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Autore: Iryael    18/04/2011    6 recensioni
Aprile 5402-PF, pianeta Veldin.
Lilith Hardeyns, diciottenne di Kyzil Plateau, trascorre la sua vita tra una famiglia inesistente, un coetaneo che la mette in difficoltà ad ogni occasione e un maestro di spada che per la giovane è anche un padre e un amico.
Sono passati sei anni da quando la ragazza ha incontrato Sikşaka, il suo maestro di spada, e Lilith ha acquisito un’esperienza sufficiente per poter maneggiare tutte le armi presenti nella palestra. Tutte tranne una: Rakta, una scimitarra che perde il filo molto raramente.
Lilith sa che quell’arma, il cui nome stesso significa “sangue”, richiede un’esperienza che ancora non ha.
Non sa che quella scimitarra ha origini molto più antiche di quel che sembra, né conosce il potere di cui è intrisa.
Ignora che qualcuno vuole averla ad ogni costo.
E nemmeno immagina che Rakta sta per diventare parte integrante della sua vita.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Queen, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 01 ]
Lilly e Sik
11 Aprile 5402-PF
Veldin, Kyzil Plateau
 
Posto di merda, gente di merda, vita di merda.
Lilith Hardeyns, lombax diciottenne, aveva le idee chiare in merito alla sua città. Camminava con le mani infossate nelle tasche dei pantaloni scuri, senza guardarsi intorno, facendo risuonare gli stivali sul selciato. Ad ogni passo che muoveva le piastrine militari battevano sulla sua canotta bianca e la sacca sulle spalle ondeggiava lievemente, ancora umida.
Ripensò alla sua mattinata scolastica, in cui la professoressa di scienze le aveva dato un quattro per la gioia di farlo, e in cui i suoi coetanei avevano deciso di farle saltare i nervi lanciandole addosso un arsenale di palline di carta, oltre ad annegarle lo zaino nella fontana della scuola.
Idioti. Preghino che riesca sempre a controllarmi, o qualcuno ci lascia qualcosa prima o poi, si disse, stringendo il manico del navaja che portava sempre con sé. Sfiorare il coltello la fece sentire sicura e forte, e in uno slancio di infantilismo lo estrasse e immaginò di affondare la lama nel braccio di Cole Shinagan; per non dire nel suo collo o direttamente nel cuore.
Fosse stata in mezzo a una via appena più trafficata, quel gesto probabilmente avrebbe attirato qualche urlo impaurito, ma in quel vicolo ombroso si avventuravano solo i randagi e non correva alcun rischio.
Dopo averlo fatto rimanere in equilibrio per qualche secondo sulla punta del dito lo lanciò a mezz’aria, lo riafferrò al volo e lo richiuse. Stava per uscire dal vicolo: sarebbe stato imprudente mostrare un coltello sguainato a chicchessia, per di più nei bassifondi.
Non appena la luce del sole la illuminò, rivelò il suo vello biondo striato di nero, gli occhi di un bel verde brillante e una lunga treccia color sangria, che ondeggiava ogni volta che voltava la testa. Quella zona dei bassifondi era la sua seconda casa, eppure ogni volta che ci passava non riusciva a trattenersi dal guardarsi attorno alla ricerca di nuovi particolari, nuove modifiche.
Bar e negozi si affacciavano sulla strada e con le loro insegne invitavano la gente a spendere i propri bolt nei modi più svariati. Un chiaro esempio fu l’insegna al neon del bordello che oltrepassò cento metri dopo, esattamente a metà fra un bar e un cinema.
Passando davanti alla casa del piacere ricordò di quando, sei anni addietro, si era avventurata per la prima volta tra quei quartieri. Gli angoli della bocca si alzarono.
Era stato quella sera che aveva conosciuto Sikşaka. Aveva dodici anni e si era inguaiata con un ubriaco. Quello aveva cercato di violentarla, e lui gliel’aveva impedito. Non c’erano state scene da film, in cui l’eroe le suonava elargendo frasi cazzute. Sikşaka le aveva date e le aveva prese, prima di mettere KO l’ubriaco con una tecnica che aveva rapito la giovane.
