce non era un tipo geloso...finchè lei rimaneva nel raggio di venti chilometri da lui. Quando tale distanza cresceva, il disagio di Gianluca aumentava esponenzialmente. Lei, ovviamente, aspettava questo congresso come la nascita di un bambino e non ci avrebbe rinunciato per tutto l'oro del mondo, quindi aveva impostato una "tattica di reiterazione" per abituare il marito all'idea che per due giorni lui non l'avrebbe avuta sott'occhio. Tattica che aveva avuto come unico risultato una cresente irritazione dell'uomo. A Luce però non importava, lui avrebbe dovuto fare anche la fatica di farsela passare la sua irritazione, perchè lei, cascasse il mondo, avrebbe preso quel treno per Roma e si sarebbe goduta il suo momento di gloria senza sensi di colpa, pensò la giovane ricercatrice mentre avviava la macchina e si dirigeva verso una visita di controllo ad uno dei suoi soggetti sperimentali. Ovviamente l'idea di chiedere a Gianluca di acompagnarla le aveva sfiorato la mente, ma solo sfiorato, perchè lui che abbandonava il suo lavoro anche solo per due giorni sarebbe stato come Bin Laden che si lascia scappare da sotto il naso una bomba atomica: fantascienza.
Il premio che le avevano assegnato non era un premio qualunque, anche perchè era accompagnato da una borsa di studio che le avrebbe permesso di finanziarsi più della metà della sua prossima ricerca. Luce avrebbe ricevuto quel premio perchè la sua ricerca sull'utilizzo delle cellule staminali per curare le lesioni ai tessuti connettivi nei cavalli sportivi aveva dato risultati che avevano lasciato sorpresi tutti, anche lei fra parentesi, in termini di successo e tempi di guarigione degli animali. Ma non solo, a quel premio era stata annessa una menzione speciale del comitato etico, cosa del tutto straordinaria per gli scienziati che fanno sperimentazioni sugli animali. Tale menzione l'aveva resa orgogliosa del suo lavoro e di tutti i suoi sforzi per difendere la salute e la dignità dei cavalli che erano stati inclusi nel suo studio. Mentre tutti gli altri ricercatori che lavoravano con gli animali riservavano a questi ultimi un destino bieco e tremendo, nonostante venisse mascherato con il nome di "sacrificio", lei aveva organizzato il suo progetto in modo da condurre i suoi studi su animali che avrebbero continuato a vivere un'esistenza serena e tranquilla in qualche maneggio dove i loro prorprietari li avrebbero viziati con mele e zucchero a volontà. Questo particolare protocollo sperimentale aveva provocato un aumento enorme del suo lavoro, ma non le era importato perchè dopo tre lunghissimi anni di viaggi per tutta l'Emilia-Romagna, il Veneto e la Lombardia fatti di visite preventive, interventi chirurgici e periodiche ecografie di controllo si era affezionata a quelle bestie come se fossero state sue. Per questo era orgogliosa di quella menzione del comitato etico che altri scienziati avrebbo vergognosamente snobbato.
La visita andò più che bene, anche perchè quando lei era arrivata a destinazione, il suo "soggetto sperimentale" era impegnato in un percorso di salto con ostacoli alti un metro e venti, il che aveva reso la sua ecografia di controllo del tutto superflua. Quel cavallo rappresentava il suo successo più grande; secondo Luce, inoltre, era più intelligente lui della metà degli esseri umani che popolavano il globo terrestre messi insieme. Nonostante clinicamente l'animale fosse in forma smagliante, Luce aveva comunque bisogno delle immagini del tendine perfettamente guarito da inserire nella sua presentazione per il congresso, quindi portò a termine il suo esame, salutò Fabio, il cavaliere, e raggiunse l'Università per le dieci di quel grigio e piovoso mattino di aprile.
-Matt! Ciao!-
Matteo, il suo prezioso ed insostituibile assistente, era un ragazzo alto e magro con il pizzetto ed un cervello dalla perfetta ed infallibile organizzazione neuronale. Preciso e meticoloso, era già in laboratorio e stava preparando due colture di cellule da incubare.
