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Autore: Beatrix Bonnie    20/04/2011    3 recensioni
New York, 1931. Nicholas McFly è un sognatore, un aspirante scrittore squattrinato che per vivere fa il barista in un locale per ricconi. Non sa che la sua vita sta per subire una svolta: pestando i piedi alla persona sbagliata -Johnny Bello, figlio del boss don Raffaè- si ritroverà trascinato nelle losche vicende della mafia americana, obbligato a fregare per non essere fregato, diventando lui stesso il protagonista del suo ultimo romanzo dal titolo "Il sassofonista".
Genere: Avventura, Commedia, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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Nota dell'autrice: la storia, avendo partecipato al concorso “Scegli l'immagine Contest” (al quale si è classificata terza), avrà, in sede di pubblicazione dell'epilogo, allegato il link del contest e il giudizio dato dalla gentilissima giudice Taminia. Tuttavia, visto che il tema del concorso era di sviluppare una storia attorno ad un'immagine, vi lascio QUI il link di quella che ho scelto.

La storia partecipa anche al contest La mia vita da gangster, di cui avremo i risultati a febbraio 2015.
Buona lettura!





"Il cacciatore"




Il ragazzo scrisse l'ultima parola con evidente soddisfazione. L'aveva finito, finalmente l'aveva finito. Tolse l'ultimo foglio dal rotolo della macchina da scrivere e rimase alcuni attimi a fissare la frase finale. Gli sembrava incredibile di aver portato a termine il suo primo romanzo: si sentiva realizzato, orgoglioso di quel suo lavoro che gli era costato un immenso sforzo e tanta buona volontà. Ma la sensazione di onnipotenza che provava nella certezza di aver concluso brillantemente il suo racconto era impareggiabile.
«Nicholas!» gracchiò una voce proveniente dalla stanza accanto.
Il ragazzo si alzò velocemente dalla sedia e mise in borsa il dattiloscritto, controllando con attenzione che i fogli non si rovinassero.
«Nicholas!»
«Eccomi, mamma» sospirò con rassegnazione il ragazzo, raggiungendo la donna.
«Eri ancora dietro a scrivere?» gli domandò la madre, scrutandolo con sospetto. Non gli piaceva che il figlio sprecasse tutto il suo tempo dietro a quella stupida macchina da scrivere: avrebbe potuto fare cose molto più utili per la sua famiglia, tipo un secondo lavoro. Invece no, sempre là a scarabocchiare inutili parole ogni qual volta che aveva una manciata di minuti liberi.
«L'ho finito, mamma! Ho finito il mio romanzo!» annunciò Nicholas con evidente soddisfazione, ma la donna non sembrava affatto partecipe del suo entusiasmo. Gli lanciò un'occhiataccia di rimprovero che trasudava tutta la sua disapprovazione per la faccenda.
Da quando lei e suo marito Seamus avevano abbandonato l'amata Irlanda per inseguire vane promesse di lavoro e ricchezza in America, non aveva fatto altro che sgobbare. Prima in fabbrica, poi al colorificio... sempre a massacrarsi di fatica, senza mai nessun guadagno. Ma poi era diventata vecchia, le sue gambe avevano cominciato a cedere e le ossa a scricchiolare e allora l'avevano gettata via come uno straccio logoro: a nessuno più serviva una donna che non poteva lavorare. Così erano anni che non usciva più di casa, passando le sue giornate su quell'unica sedia della lurida cucina, ormai quasi incapace di muoversi.
Aveva tirato su otto figli maschi che adesso erano tutti bravi operai, con una bella moglie e una nuova famiglia. Tutti, tranne l'ultimo, il più giovane, quello scapestrato di Nicholas. Lui perdeva il suo tempo bighellonando in giro, sempre con quella sua maledetta macchina da scrivere, regalatagli dal padre poco prima di morire. Che c'aveva poi sempre da pigiare quelle letterine? Tic, tic, tic... mai che facesse qualcosa di utile per la sua vecchia madre. «Prendi qualche spicciolo e vai a comprare delle patate» gli ordinò, indicando con un cenno del capo lo sportello della credenza.