 
Oltrepassò anche l’ingresso di quel vicolo e proseguì fino in fondo alla strada, saettando con lo sguardo in ogni direzione. Poi scese una ripida scalinata, che la condusse sotto il livello della strada, davanti a un portone stinto.
La palestra l’accolse con la sua aria fresca e l’odore di parquet tirato a lucido. Era un ambiente largo e molto lungo, illuminato da una serie di plafoniere alle pareti. Quella lunga, alla sua destra, era piena di ogni genere di armi bianche; e al suo centro una nicchia era stata lasciata libera per una scimitarra dal cui manico scendeva un drappo rosso. Quella scimitarra era l’unica arma che Lilith non aveva il permesso di usare: la spada prediletta dal suo maestro, Rakta.
Come al solito rimase incantata a osservarne il profilo, così lucido che ci si sarebbe specchiata anche dall’altro capo della palestra. Rimase in contemplazione per alcuni istanti, poi si costrinse a proseguire.
Un corridoio correva accanto alla sala da allenamento e conduceva agli spogliatoi, ad una piccola segreteria e ad una cucinetta che Sikşaka chiamava infermeria. Sicura che avrebbe trovato il suo maestro a sorseggiare del tè, Lilith si diresse alla cucinetta e vide con aria soddisfatta che aveva ragione.
«Ciao Sik.» borbottò. Lanciò la sacca sulla poltrona all’angolo della stanza e buttò un occhio sul programma olovisivo che l’altro stava guardando.
«Oi, ciao Lilith!» salutò allegramente lui, come faceva sempre. Ormai non si stupiva nemmeno più di vederla arrivare direttamente da scuola, anzi: poteva benissimo ammettere che lui attendeva il suo arrivo con una certa impazienza. La giovane lombax indicò l’oloschermo con un cenno di testa.
«Hai scommesso di nuovo sul turno della DreadZone?» chiese, scettica.
«Eh già. Quei due del Team Darkstar stanno affrontando Ace Hardlight. È una bella sfida.» rispose pacatamente Sikşaka, portando la tazza alle labbra. Poi le indicò il frigorifero. «Ti ho lasciato qualcosa da mangiare, se hai fame.»
«Hn, grazie.»
Aggirò il tavolo in modo da non passare davanti all’olovisore e raggiunse il frigo, che aprì con un gesto secco. Individuò e prese subito la ciotola con l’insalata di riso, che per precauzione era stata chiusa con della pellicola trasparente; poi rovistò tra gli scaffali e guadagnò un cucchiaio, quindi si sedette e cominciò a mangiare guardando lo spettacolo con il suo maestro.
Anche Sikşaka era un lombax, ma aveva più del doppio dei suoi anni. Inoltre, a differenza di lei, il suo vello era color daino con le striature marrone scuro. Gli occhi erano di un caldo color mogano e, sebbene non ancora difettati dall’età, erano sottolineati da due rughe profonde.
Per Lilith quegli occhi erano una truffa, perché la loro espressione standard era tranquilla e paciosa. Invece, quando saliva in pedana, Sikşaka non ne aveva per nessuno. Si trasformava: la sua espressione diventava tagliente e le sue movenze veloci e potenzialmente letali. Non c’era allenamento in cui Lilith non si trovasse a terra con la lama alla gola, e sebbene fossero passati sei anni da quando aveva cominciato a seguire i suoi addestramenti, non pensava nemmeno di potersi paragonare a Sikşaka. Sarebbe stato semplicemente come paragonare un ciottolo a un pianeta.
«Ah, andiamo ragazzi, ho puntato cinquanta bolt su di voi!» incitò il maestro, vedendo come i due concorrenti evitarono fortunosamente una scarica di proiettili. «Non potete morire proprio ora!»
«Per me non ci arrivano in fondo.» commentò Lilith, prima di mettersi in bocca una cucchiaiata del pranzo.
«Oh, non dire così. Se facessero fuori quel pallone gonfiato io ci ricaverei cinquemila bolt. E credimi, non ci sputerei davvero sopra...»
«Nemmeno io, intendiamoci. Però guardali: non sanno per che verso prenderlo.»
La ragazza e indicò lo schermo, dove i due rivendicatori stavano cercando di spingere il campione in un angolo dell’arena.