-Ciao Luce!-
-Io vado in aula C a finire la presentazione!- lo avvertì.
-Certo! A dopo!-
Luce si richiuse la porta del laboratorio alle spalle e si fiondò nella piccola aula C prima che qualche scocciatore la coinvolgesse in qualche noiosissima conversazione che niente avrebbe avuto a che fare con il suo lavoro. Tutta bagnata e infreddolita si sistemò sulla cattedra, accese il suo portatile e comiciò a modificare la presentazione di PowerPoint per il congresso inserendo i dati e le foto degli ultimi giorni. Poi passò a cambiare il suo discorso alla luce delle nuove diapositive inserite. Così arrivò l'ora di pranzo, che lei passò sempre chiusa in aula C a buttare giù velocemente un panino al prosciutto annaffiato da una raffinata bottiglia da mezzo litro di pregiata acqua minerale presa al distributore automatico del dipartimento, per poi passare a studiare la nuova versione di suddetto discorso.
Il metodo di studio che Luce utilizzava da sempre, anche quando frequentava l'Università, era molto semplice: ripetere fino alla morte quello che doveva imparare. L'unico limite del suo sistema era la sua stessa voce che dopo due ore di continuo parlare finiva.
Quel giorno, alle tre pomeriggio Luce aveva mal di gola e mal di testa, ma era soddisfatta di sè:  la presentazione era efficace e coinvolgente, non molto breve, ma il dono della sintesi non le era mai appartenuto, quindi andava bene così. Spense il portatile, recuperò appunti ed esami clinici e si avviò direttamente all'ultimo piano dello stabile dove si sarebbe tenuta la riunione di dipartimento per organizzare il trimestre entrante di lezioni e la partecipazione al congresso di Roma. Decise volutamente di non passare dall'ufficio: la sola idea di entrare in quella confusione le fece venire il voltastomaco.
La riunione si sarebbe tenuta nella sala conferenze accanto all'ufficio del capo del dipartimento, la professoressa Camilla Cortesi. In effetti la definizione "sala conferenze" descriveva quella stanza in modo un po' ottimistico. In realtà si trattava di una camera di circa venti metri quadri con un tavolo ovale di legno scuro e sei sedie poste attorno a quest'ultimo; ma Camilla era così, ottimista, diplomatica e troppo attenta alle apparenze, per questo lei era Capo Dipartimento, mentre Luce forse sarebbe riuscita a conquistare faticosamente una cattedra impiegandoci trent'anni, forse.
Il Capo Dipartimento aprì la riunione alla quale partecipavano cinque professori, oltre a Luce e Camilla stessa:
-Bene, prima di cominciare ad accapigliarci per gli orari delle lezioni, direi di sbrigare le formalità per il congresso di Roma. Questi sono i vostri programmi e i vostri biglietti.- disse facendo scivolare sul tavolo sei cartellette contenenti vari documenti.
Quando Luce ricevette il plico a lei destinato, la prima cosa che fece fu tirare fuori il foglio del programma del secondo giorno e scorrerlo fino ad individuare il suo nome:
- ORE 16,00 DOTT.SSA M.L. MEDICI:  PRESENTAZIONE E CONFERIMENTO DEL PREMIO
Un brivido le corse lungo la schiena, mentre un sorriso liberatorio si appropriava del suo volto per restarci diversi minuti, cioè fino a quando non trovò fra i suoi documenti un volantino di colore rosa pallido:
-E questo cos'è??!!- esordì in preda al panico rompendo il religioso silenzio nel quale i professori stavano esaminando i loro programmi. Lo chiese anche se aveva già capito di cosa si trattava.
Camilla la guardò irritata e le rispose altrettanto irritata:
-Senti Luce lo so che non ti piacciono i party per la raccolta fondi, ma questa volta io non ci sarò, quindi dovrai arrangiarti da sola a trovare i maledetti soldi per le tue ricerche!- s'interruppe un istante, poi concluse più caustica della soda: -Ti prego di ricordare che negli ultimi due anni questa cosa l'ho sempre fatta io per te!!-
"Oh dannazione!! Che strazio!!" pensò mentre le sue spalle si piegavano sotto il peso delle pubbliche relazioni che non era capace di seguire.
