MIRACOLOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ok, non sono impazzita. È
solo che oggi è un giorno
importante!
E sì, perché
questa è la prima fic completa che
scrivo!!!! Yuppi-du!!!!
Ok, passiamo a cose serie. Come al
solito i personaggi non
sono miei quindi su di loro non ho diritti…. Ma sulla storia
sì!*___* *persa
nel mare dell’idee per le fanfic*.
Un’ultima cosa prima che
iniziate a leggere: questa fic la
potete leggere sia in chiave shonen-ai che normale; a voi la scelta. Io
ce la
vedo bene in entrambi i modi!^.^
Buona lettura!
Ombre
e Promesse
Nella fortezza di Asgard la notte era
già scesa e il sonno
aveva già catturato i suoi abitanti, lasciando solo ad
alcuni la forza di
resistergli.
Il silenzio della notte era rotto
ogni tanto dal canto
furioso del vento che accompagnava la bufera di neve che si stava
scatenando
all’esterno, ricoprendo tutto con una candida coperta.
Nonostante il continuo lamento gli
abitanti del castello
riposavano sonni tranquilli, protetti dalle maestose mura di pietra e
riscaldati dalle calde coltri e dalle pesanti pellicce.
Circondato dal meraviglioso mondo del
sogno, il cavaliere
della tigre del nord sognava tranquillo e rilassato, sicuro che nessuna
minaccia gli era vicina. Il suo cosmo l’avrebbe avvertito
altrimenti.
Ma come noi stessi viviamo con la
nostra ombra senza
accorgerci che è sempre con noi, così Mizar non
percepiva che non era il solo
in quella stanza. La sua ombra era con lui, come sempre.
E così, circondato dalle
tenebre della notte, il cavaliere
dalla candida armatura si avvicinò silenziosamente al letto,
lo sguardo fisso
al suo occupante.
Gli occhi chiari scrutavano con
attenzione e avidità quei
lineamenti così simili ai suoi non trovando neppure un
dettaglio di differenza.
Piano piano si sedette sul bordo del
letto, sprofondando
appena nella morbida pelliccia che ricopriva le lenzuola, continuando a
fissare
il viso del fratello gemello.
Fratello…
Già, suo fratello.
Nato dal seme dello stesso padre, dal
ventre della stessa
madre…lo stesso sangue nelle vene.
Eppure io
sono stato
abbandonato!
Abbandonato. Buttato via come un
rifiuto. Dalla sua stessa
famiglia. Dalle stesse persone che gli avevano dato la vita.
E avevano scelto lui!
Tra loro due avevano scelto di
abbandonare lui.
Lasciandolo tra le grinfie della
fredda neve e del gelido
vento di Asgard.
Sarebbe potuto morire e solo
perché erano due, invece di uno
solo.
Si allungò lungo il corpo
addormentato di Mizar,
sfiorandogli con le lunghe ciocche la morbida pelle del collo e degli
zigomi.
Alcor fissò i suoi capelli
disegnare astratti ghirigori su
quella color latte.
Una pelle così chiara,
così bianca: come una tela immacolata
su cui l’artista immagina e crea meraviglie grazie a colori
vivaci o cupi,
caldi o freddi.
E lui, quella sera, voleva essere
l’artista che avrebbe
tinto di rosso sangue quella tela bianca.
Con un elegante movimento del polso
estrasse i suoi artigli
bianchi, brillanti nel buio come la bianca falce in una notte senza
stelle.
Silenzioso, come il felino che
rappresentava, accostò gli
artigli alla gola del gemello; il filo accostato alla gola,
là dove la vena
pulsava.
Poco, bastava così poco.
Una piccola pressione e tutto sarebbe
finito. E lui sarebbe
stato libero di uscire dall’ombra.
Piegò indietro il polso
caricando il colpo fatale, pronto a
portare a termine il suo obiettivo.
Eppure, quel colpo, non
arrivò mai.
Alcor fu fermato
Da un altro dei sette cavalieri di
Asgard? Da una guardia
del castello passata per caso nel corridoio oltre la porta? Oppure
dalla stessa
Hilda di Polaris, regina di quelle fredde lande?
No.
Non fu nessuna di queste persone a
fermare il fatale colpo
di Alcor.
Bensì un sorriso.*
Un sorriso nato dal sogno sul viso di
Mizar.
Un sorriso che lui aveva
già visto da bambino.