«Il vero problema è che il tutù arancione di Ace riesce a convertire i danni ricevuti in energia extra per i nanobot. È la più grossa ladrata che si possa commettere, secondo me.»
«Ma anche gli altri due hanno i nanobot, no?»
«Sì, ma è come mettere una spada a due mani con un coltellino multiuso. Non c’è paragone.»
«E tu hai puntato sul coltellino? Quasi incredibile...»
«Era dato bene: se avessi puntato su Ace per poco non ci avrei rimesso, tant’era bassa la sua quota.» spiegò Sikşaka. «E a te com’è andata la mattinata?»
«Di merda come al solito.» rispose la ragazza, imboccandosi di nuovo e guardando l’olovisione.
«Cole ti ha di nuovo dato fastidio?» chiese ancora il maestro, chinandosi a cercare lo sguardo dell’allieva.
«Cole ha dato il via, il resto lo ha fatto la sua cricca. Hanno cominciato sghignazzando del quattro e poi– »
«Quattro? E di cosa stavolta?» volle sapere lui.
«Scienze. La prof dev’essere entrata in menopausa stamani, visto che ha dato quattro a tutti.» spiegò Lilith, stringendosi nelle spalle.
«Hmm...» mugolò Sikşaka con disapprovazione. «Quando conti di recuperarlo?»
«Appena avrà finito di dare quattro al resto della classe, è ovvio.» rispose lei, finendo velocemente il suo pasto. «Grazie del pranzo. Ne avevo bisogno, visto che il mio è andato.»
«Cos’è successo dopo il quattro?»
«È successo che a ricreazione la mia sacca si è inspiegabilmente lanciata dalla finestra per un tuffo nella fontana in cortile.»
«E ovviamente non è stato nessuno, eh?»
«Te l’ho detto, ha fatto tutto da sola.» rispose ironicamente Lilith. «Mi sa che si anima quando non guardo, dovrò stare attenta o potrebbe tentare di strangolarmi con le cinghie...»
«Quindi oltre al pranzo avrai trovato anche tutto il resto rovinato, suppongo.»
«Eh già.» rispose lei. «Senti, non è che mi daresti una mano con matematica? Non ci ho capito una fava.»
«E tuo padre non lo hai avvisato?» domandò Sikşaka, aggirando la domanda della ragazza. Lilith, che stava per andare a riporre la ciotola vuota nel lavandino, trattenne una moto di stizza.
«Non lo sento da più di un mese, quello.» replicò duramente. «Credo che sia nella Via Lattea, da qualche parte verso il centro. E poi, se non si preoccupa lui di ricordarsi che qui ha una figlia, cosa glielo ricordo a fare? Di certo il tempo perso non lo recupera più.»
Il maestro la guardò con una certa amarezza. Lilith viveva con il padre, che faceva il trasportatore e non era mai a casa. In pratica era cresciuta da sola, sfruttando i soldi che suo padre le allungava di tanto in tanto: non c’era da stupirsi che si mostrasse estremamente pratica e poco disposta a parlare del suo genitore.
«Allora, mi aiuti con matematica?» chiese nuovamente lei, tornando rapidamente al discorso precedente. «L’ultima volta gli esercizi andavano bene, anche se la prof ha contestato la tua definizione.»
«Farò del mio meglio.» rispose Sikşaka, riprendendo al volo la sua aria serena. «Sempre analisi di funzioni?»
«Eh già.»
«Te le faremo entrare in testa, vedrai.» asserì con un sorriso. «Il testo si è salvato?»
«L’ho messo ad asciugare quando ho recuperato la sacca. Credo che sia ancora un po’ umido, ma dovrebbe essere leggibile.»
«E...» lo sguardo del maestro fu attirato dall’olovisore, dove Ratchet e la sua compagna sembravano aver finalmente intrappolato Ace Hardlight sul bordo dell’arena. «E dimmi, come hai risposto a Cole?»
«Oh, è stata una zuffa verbale. Quel coglione non ha nemmeno l’inventiva per andare oltre alle sue solite frecciate.» rispose con noncuranza, alzandosi per andare a recuperare la sacca. «La prossima volta potrei tagliargli la coda, così magari mi lascerà in pace una volta per tutte.»
Quella frase attirò uno sguardo di rimprovero da parte di Sikşaka.