-Bene, se non ci sono domande, darei il via alla guerra per gli orari delle lezioni!- sentenziò Camilla con sarcasmo.
A quel punto Luce, il cui morale aveva subito un duro colpo dopo aver appreso che sarebbe stata costretta a presenziare alla noiosissima festa organizzata dal CNR dopo il congresso, decise che la confusione del suo ufficio sarebbe stata decisamente più confortante rispetto a quel  pensiero:
-Se per me non c'è altro, io andrei...- disse timidamente.
-Certo, certo! A domani!- Camilla la lasciò al suo lavoro.
Rassegnata, Luce raggiunse il suo microscopico ed incasinato ufficio al pian terreno. Nonostante fosse piccolo e decisamente non in grado di contenere l'enorme mole di libri e qualunque altra cosa che lei volesse farci stare, a Luce il suo ufficio piaceva. A parte i tristi mobili che le aveva fornito l'Università, lei ci aveva aggiunto un paio di piante grasse (altri tipi di piante non sarebbero sopravvissute a Luce) e una bella lampada da tavolo con lo stelo dorato ed il paralume verde che, non sapeva bene perchè, ma era convinta desse al suo studio un'atmosfera stile "Rita Levi Montalcini". Oddio lei non aveva mai conosciuto Rita Levi Montalcini che magari non aveva una lampada come quella, ma a Luce piaceva immaginarsela nel suo studio illuminato da una lampada uguale, mentre scopriva  l'NGF e pensava al premio Nobel.  La cosa che le piaceva di più del suo ufficio, però, era la grande finestra, di fronte alla scrivania, che si apriva sul lussureggiante e curato giardino interno del dipartimento e che rendeva quella stanza particolarmente luminosa; tale finestra era addobbata con una tenda in tessuto arancio con balze drappeggiate che Luce teneva sempre aperta, ma che la metteva di buon umore ogni volta che la guardava. Il tocco finale era un quadro di circa un metro per un metro che raffigurava una margherita in diverse combinazioni di colore in stile Andy Wahrol: un po' kitsch ma rendeva l'ambiente ospitale ed allegro.
Sbuffando e senza prestare troppa attenzione, la ricercatrice appoggiò la borsa del portatile sul tavolo, facendo cadere una pila di riviste scientifiche che da settimane doveva restituire alla biblioteca. Non l'aveva mai fatto, c'era sempre un dettaglio in quello o in quell'altro articolo che lei aveva bisogno di verificare, quindi quelle riviste ormai appartenevano al suo ufficio.
-Oh...accidenti che disastro!-
Si chinò per raccogliere i giornali e l'occhio le cadde su un numero di "Nature" dell'inizio dell'anno, aperto in corrispondenza di un articolo pubblicato dal guru della ricerca sulle cellule staminali: il professor Jay Reynolds dell'Università Statale del Texas. Luce aveva letto e consultato quell'articolo così tante volte che ormai le pagine erano consumate. La cosa che l'aveva colpita la prima volta che l'aveva letto era l'elenco infinito di ricercatori che avevano partecipato a quella pubblicazione: sette righe fitte fitte di nomi scritti con caratteri piccolissimi. Mestamente pensò al suo di articolo, quello che aveva pubblicato per la sua premiata ricerca, una scintilla di orgoglio si riaccese in lei. I nomi delle persone che avevano effettivamente partecipato alla ricerca erano due, il suo e quello di Matteo. "Solo due, che tristezza" pensò ancora. Così, un po' per confondere le acque e far apparire la sua ricerca più vasta di quello che era, e un po' per "ungere" chi di dovere, Luce e Matteo avevano deciso di inserire altri nomi: primo fra tutti quello di Camilla, ovviamente, poi quello di due dottorandi che più che altro avevano offerto supporto morale a loro due, infine, proprio per non farsi mancare niente, anche i nomi di due tesiste che avevano svolto l'ingrato compito della conta delle cellule delle colture. Il tutto si esauriva in due righe di nomi scritti a caratteri grandi.