«Adesso non posso, mamma. Devo andare al lavoro» rispose Nicholas, infilandosi velocemente la giacca. Dopodiché si mise in tasca la chiave dell'appartamento, schioccò un bacio sfuggente sulla fronte della donna e si affrettò ad uscire di casa.
Nicholas adorava passeggiare per le vie di New York. C'era qualcosa di magico nell'aria, tra le note di jazz che rimbalzavano contro i grattacieli, la folla di gente che camminava svelta lungo la strada, il puzzo di gas emesso dalle automobili sempre più numerose. Lì c'era il cuore della modernità, lì pulsava la vita, lì si nascondeva la chiave per il futuro! Se eri in cerca di un'opportunità, l'avresti trovata a New York. Nicholas, a differenza dei suoi sette fratelli, in America c'era nato e sapeva che la sfavillante America era il suo destino.
Erano ormai due anni che lavorava alla Pete's Tavern, uno dei più vecchi locali di New York, tra la Terza Avenue e la Ventitreesima Strada. Un locale per ricconi snob, in realtà, che non faceva proprio per lui: lo obbligavano a servire al banco con la giacca, il papillon e i guanti bianchi. Ma almeno pagavano bene e la divisa gliela fornivano loro. E poi, per lui, quello era solo un lavoro di ripiego, almeno finché non fosse riuscito a pubblicare qualcosa di suo e a diventare uno scrittore famoso. Il suo amico Greg, che lavorava con lui da Pete's, come lavapiatti, gli diceva che erano anni che ripeteva la stessa cosa, ma non aveva ancora concluso un bel niente. Nicholas gli rispondeva che il lavoro di scrittore richiedeva pazienza e lui avrebbe aspettato con calma, finché non fosse arrivata la sua occasione.
E, alla fine, la sua pazienza era stata premiata. Circa una settimana prima, era entrato da Pete's un bell'uomo dall'aria distinta, con un completo elegante. Uno dei tanti clienti del locale, a cui nessuno aveva fatto caso; nessuno tranne Nicholas, ovviamente, che aveva riconosciuto subito nei tratti delicati dell'uomo Francis Scott Fitzgerald, uno dei più grandi scrittori di quel periodo.
Nicholas non aveva saputo trattenere la sua gioia, quando il signor Fitzgerald si era seduto al bancone e aveva ordinato una spremuta d'arancia. Sapeva che quella era la sua occasione e non avrebbe dovuto sprecarla. L'aveva salutato con la stessa deferenza che avrebbe riservato al Presidente degli Stati Uniti in persona e l'uomo, forse per la sorpresa di essere stato riconosciuto, forse per il reale piacere della conversazione, si era dimostrato molto disponibile nei confronti del giovane barista.
Francis Fitzgerald aveva capito subito dal modo di fare del giovanotto che era un aspirante scrittore, come gliene capitava di vedere spesso: gli si facevano incontro e lo supplicavano di dare un'occhiata ad uno dei loro lavori, oppure gli chiedevano una raccomandazione per questa o quella casa editrice. Tuttavia, quel ragazzo in giacca bianca era diverso dagli altri: sembrava semplicemente contento di averlo conosciuto, di aver potuto scambiare due parole con lui. Gli pareva un giovanotto vispo, aperto al mondo e con quel pizzico di freschezza e ottimismo tipico di chi guarda con fiducia al proprio futuro perché ha ancora tutta la vita davanti.
Fu così che il signor Fitzgerald si ripropose di tornare il giorno successivo da Pete's e, anzi, vi si recò per tutta la settimana. Provava un'istintiva simpatia per il giovane barista, forse perché, nelle loro chiacchierate, lui non gli aveva chiesto nessuna raccomandazione, oppure perché quell'entusiasmo giovanile che lo caratterizzava riusciva a distrarlo dai suoi problemi. Aveva anche scoperto che entrambi avevano origini irlandesi e cattoliche e questo, in un certo senso, li faceva sentire più vicini. Fu lo stesso signor Fitzgerald a decidere di offrire un'opportunità al ragazzo: un giorno entrò da Pete's e gli propose di dare un'occhiata ad uno dei suoi lavori, per vedere come se la cavava e dargli qualche dritta. Il giovane barista ne fu talmente entusiasta che promise di portargli entro qualche giorno la bozza di un suo racconto.