«Lilith, l’arte delle lame è da utilizzare a solo scopo difensivo e lo sai.» la ammonì. «Piuttosto, perché non lo denunci?»
«Perché non posso pagarmi l’avvocato.» rispose lei, semplice e schietta. «C’è quello d’ufficio, sì, ma con la voglia di lavorare che hanno quei colletti bianchi come minimo alla fine mi tocca pagare una multa per calunnia alla famiglia del povero Cole. E poi sta’ tranquillo, non l’ho ancora accoltellato.»
«Ci mancherebbe altro!»
«Hn, lo so che finiresti nei guai anche te, che sei il garante del mio porto d’armi.» rispose la ragazza, appoggiando la sacca sul tavolo per tirarne fuori il contenuto. «Principalmente è questo che può ringraziare quel mangiamerda se ha ancora tutti gli arti al loro posto; e comunque non voglio dargli il pretesto per atteggiarsi a vittima.»
Sikşaka annuì.
«Capisco e condivido. È la cosa migliore da fare.»
«Cosa, chinare la testa e subire?» domandò ironicamente Lilith.
«Non dargli il pretesto, scemotta!» la rimbeccò bonariamente il maestro, afferrando il libro di matematica e constatando che era effettivamente ancora umido. «Questo deve prima asciugare, o gli strapperemo le pagine solo per guardarle.» disse.
«Sai che perdita...»
«Lilly! Vuoi una mano o vuoi un altro quattro?»
«Per carità! Di quelli se ne fa sempre a meno!» rispose lei, alzando le mani in segno di resa. «Vado a prendere il ventilatore.»
 
Quando tornò nella cucinetta con l’attrezzo, Sikşaka era in piedi con gli occhi sgranati davanti all’olovisore.
«...ed è incredibile signori quanta energia riesca a sviluppare quella ragazzina! Juanita, che ne pensi?»
«Penso che sia frutto di qualche modifica illegale alle proprie abilità, Dallas. Che finalmente qualcuno sia arrivato a capire come estendere i poteri di un esper? Sarebbe bello saperlo!»
«Giusto, Juanita, ma adesso guarda! Con uno spirito eroico a dir poco stupefacente, Ace Hardlight non si è sottratto alla scarica di fulmini e adesso ne sta approfittando per contrattaccare! Signori, che sfida elettrizzante...»
Il lombax sospirò e tornò a sedersi.
«Stragalassia, ho rischiato di vincere cinquemila bolt!» sospirò, mentre Lilith collegava il ventilatore alla presa elettrica. Poi l’accese e vi mise davanti tutto il contenuto della sacca, cercando di far arieggiare i libri e i quaderni umidi. Dietro di lei, le voci dei commentatori DreadZone andavano avanti con la loro attività denigratoria verso il Team Darkstar e Sikşaka di tanto in tanto rispondeva alle loro insinuazioni palesemente false.
«Sik, hai mai pensato di andare a vederli dal vivo?» domandò la ragazza dopo l’ennesimo commento del maestro.
«Ah ah! Sarebbe un sogno!» ridacchiò lui.
«Potresti farti assumere come commentatore, così non dovresti nemmeno pagare l’ingresso.»
Poi lo schermo si fece silenzioso. Anche Sikşaka trattenne il respiro e Lilith, preoccupata, si voltò per vedere cosa fosse successo.
«...Non è possibile...» biascicò Dallas, mentre la telecamera zumava progressivamente sull’arena e mostrava via via sempre meglio il corpo prono di Ace Hardlight. La sua armatura era spenta, la tuta bruciata in alcuni punti e in volto aveva un’espressione stupita, come se non si aspettasse un finale del genere. «...Chiamate una barella, chiamate i soccorsi, qualcuno faccia qualcosa insomma!»
I due componenti del Team Darkstar vi si avvicinarono con cautela e Ratchet calò il casco, le armi già riposte nell’armatura. La ragazzina lasciò che l’energia elettrica sfrigolasse ancora attorno alle sue mani, e smaterializzò il casco solo dopo qualche secondo. La telecamera passò loro davanti e inquadrò tutto: lo sguardo carico di pietà del lombax, quello d’odio dell’umana e lo stato pietoso del campione, che mormorò poche frasi indistinguibili prima di spirare. Solo allora le scintille smisero di crepitare attorno alle mani della ragazzina, e Ratchet gli chiuse gli occhi.