Luce aveva pensato spesso al professor Reynolds. Ok, a dire la verità aveva anche cercato in internet delle foto, ma a quanto pareva il professore era una persona molto riservata. Va bene, una volta, consumata dalla curiosità come una scimmia, aveva anche guardato su YouTube. Solo una volta, però, e comunque non aveva trovato niente neanche lì. Possibile che della faccia di questo tizio non esistesse neanche un pixel nel cyberspazio?
Tuttavia, foto a parte, di lui qualcosa in rete circolava: laurea con il massimo dei voti, PhD, titolare di ben due cattedre presso l'Università Statale del Texas a Dallas, DUE, ed ultimo, ma non per questo meno importante, anzi, l'anno prima era diventato il più giovane Presidente mai eletto della Società Americana per la Ricerca sulle cellule staminali, IL PIU' GIOVANE. Trentacinque anni. TRENTACINQUE! Questo tizio aveva solo un anno più di lei ed era già arrivato. Luce arrossì pensando al suo microscopico ufficio, alla sua microscopica ricerca ed al suo microscopico stuolo di aiutanti: Matteo.
"Che diavolo! Anche io mi sono laureata con il massimo dei voti! Ed in una delle migliori università d'Italia! E anche io ho preso il dottorato! Sto per ritirare un premio per la mia ricerca! LA PRIMA! Anche lui avrà pur cominciato in un microscopico ufficio!" pensò per tirarsi su di morale. Scorse velocemente l'articolo del professor Reynolds: molto tecnico ed approfondito descriveva nei minimi particolari i protocolli sperimentali; i rusltati della ricerca erano confutati da un tripudio di grafici e tabelle, e le conclusioni non solo non facevano una piega, ma non lasciavano adito a dubbi sul fatto che la tesi del professore fosse corretta; in quel caso l'articolo trattava della integrazione delle cellule staminali eterologhe con i tessuti dell'ospite. Quell'articolo era talmente razionale ed ordinato da far accapponare la pelle! Sicuramente questo Jay Reynolds sarà stato anche un genio, ma Luce era altrettanto sicura che fosse uno di quei topi da biblioteca, pallidi, smilzi ed allampanati, con le spalle curve, l'aria ebete e gli occhiali con due fondi di bottiglia al posto delle lenti.
Sospirando mise da parte il professor Reynolds e le sue sette righe di nomi di assistenti e prese in mano gli esami scritti di Fisiologia Animale Generale I che Camilla le aveva dato da correggere. Le tre ore successive, Luce le passò immersa nel sistema nervoso dei mustelidi, nell'apparto urinaro dei pesci rossi, nel metabolismo osseo delle iguane e nei processi omeostatici idrico-salini dei cammelli. Tutte le volte che apriva un compito provava pena per quei poveri studenti che avevano dovuto rispondere alle diaboliche domande di Camilla. Ma come faceva quella donna ad essere così contorta? Poteva passare l'omeostasi idrico-salina dei cammelli che era un processo particolarmente caratteristico, ma il metabolismo osseo delle iguane? E la domanda chiedeva specificatamente di elencare i fattori chimici ed ambientali che lo favoriscono o lo contrastano! Alla fine di quelle tre ore Luce aveva due certezze: certe volte Camilla era davvero malefica e quei poveri studeti avevano tutta la sua solidarietà. La prima volta che il suo capo le aveva dato degli esami da correggere, lei era rimasta esterreffatta! Ma davvero anche lei era stata costretta a rispondere a quelle domande assurde? Non se lo ricordava. In quell'occasione aveva esposto a Camilla le sue perplessità e lei aveva riso prima di risponderle in tono divertito: -Tesoro e come credi che ti abbia scovata?-
Mise da parte l'ultimo esame e guardò l'orologio: le sette e mezza. Era stanca ma non aveva nessuna voglia di tornare a casa e discutere con Gianluca del suo viaggio a Roma per la miliardesima volta. Ragion per cui, andò in macchina, prese uno zaino e si chiuse in bagno. Si cambiò: i jeans, la camicia e la felpa lasciarono il posto ad una comoda tuta blu; iPod in tasca ed auricolari nelle orecchie, uscì dal dipartimento per fare un giro di corsa all'interno del giardino che univa le facoltà di biologia, agraria, fisica e l'orto botanico. Ormai era quasi buio e i lampioni cominciavano ad accendersi dando alle stradine interne dell'ateneo un aspetto un po' retrò, nel quale Luce si sentiva perfettamente a proprio agio. Fece due volte il giro dei giardini e dopo un'ora era di nuovo al dipartimento.