Lo stesso sorriso che aveva rivolto
ad un coniglietto
spaurito e ferito in mezzo alla neve.
Lo stesso sorriso che aveva rivolto
al lui-bambino solo
qualche istante dopo.
Un sorriso dolce che gli aveva
riscaldato il cuore, prima
che la rabbia glielo bruciasse con le sue fiamme distruttive.
Passò lunghi attimi a
fissare nel silenzio della notte il
viso sorridente del gemello, con solo il bisbigliio del vento come
compagno.
Lo stridire del metallo*
rimbombò nel silenzio della stanza
come un boato.
Alcor aveva ritirato i suoi bianchi
artigli ma non aveva
ancora distolto lo sguardo dal volto di Mizar.
Lentamente, senza destare il minimo
rumore, si allungò lungo
il corpo addormentato del fratello, per sistemarcisi sopra.
Le ginocchia appoggiate ai lati del
bacino, il petto che
sfiorava delicatamente quello dell’altro, mosso dal leggero
respiro.
Le braccia affondate nel bianco
cuscino, come a creare una
culla per quel capo dolcemente ripiegato di lato.
I freddi occhi di Alcor fissavano
insistentemente le
palpebre chiuse di Mizar. Poteva quasi contare tutte le singole ciglia
che
ombreggiavano le pallide guance.
Assottigliò appena gli
occhi, come se non riuscisse a vedere
bene, e lentamente, con movimenti controllati per non rischiare di
svegliarlo,
avvicinò il viso a quello del gemello.
Si fermò solo quando si
ritrovò con la bocca ad un soffio
dall’orecchio dell’altro.
Inclinò appena un
po’ il viso annusando l’odore che emanava
il suo fratellino addormentato. Si azzardò pure a strofinare
la propria guancia
contro la morbida pelle dell’altro ragazzo.
Quella era la prima volta che avevano
un contatto fisico: nemmeno
quando si erano incontrati faccia a faccia da bambini si erano toccati.
Era bella la sensazione di un altro
essere umano. Era caldo
e morbido e sapeva di buono.
Era davvero una bella sensazione.
Sospirò pesantemente.
Tutto questo era un errore. Lui
avrebbe dovuto uccidere
Mizar, aprirgli la gola in quello stesso letto e poi prendere il suo
posto come
guerriero del nord.
Eppure, in quel momento, lui era
disteso sopra ad un Mizar
addormentato… e vivo!
L’ombra stava toccando il
corpo che le dava forma. Erano
insieme, uniti, non più separati l’uno
dall’altro.
Appoggiò le labbra sulla
conchiglia dell’orecchio.
“Per il momento mi
ritiro.” Soffiò piano “Ma presto
l’ombra
uscirà alla luce e allora ci sarà la resa dei
conti, fratellino.”
Detto questo gli diede un morso al
lobo, sentendo la morbida
carne sotto i denti e il ferroso sapore del sangue.
Tirandosi seduto osservò
con soddisfazione le piccole
lunette rosse di sangue e il viso corrucciato di Mizar.
Con eleganza felina si
alzò dal corpo del gemello notando
distrattamente i segni che aveva lasciato sul letto.
Si avviò silenziosamente
alla porta (anche lui aveva bisogno
di riposare!) con passi talmente leggeri da quasi non sentirsi.
Così, come un bianco
fantasma che appare e scompare nel
buio, Alcor sparì nelle tenebre della notte lasciando a
Mizar un sonno
tranquillo e una promessa.
Che avrebbe mantenuto.
-Fine-
*1_ A questo punto qualcuno
avrà preso l’autrice per
scema! -.-‘’
*2_Non so di che materiale siano
fatti gli artigli delle
armature di Mizar e Alcor per cui … tiro a caso!^.^
Un grazie a tutti quelli che hanno
letto!
Se ci fossero errori di qualsiasi
genere non esitate a
dirmelo. L’ho scritta di getto quando mi è giunta
l’ispirazione.
(Miracolo!!!!!! Alleluja!!!!!^o^ ndA – Torna a lavorare a
quelle in sospeso,
scansa fatiche! ndAlcor – Schiavista! Mizar, Alcor mi
maltratta!!! ndA – Ronf
ronf… ndMizar - ---____---‘’’
Vabbè,
quando ti riprendi dal sonnifero!ndA).
Un Bacio a tutto il popolo di EFP!
TAU!!!^___^