«È...è terribile...» farfugliò la robot commentatrice, sgomenta. «Ace...il nostro Ace...è morto...»
«E il nostro Sik ha vinto cinquemila bolt.» commentò Lilith, senza pietà. L’altro era a bocca spalancata.
«Ho...davvero, ho vinto...ho vinto!!!» gridò, felice. Saltò in piedi e andò a chiudere Lilith in un abbraccio stritolante. «Haa!!! Ho vinto, ho vinto!!!» esclamò, al settimo cielo. «Ma ci credi? Potrò finalmente rimettere a nuovo la palestra!»
«Ehm...Sik...»
«Molla lì i libri ragazza: oggi non si fa niente e ci godiamo la vincita!» esclamò.
«Ma l’allenamento...l’arte delle lame dice che...» protestò la giovane, sconcertata.
«Ah ah! Lo so cosa dice l’arte, ma non capita tutti i giorni di vincere una somma così!» replicò lui, incrollabile. «Quindi oggi mi rifiuto di aprire la palestra! Se vuoi farti un giro con me sei più che ben accetta, sennò sei libera di fare come vuoi!»
«Almeno dopo dammi una mano con matematica!» protestò Lilith, indicando i libri davanti al ventilatore. «O domani il prof mi mette alla gogna!»
«Ah ah! Va bene, li faremo stasera! Ora andiamo a ritirare il premio!»
* * * * * *
Alla fine l’allegria di Sikşaka contagiò anche Lilith, che smise la sua espressione corrucciata. Dopo aver accreditato la vincita sulla carta del maestro, i due si diressero nel quartiere commerciale. Non trovarono nulla di particolarmente interessante, ma si divertirono lo stesso a girare e commentare tutti gli oggetti che capitarono loro a tiro. Quando venne loro fame andarono a sedersi in un bar sul belvedere e passarono un po’ di tempo parlando dei progressi di Lilith e ricordando la sera in cui si erano incontrati. A quel punto la ragazza sembrò rabbuiarsi, e Sikşaka se ne accorse subito.
«Qualcosa non va?» chiese.
«Cole.» disse semplicemente, spingendo indietro la sedia per alzarsi. Il maestro si voltò e individuò il giovane lombax bruno che aveva placcato al suolo un suo simile e gli intimava di dargli qualcosa. Lilith fece per correre in direzione del suo nemico numero uno, ma Sikşaka la trattenne.
«Lasciami, lo pesterà a sangue!» esclamò lei, indignata. Ma il maestro diniegò con la testa.
«Ricordi? Non dargli pretesti.» le disse. «Fai andare me, e goditi la scena. Avrai un buon argomento con cui prenderlo in giro domani.»
Pur contrariata, la ragazza non si oppose. Scocciata, si risedette e mise i piedi sul tavolo.
«Prego.» disse fra i denti. Sikşaka le rivolse un sorriso gentile.
«Grazie.» E si diresse con tutta calma verso Cole e i suoi due scagnozzi. Il lombax a terra intanto piagnucolava di lasciarlo stare, che lui non aveva vinto niente e non aveva niente da dare loro. A Lilith parve di riconoscere il quindicenne Evenezer “Lucky” Joule. Era uno che ci sapeva fare con le scommesse e i giochi d’azzardo, ed era molto accreditato presso i ragazzi di Kyzil Plateau. Lei ci si era rivolta una volta, aveva giocato dieci bolt e ne aveva vinti cento, salvandosi dalla società elettrica che minacciava di staccarle la corrente se non avesse pagato la bolletta. Peccato che il giovane non fosse un cuor di leone.
Sikşaka raggiunse la cerchia di Cole e vi si intromise.
«Qualcosa non va, ragazzi?» domandò con tutta la sua calma.
«Che cazzo vuoi, vecchio? Torna a bere il tè!» replicò con strafottenza quello dal pelo bianco sporco, che Lilith sapeva chiamarsi Evrard.
Cole cercò di fare girare Lucky di peso, ma il maestro frappose un piede fra i due, tenendo la spalla del quindicenne saldamente inchiodata a terra.