Prima di rientrare fece un po' di stretching sotto un ippocastano un po' isolato rispetto al portone dell'ingresso posteriore. A quel punto, però, non aveva più scuse: doveva tornare a casa.
Con molta poca buona volontà, prese la borsa con il computer e lo zaino con i suoi indumenti e salì in macchina per dirigersi verso casa. Lungo il tragitto pensò al suo matrimonio. Eppure quando si era sposata amava Gianluca di questo era sicura, ma ora...ora con orrore le era capitato diverse volte di chiedersi perchè amasse suo marito e la risposta era la seguente:

Niente. Uno spazio vuoto, nella sua mente terrorizzata da un'unica cosa: la lettera scarlatta del divorzio. Ovviamente non aveva parlato con nessuno di questo suo pensiero, ma non per questo lui incombeva di meno.
Più si avvicinava a casa e più nella mente di Luce si faceva vivida l'immagine di lei e suo marito insieme: lui che parlava del suo lavoro e lei in silenzio. Le prime volte lo ascoltava e gli rispondeva, ma dopo un po', in particolare dopo aver realizzato che l'unica cosa a cui lui fosse interessato era lui stesso, Luce aveva smesso non solo di rispondergli, ma anche di ascoltarlo. Improvvisamente capì cos'era quella morsa che da mesi le attagnagliava lo stomaco implacabile e insistente: l'indifferenza di Gianluca verso di lei ed il suo lavoro, che, nel caso di Luce, coincideva anche con la sua persona.
Svuotata e rassegnata come tutte le volte che pensava al suo matrimonio giunse a casa:
-Ciao!- salutò il marito sdraiato sul divano a guardare la tv, come al solito aveva già mangiato.
-Ciao...ti ho lasciato della bresaola in cucina.-
Conciso, lapidario ed essenziale: questo era suo marito che le dava un caloroso bentornata a casa, senza neanche guardarla in faccia. Che soddisfazione!
Rimpiangeva i primi mesi di convivenza, quando lui, perchè lui sapeva cucinare mentre lei aveva difficoltà a cuocere un uovo al tegamino, le preparava succulente e fumanti zuppe di cereali e verdure pronte in tavola. Evidentemente questo pensiero si trasformò in un'espressione delusa del suo viso, perchè Gianluca ribattè quasi offeso:
-Guarda che io non sono il tuo cuoco!-
"Guarda che io non sono il tuo cuoco"???? Luce avvampò di collera:
-Già direi che l'hai messo in chiaro più di una volta, grazie! E magari io sono quella dal lavoro inutile che si fa mantenere vero?- ribattè inferocita.
-L'hai detto tu, non io!-
Ecco, quelle erano le volte in cui Luce avrebbe volentieri strangolato Gianluca. Gianluca, che credeva di essere il solo a lavorare, a fare le cose correttamente e ad avere ragione.
Lei decise di non ribattere; anche se le prudeva violentemente la lingua, decise di lasciar perdere, per non dare ai vicini qualcosa di cui spettegolare per il resto della settimana.
Andò in bagno e si concesse una lunga doccia calda sperando che l'acqua riuscisse a lavare via anche la furia che si stava moltiplicando dentro di lei. Non fu così, purtroppo.
Trangugiò velocemente la bresaola e si mise a letto, arrabbiata, anzi inviperita con suo marito, e cioè con la persona che più di tutti doveva essere fiero di lei per il traguardo che aveva raggiunto nel suo lavoro e che invece era la persona che meno la capiva al mondo.
Si addormentò, mentre una silenziosa lacrima bagnava il suo cuscino.

(1) "Swan" - Elisa
  
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