Da quella volta, Nicholas aveva dedicato al suo romanzo ogni momento libero dal lavoro o dai vari impegni familiari, arrivando perfino ad addormentarsi davanti alla macchina da scrivere, stremato dal sonno. Però ce l'aveva fatta: in meno di una settimana aveva portato a compimento il suo lavoro e con immensa soddisfazione l'aveva infilato in una cartellina di cartone per portarlo al signor Fitzgerald. Non riusciva a credere alla sua fortuna: non solo il suo sogno si stava finalmente realizzando, dopo anni di speranzose attese, ma la persona che stava rendendo concreto tutto quello era uno dei suoi miti personali. Presto, proprio lui, proprio Francis Fitzgerald, avrebbe posato gli occhi sul suo racconto e, nel leggere, la sua immaginazione avrebbe dato vita a Marty Fox, l'imbranato saxofonista protagonista della storia. Sarebbe stato come condividere con il grande scrittore una parte di sé, quella parte insieme romantica e un po' sognatrice che lo portava a riempire tutti quei fogli con sudore e inchiostro.
Quel giorno entrò da Pete's con un'aria decisamente troppo baldanzosa. Quando passò in cucina sistemandosi la giacca bianca con aria tonfa, Greg gli lanciò un'occhiata di sbieco, che lui ignorò bellamente. Quello era il suo momento e non se lo sarebbe lasciato rovinare da nessuno.
Non sapeva quanto si stesse sbagliando.
Quando il signor Fitzgerald arrivò da Pete's aveva una strana faccia che avrebbe potuto rivelare molte cose, se Nicholas non fosse stato accecato dal suo entusiasmo. L'uomo si sedette davanti al bancone con la stessa allegria di un condannato a morte che si siede sulla sedia elettrica. «Nick, mi dispiace, ma temo di non poter tener fede al nostro patto» annunciò con aria tetra al giovane barista.
Il ragazzo si sentì sprofondare. Si aggrappò al piano di granito del bancone, per mantenersi in piedi. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, ma non ne uscì alcun suono. Non era possibile, non era veramente possibile. Aveva aspettato così a lungo quel momento che gli sembrava incredibile la velocità con cui si potesse volatilizzare il suo sogno.
Alla fine si lasciò sfuggire una sola parola: «Perché?»
Il signor Fitzgerald gli fece un breve sorrisetto. «Le condizione di salute di mia moglie sono peggiorate e io domani partirò per la Francia, verso Annecy» rispose, scuotendo la testa. Non gli andava di parlare troppo di sua moglie, nemmeno con il giovane, per quanto gli stesse simpatico. Lui era affezionato a Zelda e faceva fatica ad accettare la sua schizofrenia; soprattutto, non gli piaceva discuterne con gli altri. Era dispiaciuto di non poter rispettare il patto che aveva stretto con il giovane barista, ma la sua presenza era richiesta in Francia, al fianco della moglie.
Nicholas non avrebbe mai voluto essere scocciante e non era nella sua natura insistere con la gente, ma quella volta non seppe trattenersi. «Se vuole, ho qui con me il dattiloscritto» sussurrò speranzoso; dopodiché si concesse un timido sorriso.
Anche il signor Fitzgerald sembrò sollevato nel sentire quella notizia, come se fosse felice di poter tener fede alla parola data. «In tal caso, posso dargli un'occhiata e poi trovare il modo di farti avere il mio parere.»









Ecco qui la prima parte della storia (sarà ragionevolmente divisa in 6 parti più un epilogo). Spero che vi abbia interessato e che vi spinga a leggere anche il seguito. Io adoro il protagonista e sono molto soddisfatta del modo in cui sono riuscita a caratterizzare personaggi. Spero che piacciano anche a voi.
Alla prossima,
Beatrix B.

   
 
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