«Non lo farei.» disse. Immediatamente i due scagnozzi gli si pararono davanti e lo spintonarono all’indietro.
«Che cazzo vuoi?!» replicò lo stesso di prima.
«Impedirvi di compiere un’azione sconsiderata.» rispose con calma. «Quel ragazzo continua a dire di non avere niente da darvi, probabilmente non ha nulla davvero.»
«E tu che ne sai?» sbottò il secondo, noto come Naukara. Aveva il pelo grigio topo, su cui la cresta verde fluo spiccava come un faro nella notte. Anche lui come Evrard indossava un paio di occhiali scuri, un dettaglio che secondo loro enfatizzava la loro aura minacciosa. A sentire Lilith, invece, rendeva chiaro che erano due coglioni in coppia.
«Questo stronzo ci ha fregato duecento bolt!»
«Non è vero, siete voi che me li volete rubare!» piagnucolò Lucky.
«Zitto!» lo ammonì Cole, tirandolo dolorosamente per le orecchie. Sikşaka mosse di nuovo un passo avanti e affrontò i due che facevano da scudo.
«È evidente che il ragazzo non ha rubato niente. Lasciatelo in pace.» ordinò.
«Sennò?»
«Sennò vi forzo a farlo.»
I due se la risero di gusto.
«Ci forzi? Vecchio, se non te ne vai ora ti facciamo diventare uno zerbino!» esclamò divertito Evrard, scostando appena la giacca per lasciar intravedere il manico del coltello a farfalla che aveva infilato nella cintura. Rapido come un furetto, Sikşaka lo colpì al petto con il piatto della mano, e il giovane barcollò pericolosamente all’indietro. Subito dopo colpì di taglio il fianco di Naukara, che si piegò e gli offrì il petto scoperto: il maestro non si fece scappare l’occasione e lo allontanò con lo stesso colpo usato sull’altro. Quindi si avvicinò a Cole e Lucky, che nel frattempo si erano rotolati in terra cominciando una sorta di zuffa dove, più che altro, il più giovane cercava di riuscire a scappare. Cole lo aveva bloccato a terra, e Lilith vide Evrard e Naukara riprendersi e sfoderare i coltelli.
Eh no! pensò scattando in piedi, la mano già corrente al navaja nella tasca posteriore. Pochi passi veloci e si frappose fra i due e il maestro, con le orecchie basse e il coltello sguainato nella guardia detta “filippina”.
«Giù le lame, voi!» sbottò rabbiosamente. La mano armata, più bassa di quella che avrebbe dovuto servire come scudo, era pronta a scattare in un affondo, le gambe leggermente flesse pronte a reggere il suo peso negli spostamenti veloci e continui.
«Oooh!» esclamò con meraviglia strafottente Naukara. «Guarda chi si fa sotto...»
«La nostra Lilly vuole farsi del male...» gli fece eco Evrard, compiendo un rapido gioco di destrezza con il balisong per impressionare la ragazza.
«Mettilo via, che non lo sai usare.» commentò lei con sprezzo, flettendo appena le braccia.
Vedendo che Lilith non dava alcun segno di essere intimorita, ma anzi si atteggiava a padrona della situazione, il lombax dal vello chiaro partì all’attacco con un fendente diretto al braccio armato. Era un attacco semplice e basilare, che la ragazza schivò usando il braccio non armato per allontanare la lama. Preso dallo slancio, per Lilith non fu troppo difficile mandare Evrard a rotolare nella polvere, sebbene avesse una stazza ben maggiore rispetto a lei. A quel punto si rivolse a Naukara, e ancora prima che l’altro realizzasse cos’avesse fatto, la ragazza lo aveva costretto a rovesciare all’indietro il braccio fino a far sfiorare la lama del balisong contro il suo stesso collo.
«Lascia il coltello.» ordinò. Dietro di lui, aveva intrecciato un suo piede con quelli dell’avversario, cosicché se non avesse eseguito avrebbe potuto sempre costringerlo a cadere in avanti e causargli una lussazione o una rottura della spalla. Fiutando che la soluzione migliore sarebbe stata lasciar andare l’arma, Naukara aprì lentamente la mano fino a far scivolare il balisong a terra.
