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Autore: Tangled    18/04/2011    1 recensioni
Breve one-shot.
Riflessioni di Temperance sul suo primo incontro con l'agente speciale dopo il suo primo caso con Booth.
L'ho usata per un contest del forum "Bones Italia Forum"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temperance Brennan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella era stata decisamente una serata movimentata così dopo aver risposto a tutte le domande della polizia e aver ottenuto il permesso di andarsene, aveva deciso di recarsi in laboratorio invece che al suo appartamento.
Accontentandosi della tenue illuminazione standard si diresse al piano superiore.
Come immaginava il suo “drink” era ancora esattamente dove lo aveva poggiato prima di scappare a fermare quel pazzo assassino. Lo prese e si appoggiò alla balaustra che dava sulla piattaforma.
Si respirava un’atmosfera strana.
Temperance non avrebbe saputo dire se la cosa dipendeva dalla luce soffusa che rendeva l’ambiente quasi irreale o dall’insolita calma che vi regnava. Era abituata a vedere quel posto brulicante di persone indaffarate e, anche se le capitava spesso di restare in laboratorio ben oltre l’orario consueto, non si era mai fermata a godersi il silenzio. Quasi certamente il problema era che quando finalmente riprendeva il contatto con la realtà, la stanchezza che aveva accumulato sembrava  riversarsi addosso a lei tutta d’un colpo e spesso era così sfinita che riusciva a fatica a guidare fino a casa.
Allora, forse sono io a sentirmi diversa e a proiettare le mie sensazioni sull’ambiente esterno.
Ma cosa le veniva in mente?!?? Lei detestava tutte quelle teorie pseudo scientifiche usate gli psicologi!
Con un sospiro si portò il recipiente alla bocca e bevve un sorso. L’alcol le bruciò la gola proprio come era accaduto poche ore prima.
Bleah... è davvero disgustoso!
Ciò nonostante ne mandò giù un altro sorso prima di appoggiare il contenitore a terra accanto a sé.
A dispetto dal sapore discutibile aveva davvero bisogno di un po’ di quel supporto...
Dopo due mesi passati in Guatemala ad identificare le vittime di un genocidio non avrebbe dovuto sentirsi tanto turbata per un singolo omicidio. Eppure lo era.
Booth le aveva dato ciò che voleva ovvero seguire ogni fase dell’indagine, solo che ora il problema era che non sapeva se sarebbe stato il caso di continuare.
Tralasciando la falsa modestia, sapeva di essere dannatamente brava nel suo lavoro e indubbiamente una delle migliori del suo campo, ma quando si trattava di relazionarsi con le persone... beh, dire che era un disastro era farle un complimento e per lavorare sul campo avrebbe dovuto fare qualcosa per il suo carattere.
Cosa le aveva detto Booth? Ah, sì...
Ottenere informazioni dalle persone è molto diverso dal cavare indizi da una pila di ossa. Devi prima offrire qualcosa di tuo.
Quello era decisamente un problema. Se c’era una cosa che aveva imparato presto era che non bisognava mai permettere a qualcuno di avvicinarsi troppo o quella persona avrebbe finito con il farti del male. Aveva quindici anni quando i suoi genitori erano spariti nel nulla e poco dopo se ne era andato persino suo fratello, abbandonandola a se stessa.
Nonostante tutto lei era sopravvissuta, ma per farlo aveva dovuto costruirsi intorno una serie di mura di difesa spesse e resistenti. Protezioni che avevano iniziato a vacillare nel momento stesso in cui aveva incontrato lo sguardo di un certo agente speciale.
Il loro primissimo incontro era stato a dir  poco esplosivo.