Con la coda dell’occhio Lilith vide che Evrard si stava rialzando, e si fece rapida a dare un calcio al coltello a terra per allontanarlo. Il lombax dal pelo bianco sporco non riuscì a fare più di due passi che Cole gli volò addosso, scaraventato da Sikşaka che, poco più in là, era visibilmente insoddisfatto.
«...Senza tecnica e senza cervello. Diamine, Lilith a dodici anni era più forte...quasi mi vergogno per lui.» brontolò a mezza voce, provocatorio. Cole schiumò di rabbia, e vederlo in quella condizione strappò un sorriso a Lilith. Una distrazione di troppo, che Naukara sfruttò per divincolarsi dalla presa della ragazza e ribaltare le posizioni, stando attento a evitare che la lama del navaja lo puntasse. Non riuscì a imitare la mossa che la giovane aveva usato contro di lui poco prima perché non la conosceva, ma riuscì a compensare la sua ignoranza con la stazza fisica. La bloccò stringendola a sé, facendo convergere la lama affilata del navaja sul petto della ragazza, ma prima che potesse fare qualcosa di più incisivo di una battuta spudorata, Lilith pestò il piede destro a terra con forza e menò un calcio all’indietro, conficcando la corta lama a scomparsa dello stivale nella tibia dell’avversario. Per una reazione istintiva Naukara la lasciò andare e si lasciò cadere a terra gridando dal dolore, mentre i preziosissimi pantaloni laceri andavano tingendosi di rosso.
«Ridi adesso, stronzo...» mormorò Lilith, allontanandosi da lui. Poco più in là Cole stava sostenendo Evrard, che dopo tre voli a terra sembrava sulla via di vomitare anche l’anima; mentre di Lucky non c’era più traccia.
Deve aver approfittato del casino per svignarsela, pensò prima di chiudere il coltello. Questo posso metterlo via, tra loro e me c’è Sik.
«Sta’ buono.» ordinò al lombax strillante, chinandosi su di lui. Tra un urlo e un’imprecazione gli sfilò la cintura per stringerla attorno alla coscia, improvvisandola in un laccio emostatico. «Là, pronto per l’ospedale.» commentò alla fine, giusto in tempo perché un’autopattuglia della polizia facesse la sua comparsa nel piazzale. Quando la vettura fu completamente ferma, Lucky uscì dal vicolo in cui si era rifugiato dopo che Sikşaka gli aveva tolto Cole di dosso. Teneva il chatter ancora in mano ed esibiva un piccolo sorriso di rivalsa, indice che ad avvisare la polizia era stato lui. Evrard lo vide e gli lanciò uno sguardo tagliente, mentre la portiera della pattuglia si apriva.
Sikşaka guardò perplesso l’ufficiale rubicondo che scese dalla vettura, Lilith rimase impassibile, inginocchiata a fianco di uno strillante Naukara e Cole si limitò a commentare con un secco «Oh, cazzo.»
 
Quella giornata si sarebbe conclusa in maniera imprevista, constatò il maestro mentre il poliziotto sgranava gli occhi per poi chiamare un’ambulanza via radio.

Ciao a tutti!
Questa volta parto dicendo che i personaggi canonici, se ci saranno, saranno solo di sfondo; quindi non c’è da aspettarsi l’intervento di Ratchet, Clank, Sasha o chi altri del cast dell’Insomniac. Un esempio c’è già stato in questo capitolo, dove Ratchet compare solo per far guadagnare una discreta somma al maestro di spada.
 
L’ambientazione è a Kyzil Plateau, che per noi italiani è l’Altopiano Kyzil. Non mi piaceva la dicitura Altopiano perché non rendeva l’idea della cittadina, così ho mantenuto la versione inglese. Già nel primo videogioco appare come uno scenario povero, un po’ decadente, ed è semplice immaginare che gente circoli nei bar, o per i bassifondi. Ma ha i suoi punti gradevoli anche questa cittadina, così come ha i suoi abitanti onesti. È molto in chiaroscuro, ecco.
 
Detto questo, spero di non aver stordito nessuno con la girandola di luoghi, colori e personaggi comparsa in questo capitolo; ma era necessaria per immergersi nella vita di Lilith.
DarkshielD, spero vivamente di aver reso bene il caratterino del tuo personaggio!
 
Alla prossima!

 

   
 
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