Di solito lei percepiva a malapena se l’agente che aveva di fronte era una donna o un uomo, ma quella volta... accidenti se se ne era accorta!
Furiosa per essere stata interrotta durante un’importante analisi di uno scheletro di due secoli prima, si era diretta a passo di marcia verso il suo ufficio dove sapeva che avrebbe trovato l’ennesimo galletto dell’FBI che, come al solito, avrebbe preteso risposte senza poi prendersi neppure la briga di ascoltarle. Era già pronta ad aggredirlo perché stava rigirandosi in mano un teschio di settecento anni quando...
Wow.
Sul momento non le era venuto in mente niente di meglio. Quell’uomo godeva decisamente di ottima salute! Com’è che lo avrebbe definito Angela? Un bel bocconcino... Beh, e chi poteva darle torto?
Spalle larghe, fianchi stretti, fondoschiena...
Ok, forse era il caso di smettere di divagare. Si schiarì la voce rendendo nota la sua presenza e spingendo l’uomo a voltarsi.
Doppio wow.
Occhi caldi e sorriso assassino. Sì, quello era decisamente un maschio alfa con tutti gli attributi al posto giusto e, a giudicare dalla postura, era anche perfettamente conscio del suo fascino. Quell’ultimo particolare ebbe il potere di ridarle lucidità. Odiava quel tipo di uomini.
“Mi stava cercando?” gli aveva chiesto andando dietro la scrivania e appoggiando il fascicolo che teneva in mano.
“La dottoressa Brennan? Io sono l’agente speciale Seeley Booth”  aveva risposto lui porgendole la mano.
Seeley Booth... Sì, aveva già sentito quel nome: all’FBI dicevano che era uno dei loro migliori agenti. Un uomo tutto verità e giustizia.
Ignorando la mano che le porgeva si era rivolta a lui “Cosa la porta qui?”
Aveva visto balenare nei suoi occhi una punta di sorpresa seguita da un’emozione che non aveva saputo identificare che era scomparsa in un attimo. Lui aveva ritratto il braccio e le aveva porto un incartamento che lei aveva analizzato velocemente per poi visionare le lastre.
“Trauma cranico dovuto ad un corpo contundente, a giudicare dalle ferite direi una spranga o comunque un oggetto simile...” aveva affermato prima di domandargli “Quanto era alta?”
“1.64, perché?”
“Dall’inclinazione delle fratture e dalla loro profondità si evince che l’aggressore era alto circa 1.85, probabilmente mancino, un uomo a giudicare dalla forza utilizzata”
“E lei avrebbe dedotto tutto questo da... quelle?”  le aveva chiesto senza fare alcuno sforzo per mascherare la sua palese incredulità.
“Il mio lavoro si basa su criteri scientifici e questo è ciò che dicono quelle ossa” aveva replicato irritata “ora se vuole scusarmi ho del lavoro da fare” aveva aggiunto congedandolo bruscamente.
“Già che ci siamo non è che ci legge anche l’indirizzo dell’assassino? ”
Con quella stupida frecciata si era meritato uno sguardo di ghiaccio.
“Se è capace di fare il suo lavoro, allora lo scoprirà lei” aveva ribattuto lapidaria.
A quelle parole lui si era alzato bruscamente facendo un paio di passi verso la porta.
“Agente Booth...” lo aveva richiamato lei spingendolo a voltarsi “Io cercherei tra le conoscenze della vittima...” aveva terminato porgendogli il fascicolo che lui stava dimenticando.
“Per quale motivo?”
“Sul rapporto c’è scritto che l’aggressione è avvenuta in casa e che presumibilmente è stata la vittima stessa ad aprire la porta al suo assassino dato che sono state cancellate le impronte dal campanello... Beh, non so lei, ma io non volterei mai le spalle ad una persona a meno di non sentirmi sicura.”
Per tutta risposta lui aveva fatto una smorfia incredula e poi aveva allungato il braccio per prendere la cartella che lei gli porgeva.
Triplo ‘wow’.
Una  scintilla. Ecco cosa aveva provato quando le loro mani si erano sfiorate per sbaglio.
Aveva visto le sue pupille dilatarsi leggermente prima che lui si voltasse uscendo dal suo ufficio.
Non avrebbe potuto giurarci, ma aveva avuto l’impressione di sentirlo borbottare un “mai più” mentre se ne andava.
Dal canto suo lei si era limitata a catalogare quella scintilla come un fenomeno di elettricità statica e così si era rimessa subito al lavoro. Sulla piattaforma aveva trovato il suo assistente.
“Nel caso si rifacesse vivo un certo agente speciale Seeley Booth tu di che non ci sono. Mai.
Zack aveva annuito senza chiedere spiegazioni. 

Invece lui era tornato a chiedere il suo aiuto offrendole in cambio tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Era stato magnifico partecipare a tutte le fasi dell’indagine, l’aveva gratificata moltissimo e poi doveva ammettere che, nonostante i bisticci, erano un’accoppiata decisamente vincente, proprio come dimostrava la loro brillante risoluzione del caso.
Ora toccava a lei decidere se voleva che la loro partnership continuasse.
Non aveva mai dato molto peso a quello che molti chiamavano istinto, ma in quella particolare situazione aveva percepito nettamente che se avesse accettato di lavorare con lui sarebbe accaduto qualcosa. Prima o poi.
Lo diceva quella scintilla che aveva sentito precedentemente e lo diceva l’episodio del poligono di due giorni prima.
In quella particolare occasione non si erano nemmeno sfiorati eppure lei aveva sentito distintamente l’aria crepitare intorno a loro mentre discutevano mantenendo appena la distanza di un respiro. Così come non le era sfuggito il modo in cui lui si era umettato le labbra ne l’insistenza con cui il suo sguardo era caduto sulle sue labbra.
Ma non si trattava solo di attrazione sessuale. No, quella era perfettamente in grado di gestirla, in fondo se sentiva quel tipo di necessità biologica, sapeva di poter contare su un paio di partner.
Il problema era che quell’uomo non si sarebbe fermato alla superficie, lo aveva già dimostrato con quell’accenno alla sua famiglia quando le aveva mostrato il mandato di perquisizione. Booth avrebbe indagato fino in fondo, il problema era che lei era così abituata ad indossare una maschera da non sapere più come sarebbe apparsa senza.
Lavorare stabilmente con lui avrebbe comportato il mettersi nuovamente in gioco e la necessità di tornare a fidarsi di qualcuno.
Coma aveva detto ad Angela pochi giorni prima... Le mie relazioni più significative sono con persone morte.
L’aveva pensata come una battuta, ma solo dopo averla pronunciata si era accorta di quanto fossero vere quelle parole.
Sì, doveva decisamente fare qualcosa per il suo carattere. Angela le aveva consigliato di aprirsi, di sforzarsi di dire a qualcuno anche quelle cose che istintivamente sentiva di voler tenere per sé.
Guardò l’orologio e vide che segnava le quattro. Con un sospiro si staccò dal parapetto.  
Era decisamente ora di tornare a casa. Salvo imprevisti sarebbe riuscita a dormire qualche ora prima del funerale di Cleo.
Aveva bisogno di energie visto la difficile conversazione che avrebbe dovuto affrontare poche ore più tardi. Un discorso che riguardava la famiglia e che avrebbe dovuto sostenere con il suo partner.
Così si avviò per le scale che l’avrebbero ricondotta al piano terra e poi all’uscita.
Una persona attenta avrebbe potuto udire distintamente il clack che era risuonato nell’aria nel momento in cui lei aveva preso la sua decisione: il rumore di un treno in corsa che cambiava improvvisamente binario. Era il suo destino.
E mentre lei tornava a casa ignara la strana atmosfera che aveva permeato quella notte si dissolveva.

  
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